2012_02_AJIDD_Leoni

Page 1

Editoriale

K. Cornish et al.

209

Traiettorie delle problematiche emozionali e comportamentali K. Gray et al.

227

G. S. Fisch et al.

263 Editoriale

P. Moderato

266

Autismo e ABA: miti e false rappresentazioni F. Pergolizzi et al.

274

I sintomi autistici persistono nel tempo?

L’analisi comportamentale applicata alla clinica

E. Pellicano

F. Dell’Orco et al.

282

Dialoghi sull’analisi del comportamento G. Presti et al.

M. Bertelli et al.

309

Un modello organizzativo e gestionale dedicato a persone con autismo G. Marino et al.

319

Evidence Based Education e didattica speciale A. Morganti

ISSN 2036-220X

Intelligenza e funzioni cognitive nei disturbi dello sviluppo intellettivo

giugno 2012 volume 10 numero 2

287

AJIDD edizione italiana

203

Traiettorie evolutive nelle sindromi con disabilità intellettiva

AJIDD

M. Leoni

242

edizione italiana

Presentazione dell’edizione italiana

giugno 2012 – volume 10 – numero 2 – 193-332

199

American Journal on Intellectual and Developmental Disabilities

Numero speciale

“Traiettorie evolutive” a cura di Mauro Leoni

Vannini • Editoria Scientifica


AJIDD

Informazioni per gli Autori Italiani Pubblicato da

American Association on Intellectual and Developmental Disabilities

Redazione Americana EDITOR Leonard Abbeduto, MIND Institute and Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, University of California, Davis, School of Medicine MANAGING EDITOR Stephanie Dean, American Association on Intellectual and Developmental Disabilities ASSOCIATE EDITORS W. Ted Brown, New York State Institute for Basic Research on Developmental Disabilities; Eric Carter, Vanderbilt University; Eric Emerson, Lancaster University; Deborah J. Fidler, Colorado State University; Richard P. Hastings, Bangor University; Ann P. Kaiser, Vanderbilt University; Sandra M. Magaña, University of Wisconsin-Madison; Laura Lee McIntyre, University of Oregon; Gael Orsmond, Boston University; Rose A. Sevcik, Georgia State University; Tony J. Simon, University of California, Davis; Frank Symons, University of Minnesota, Twin Cities; Marc J. Tassé, University of South Florida CONSULTING EDITORS Michael G. Aman, Ohio State University; Donald B. Bailey, Jr., University of North Carolina, Chapel Hill; Bruce L. Baker, University of California, Los Angeles; Jan Blacher, University of California, Riverside; Daniel M. Bolt, University of Wisconsin-Madison; Sharon Borthwick-Duffy, University of California, Riverside; Jacob A. Burack, McGill University; Michael Carlin, Shriver Center; Kim Cornish, McGill University; Laraine Masters Glidden, St. Mary’s College of Maryland; Kylie M. Gray, Monash University; Randi J. Hagerman, University of California, Davis; Dougal Julian Hare, University of Manchester; Anne Bradford Harris, University of Wisconsin-Madison; Lucy Henry, King’s College London; Susan Hepburn, University of Colorado at Denver Health Sciences Center; Robert M. Hodapp, Vanderbilt University; Robert H. Horner, University of Oregon; Carolyn Hughes, Vanderbilt University; Andrew Jahoda, University of Glasgow; Chris Jarrold, University of Bristol; Craig Kennedy, Vanderbilt University; Jee-Seon Kim, University of Wisconsin-Madison; Marty W. Krauss, Brandeis University; Barbara Landau, Johns Hopkins University; Nancy Raitano Lee, National Institutes of Health; Mark H. Lewis, University of Florida; Bruce McCandliss, Weill Medical College of Cornell University; Edward Merrill, University of Alabama; Carolyn Mervis, University of Louisville; Melissa M. Murphy, College of Notre Dame of Maryland; Gael Orsmond, Boston University; Susan L. Parish, University of North Carolina at Chapel Hill; Amy Philofsky, University of Colorado at Denver Health Sciences Center; Joe Reichle, University of Minnesota; Jane E. Roberts, University of South Carolina; Johannes Rojahn, George Mason University; Mary Ann Romski, Georgia State University; Richard R. Saunders, University of Kansas; Gaia Scerif, University of Oxford; Laura E. Schreibman, University of California, San Diego; Marsha M. Seltzer, University of Wisconsin-Madison; Paul T. Shattuck, Washington University; Wayne P. Silverman, Kennedy Krieger; Patricia A. Snyder, University of Florida; Roger Stancliffe, University of Sidney; Helen Tager-Flusberg, University of Massachusetts, Boston; James Thompson, Illinois State University; Michael Wehmeyer, University of Kansas; Jennifer Zarcone, University of Rochester Medical Center.

Contact Information: American Journal on Intellectual and Developmental Disabilities (Print ISSN 1944-7515; Online ISSN: 1944-7558). Published bimonthly by the American Association on Intellectual and Developmental Disabilities, 501 3rd St., NW, Suite 200, Washington, DC 20001-2760. Printed by The Sheridan Press, 450 Fame Ave., Hanover, PA 17331.

Editorial office: Leonard Abbeduto, Waisman Center, University of Wisconsin-Madison, 1500 Highland Ave., Madison, WI 53705.

