Gli Amici del Loggione Lirica
Rivista on-line di Musica Lirica Numero 2 – Novembre 2022
Coordinatore editoriale ed autore dei testi: Giuseppe Ragusa
Agli amici lettori
Nel n°1 degli Amici del loggione (giugno 2017), pagg. 45 51, avevo già parlato della Norma di Vincenzo Bellini. Col passare degli anni, rileggendola, quella trattazione mi appare oggi superata, superficiale, assolutamente non iミ liミea Ioミ le pagiミe della ruHriIa さMeloマaミiaざ che ho scritto recentemente.
Per questo semplice motivo troviamo in questo numero una Norma rinnovata, più completa, più godibile e più soddisfacente alla mia linea editoriale. Buona musica a tutti! In questo numero dedicato a Norma, di Vincenzo Bellini:
Maria Callas nel ruolo di Norma
Geミesi dell’opera
Coママeミto all’opera
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NORMA, DI VINCENZO BELLINI
GENESI DELL’OPERA
Grazie al successo ottenuto con l’opera “I Capuleti e Montecchi” al Teatro La Fenice di Venezia, Bellini fu incaricato dalla direzione della Scala di Milano (che dirigeva anche la Fenice) di scrivere due opere per la stagione 1831/32.
Il compositore catanese dopo pochi mesi comunicò a un suo amico di aver scelto «una tragedia intitolata Norma, ou L'Infanticide di Louis-Alexandre Soumet, adesso rappresentata a Parigi e con esito strepitoso». Soumet era un poeta di buon livello, membro dell’Académie Française, già librettista de La siége de Chorynte di Rossini. Sulla scelta del soggetto influì soprattutto la preminenza scenica e musicale della Pasta, cantante dalla stupefacente versatilità, che al canto di agilità univa una perfetta dizione, un fraseggio espressivo e un’arte scenica da grande attrice. La Pasta eccelleva nei grandi ruoli tragici: il compositore aveva cercato un soggetto drammatico che permettesse di sfruttare appieno le doti vocali e la recitazione ieratica, ricca di pathos e di grandezza, della cantante. Il drammaturgo francese [ミell’iママagiミe] aveva incentrato il proprio lavoro su tre nuclei tematici. Vi era anzitutto il motivo della sacerdotessa che infrange per amore i suoi voti; il tema universalmente noto almeno a partire dalla Vestale di Spontini era in voga nel primo Ottocento e possedeva un’indubbia efficacia teatrale, in quanto permetteva d’ambientare un conflitto interiore e privato sullo sfondo di scene di massa monumentali. Dall’antica tradizione classica discendeva poi il tema dell’infanticidio come vendetta per il tradimento amoroso, che risaliva quantomeno alla Medea di Euripide. Vi era infine il motivo celtico-barbarico, con gli antichi riti nella sacra foresta druidica, che tanta presa aveva nell’immaginario romantico; si trattava del tema messo in voga da Chateaubriand nei primi anni dell’Ottocento (Les Martyrs, che narra degli amori tra una sacerdotessa druidica e un condottiero romano).
Il dramma di Soumet, dunque, non faceva che attualizzare in chiave romantica temi ben radicati in una tradizione classica che risaliva all’antica tragedia greca. Romani, il librettista che lavorò a stretto contatto con Bellini, non si limitò a rielaborare l’intreccio del dramma francese: attinse anche ad altre fonti, in particolare a due suoi precedenti libretti, quello per la Medea in Corinto scritto per
Mayr nel 1813 e quello per La sacerdotessa d’Irminsul preparato per Pacini (Trieste 1817). Eliminò, inoltre, ogni elemento fantastico dal dramma di Soumet; introdusse nuovi momenti rituali; accentuò il ruolo di Adalgisa, da un lato per dare importanza maggiore alla parte della Grisi, dall’altro perché il personaggio era necessario, nell’economia del nuovo dramma, al potenziamento dei conflitti interpersonali.
Aveva trent'anni Bellini quando scrisse Norma, era nel pieno della sua creatività e della notorietà in Europa. L’opera fu composta in meno di tre mesi nella Villa Passalacqua sul lago di Como dove Bellini fu ospite regolare - insieme ad altri personaggi illustri - di Gianbattista Lucini Passalacqua. Bellini in questa villa compose le sue opere più importanti come la Norma, La Sonnambula e La Straniera. La soprano Giuditta Pasta possedeva villa Roccabruna dall’altra parte del lago, e pare che lui la sentisse cantare durante il giorno e lo ispirasse mentre componeva. Bellini affidò la parte letteraria al suo librettista Felice Romani [ミell’iママagiミe] che dal 1827, dai tempi del Pirata, aveva scritto i libretti di tutti i suoi melodrammi e compose la parte musicale in meno di tre mesi, nel 1831. La moglie di Romani, Emilia Branca, affermò che il marito scrisse non una ma tre Norme, tanto numerosi furono i suggerimenti e le modifiche chieste dal musicista, come dimostrano anche gli autografi del libretto. “Casta diva” fu riscritta otto volte e numerose scene vennero completamente rifatte. Bellini intervenne in prima persona eliminando una gran quantità di versi, riducendo le scene e i dialoghi al minimo necessario, cercando il più possibile di dare alla protagonista la possibilità di impersonare l'intero arco dei sentimenti umani senza mai dover fingere uno atteggiamento piuttosto che un altro ma vivendoli tutti con la stessa intensità come sfaccettature di una psicologia complessa. Con Bellini stava così nascendo la figura dell’operista “completo”, capace di sceneggiare e costruire l’impianto drammatico di un’opera lasciando praticamente al librettista la cura dei versi: con Verdi si compirà presto questo percorso. Romani e Bellini decisero di cambiare anche il finale di Soumet, in cui Norma alla fine impazzisce e uccide i figli per poi gettarsi da una rupe, optando invece per il classico motivo dell’unione degli amanti nella morte e della generosità d’animo di Norma che accusa sé stessa scagionando Adalgisa, più coerente alla psicologia sentimentale della protagonista. L’intenzione principale fu di non concludere l’opera con un’aria di pazzia per la Pasta: l’anno precedente la stessa cantante aveva concluso in quel modo l’Anna Bolena di Donizetti, data al Teatro Carcano di Milano, e il ricordo era ancora troppo vivo nella mente degli spettatori.
La prima rappresentazione avvenne al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno. Il cast era composto da Giuditta Pasta (Norma), che in quell’occasione fece il suo debutto scaligero, Giulia Grisi (Adalgisa), altro grandissima soprano, Domenico Donzelli (Pollione), Vincenzo Negrini (Oroveso), il direttore dell’Orchestra della Scala era Alessandro Rolla.
Quella sera l'opera, destinata a diventare la più popolare tra le dieci scritte dal compositore catanese, andò incontro a un fiasco clamoroso dovuto sia a circostanze legate all’esecuzione (i cantanti erano esausti dalle numerose prove, la Pasta - che quella sera aveva evidenti problemi di voce - offrì un’esecuzione mediocre) sia alla presenza di una claque avversa a Bellini e alla sua primadonna. Teorie romantiche di cospirazione parlavano addirittura di un intrigo a pagamento da parte dell’ex amante di Bellini, la contessa russa Samoylov, che all’epoca aveva una relazione con un compositore concorrente di Bellini. Probabilmente il pubblico fu semplicemente sorpreso dalla novità dell’opera: l'inconsueta severità della drammaturgia e l'assenza del momento più sontuoso e atteso, cioè il concertato che tradizionalmente chiudeva il primo dei due atti, accentuando l’acme drammatico dell’opera, spiazzarono il pubblico milanese.
Fu lo stesso Bellini a descrivere il fatto in una sua lettera ad un amico: «Ti scrivo sotto l’impressione del dolore; di un dolore che non posso esprimerti, ma che solo tu puoi comprendere. Vengo dalla
Scala: prima rappresentazione della Norma. Lo crederesti? Fiasco!!! Fiasco, solenne fiasco!!!». Fortunatamente Bellini credeva fortemente in quest’opera, che andò successivamente incontro ad un crescente successo, con ben 31 repliche nella stessa stagione della Scala. Iniziò quindi rapidamente la sua progressione trionfale in tutta Europa e da allora non è più uscita di repertorio. Oggi Norma è considerata a pieno titolo una delle opere fondamentali del melodramma italiano dell’Ottocento: lo stile molto elevato, il fascino dell’arcaico, la commozione dei sentimenti, la passione e il sacrificio che scaturiscono dalla tragedia di Norma, hanno fatto di quest’opera il capolavoro di Bellini, che è tuttora tra le opere maggiormente rappresentate nel grande repertorio internazionale.