Proposta di un articolo Quattro copie cartacee del manoscritto, unitamente alla dichiarazione che l’articolo proposto non è stato accettato da alcun’altra casa editrice, devono essere inviate a Roberto Cavagnola, c/o Vannini Editoria Scientifica - Via Mandolossa, 117/A - 25064 Gussago (BS). L’articolo può essere inviato anche in formato elettronico, all’e-mail: scientifica@vanninieditrice.it. Se l’articolo è stato preparato per revisione anonima, deve essere inclusa una ulteriore copertina che contenga un’intestazione provvisoria piuttosto che il nome dell’autore su ogni pagina del manoscritto, mentre altro materiale identificativo dovrà essere rimosso. Ogni articolo viene spedito per una revisione tra pari. Successivamente l’Editore potrà richiedere modifiche per adattare l’articolo agli standard della rivista. I manoscritti dovranno essere preparati in conformità con il Publication Manual of the American Psychological Association (APA, 5th ed.) del 2001. Gli articoli dovranno comprendere un riassunto di un massimo di 120 vocaboli. L’Editore è responsabile per le recensioni e per le disposizioni relative a ogni articolo (accettazione, rifiuto o richiesta di revisione). Una volta che l’articolo è stato accettato per la pubblicazione, deve essere fornita una versione elettronica del manoscritto accettato compatibile per PC, in Excell o Word su un CD o via e-mail. All’Autore verrà richiesto di firmare una liberatoria che trasmetta tutti i diritti di utilizzazione dell’opera, compresi quelli elettronici, alla Vannini Editoria Scientifica. Per qualsiasi problema tecnico va contattata la redazione al numero 030313374. Formato Tutte le sezioni dell’articolo (incluse citazioni, bibliografia, tabelle e note a piè di pagina) devono avere margine superiore, sinistro e inferiore di 2 cm e destro di 3,5 cm, interlinea singola e rientro di paragrafo di 1 cm. Per il testo usare carattere Times corpo 12, allineamento giustificato. Utilizzare l’invio solo nei cambi di paragrafo: un invio ogni paragrafo. Non utilizzare comandi di sillabazione, stili o macro; non utilizzare doppi spazi per allineare o far rientrare il testo. Negli elenchi, utilizzare la seguente gerarchia: numeri seguiti da punto; lettere con parentesi chiusa; lineette medie. Per i riferimenti bibliografici interni al corpo del testo gli autori faranno riferimento alle norme APA. Nel corpo del testo è da evitare l’uso indiscriminato o enfatico di maiuscole, virgolette; utilizzare eventualmente il corsivo. È da evitare in ogni caso l’uso del sottolineato e del grassetto. Gli autori devono tenere l’originale; le copie non vengono normalmente restituite. La lunghezza standard del manoscritto è di circa 20 pagine, o meno. Articoli più lunghi vengono presi in considerazione a seconda della difficoltà e dell’importanza della ricerca riportata.

Abbreviazioni e terminologia Le abbreviazioni devono essere ridotte al minimo. I nomi di gruppi o condizioni sperimentali non devono essere abbreviati. I nomi dei test devono essere indicati per esteso la prima volta che vengono citati, riportando l’eventuale sigla tra parentesi. Quando il contesto rende chiaro se l’autore si stia riferendo a persone con disabilità intellettiva, o quando invece non sia necessario fare riferimenti al livello intellettivo o alla categoria diagnostica, gli autori dovrebbero usare termini generici più descrittivi, come ‘bambino’, ‘studente’ o ‘persona’, senza usare termini qualificativi come “con handicap”, o “con problemi di sviluppo”. Il termine ‘ritardato’ come sostantivo non deve essere usato. Costrutti proposizionali come “studenti con disabilità intellettiva” o “individui che hanno disabilità intellettiva” sono preferibili a costrutti aggettivali come “persone mentalmente ritardate”. Il vocabolo normale non deve essere usato, poiché, avendo molteplici significati, potrebbe implicare inappropriatamente a-normale quando non applicato. Al contrario possono essere utilizzati termini descrittivi più operazionali come “allievi a sviluppo tipico”. Tabelle, figure e bibliografia Il sistema di misurazione metrico decimale dovrebbe essere usato per tutte le espressioni di misura lineare, di peso e di volume. Tabelle e figure devono essere ridotte al minimo funzionale e presentate una sola volta, evitando inutili ripetizioni. All’interno delle tabelle tutte le colonne devono avere una intestazione. Stampe patinate o disegni originali di figure possono rimanere all’autore fino a che la redazione non le richiede dopo l’accettazione del manoscritto. Non si accettano fotocopie. Le didascalie delle figure devono essere riportate su un foglio diverso, ma numerazioni o lettere possono apparire sulla figura stessa. Questo tipo di indicazioni devono essere di qualità professionale (non dattilografata) e di dimensioni sufficienti per sopportare una riduzione di circa il 50% delle dimensioni. Le fotografie di persone devono essere accompagnate da moduli di liberatoria (firmati e datati). Se possibile va fatta attenzione a tutelare l’identità delle persone ritratte. Gli autori si assicurino inoltre di avere i permessi di utilizzare ogni tabella e figura protetta da copyright. La bibliografia va redatta in base alle norme apposite dell’APA e devono essere indicati i dati sia dei testi originali che delle eventuali edizioni italiane. Note a piè di pagina Devono essere ridotte al minimo. Vanno poste nella prima pagina dell’articolo le note: (a) che riconoscono sostegno e aiuto nello sviluppo della ricerca o nella preparazione del manoscritto; (b) che notificano il cambio di affiliazione di un autore; (c) che informano della disponibilità di informazioni supplementari.


Direttore responsabile

Responsabili scientifici

Roberto Cavagnola

Serafino Corti

Lucio Cottini

Anffas Brescia

Fondazione Sospiro, Università Cattolica Brescia

Università di Udine

Luigi Croce

Paolo Moderato

Università Cattolica Brescia, Anffas Brescia

Università IULM di Milano

edizione italiana

AJIDD Mauro Leoni Fondazione Sospiro, Università di Parma

Comitato Scientifico Gioacchino Aiello, Laboratorio di Picofisiologia Milano; Roberto Anchisi, Università di Parma; Giulia Balboni, Università della Valle d’Aosta; Pier Luigi Baldi, Università Cattolica Milano; Francesco Barale, Università di Pavia; Angelo Gianfranco Bedin, Fondazione Don Gnocchi Milano; Serafino Buono, Oasi Maria Santissima Troina-Enna; Ernesto Caffo, Università di Modena; Piero Calabrò, Tribunale dei Diritti dei Disabili Anffas; Milena Cannao, IRCCS “E. Medea” Lecco; Angela Carlino Bandinelli, Ri.Ha.S. Roma; Domenico Casciano, ASL TA1, Taranto; Fabio Celi, ASL 1, Massa e Carrara, Università di Parma; Angelo Cerracchio, ANFFAS Salerno; Don Virginio Colmegna, Caritas Ambrosiana; Cesare Cornoldi, Università di Padova; Gianfranco De Lorenzo, ANPE Catanzaro; Santo Di Nuovo, Università di Catania; Mario Di Pietro, Servizio NPI-ASL 17, Monselice-Padova; Walter Fornasa, Università di Bergamo; Roberto Franchini, Opera Don Orione Genova; Guido Fusaro, ASL di Biella; Carlo Giacobini, Centro di Documentazione UILDM; Giovanni Guazzo, Università G. Marconi, Roma; Furio Lambruschi, Università di Siena; Andrea Materzanini, DSM Iseo; Paolo Meazzini, Università di Udine; Roberto Medeghini, Università di Bergamo; Lucio Moderato, Istituto Sacra Famiglia; Mario Mozzanica, Università Cattolica Milano; Franco Nardocci, Fondazione Fabietti Milano; Salvatore Nocera, Fondazione Zancan Padova; Laura Nota, Università di Padova; Annalisa Pelosi, Università di Parma; Francesca Pergolizzi, Università di Milano; Silvia Perini, Università di Parma; Maurizio Pilone, AIRiM (Associazione Italiana Ritardo Mentale); Olimpia Pino, Università di Parma; Carlo Pruneti, Università di Parma; Francesco Rovetto, Università di Pavia; Marina Sala, Istituto Sacra Famiglia; Tarcisio Sartori, Centro Studi Futura Anffas Brescia; Salvatore Soresi, Università di Padova; Luigi Tesio, Fondazione Salvatore Maugeri Pavia; Alessandra Tiberti, Spedali Civili Brescia; Patrizio Tressoldi, Università di Padova; Fabio Veglia, Università di Torino; Renzo Vianello, Università di Padova; Susanna Villa, IRCCS Eugenio Medea, Associazione La Nostra Famiglia, Conegliano (TV); Claudio Vio, Università di Padova; Paola Visconti, Unità Operativa NPI, Ospedale Maggiore AUSL Città di Bologna; Donata Vivanti, Autismo Europa; Marilena Zacchini, Ambulatorio Minori, Fondazione Sospiro; Michele Zappella, Azienda Ospedaliera Siena.

AIRiM Onlus Associazione Italiana per lo studio delle Disabilità Intellettive ed Evolutive

In collaborazione con

ISSN 2036-220X Proprietà letteraria riservata Copyright © 2012 by Vannini Editoria Scientifica s.r.l. Sede legale: Via Mandolossa, 117/A - Uffici: Via Leonardo da Vinci, 6 - 25064 Gussago (Brescia) - Tel. 030 313374 Fax 030 314078 - e-mail: scientifica@vanninieditrice.it - web: www.vanninieditrice.it Abbonamenti 2012 AJIDD Annuale cartaceo 105,00 € - Biennale cartaceo 180,00 € - Singolo numero 40,00 € - Singolo numero arretrato 45,00 € I prezzi indicati sono comprensivi di Iva. L’impegno di abbonamento è continuativo, salvo regolare disdetta da notificarsi per iscritto entro 30 gg. dalla scadenza. La repulsa dei numeri non equivale a disdetta. Per le citazioni e per le riproduzioni grafiche, appartenenti alla proprietà di terzi, inserite in quest’opera, l’Editore – che ha provveduto al deposito della stessa presso l’Ufficio della Proprietà letteraria ai sensi della Legge sul Diritto d’Autore – è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire, nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i paesi. Autorizzazione del Tribunale di Brescia nº 43/2002 del 25.10.2002.

Finito di stampare nel mese di giugno 2012 presso Arti Grafiche Vannini - Bagnolo Mella (BS)

193


PER I PROFESSIONISTI, PER I SERVIZI, PER I FAMILIARI E PER GLI OPERATORI.

FORMAZIONE

FORMAZIONE IN SEDE Prevede l’attivazione di master (di durata generalmente annuale) e di corsi specialistici (la forma privilegiata è quella del workshop intensivo su uno o più week-end).

194

FORMAZIONE IN LOCO Prevede l’attivazione di corsi presso le singole strutture, studiati e organizzati per rispondere alle esigenze specifiche della struttura stessa.