COMMENTO ALL’OPERA
Nella musica di Norma troviamo tutti i caratteri salienti dello stile belliniano: la prodigiosa vena melodica, l’incredibile pathos capace di esprimere i più diversi stati d’animo, la sua concezione musicale basata sul primato del canto, sia esso vocale o strumentale, che si rivela di una straordinaria e limpidissima bellezza. Si nota innanzitutto un'abbondanza di quelle che Wagner - volendo distinguere Bellini dagli altri compositori italiani contemporanei - definiva “melodie lunghe lunghe”, cioè modellate sulla declamazione del testo e sempre subordinate all'esigenza di una recitazione il più possibile naturale. Se si leggono le indicazioni riportate in partitura, in Norma si trovano arie, recitativi, cabalette, duetti, terzetti, insomma niente di diverso da quanto è previsto nella struttura tradizionale dell'opera. Se però si segue la musica nel suo svolgersi, dietro quelle definizioni si trovano soluzioni espressive molto più sfumate, malleabili, nelle quali gli elementi si succedono o passano l'uno nell'altro obbedendo ad una logica teatrale.
Un ruolo importante è quello svolto da un'orchestrazione particolarmente raffinata e ricca di sfumature, sia quando occupa il primo piano sia quando si limita ad un accompagnamento ridotto a pochi accordi o un arpeggio, anche se in alcuni pezzi, come ad esempio nel finale, anche per l’intervento del coro, raggiunge una struttura imponente.
L’opera ricorda le tragedie greche, ed il suo celeberrimo finale (Padre, tu piangi) costituisce un insuperato esempio di "catarsi" attraverso la musica, cioè di una musica che, dopo il crescente accendersi delle passioni, sfocia in uno slancio liberatorio e in una serenità che tutto purifica.
L’ultima parte dell’opera - che, assieme all’aria "Casta diva " viene unanimemente considerata una delle più alte creazioni musicali di tutti i tempi - descrive, attraverso melodie veramente sublimi, il grande sacrificio d’amore di Norma, ma, a differenza di altre opere con un analogo epilogo (si pensi ad Aida, nella quale la protagonista volontariamente va a morire assieme al suo amato, rinchiudendosi con esso nella tomba, cantando la sua apoteosi finale), Norma non si conclude con il canto d’amore della sacerdotessa e del suo amato Pollione, ma ha un finale che si sviluppa in tre fasi successive.
La prima è, appunto, il canto d’amore dei due amanti che decidono di morire insieme; ma non dimenticano i loro bambini, ed ecco il secondo momento, nel quale Norma si getta ai piedi del padre Oroveso ed implora pietà per i suoi figli, esprimendo tutto il suo essere madre. Segue la terza ed ultima fase, nel quale Norma e Pollione, accortisi che il padre, piangendo, acconsente a salvare i loro figlioletti, si avviano felici verso il rogo: la musica che accompagna il loro sacrifico esprime, in un tutt’uno ricco di sentimenti, l’amore dei due amanti, l’amore materno ed il dolore disperato dell’anziano genitore.
Ha scritto Alfred Einstein "Nessuno può dire di sapere cosa sia la musica se non lascia l’ultimo atto di Norma con il cuore sopraffatto dall’emozione". Si racconta che il grande Maestro Ildebrando Pizzetti, trovandosi ad ascoltare alla radio, in presenza di altri, l’ultimo atto di Norma (che pure, quale musicista, aveva ascoltato numerose volte), spense bruscamente la radio per non essere sopraffatto dall’emozione fino alle lacrime.
LA FIGURA DI NORMA
Dalla sua prima comparsa noi ne conosciamo l'autorevolezza, la forza del comando sacerdotale e la bellezza descritta dal coro che la introduce. Più avanti nel duetto con Adalgisa e poi nel confronto conPollione,compaiono lasuapietàelafuria,lacomprensioneperlasuagiovaneadepta, ildisprezzo per l'uomo di cui entrambe le donne sono vittime.
Nel secondo atto fanno invece la loro comparsa la tenerezza di madre, il senso di colpa, l'odio e l'amore laceranti, con l'ultima accorata preghiera al padre.
ADALGISA
Resta da chiedersi come mai Norma e Adalgisa, due donne forti e generose si sono innamorate di un uomo non sempre lineare come il proconsole romano Pollione. Resta in primissimo piano la loro sorellanza e la speciale inedita complicità tra la maestra e l'allieva che rappresenta il perno su cui ruota il senso di tutta la vicenda.
Musicalmente il ruolo di Adalgisa fu scritto da Bellini per soprano e quindi tutta la scrittura si applica a questa gamma, spesso però il ruolo è coperto da un mezzosoprano: è indubbio che la vocalità sopranile esprime al meglio la fragilità del giovane personaggio, però trovo che il fondersi di due voci, quella cristallina di soprano e quella del mezzosoprano. abbia un fascino unico.
POLLIONE
Anche se importante, la figura del Pollione è chiaramente messa in ombra dai due ruoli femminili. Non apprendiamo molto del suo carattere e delle sue motivazioni durante l’opera, quindi il ruolo rimane superficiale in termini scenici. Musicalmente, il ruolo richiede una voce tenorile potente e ricca, quindi questa parte era spesso cantata dalle voci più robuste come Corelli o del Monaco.
OROVESO
Oroveso rimane piuttosto poco imponente per tutta l’opera da un punto di vista scenico.
Musicalmente Bellini gli ha scritto una parte molto bella (“Ite sui colli, Druidi”), dove il coro dei Galli si intreccia al suo canto, una scena che vede annunciato il carattere dei cori “risorgimentali” verdiani (Nabucco di Verdi di 10 anni dopo, con Zaccharia come sommo sacerdote e gli ebrei).
IL RUOLO DEL CORO
La gamma musicale che va dalle scene di guerra alle cerimonie religiose e ai molti accompagnamenti drammatici testimonia l’importanza che Bellini attribuiva al coro. Non solo i molti numeri corali indipendenti lo testimoniano, ma anche l’accompagnamento di molti passaggi solistici con funzioni sceniche e musicali. E’ uno spessore che il coro conquista a prezzo di una metamorfosi che lo trasforma da esercito di una rivolta frustrata ad un personaggio vero e proprio dotato di una propria emotività. Anche i Galli ritrovano così un posto nel rango dei rappresentanti della pietà umana, sentimento evidentemente molto diverso dal desiderio barbaro di libertà.
DIREZIONE ORCHESTRALE
Il più grande direttore della Norma di Bellini nella Storia è stato Richard Wagner che al capolavoro decretò un culto particolare. Ancora all’epoca della composizione del Parsifal quando a Napoli fu ospite del Conservatorio di San Pietro a Majella (e vi ascoltò rapito il Miserere di Leonardo Leo, il supremo polifonista settecentesco dopo Bach, orgoglio della Scuola Napoletana e di San Vito degli Schiavi, sua prima patria) alla vista del vecchio bibliotecario Florimo, l’amico di Bellini, scoppiò in lacrime e l’abbracciò esclamando «Bellini! Bellini!».
Dopo Wagner il maggiore è stato Gino Marinuzzi. Il sommo palermitano per il centenario della prima esecuzione milanese approntò un’edizione autentica della partitura che restaura il terzetto finale del I atto “Oh di qual sei tu vittima” e l’integrità del coro “Guerra guerra” . Dopo Marinuzzi il più grande direttore della Norma è stato il perugino Gabriele Santini, morto nel 1964, già assistente di Toscanini e direttore del Colon di Buenos Aires.
GUIDA ALL’ASCOLTO
Antefatto: L'azione si svolge nelle Gallie, all'epoca della dominazione romana. La sacerdotessa Norma, figlia del capo dei Druidi Oroveso, ama in segreto il proconsole romano Pollione, dal quale ha avuto due figli, custoditi dalla fedele Clotilde all'insaputa di tutti.
SINFONIA
La Sinfonia della "Norma" è un brano vivace ed energico, che presenta qualche riferimento allo stile rossiniano (dalla partenza esplosiva al concitato tema con il ribattuto degli archi) ma che cambia improvvisamente direzione in una sezione finale, assai diversa, più elegiaca e ricca di pathos, grazie anche all'utilizzo dell'arpa e dei fiati. Nel suo insieme, sottolinea in maniera suggestiva i contrasti fra i caratteri e le psicologie dei vari personaggi. Dopo gli accordi marziali dell’inizio che raffigurano con forza il clima guerresco nel quale si colloca l’opera, ossia la guerra tra Galli e Romani. Bellini inserisce due battute Lento a piacere affidati all’oboe e al flauto. Il tema principale appare in pianissimo, eseguito dagli archi, rapido e incalzante, espressione dello stato intimo dei protagonisti che evolverà a una dimensione sempre più drammatica.