PROGRAMMA DI CONSULENZA Prevede, su richiesta, la definizione di un percorso di supervisione che affianchi all’approfondimento teorico lo studio di casistiche reali.

PROGRAMMI FORMATIVI

DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO Uso dello strumento più accreditato per l’assessment del funzionamento, dei bisogni e del potenziale di sviluppo dei soggetti con autismo, disturbi generalizzati dello sviluppo e deficit comunicativi.

AUTONOMIE PERSONALI Uso delle strategie di modificazione del comportamento e delle relazioni per valutare il funzionamento del soggetto con disabilità e strutturare il successivo progetto riabilitativo centrato sullo sviluppo delle autonomie.

QUALITÀ DELLA VITA Uso dello strumento più valido e funzionale per tracciare un profilo qualitativo e quantitativo dei bisogni di sostegno della persona disabile, indicando – in termini di frequenza, durata quotidiana, tipologia di sostegno – la quantità di assistenza o sostegno non ordinario di cui un soggetto ha bisogno.

DISABILITÀ INTELLETTIVE Sulla base di esigenze specifiche, vengono organizzati corsi ad hoc relativi alle diverse tipologie di disabilità per fornire risposte concrete, pratiche e immediatamente spendibili, ai bisogni quotidiani delle persone con disabilità.

Per informazioni contattare:

Vannini Editoria Scientifica www.vanninieditrice.it - scientifica@vanninieditrice.it - telefono: 030 313374 int. 1 - fax 030 314078


edizione italiana

AJIDD

AMERICAN Volume 10, Numero 2 JOURNAL ON Giugno 2012 INTELLECTUAL AND DEVELOPMENTAL DISABILITIES

INDICE SEZIONE SCIENTIFICA 199

Mauro Leoni Presentazione dell’edizione italiana

203

Kim Cornish, Jane E. Roberts e Gaia Scerif Editoriale

209

Kylie Gray, Caroline Keating, John Taffe, Avril Brereton, Stewart Einfeld e Bruce Tonge Traiettorie delle problematiche emozionali e comportamentali nell’Autismo

227

Elizabeth Pellicano I sintomi autistici persistono nel tempo? Evidenze di un cambiamento sostanziale nella sintomatologia nel periodo di tre anni in bambini cognitivamente abili con autismo

242

Gene S. Fisch, Nancy Carpenter, Patricia N. Howard-Peebles, Jeanette J.A. Holden, Jack Tarleton, Richard Simensen e Agatino Battaglia Traiettorie evolutive nelle sindromi con disabilità intellettiva, con un focus sulla sindrome di Wolf-Hirschhorn e il suo profilo cognitivo-comportamentale

segue


edizione italiana

AJIDD American Journal on Intellectual and Developmental Disabilities

sezione

ABA-Italia

Analisi comportamentale applicata in collaborazione con IESCUM Redazione: Davide Carnevali Francesco Dell’Orco Melissa Scagnelli


Mark L. Sundberg, Ph.D. Edizione italiana a cura di Paolo Moderato e Cristina Copelli

Il VB-MAPP in italiano Il VB-MAPP ossia l’Assessment delle tappe evolutive fondamentali del comportamento verbale e programmazione degli interventi (in inglese Verbal Behavior Milestone Assessment Placement Program) è uno strumento di valutazione di 170 tappe evolutive fondamentali (Milestones) dello sviluppo del linguaggio e delle abilità sociali in bambini con autismo o disturbo generalizzato dello sviluppo. Il VB-MAPP è composto di un manuale, di un protocollo e da un set di materiali (immagini e item standardizzati per la valutazione). Oltre ad abilità strettamente connesse al linguaggio sono prese in considerazione altre aree del comportamento, quali l’imitazione, le abilità sociali, di classe, di gruppo, di gioco, le abilità visuo-spaziali, di lettura, scrittura e matematica. Il VB-MAPP può essere somministrato ad ogni soggetto con ritardo del linguaggio, indipendentemente dall’età o da diagnosi specifiche. Può essere somministrato da psicologi, medici, terapisti della riabilitazione, pedagogisti ed educatori che abbiano familiarità con l’approccio cognitivo-comportamentale.

Contatti per kit e formazione: Kit completo Manuale Protocollo

ISBN 9788864450087 ISBN 9788864450094 ISBN 9788864450100

Kit completo Euro 670,00 Solo Manuale + Protocollo Euro 90,00

Vannini Editoria Scientifica srl via Mandolossa 117/A 25064 Gussago (BS) Tel. 030 313374 - Fax 030 314078 scientifica@vanninieditrice.it www.vanninieditrice.it


Simple Steps: un programma multimediale per far conoscere l’ABA

Paolo Moderato Ordinario di Psicologia, Senior Behavior Analyst, Presidente IESCUM, Italian Chapter ABA International

Volume 10, Numero 2 - GIUGNO 2012 • AJIDD - Edizione Italiana

Editoriale

263

Per contattare gli autori scrivere a: Paolo Moderato, Università IULM, Istituto di Comunicazione, comportamento e consumi “Giampaolo Fabris”, Via Carlo Bo, 1, 20143 Milano E-mail: paolo.moderato@iulm.it


Volume 10, Numero 2 - GIUGNO 2012 • AJIDD - Edizione Italiana

P. Moderato

264

I genitori dei bambini con diagnosi di autismo s’imbattono ancor oggi in uno sconcertante numero di “trattamenti” per l’autismo. Questo nonostante l’importanza, ribadita costantemente dalla letteratura internazionale e quest’anno anche dalle nuove Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità, di applicare interventi basati su evidenze scientifiche per insegnare ai bambini e formare i genitori. La scienza del comportamento (Analisi Comportamentale Applicata) è oggi in grado di trattare il disturbo autistico con un’efficacia testimoniata dalla grande mole di ricerche che si è accumulata negli anni. Nonostante la comprovata scientificità ed efficacia di questo approccio, molti sono ancora i pregiudizi e i miti in circolazione: in questo stesso numero proviamo per l’ennesima volta a sfatare i principali. Alla base di questa diffusa ignoranza sull’ABA vi è senz’altro, ed è una caratteristica che accomuna tutta Europa, una grande carenza di formazione per professionisti e di divulgazione scientifica correttamente svolta. Su questi fronti, per quel che riguarda la realtà italiana, IESCUM è impegnato da anni nell’organizzazione e gestione di master di I e II livello, mirati a formare operatori e consulenti ABA secondo gli standard richiesti dal BACB per accedere alla certificazione internazionale. Si tratta di uno sforzo notevole, portato avanti con la consapevolezza del grande bisogno di formazione (e informazione) corretta che c’è oggi nel nostro Paese. Proprio per affrontare questo bisogno formativo e i fraintendimenti sull’Analisi Comportamentale Applicata ad esso legati, Leonardo, un programma di formazione continua della Commissione Europea, sta finanziando un progetto multimediale innovativo. Sviluppato inizialmente nell’Irlanda del Nord dall’organizzazione non profit PEAT (Parents’ Education as Autism Therapists) e da analisti del comportamento dell’Università dell’Ulster, Simple Steps, questo è il nome del programma, presenta materiale video e pagine di testo per insegnare i principi dell’Analisi Comportamentale Applicata. Obiettivo è dimostrare come la pratica scientifica sia efficace nel massimizzare le opportunità di apprendimento nei bambini con autismo. I video presentati nell’ambito del programma, progettati e realizzati da professionisti dell’ABA, includono testimonianze dirette di genitori, animazioni, dimostrazioni, interviste a esperti che, con la massima chiarezza, spiegano i principi dell’approccio scientifico su cui si basano gli interventi ABA, la loro natura e metodologia, gli obiettivi e i risultati che si possono raggiungere. I video sono accompagnati da testi per l’approfondimento, indicazioni bibliografiche e schede, e da un sito web dedicato che raccoglie e presenta tutto il materiale. Simple Steps si rivolge non soltanto a educatori e professionisti, ma direttamente ai genitori di bambini con diagnosi di autismo. I genitori sono infatti i primi a trovarsi a fronteggiare una diagnosi di autismo e tutto ciò che ne consegue e dunque i primi ad avere bisogno e diritto di essere informati con chiarezza sugli approcci scientifici al trattamento dell’autismo. Sono i genitori i primi a dover essere liberati da mistificazioni e false rappresentazioni. Se si riesce nell’obiettivo di aiutare i genitori a diventare più competenti nell’insegnamento ai loro figli, sarà più facile coordinare queste opportunità di apprendimento con quelle fornite al bambino a scuola. Ciò non significa fare a meno dell’intervento di professionisti formati all’Analisi Comportamentale Applicata secondo gli standard internazionali (BACB), ma poterlo comprendere e collaborare con consulenti e operatori per massimizzarne l’efficacia. Il progetto finanziato da Leonardo è chiamato STAMPPP (Science and the Treatment of Autism: A Multimedia Package for Parents and Professionals). Il primo finanziamento aveva l’obiettivo di aggiornare la versione originale di Simple Steps e di tradurla in tedesco, norvegese e


spagnolo; 1.000 copie gratuite sono state distribuite in ogni paese partecipante al progetto. Questo progetto è stato riconosciuto come un esempio di eccellenza dalla Commissione Europea ed è stato inserito come case study per illustrare le buone prassi nell’inclusione. Oggi, con il finanziamento del progetto STAMPPP-II (www.stamppp.com), la traduzione e l’adattamento di Simple Steps vengono estesi a quattro ulteriori Paesi e relative lingue: Italia, Svezia, Paesi Bassi e Islanda. IESCUM, Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano (www.iescum.org) è il partner italiano del progetto ed è attualmente attivo, con l’impegno dei propri ricercatori e il coinvolgimento della comunità italiana dell’ABA, nella localizzazione italiana del sito, dei video e del materiale di supporto.

Volume 10, Numero 2 - GIUGNO 2012 • AJIDD - Edizione Italiana

Editoriale

265

Seconda fila, da sinistra verso destra: Prof. K. Dillenburger, Dr. Neil Martin, Sigridur Jonsdottir, Dr. Jacqueline Schenk, Prof. Paolo Moderato (IESCUM), Dr. Lise Roll-Pettersson, Lynsay Mulcahy (PEAT). Prima fila, da sinistra verso destra: Dr. Stephen Gallagher, Dr. Mickey Keenan, Nichola Booth (PEAT).