Dopo la fine di questo tema compare la melodia del duetto “Già mi pasco ne’ tuoi sguardi” tra Norma e Pollione nella penultima scena dell’opera. Il motivo, con la sua variante, viene eseguito due volte dai fiati accompagnati dagli archi, quindi ricompare il tema rapido e incalzante, accentuando così da un lato l’ambito collettivo, guerresco, dall’altro quello intimistico, sentimentale. Quest’ultimo sembra prevalere, quando emerge, statica, una figura degli archi caratterizzata da un trillo prolungato e più volte ripetuta.
Alla fine ritorna il tema principale che, in chiusura, perde quanto possedeva di minaccioso per apparire, invece, consolatorio e conciliante.
Gli ultimi accordi orchestrali riportano al clima drammatico dell’opera.
ATTO I
Scena prima.
La scena si apre nella foresta sacra dei druidi. È notte. Al suono di una marcia religiosa le schiere dei Galli si incamminano verso la quercia ai piedi della quale è l'altare dedicato al dio Irminsul; li seguono Druidi (cioè i personaggi più influenti della società gallica), e, per ultimo il gran sacerdote Oroveso con i sacerdoti maggiori.
Sono gli strumenti più cupi della famiglia degli archi - violoncelli e contrabbassi con gli accordi dei corni, che suggellano il clima notturno della scena - a dare il via al coro di introduzione e cavatina. I contrabbassi scandiscono le note più gravi, i violoncelli intonano un motivo nobile e cantabile, poi ripreso dalla orchestra intera nella quale spiccano i suoni di trombe, flauti e oboi: l’andamento è di tipo processionale.
Oroveso annuncia che, al sorgere della luna, Norma, sua figlia e sacerdotessa suprema del dio Irminsul, verrà a celebrare i sacri riti e a mietere il vischio. Egli spera anche nell’imminenza della rivolta del suo popolo contro i Romani.
OROVESO. Ite sul colle, o Druidi, Ite a spar ne' cieli quando il suo disco argenteo la nuova Luna sveli! Ed il primier sorriso del virginal suo viso tre volte annunzi il mistico bronzo sacerdotal!
Le parole di Oroveso sono scandite dai flauti e dai corni, poi coronate da un’esplosione quasi di collera, a cui partecipano, fra le percussioni, i piatti.
I Druidi e Oroveso intonano una preghiera a Irminsul perché ispiri alla sua sacerdotessa sentimenti di odio nei confronti dei Romani e la spinga a dare il segnale della rivolta.
DRUIDI. Dell'aura tua profetica, terribil Dio, l'informa! Sensi, o Irminsul, le inspira d'odio ai Romani e d'ira, sensi che questa infrangano pace per noi mortal, sì!
Una coda orchestrale varia, mutandone in modo sensibile l'orchestrazione, il tema che aveva introdotto i Galli accompagnandone l'uscita di scena. Si allontanano tutti e si perdono nella foresta.
Scena seconda.
Sopraggiunge guardingo, avvolto nella toga, il proconsole romano Pollione, da tempo amante segreto di Norma, che ha quindi infranto il suo voto di castità. Dalla loro relazione sono nati due figli. È accompagnato dall’amico Flavio. Pollione (nel recitativo) confida all'amico come il suo amore per Norma si sia esaurito e di essersi innamorato, ricambiato, di una giovane novizia del tempio d'Irminsul, Adalgisa. Egli teme però l’ira di Norma, spaventato anche da un sogno premonitore che gli ha annunciato sventura per sé ed i figli.
POLLIONE. In rammentarlo io tremo. Meco all'altar di Venere era Adalgisa in Roma, cinta di bende candide, sparsa di fior la chioma; udia d'Imene i cantici, vedea fumar gl'incensi, eran rapiti i sensi di voluttade e amore. Quando fra noi terribile viene a locarsi un'ombra; l'ampio mantel druidico come un vapor l'ingombra; cade sull'ara il folgore, d'un vel si copre il giorno, muto si spande intorno un sepolcrale orror. Più l'adorata vergine Io non mi trovo accanto; n'odo da lunge un geマito マisto de' figli al piaミto … Ed uミa voIe orriHile eIheggia iミ foミdo al teマpio: さNorマa Iosì fa scempio d'aマaミte traditor!ざ
Sorge la luna ed uno squillo del sacro bronzo e i canti druidici annunciano l’arrivo di Norma. I due romani sono costretti a fuggire, ma prima di allontanarsi Pollione esprime il proposito di difendere il suo amore e di abbattere l’altare di Irminsul.
POLLIONE. Me protegge, me difende un poter maggior di loro, è il pensier di lei che adoro, è l'amor che m'infiammò. Di quel Dio che a me contende quella virgine celeste, arderò le rie foreste, l'empio altare abbatterò.
Scena terza. Ritornano in scena Druidi, sacerdotesse, guerrieri, bardi, eubagi, sacrificatori, e in mezzo a tutti, Oroveso.
CORO. Norma viene: le cinge la chioma la verbena ai misteri sacrata; in sua man come luna falcata l'aurea falce diffonde splendor. Ella viene, e la stella di Roma sbigottita si copre d'un velo; Irminsul corre i campi del cielo qual cometa foriera d'orror.
Scena quarta.
L’ingresso in scena di Norma è solenne, in mezzo alle sue ministre. Ha sciolto i capelli, la fronte circondata da una corona di verbena, nella mano stringe una falce d’oro. Si colloca sulla pietra druidica e volge gli occhi come ispirata. Tutti fanno silenzio.
Il recitativo inizia con la sua voce sola, senza alcun sostegno orchestrale, poi entrano gli ottoni e i legni, alternandosi, che scandiscono accordi dal sapore cerimoniale, mentre gi archi con un accordo efficacissimo dell’arpa - si aggiungono dopo. Norma invita i Galli a pazientare in attesa della vittoria finale.
Inizia quindi la cerimonia: Norma con la falce taglia il sacro vischio e le Sacerdotesse lo raccolgono in canestri di vimini. Norma si avanza e stende le braccia al cielo verso la luna che splende in tutta la sua luce. Tutti si prostrano mentre la Sacerdotessa supplica con una preghiera la luna affinché doni la pace.
“Casta diva” è una delle più celebri arie della storia del melodramma, e la più bella fra quelle scritte da Bellini. L’accompagnamento orchestrale di Bellini è semplice, ogni parola è comprensibile dalla moderazione della orchestrazione e dà un significato drammatico al testo e quindi al rito dei druidi. L’aria fu scritta in stretta collaborazione con Giuditta Pasta, la cantante della prima dell’opera. Si dice che Bellini abbia scritto non meno di nove bozzetti, originariamente in sol maggiore, ma la Pasta voleva una tonalità un po’ più profonda e da allora è stata generalmente cantata nella variante in Fa maggiore (cioè una nota più bassa).
La preghiera che Norma dedica alla Luna affinché porti la pace, di inusitata lunghezza, e di estrema difficoltà esecutiva, inizia con un andamento dolce e maestoso: i lunghi arpeggi introduttivi si aprono in una melodia ampia, senza cambi di velocità, semplice, pur se arricchita da lievi fioriture, che poi
sale sempre di più, impennandosi in vibrazioni di drammatica intensità; poi progressivamente si placa in un finale sereno, lasciando l’ascoltatore come incantato.
Il coro ripete le stesse parole ma pronunciate sottovoce come sfondo ed accompagnamento, e ciò fa ulteriormente risaltare il difficile virtuosismo vocale richiesto all’interprete. Un vero miracolo di bellezza: il compositore francese Fromental Halévy dichiarò che avrebbe barattato tutta la sua musica per quest'aria.
NORMA. Casta Diva, che inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel!
OROVESO E CORO. Casta Diva, che inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel!
NORMA. Tempra, o Diva, tempra tu de' cori ardenti, tempra ancora lo zelo audace. Spargi in terra quella pace che regnar tu fai nel ciel.
OROVESO E CORO. Diva, spargi in terra quella pace che regnar tu fai nel ciel.