Volume 10, Numero 2 - GIUGNO 2012 • AJIDD - Edizione Italiana

Autismo e ABA: miti e false rappresentazioni

Francesca Pergolizzi ASCCO Parma, IESCUM Parma Melissa Scagnelli UniversitĂ IULM Milano, IESCUM Parma

266

Per contattare gli autori scrivere a: Melissa Scagnelli E-mail: melissa.scagnelli@gmail.com


Nella nostra cultura (ma non solo) impregnata di filosofia idealistica e con scarsa propensione alla visione e al metodo scientifico, nonostante i natali dati a Galileo, permane ancora un diffuso scetticismo nel considerare l’esistenza di una psicologia scientifica che possa contribuire allo sviluppo di modelli di intervento di provata efficacia (evidence based). Un esempio di questo atteggiamento si ritrova nella vivace discussione sulle scelte di trattamento dei disturbi generalizzati dello sviluppo. Le recenti linee guida per il trattamento dell’autismo emanate dal Ministero della Salute hanno riconosciuto la scientificità e la dimostrata efficacia dell’analisi comportamentale applicata (Applied Behavior Analysis - ABA). Ciò ha scatenato una serie di polemiche (Moderato, 2012) da parte degli esponenti di altre scuole di pensiero psicologico, che non sposano il metodo scientifico come criterio esauriente di verità per la valutazione dell’efficacia degli interventi. L’obiettivo di questo articolo, rivolto a tutti coloro che a vario titolo si confrontano quotidianamente con questo disturbo (genitori, operatori sanitari, educatori, insegnanti, ecc.) è, dunque, quello di provare a descrivere con precisione che cos’è l’ABA. In questo intento proveremo a fare chiarezza sulle ricorrenti false rappresentazioni che spesso ne confondono i principi fondanti, alimentando riflessioni critiche poco giustificabili. L’ABA è la scienza che applica i principi dell’analisi del comportamento, che, a sua volta, può essere definita come la scienza che ha come oggetto lo studio delle interazioni psicologiche tra individuo e ambiente e come metodo quello scientifico proprio delle scienze naturali. La sua funzione è quella di osservare e descrivere queste interazioni, spiegare come avvengono, prevederne la probabilità di comparsa nel futuro e su queste basi consentirne l’influenzamento e il controllo. L’applicazione dell’analisi del comportamento è un corpus di sofisticate tecnologie comportamentali, derivate dai principi di base, che oggi trovano efficace impiego in diversi ambiti, dal lavoro (ergonomia, organizzazioni, ecc.) alla clinica (psicoterapia, medicina comportamentale) e in particolar modo in ambito educativo (educazione normale e speciale). Proveremo ora a elencare le false rappresentazioni più radicate nella percezione dell’ABA da parte di genitori e professionisti mettendo in luce per ciascuna di esse errori ed eventuali elementi di verità.

1. L’ABA è una procedura di intervento che si adatta a tutti gli approcci abilitativi L’ABA è una disciplina scientifica (Baer, Wolf e Risley, 1968). Per definirla è imprescindibile inquadrarla all’interno di una specifica visione epistemologica (contestualismo funzionale) che ne determina i principi (leggi dell’apprendimento) verificabili attraverso paradigmi sperimentali (interazioni rispondenti e operanti) e applicabili attraverso procedure ad hoc (shaping, chaining, modeling, ecc.). Ridurre l’ABA a mera procedura significa violarne lo status scientifico generando una costellazione di applicazioni slegate dai livelli di analisi soprastanti che ne determinano l’efficacia. Non esistono interventi per i quali sia in assoluto sconsigliabile l’integrazione con procedure ABA purché vengano progettati alla luce di una rigorosa analisi (analisi funzionale) basata sui principi di base definienti questa disciplina. In conclusione le tecniche ABA possono essere integrate con altre tecniche ma solo all’interno di un medesimo contesto di coerenza epistemologica e concettuale.

Volume 10, Numero 2 - GIUGNO 2012 • AJIDD - Edizione Italiana

Autismo e ABA: miti e false rappresentazioni

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Volume 10, Numero 2 - GIUGNO 2012 • AJIDD - Edizione Italiana

F. Pergolizzi e M. Scagnelli

268

2. L’ABA aumenta la compliance e alcune abilità specifiche, ma non affronta le abilità di “livello superiore” come il gioco e le abilità sociali Questa affermazione costituisce un retaggio dell’ABA di prima generazione e della programmazione dell’insegnamento per prove discrete (DTT - Discrete Trial Teaching) proposto da Lovaas (1973), dove, lo spazio riservato alle abilità ludiche e sociali era minore rispetto a quello dedicato ad altre aree. Non sono inoltre considerati gli sviluppi che l’ABA ha avuto nel corso degli anni verso una progressiva attenzione nei confronti delle esperienze che caratterizzano la storia naturale di apprendimento dell’individuo, in particolare nei confronti delle interazioni emotive e affettive (Moderato e Copelli, 2010). Oggi si assiste, pertanto, a un interesse crescente verso l’insegnamento in ambiente naturale (NET - Natural Environmental Teaching) che predilige l’utilizzo del gioco e delle attività gradite dal bambino per promuovere l’apprendimento degli obiettivi inseriti nella programmazione. Le abilità di gioco vengono rigorosamente valutate già in fase di assessment (VB-MAPP, Sundberg, 2008) assieme a competenze legate al comportamento sociale del bambino nei suoi contesti significativi di vita (casa, scuola). Un altro aspetto strettamente connesso a questo pregiudizio è la tendenza diffusa a usare i termini ABA e DTT come sinonimi, ignorando totalmente il fatto che le prove discrete costituiscono solo una delle possibili tecnologie che un analista del comportamento può utilizzare per promuovere l’apprendimento del bambino in ambiente strutturato, non certo l’unica modalità possibile. Parlare di DTT e di ABA come se fossero interscambiabili impedisce di cogliere la complessità e la rappresentatività dell’analisi comportamentale (Smith, 2001; Tarbox e Najdowski, 2008).

3. L’ABA ottiene gli stessi risultati con tutti gli individui con autismo L’ABA può avere impatto significativo sul comportamento della persona insegnando nuove abilità e consentendo in determinate situazioni di raggiungere competenze pari a quelle dei coetanei. La letteratura (Eikeseth, Smith, Jahr e Eldevik, 2002) evidenzia gli effetti positivi di programmi ABA sul funzionamento in buona parte dei contesti di vita. L’evidenza che sembra affermarsi con maggior forza dall’analisi della letteratura è legata agli interventi precoci e intensivi che producono significativi miglioramenti in diverse aree: gli aspetti cognitivi, lo sviluppo del linguaggio, delle abilità accademiche e di quelle adattive (Anderson, Avery, DiPietro, Edwards e Christian, 1987; Birnbrauer e Leach, 1993; Harris, Handleman, Gordon, Kristoff e Fuentes, 1991; Hoyson, Jamieson e Strain, 1984; Lovaas, 1987; McEachin, Smith e Lovaas, 1993; Sheinkopf e Siegel, 1998; Smith, Eikeseth, Klevstrand e Lovaas, 1997). Trial clinici, ricerche sistematiche e review promosse da ricercatori indipendenti, hanno comunque dimostrato l’efficacia di interventi ABA su campioni di soggetti differenti per età, livelli di abilità e funzionamento. L’analisi del comportamento, per le sue caratteristiche epistemologiche, predilige tuttavia


studi a soggetto singolo (within subject) per la valutazione dell’efficacia dei propri interventi. L’obiettivo dell’analista del comportamento è quello di giungere alla previsione e sulla base di specifiche esigenze disegnare un programma di intervento che risulta dunque ogni volta diverso e i cui risultati sono unici. Questo si può unicamente esplicitare a livello delle interazioni tra un singolo individuo e l’ambiente. Pertanto gli interventi ABA sono altamente individualizzati e, dunque, non appare metodologicamente molto corretto confrontare pertanto gli esiti di un programma tra diversi bambini (between subjects). La programmazione dell’intervento muove dalle caratteristiche del singolo bambino sulla base di specifiche esigenze. Ogni programma di intervento è dunque diverso e i risultati sono unici.

4. Ci sono evidenze che altri approcci siano efficaci come l’ABA Sono più di 750 gli articoli provenienti dalla letteratura scientifica (DeMyer, Hingtgen e Jackson, 1981) che mostrano le evidenze di documentata efficacia dell’ABA nell’ambito del trattamento di bambini con autismo. In particolare una meta-analisi condotta da Eikeseth e colleghi (2002) ha confrontato bambini con autismo che hanno seguito interventi basati esclusivamente su tecniche comportamentali con bambini che hanno seguito interventi eclettici (che prevedevano l’utilizzo di tecniche d’intervento diverse). I primi hanno ottenuto risultati migliori per quanto riguardava il funzionamento adattivo e il QI e presentavano un numero inferiore di comportamenti problema. Altri studi (McEachin, Smith e Lovaas, 1993) hanno dimostrato che i miglioramenti ottenuti a livello del funzionamento emotivo, cognitivo e motorio a seguito di un trattamento basato sui principi dell’Analisi Comportamentale, si mantentengono nel tempo. Anche le attuali Linee Guida italiane, pubblicate di recente dalla SINPIA, rifacendosi a tali studi affermano l’elettività degli interventi comportamentali nei bambini con autismo. Infine interessante sottolineare come le linee guida del New York State Departement of Health Clinical Practice non si limitino a raccomandare l’ABA come trattamento elettivo per l’autismo, ma suggeriscono anche di evitare il ricorso ad altri trattamenti, in quanto rappresentano una sottrazione di tempo importante all’ABA (Morris, 2009).

5. Un intenso programma ABA è una garanzia che il bambino sarà in grado di frequentare la scuola materna senza necessitare di ulteriori supporti Il tema dell’inserimento scolastico di un bambino con autismo è molto delicato. La maggior parte delle ricerche presenti in letteratura fanno riferimento al contesto scolastico americano, profondamente diverso dal nostro, e sono dunque poco rappresentative. La sintesi di questi studi restituisce comunque un quadro piuttosto diversificato: tra i bambini che hanno partecipato a un training ABA intensivo e precoce alcuni frequentano gli asili a part-time insieme ai coetanei e ricevono poi trattamenti specifici in altri contesti, altri continuano ad aver bisogno di servizi specializzati e intensivi in un programma full-day, altri ancora accedono all’asilo per l’intera giornata insieme ai coetanei, ma richiedono supporti (un assistente

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educativo assegnato apposta per lui o per diversi bambini con bisogni speciali) o un terapista dei disturbi del linguaggio e gli ultimi infine seguono il normale curriculum educativo previsto per i coetanei. Non sono al momento disponibili nel contesto italiano dati che descrivano gli effetti di un intervento intensivo e precoce ABA sul successivo inserimento del bambino nel contesto scolastico. Quello che possiamo tuttavia certamente affermare è che la scuola rappresenta un ambiente di intervento privilegiato per il bambino offrendo quotidianamente molte opportunità per interagire con i pari e impegnarsi in scambi sociali nel corso dei quali può mettere a frutto apprendimenti avvenuti in contesti più strutturati. L’inclusione del bambino nel contesto scolastico è dunque fortemente auspicabile, ma merita profonda attenzione nei modi in cui deve essere attuata da parte del professionista che ha in carico il bambino. L’obiettivo di ogni intervento ABA è quello di rendere il bambino autonomo nell’esprimere competenze acquisite in contesti strutturati (terapia) anche negli ambienti di vita funzionalmente più significativi.