Al suono della marcia già ascoltata, Norma pone fine al rito e, accompagnata dal coro, in un’aria marziale e guerresca, lancia un’invettiva contro i Romani, ma dentro di sé pensa nostalgicamente a Pollione che ormai sente lontano da lei.
NORMA. Ah! bello a me ritorna del fido amor primiero, e contro il mondo intiero difesa a te sarò. Ah! bello a me ritorna del raggio tuo sereno e vita nel tuo seno e patria e cielo avrò.
Bellini, per non rompere l’unità drammatica dell’azione, isola il personaggio come se cantasse fra sé e sé. Emerge l’immagine di una donna che mantiene tutta la sua fierezza tragica anche nell’ardore della sua passione.
La cerimonia è terminata, tutti si allontanano, tranne Adalgisa, anch’essa sacerdotessa di Irminsul.
Scene quinta.
Collegandosi direttamente al tema della marcia, Bellini confeziona una transizione orchestrale di grande intensità per introdurre l’altra grande protagonista dell’opera, Adalgisa. Emerge un nuovo tema più dolce e malinconico, affidato ai flauti, quasi una coda, un’eco lontana di “Casta Diva”.
ADALGISA Sgombra è la sacra selva, compiuto il rito. Sospirar non vista alfin poss'io, qui … dove a マe s'offerse la prima volta quel fatal Romano, che mi rende rubella al teマpio, al Dio … Fosse l'ultima almen! Vano desio! Irresistibil forza qui mi trascina,e di quel caro aspetto il cor si pasce, e di sua cara voce l'aura che spira mi ripete il suono. (Corre a prostrarsi sulla pietra d'Irminsul.). Deh! Proteggimi, o Dio! Perduta io son! Gran Dio, abbi pietà, perduta io son!
Scena sesta.
Adalgisa viene raggiunta da Pollione del quale ella ignora la relazione con Norma. Segue un duetto tra i due, che, a dire dello stesso Bellini, è poco soddisfacente (verrà anche giudicato negativamente anche dal pubblico della Prima) e troppo accademistico.
POLLIONE. Va, crudele, al Dio spietato offri in dono il sangue mio. Tutto, ah, tutto ei sia versato, ma lasciarti non poss'io, no, nol posso! Sol promessa al Dio tu fosti, ma il tuo core a me si diede. Ah! Non sai quel che mi costi perch'io mai rinunzi a te.
ADALGISA. E tu pure, ah, tu non sai quanto costi a me dolente! All'altare che oltraggiai lieta andava ed innocente, sì, sì, v'andava innocente. Il pensiero al cielo ergea e il mio Dio vedeva in ciel! Or per me spergiura e rea Cielo e Dio ricopre un vel!
Il proconsole romano la invita ad abbandonare il suo dio e a seguirlo a Roma, dove egli deve tornare. Adalgisa è esitante ma si lascia convincere a seguire il suo innamorato, al quale promette di farsi trovare l’indomani alla medesima ora, per fuggire. Scena settima.
È passato un giorno, l’azione si sposta nell’abitazione di Norma dove Clotilde alleva i due bambini della sacerdotessa: Norma ha saputo che Pollione è stato richiamato a Roma e subito la musica si accende di una luce tragica. Gli archi introducono la scena in modo tempestoso, solo a tratti alleggerito dai legni e poi di nuovo scurito dagli ottoni. Otto battute in Andante danno corpo a una melodia, ripetuta due volte, che sempre gli archi
con i legni disegnano come un’espressione di dolore lacerante, quasi il simbolo della colpa di Norma. La sacerdotessa abbraccia i suoi figli e a Clotilde, che li accudisce, confida i suoi timori su Pollione. Il recitativo è drammatico, intenso, percorso da momenti di autentica emozione. Clotilde si allontana con i figli, Norma li abbraccia.
Scena ottava.
Un ritmo regolare, leggero e tuttavia drammatico accompagna l’ingresso di Adalgisa, accolta da Norma con un declamato magnifico per forza e dolcezza. Una frase come “E perché tremi?”, benché semplicissima, è carica di efficacia espressiva. Adalgisa confessa a Norma la sua passione amorosa e di aver mancato al voto di castità, senza però rivelare il nome dell'uomo amato.
ADALGISA. Sola, furtiva, al tempio Io l'aspettai sovente, ed ogni dì più fervida crebbe la fiamma ardente. NORMA. (Io stessa arsì così.)
ADALGISA. Vieni, ei dicea, concedi ch'io mi ti prostri ai piedi.
NORMA. (Oh, rimembranza!)
ADALGISA. Lascia che l'aura io spiri.
NORMA. (Io fui così sedotta!)
ADALGISA. Dei dolci tuoi sospiri, del tuo bel crin le anella dammi, dammi poter baciar.
NORMA. (Oh, cari accenti! Così li profferia, così trovava del mio cor la via!)
ADALGISA. Dolci qual arpa armonica m'eran le sue parole, negli occhi suoi sorridere vedea più bello un sole.
NORMA. (L'incanto suo fu il mio!)
Norma, che ha riconosciuto nella novizia i propri sentimenti e il proprio peccato, la scioglie dai voti, quindi le chiede con voce soave chi sia l'innamorato. La giovane sacerdotessa precisa che si tratta di un guerriero romano.
Scena nona.
La replica improvvisamente incollerita di Norma è affidata a due sole note, sulle sillabe della parola “Roma”, un salto discendente che bruscamente modifica il clima della scena, trasformandolo da sereno a drammatico.
Adalgisa indica Pollione, che sta sopraggiungendo proprio in quel momento. Furiosa, Norma rimprovera all’amato il suo tradimento e gli ricorda i figli che lei gli ha dato.
NORMA. Ah, non tremar per lei! Essa non è colpevole, il malfattor sei tu! Trema per te, fellon, pei figli tuoi, trema per me, fellon!
Norma rivela tutto ad Adalgisa. Questa cabaletta di Norma si staglia con tutta forza sopra un accompagnamento in e ritmicamente marcato dagli archi. Si tratta di “un'aria di furia”, caratterizzata da ampi salti vocali, agilità nervosa, un virtuosismo esteso verso i limiti estremi della tavolozza vocale. Le volute trascinanti nelle quali si impenna la sua voce impediscono agli altri personaggi di
intervenire. Adalgisa riesce solo a manifestare la sua incredulità sulla coda del canto di Norma, interroga Pollione e ne riceve in cambio un eloquente silenzio.
Segue un terzetto finale. Con un suono cupo e minaccioso dell’orchestra, Norma che fissa in un tragico silenzio Pollione lo allontana e gli grida che si vendicherà di lui: la sua voce appare qui musicalmente scolpita nella pietra. Pollione, accecato dall’amore, prende coraggio, non vuole rinunciare ai suoi propositi e cerca di portar via Adalgisa. La giovane però si rifiuta di seguirlo e promette a una furente Norma il suo aiuto affinché Pollione torni da lei.
Un nuovo motivo viene introdotto quando le tre voci tornano a cantare assieme in una intensificazione che accumula ulteriore tensione. Tensione che non si scioglie, anzi addirittura si esaspera quando il coro fuori scena richiama Norma ai suoi doveri sacerdotali. L'orchestra è piena, tumultuosa, gli ottoni hanno un grande risalto e suonano robuste anche le percussioni. Mentre Pollione si allontana irato, un rullo di timpani accompagna cupo gli ultimi accordi e con essi la chiusura del sipario.
ATTO II
Introduzione.
L'apertura del secondo atto non è solo tra i momenti più alti della partitura, ma accese anche la fantasia di un altro compositore, Fryderyk Chopin, il quale utilizzò l'inizio del tema di Norma “Teneri figli” nel settimo degli Studi opera 25 per pianoforte.
L'introduzione orchestrale, preparata da due accordi forti e sonori dipinge con delicatezza un'atmosfera notturna gravida di tragedia, anticipando per intero il tema di Norma, affidato ai violoncelli. Il tema si spegne nel silenzio, e si è ormai visto che i silenzi in quest'opera appartengono alla figura musicale di Norma. Poi un breve pizzicato degli archi conduce a un tremolo insistente, inquieto, sul quale spicca il richiamo dei corni. Ancora un silenzio e Norma inizia il suo canto. Scena prima. Interno dell'abitazione di Norma. La sacerdotessa compare in scena brandendo un pugnale in mano La donna si avvicina al letto dove dormono i fanciulli con l'intento di ucciderli per vendicarsi di Pollione, ma il sentimento materno le impedisce di compiere il delitto. Il modello letterario dell’opera di Soumet prevedeva - come già detto in precedenza - a questo punto l’uccisione dei due bambini. Ma Bellini e il suo librettista cambiarono la trama. Bellini non aveva un debole per le storie dell’orrore, come molti compositori romantici e contemporanei, così rinunciò anche a una scena di follia per non gonfiare ancora di più il finale. Anche senza l’infanticidio è una scena toccante. Più che un'aria, “Teneri figli” è un monologo più volte interrotto da passaggi di declamazione, con un canto che dunque aderisce al tormento vissuto dal protagonista e che si concede con una sola e
morbida inflessione di belcanto sulla parola “mia”. Alla fine, vince l'esclamazione “Ah no sono figli miei!” e la musica si accende piena di agitazione.
NORMA. Dormono entrambi, non vedran la mano che li percuote. Non pentirti, o core; viver non ponno. Qui supplizio, e in Roma obbrobio avrian, peggior supplizio assai; schiavi d'una matrigna. Ah! no: giammai. (Sorge risoluta) Muoiano, sì. (Fa un passo e si ferma.) Non posso avvicinarmi: un gel mi prende, e in fronte mi si solleva il crin. I figli uccido! Teneri figli, pur dianzi delizia mia, essi nel cui sorriso il perdono del ciel mirar credei! Ed io li svenerò? Di che son rei? (Risoluta). Di Pollion son figli: ecco il delitto. Essi per me son morti: muoian per lui: e non sia pena che la sua somigli. Feriam. (s'incammina verso il letto: alza il pugnale; essa dà un grido inorridita, i figli si svegliano) Ah no! Son miei figli! Miei figli! (li abbraccia piangendo amaramente)
Scene seconda e terza. Norma manda a chiamare Adalgisa alla quale comunica la sua decisione di morire e di affidarle i figli perché li conduca al loro padre Pollione. La giovane rifiuta e si offre di recarsi dal proconsole per convincerlo a tornare con Norma.
[Maria Callas (Norma) e Giulietta Simionato (Adalgisa) Teatro alla Scala, 1955]
“Mira o Norma” è forse il duetto più bello e conosciuto di Bellini, cantato dalle due voci femminili di Norma e Adalgisa. Bellini nella prima parte fa suonare all’orchestra un accompagnamento ondeggiante, e una melodia intima tocca l’ascoltatore, poi le due sacerdotesse cantano con belle ornamentazioni. Nella seconda parte, veloce, Bellini sincopa le voci e aggiunge un bellissimo effetto con le scale di ottavi puntati ascendenti.
Nel duetto con Adalgisa il personaggio di Norma rivela tutta la sua fragilità. Dopo essersi mostrata severa sacerdotessa, guida del suo popolo, amante piena di passione, ora appare come una madre impaurita votata al suicidio.
ADALGISA. Mira , o Norマa, a’ tuoi ginocchi questi cari tuoi pargoletti! Ah, pietade di lor ti tocchi, se non hai di te pietà!
NORMA. Ah! Perché la mia costanza vuoi scemar con molti affetti? Più lusinghe, ah!, più speranze presso a morte un cor non ha!
ADALGISA. Cedi! Deh, cedi!
NORMA. Ah! LasIiaマi! Ei t’aマa.
ADALGISA. E già sen pente.
NORMA. E tu?
ADALGISA. L’aマai. Quest’aミiマa sol aマistade or seミte.
NORMA. O giovinetta1 E vuoi?
ADALGISA. Renderti i diritti tuoi, o teco al cielo agli uomini giuro celarmi ognor,
NORMA. Si. Hai vinto. Abbracciami. Trovo uミ’aマiIa aミIor.
NORMA e ADALGISA. Si, fiミo all’ore estreマe Ioマpagミa tua マ’avrai. Per ricovrarci insieme ampia è la terra assai. TeIo del fato all’oミte ferマa opporrò la froミte, finché il tuo cuore a battere io senta sul mio cor, si.
Scene quarta e quinta.
I druidi sotto la guida di Oroveso si incontrano in un luogo solitario presso il bosco, cinto da burroni e caverne. L'introduzione orchestrale e il coro sono ispirati al primo movimento della Sonata opera 27 numero 2 di Beethoven (quella detta “Al chiaro di luna”, già allora celebre). Una seconda idea melodica, quasi una marcia, richiama il grido di guerra. Dopo aver rivelato che Pollione sta per essere sostituito da un nuovo e più temibile proconsole, Oroveso invita i guerrieri a pazientare fino a che non giunga da Norma il tanto atteso segnale della rivolta. Il coro punteggia con i suoi interventi l'aria di Oroveso, mentre in orchestra il suono dei corni evoca il senso di trattenuta minaccia rappresentato dalla collera dei Galli.
Scena sesta
La scena si apre nel tempio di Irminsul. Norma è sicura che Adalgisa riuscirà nel suo intento di convincere Pollione. Il recitativo nel quale Norma canta come di consueto perlopiù senza sostegno strumentale è preceduto da una brevissima introduzione che sottolinea il senso di speranzosa attesa da lei coltivato. Durante il dialogo con Clotilde la voce passa però presto a un tono di diffidenza e quindi a quello dell'ira più violenta: Clotilde le rivela infatti che Pollione non ha alcuna intenzione di pentirsi, al contrario progetta di rapire Adalgisa per condurla a Roma con sé. Norma decide di dare finalmente inizio alla rivolta, percuote lo scudo sacro del Dio Irminsul e chiama i Galli che si raccolgono dinanzi a lei al suono delle trombe. È guerra!
Scena settima. Il coro irrompe su un Presto orchestrale dl ritmo incalzante: il canto di guerra si alza trascinante e pauroso, l’orchestrazione è scatenata, barbarica, spiccano i suoni violenti degli ottoni.
È un Allegro feroce che Bellini aggiunse alla partitura già terminata e che sostituì una precedente versione meno violenta e più accademica. Nel 1859, dunque, nel pieno delle battaglie risorgimentali, più volte alla Scala a questo punto il pubblico insorse facendo eco alle parole del coro, tanto che la censura intervenne impedendo ulteriori repliche dell'opera.
NORMA . Guerra, Strage, sterminio.
TUTTI.E a noi pur dianzi pace S'imponea pel tuo labbro!
NORMA. Ed ira adesso, Stragi, furore e morti.
Il cantico di guerra alzate, o forti.
OROVESO E CORO. Guerra, guerra! Le galliche selve Quante han querce producon guerrier. Qual sul gregge fameliche belve Sui Romani van essi a cader. Sangue, sangue! Le galliche scuri Fino al tronco bagnate ne son Sovra i Flutti del Ligeri impuri, Ei gorgoglia con funebre suon. Strage, strage, sterminio, vendetta! Già comincia, si compie, si affretta. Come biade da falci mietute Son di Roma le schiere cadute. Tronchi i vanni, recisi gli artigli, Abbattuta ecco l'aquila al suol. A mirar il trionfo dei figli Ecco il Dio sovra un raggio di sol.
Nel recitativo che segue la scena dell'impeto guerresco Oroveso chiede alla figlia di indicare quale sarà la vittima sacrificale da immolare a rito di propiziazione,
Scena ottava.
L risposta di Norma è interrotta da un improvviso tumulto: Clotilde annuncia che un romano è stato sorpreso nel sacro recinto del tempio ed è stata catturato.
Scena nona. È proprio Pollione, venuto a rapire Adalgisa, colui che viene condotto in scena. Norma, dopo un momento di furia vendicativa nel quale sta per colpirlo con un pugnale, si ferma, frenata da un senso di pietà che sorprende tutti i presenti. Ripreso il controllo di sé la donna esige di interrogare da solo il prigioniero per scoprire l'identità della sacerdotessa che gli ha consentito di entrare nel tempio. Al suo comando tutti si allontanano e Norma rimane sola con Pollione.
Scena decima.
Il duetto di Norma e Pollione è un altro dei momenti più alti dell'opera, un dialogo essenziale e riuscitissimo nel quale Bellini mescola soluzioni formali differenti tra loro seguendo in ogni minima sfumatura l'accumularsi di una tensione sempre più forte.
Dopo un'introduzione nella quale gli archi anticipano il tema, Norma si confronta con Pollione in un canto lirico pieno di accenti drammatici.
NORMA. In mia man alfin tu sei: niun potria spezzar tuoi nodi. Io lo posso.
Il duetto si sviluppa in uno scambio sempre più serrato, con una scrittura che fa grande economia di abbellimenti vocali limitandosi a far scandire ai due cantanti le sillabe del testo e ripartendo fra loro una linea melodica che così diviene frammentata. Norma ordina a Pollione di abbandonare Adalgisa in cambio della propria vita, ma, di fronte all’orgoglioso rifiuto dell'uomo, lo minaccia sia di portare a termine il proposito di uccidere i figli sia di mandare Adalgisa al rogo per aver infranto il voto di castità. In tutto il corso del duetto si alternano passaggi d'ira verso l’uomo amato ma traditore ad altri di dolcezza e di tensione che esprimono tutti i tormenti dell'amore materno; impossibile non notare l'inflessione morbida e perfino amorevole con la quale introduce il racconto del suo tentativo di infanticidio, un'inflessione che subito si riaccende di collera e culmina in un gemito di disperazione con l'unico passaggio belcantistico della scena.
Dal canto suo Pollione affronta la donna con fierezza ma, dopo la sua reazione (che giunge su movimento orchestrale più mosso), è costretto a piegarsi di fronte a quello che appare come il trionfo della sacerdotessa e del suo desiderio di vendetta. Il passaggio declamato “nel suo cuor ti vò ferire” , privo di sostegno strumentale; mostra di nuovo il volto feroce di Norma mentre il tema “Già mi pasco nei suoi sguardi” è uno di quelli ascoltati nella Sinfonia iniziale. Pollione tenta quindi di impossessarsi del pugnale di Norma per uccidersi, ma la donna lo respinge.
NORMA. Preghi alfine? indegno! è tardi. Nel suo cor ti vo' ferire. Già mi pasco ne' tuoi sguardi, del tuo duol, del suo morire. Posso alfine, io posso farti infelice al par di me.
Scena ultima
Norma richiama a gran voce i guerrieri e sacerdoti, e ordina loro di preparare il rogo per la sacerdotessa sacrilega che ha infranto i voti. Allorché tutti attendono il nome della colpevole, Norma, fra l’orrore e lo sconcerto di tutti, accusa sé stessa. Troppo tardi Pollione comprende la vera natura dell’animo di Norma. È il celeberrimo "finale" della Norma, uno dei più grandi finali della storia dell’opera. In esso, come già detto, vengono espressi in una sintesi mirabile la passione dei due amanti, il sentimento materno
(appagato per sapere salvi i figlioletti) ed il dolore del padre di Norma, il tutto trasfigurato e trasposto ad un livello quasi sovrumano, come può esserlo il canto di chi, per amore, si è votato a sicura morte. Il brano inizia con una toccante implorazione di Norma al padre perché perdoni e salvi i figlioletti, segue un lungo "crescendo" di impressionante efficacia e bellezza, che giunto al culmine si risolve in un "fortissimo" sfogo liberatorio, a cui segue un progressivo placarsi della musica. Inizia così la scena conclusiva dell'opera, una dei capolavori dell'Ottocento musicale e una delle pagine più potenti dell'intero repertorio melodrammatico. Bellini la costruisce come un crescendo drammatico ma non musicale nel quale l'apice dell'attenzione non sembra esser mai raggiunto, né tantomeno risolto nella catarsi, ma rimandato all'infinito.
NORMA. Qual cor tradisti, qual cor perdesti. quest'ora orrenda ti manifesti. Da me fuggire tentasti invano; crudel romano, tu sei con me. Un nume, un fato di te più forte ci vuole uniti in vita e in morte. Sul rogo istesso che mi divora, sotterra ancora sarò con te.
POLLIONE. Ah! troppo tardi t'ho conosciuta, sublime donna, io t'ho perduta. Col mio rimorso è amor rinato, più disperato, furente egli è. Moriamo insieme, ah! sì, moriamo; l'estremo accento sarà ch'io t'amo. (crescendo di passione) Ma tu morendo, non m'aborrire, pria di morire perdona a me.
È il canto del cuore innamorato di Norma (che ha deciso di morire sul rogo assieme a Pollione) e dell’amore disperato che è rinato nel cuore di Pollione dopo l’estrema dimostrazione d’amore da parte di Norma. La musica, impregnata di altissimo lirismo, riesce ad esprimere la grande passione d’amore dei due amanti, trasfigurata e resa quasi sovrumana dalla loro morte ormai inevitabile. Il fascino di questo brano è messo ancor più in risalto dal contrasto con il tema del coro e del padre di Norma, che esprimono incredulità e dolore.
Adesso Norma si rivolge al padre, con tono implorante: è un breve intenso dialogo nel corso del quale l'orchestra segue un tono mesto e dal ritmo ben scandito lasciando che le voci ti spiegano un declamato drammatico il cui culmine è un'invocazione disperata della donna. Gli abbellimenti vocali hanno ben poco dell'argomentazione virtuosistica o dello stile belcantistico e possiedono invece una precisa funzione drammatica.
Pollione in tutta questa scena osserverà con agitazione il doloroso addio tra padre e figlia.
Norma svela ad Oroveso di essere madre di due figli, li affida alla sua pietà paterna, affinché possano salvarsi, raggiungendo Roma insieme con Clotilde che fino adesso li ha custoditi. A queste parole Oroveso scoppia a piangere.
NORMA: Padre, tu piangi!
OROVESO: Oppresso è il core.
NORMA: Piangi e perdona!
OROVESO: Ha vinto amore.
NORMA: Ah, tu perdoni, quel pianto il dice! Io più non chiedo, io son felice: contenta il rogo io ascenderò!
OROVESO: Ah consolarmene mai non potrò.
I Druidi rifiutano il perdono e coprono d'un velo nero la Sacerdotessa. Pollione ai unisce a Norma nel rogo esaltando il loro amore che vivrà in eterno.
OROVESO: Va infelice!
NORMA. Padre addio!
POLLIONE: Il tuo rogo, o Norma, è il mio. Là più puro, là più santo incomincia eterno amor.
OROVESO: Sgorga alfin, prorompi, o pianto: sei concesso a un genitor.
Le ultime parole sono ancora di Oroveso che, parlando del pianto concesso a un genitore, rafforza il senso di quei legami naturale di cui l'opera, con il suo svolgimento e il suo epilogo, costituisce la rappresentazione tragica.
[Metropolitan Opera, 2017]
Questo epilogo, che è un canto di amore e di morte, con il suo crescendo ed il senso catartico che lascia in chi l’ascolta, ha colpito profondamento i romantici dell’Ottocento e il suo fascino sedusse perfino Wagner, che ne imitò la linea evolutiva nella "Morte di Isotta", nell’opera Tristano e Isotta
DISCOGRAFIA
Nel panorama delle registrazioni di quest'opera uno è il nome che giganteggia su altri: Maria Callas, che interpretò Norma ben 92 volte, ruolo ritenuto da ogni appassionato d'opera lirica come il migliore della soprano greca.
La partitura dell’opera è tecnicamente molto impegnativa dal punto di vista interpretativo per la protagonista. Il grande direttore d’orchestra Richard Bonynge scrisse “che la cantante che potrebbe interpretare una perfetta Norma non è mai esistita e forse non esisterà mai. L’opera pretende quasi troppo da un soprano: il più grande potenziale espressivo drammatico, una forza emotiva sovrumana, una tecnica di belcanto perfetta, una voce di classe e grandezza e diverse altre infinite qualità”. Ma è proprio nel ruolo di Norma che Maria Callas mise in luce le sue grandi doti di interprete.
Scrisse Friedrich Lippmann, uno dei principali studiosi delle opere di Vincenzo Bellini: “La sua interpretazione non solo rimane ineguagliabile ma anche senza alternative convincenti. Persino le migliori interpreti di Norma non riescono a uscire dall’ombra della Callas con una soluzione interpretativa individuale. Per Maria Callas il personaggio di Norma è una parte assegnata dal destino: lei stessa sosteneva che, quando non sarebbe stata più capace di cantare l’eroina di Bellini, avrebbe abbondonato per sempre la scena.”
Maria Callas registrò su disco quest'opera addirittura otto volte, anche se purtroppo queste registrazioni non sono tutte del medesimo valore.
Questa Norma è stata registrata durante un concerto alla Rai di Roma il 29 giugno 1955. La qualità della registrazione non è molto buona in quanto all'epoca avevano trasferito il suono dai nastri originali in microsolco. Una parte di questi nastri è stata distrutta (come ad esempio tutta l'introduzione all'aria "Casta diva") ed è stata ricostruita minuziosamente dai microsolchi sopravvissuti. Sia la Callas che Del Monaco hanno utilizzato questo concerto come "prova generale" dello spettacolo che cinque mesi dopo apriva la stagione della Scala. Loro due sono davvero in forma; l'Adalgisa di
Ebe Stignani appartiene ad un mondo anteguerra; Giuseppe Modesti è un mediocre Oroveso. Tullio Serafin dirige l'opera come un poema epico con momenti di notevole lirismo.
Dopo Traviata e Lucia, come ultimo fuoco d'artificio del prodigioso anno 1955, Maria Callas aprì, il 7 dicembre, la stagione scaligera con Norma, di molto superiore a quella cantata alla Rai di Roma nello stesso anno.
I giornali dell’epoca scrissero: “La prima del 7 dicembre è senza dubbio la più bella recita completa di tutte le Norme di Callas che esistono su nastro o disco. La Callas era assolutamente all'apice come vocalità ed interpretazione. Nell'ultimo atto, durante il canto di "Deh! non volerli vittime del mio fatale errore", i musicisti della Scala suonarono come se fossero ispirati. “Cantarono” con il loro strumenti, eguagliando l'intensità della recita della Callas in scena ” . L’aria della Casta Diva è cantata con virtuosismo inimmaginabile ed è drammaticamente meravigliosa e commovente. Mario del Monaco canta Pollione con energia e tempra impressionante. Giulietta Simionato offre un’eccellente interpretazione di Adalgisa, finalmente moderna.
Antonino Votto realizza un'interpretazione drammatica e ben dettagliata dell'opera belliniana.
Questa Norma fa parte di 20 opere registrate dal vivo, a suo tempo interpretate da Maria Callas e ora rimasterizzate dalla Warner Classics ed inserite in un pregevole cofanetto, in occasione dei 40 anni della scomparsa del più grande soprano del ventesimo secolo.
Questa Norma venne registrata a Londra nel 1952 e rappresenta pertanto la prima delle cinque edizioni disponibili di quest'opera (di cui due in studio e tre dal vivo) in cui la Callas eccelse. Nel 1952, Callas era ancora la donna pesante che era durante la prima parte della sua carriera. E durante questo periodo, la sua voce aveva ancora una grande e brillante sonorità che poteva facilmente sopraffare l'orchestra e i suoi compagni cantanti senza difficoltà. La Callas è qui colta in un momento di particolare freschezza vocale che le consentì in questa recita di superare agilmente e con grande sicurezza tutte le acrobazie presenti in Norma e senza alcun cedimento che, seppur lievemente, è dato cogliere nelle edizioni immediatamente successive. L'interprete è già qui al pieno delle sue facoltà, riuscendo a calibrare sagacemente tono ed espressione in ciascuno dei diversi momenti in cui si snoda la vicenda: ieratica e, a tratti, demoniaca nei panni della sacerdotessa; appassionata e sensuale, ma anche determinata ed implacabile quale amante; dolente ed amorevole in veste di madre; infine così supplichevole quale figlia, cui nessun padre avrebbe saputo resistere né negare il perdono.
Convincente l'interpretazione di Adalgisa da parte di Ebe Stignani, non più fresca come nell'edizione del 1937 (sempre diretta da Gui), ma ancora dotata di buona estensione vocale, decisamente più a suo agio che nella successiva registrazione in studio del '54.
Mirto Picchi, nei panni di Pollione, non ha il timbro eroico istantaneo di Corelli o di Del Monaco, però si tratta di un fine ed elegante interprete, che sa accentare e smorzare stupendamente la sua espressione. Cade tuttavia ripetutamente nelle parti acute, che si prestano a spiacevoli sbandamenti (solo in Corelli la Callas avrebbe trovato un tenore al suo pari). Se la cava bene Giacomo Vaghi nella parte di Oroveso anche grazie ai duttili accompagnamenti di Gui (così sacrale nell'iniziale "Ite sul colle, o Druidi").
Un'ultima notazione: nella particina di Clotilde cantava allora Joan Sutherland che, dopo una decina d'anni, subentrerà alla Callas nella parte di Norma, superando la "divina" sotto il profilo meramente belcantistico, lasciando purtroppo molto a desiderare quale interprete.
Bellini: Norma
Maria Callas (Norma), Franco Corelli (Pollione), Christa Ludwig (Adalgisa),
Questa edizione di Norma è bellissima!, non c'è solo la Callas, ma anche Corelli e la direzione di Serafin:, chi vuole ascoltare il melodramma italiano, l'idea dell’Opera italiana, del gusto italiano, questa edizione fa per lui.
La produzione dei Callas ha vissuto molti alti e bassi, e dagli anni '60 la sua voce si deteriorò gradualmente. Questa registrazione del 1960 risale quindi a un periodo in cui questo deterioramento non era troppo avanzato. La voce della Callas presenta alcune pecche, ma in ogni caso rimane una delle sue migliori versioni, realizzata negli studi della Scala di Milano.
Ben registrato, in stereo, con una buona orchestra, con una cantante a proprio agio, in possesso di una buona padronanza delle sue capacità vocali, e accompagnati da artisti che ben concordano con lei.
Questa è una delle esecuzioni dell'opera assolutamente imperdibili, e si affianca quindi alle migliori registrazioni che vedono come protagonista la Callas, fornendo, rispetto a queste, più elementi di complementarietà. Un disco che l'appassionato belliniano non può non conoscere.
I punti di forza di questa edizione registrata nel 1963 stanno nella eccellente qualità della registrazione e nella direzione di Bonynge per quanto riguarda i coloriti orchestrali e la fantasia, con degli effetti che all'interno dell'atmosfera druidica ritagliano oasi di grande fascinazione. Un solo appunto potrebbe essere fatto a Bonynge sul versante dei tempi, non sempre teatralissimi, eppure proprio questa lettura di poeticissimo lirismo dona a tratti colori del tutto unici alla storia dell'interpretazione dell'opera, che raramente hanno modo di udirsi in teatro.
Stratosferica Joan Sutherland che canta una "Casta diva" in tonalità originale più alta di un tono rispetto alle partiture correnti (che vedono l'aria abbassata di un tono perché vulgate sulla base del testo approntato da Bellini per la Pasta, prima interprete di Norma), un capolavoro assoluto di canto belliniano. È ad un livello di canto ed espressione praticamente irraggiungibile nei due duetti con Adalgisa ed in tutti i momenti lirico-patetici previsti dal testo. La sua performance è molto buona in qualche momento di grande tensione emotiva ("Teneri figli") offrendo una lettura più patetica che drammatica, ma manifesta precisi limiti sul versante "sublime tragico" dell'opera, mancando in parte espressivamente il "Vanne si, mi lascia indegno" (finale atto I) e in parte il finale dell'opera dove certi slanci della Callas non sono imitabili e la soluzione della sottolineatura della corda patetica non sempre funziona.
Dal vivo nei primi anni '70 - come attestano alcuni live - la Sutherland arriverà a trovare una linea interpretativa più drammatica di quella trovata a tratti in questa registrazione.
Marilyn Horne è una strepitosa Adalgisa. Morbidezza, slancio, brillantezza della vocalizzazione, estensione vocale sono straordinari. Su questi si innesta un accento sempre vigile, senza artefatte svenevolezze, giustamente drammatico o lirico a seconda dell'esigenza teatrale. Ma la cosa che colpisce forse più di tutte è il virtuosismo vocale che permette il ripristino delle tessiture originali e la riapertura dei tagli di traduzione nei due duetti Norma/Adalgisa, che sono semplicemente due capolavori assoluti ed inarrivabili, in questa registrazione, della vocalità femminile del XX secolo.
Ottimo il Pollione di John Alexander: voce né bella né brutta, ma adeguata alla tessitura della partitura e alla spavalderia del suo personaggio.
Richard Cross è un Oroverso abbastanza castigato, pur senza distinguersi né vocalmente né interpretativamente.
Ottima registrazione del 1984 del capolavoro di Bellini. Joan Sutherland è migliore in questa registrazione che nel suo primo tentativo. La sua voce è più matura e la sua dizione è migliore. La si trova ancora a brillare di più nelle cabalette, dove ha poche contendenti.
Uno dei punti salienti è Caballè come Adalgisa. Caballè, oltre 50 anni al momento della registrazione, fa l'impossibile per far sembrare giovane Adalgisa! Quante matrone che cantano il ruolo lo hanno fatto? I pianissimi fluttuanti di Caballè sono ancora lì, la sua eleganza non è diminuita. Nel grande atto un duetto con Norma, mentre Adalgisa rivela la sua storia d'amore e la rottura dei suoi voti,
Caballè sembra davvero una giovane donna che rivela vergognosamente il suo segreto a una donna anziana che si prende cura di lei. Entrambe le voci si fondono molto bene.
Non può essere negato che le voci di Sutherland e Caballè siano state catturate qui un po' oltre il loro apice: queste loro voci del 1984 in questa impegnativa partitura non sono quelle che erano 10-15-20 anni prima. Nel caso di Sutherland, il tono sull'alto si è assottigliato e il "battito" nei toni sostenuti è pronunciato (non proprio un traballamento, ma un battito). Caballè, d'altra parte, è spesso dura.
Pavarotti canta in un ruolo che presumo abbia raramente cantato sul palco (se non del tutto). Ma Pavarotti, qualunque cosa canti, è sempre Pavarotti (anche se nella fase calante della sua strepitosa carriera), ed era ancora in buona forma in questa registrazione. Ma altri tenori sono molto più interessanti di lui nella parte di Pollione.
Anche Ramey come Oroveso è Ramey, ed è tutto dire.
Buona la direzione di Bonynge, eccellenti l’orchestra e il coro.
Questa registrazione è famosa perché è un memoriale permanente della più grande crisi nella carriera di Maria Callas.
Nel gennaio 1958, Maria Callas fu incaricata di cantare quattro spettacoli di «Norma» all'Opera di Roma. La prima esibizione fu la serata di gala di apertura della stagione alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Circa uno/due giorni prima dell'esibizione, sembra che la Callas abbia avuto alcune difficoltà vocali significative, e la sua prestazione ne soffrì in modo significativo nella serata inaugurale. Alla fine del primo atto, il pubblico espresse il suo disappunto con commenti come «Torna a Milano!» e «Ci sei costato un milione di lire!». Maria Callas non volle proseguire la recita e il suo posto venne preso dall’allora ventisettenne soprano Anita Cerquetti. Il Sopraintendente Antonio Ghiringhelli licenziò la Callas e affidò il suo ruolo alla Cerquetti anche nelle recite successive. Anita Cerquetti , marchigiana, nata nel 1931, donna d’incantevole fascino e gentilezza, ha avuto una carriera che è stata effettivamente limitata a un solo decennio.
Si è ritirata dal palcoscenico nel 1960 all'età di trent'anni per motivi (salute?) che non sono mai stati chiariti del tutto. Nei suoi pochi anni, ha chiarito abbondantemente di essere stata una coetanea a pieno titolo delle sue grandi contemporanee Callas, Caballè, Gencer, Olivero, Sutherland e Tebaldi. Questa registrazione cattura la seconda esibizione del 4 gennaio e la trionfale interpretazione di Anita Cerquetti nei panni di Norma. Ascoltate la tempesta di applausi che si è guadagnata per la sua interpretazione di «Casta diva»: in parte era uno schiaffo calcolato dal pubblico verso la Callas, ma la maggior parte era un’ovazione per un fantastico pezzo di canto. Il pubblico lo ha fatto di nuovo nel secondo atto, dopo uno dei duetti con Adalgisa, e quella volta dubito che la loro mente fosse sulla Callas.
Franco Corelli è stato sicuramente uno dei grandi tenori della sua generazione. C'è chi oggi sostiene (per me con ragione) che fosse il migliore del gruppo. È chiaro che era molto impegnato nella sua parte quella sera di gennaio a Roma. Il suo Pollione è pieno, appassionato e molto, molto italiano. La presenza di Franco Corelli su questa Norma è da sola sufficiente consigliarne l’acquisto.
Giulio Neri è stato un grande basso la cui carriera si è limitata principalmente all'Italia. Qui ha espresso un suono grande e scuro. Quel pubblico romano gli ha decretato un trionfo nel secondo atto. Subì purtroppo un attacco di cuore quattro mesi dopo questa esibizione e morì poco prima del suo 47esimo compleanno.
Miriam Pirazzini, che ha fatto il suo debutto operistico nel 1944, può essere ascoltata in un certo numero di registrazioni d'opera complete degli anni '50. Cantava spesso con Callas e Olivero. Come Adalgisa suona un po' matronale, più adatta ad Azucena, uno dei suoi ruoli standard. Tuttavia, non sfigura nella parte e ovviamente fu molto apprezzata dal pubblico.
Il direttore Santini, l'orchestra e il coro offrono una prestazione di buon livello, ma le limitazioni della registrazione non fanno loro alcun favore.
Per quel che riguarda il suono, infatti, questa registrazione porta i tratti distintivi di una cattura offthe-air realizzata con apparecchiature tutt'altro che all'avanguardia. Anche per i modesti standard delle registrazioni mono broadcast degli anni '50 è abbastanza terribile.
Amici audiofili, questa registrazione non fa per voi: le virtù di questa «Norma» sono negli esecutori, non nella registrazione meccanica del loro suono.
VIDEOTECA
In DVD è imperdibile la registrazione del 1974 dal vivo al Theatre Antique d'Orange con Montserrat Caballè e Jon Vickers; Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, direttore Giuseppe Patanè.
Questa registrazione è stata catapultata in uno status leggendario non solo per l'intensità della performance ma anche per le condizioni in cui è stata realizzata: in quella fatidica sera infatti a Orange il Maestrale fece irruzione e minacciò di cancellare gli spettacoli.
Questa è probabilmente la migliore performance di Montserrat Caballè come Norma. Caballè considerava quella notte rovente a Orange come LA performance della sua carriera. Qui è semplicemente magnifica, il suo canto è limpido ma intenso anche se non ha la drammatica intensità di Callas: Caballé disegna una Norma umana e intensa, vivamente appassionata, stilisticamente impeccabile, capace di reggere il confronto con l’interpretazione del soprano greco. Nell'ira, nella passione, nella supplica, nella resa, ogni sua nota si tinge di una sublime qualità estatica. La stessa Callas elogiò la performance e inviò a Caballè gli orecchini che indossava sul palco durante le sue esibizioni del ruolo.
È ben affiancata dai suoi colleghi.
Josephine
una raffinata Adalgisa ma si trova piuttosto a disagio nell'acuto.
Jon Vickers è straordinariamente capace di fare bene Pollione senza sembrare troppo simile a Siegfried. Ha una pronuncia un po' discutibile ma vocalmente ricorda il miglior Corelli. Non male l'Oroveso di Ferrin.
I complessi del teatro Regio di Torino (buoni, non eccellenti) sono diretti con mano molto equilibrata, attenta sia all'atmosfera bellicosa che ai momenti di abbandono lirico, da Giuseppe Patanè.
Nonostante la qualità scadente della registrazione dal vivo, siamo ancora in grado di cogliere tutto lo splendore e la magnificenza del capolavoro di Bellini.
In chiusura l'intero pubblico esplode di giubilo. In effetti, questa è stata una notte leggendaria… Di questa performance esiste naturalmente anche la versione solo audio in CD.
Oggi purtroppo non è facile trovare Norma sui palcoscenici dei teatri: alla Scala manca dal 1977! E neppure in disco le edizioni sono tante. Se non si vuole optare per edizioni storiche o dalla qualità fortunosa, questa è di sicuro una delle edizioni più interessanti. L'aspetto più riuscito è la lettura musicale di Fabio Biondi. Il direttore e l'orchestra Europa Galante optano per una esecuzione filologica, e il risultato è interessante. Anche perché la lettura è fresca, approfondita e sentita. Meglio, molto meglio di tanti direttori senza valore che spesso si trovano nel repertorio del belcanto. June Anderson è una Norma credibile e di alto livello. Anche la sua recitazione è di prima qualità. La sua rappresentazione dell'agonia di una sacerdotessa-moglie-madre, nella morsa di una lealtà divisa tra la sua tribù, i figli e un infedele «marito», è superba.
Shin Young Hoon riceve un'accoglienza piuttosto tiepida all'ultimo sipario. Il suo vero canto non è male, ma la sua presenza scenica è seriamente compromessa: è rigido, insensibile e piccolo di statura. Nessuna corrispondenza per un vero uomo come Jon Vickers o il migliore di tutti Franco Corelli (poteva far fluire il sangue di chiunque). Ha poi uno sguardo che sembra non concentrarsi mai su nulla, al punto che ho pensato che forse fosse cieco (non lo è!)
Notevoli anche Daniela Barcellona, e Ildar Abdrazakov. Di ottimo livello anche la regia e le scene di Roberto Andò: fedeli all'originale, con cantanti che sono (quasi tutti) credibili anche sul piano visivo. Con uno scenario non molto complesso ma bello. Una versione consigliata.