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6. Un intervento ABA non è più giustificato quando il bambino supera l’età pre-scolare (6 anni) L’ABA ha ricevuto notevoli riconoscimenti per l’impatto dimostrato sui processi abilitativi nei bambini in età pre-scolare (Eikeseth et al., 2002). Anche con gli studenti più grandi, tuttavia, tale approccio ha confermato di essere quello più documentato e di maggiore efficacia nonostante la minore intensività dell’intervento erogato. Tale constatazione è coerente con la definizione stessa dell’ABA quale disciplina scientifica, basata cioè sullo studio di principi universali (leggi dell’apprendimento) la cui validità non può essere compromessa a seconda dell’età cronologica del soggetto o delle abilità che egli possiede. Ovviamente, a variare saranno gli obiettivi di intervento, funzionali alle differenti istanze evolutive di bambini/ragazzi più grandi; varieranno inoltre le esigenze da parte dei familiari e le aspettative provenienti da contesti di vita extrascolastici. Gli interventi programmati sia in età prescolare che successivamente tendono ad avere come comune denominatore la promozione dello sviluppo di una comunicazione funzionale e la riduzione dei comportamenti problema spesso correlati al deficit comunicativo. Dall’età scolare, tuttavia, il focus degli interventi sarà maggiormente rivolto al perseguimento di altri target come la gestione del proprio tempo libero, l’adozione di condotte di sicurezza, lo svolgimento di piccoli compiti domestici, l’utilizzo del denaro. La finalità degli interventi è quella di promuovere l’inclusione scolastica, le capacità di seguire le routine di una classe e di interagire con i compagni, lo sviluppo di abilità accademiche e, con i ragazzi più grandi, si promuove l’acquisizione di abilità che consentano l’inserimento lavorativo. Gli obiettivi sopra citati rappresentano solo alcune delle aree su cui è possibile lavorare: è l’analisi e la valutazione delle specifiche caratteristiche del soggetto, delle sue esigenze e del contesto all’interno del quale vive a guidare in ultima istanza l’analista del comportamento nella pianificazione dell’intervento.


7. L’ABA consiste per la maggior parte di training di compliance, con risultati di efficacia in bambini che hanno difficoltà ad apprendere e che fanno i capricci per evitare le situazioni di apprendimento Promuovere la compliance, ovvero la collaborazione da parte del bambino, rappresenta sicuramente un importante obiettivo che normalmente fa parte di un training ABA e che si declina nell’acquisizione di una serie di comportamenti target: rispondere al proprio nome, riconsegnare oggetti ad altre persone, avvicinarsi quando si è chiamati, sedersi su richiesta e altri semplici comportamenti legati a una richiesta. La collaborazione è una tappa molto importante per il bambino dal punto di vista evolutivo, prerequisito per apprendere sempre nuove abilità guidato e supportato dall’adulto. Tra queste, una tra tutte è la possibilità di accedere ai rinforzatori presenti nell’ambiente naturale. Si pensi, per esempio, alla situazione in classe in cui la maestra chiede: “venite tutti a sedervi”. I bambini che la ascoltano sono quelli che ne ricevono l’elogio. Posta dunque la fondamentale importanza di promuovere la compliance, ciò che si è modificato nel corso degli anni è la modalità attraverso cui questa abilità viene insegnata. Oggi si tende a inserire questo training come un obiettivo nel contesto di gioco sfruttando la motivazione del bambino e facendo in modo che apprenda con entusiasmo e si diverta per tutto il tempo dell’insegnamento.

8. L’ABA utilizza molte punizioni La questione delle punizioni è un argomento che merita una riflessione approfondita. Appare opportuno definire cosa si intenda esattamente con questo termine. La punizione è un evento che segue il comportamento e diminuisce la probabilità futura di emissione dello stesso (Azrin e Holz, 1996); può consistere nella presentazione di uno stimolo negativo (punizione positiva, per esempio il rimprovero o la nota a scuola) o nella sottrazione di qualcosa di positivo (per esempio il castigo: “non hai fatto i compiti quindi non vai a giocare con i tuoi amici”). Nonostante il termine punizione richiami idee negative, molte procedure di punizione consistono, in realtà, in tecniche che i genitori utilizzano normalmente con bambini a sviluppo tipico come i rimproveri o la perdita di privilegi. Le punizioni sono dunque procedure basate sulla gestione delle conseguenze di un comportamento che nel trattamento vengono utilizzate solo come ultima risorsa. Sono utilizzate solo quando il comportamento mette a serio rischio l’incolumità propria o di terzi e quando le procedure alternative basate sul rinforzo non si sono rivelate efficaci nel lungo termine. Esistono diverse norme etiche che regolamentano l’applicazione di punizioni, ne citeremo alcune tra le più importanti: • devono essere erogate nel pieno rispetto dei diritti e della dignità della persona che la riceve; • non devono quindi arrecare alcun danno né fisico né psicologico; • deve essere scelta la punizione più efficace ma meno restrittiva possibile; • fondamentale è ottenere il consenso informato da parte di chi si occupa del paziente; • è importante introdurre contemporaneamente un intervento per insegnare comportamenti alternativi.

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In qualsiasi traininig ABA si tendono a utilizzare in modo molto più cospicuo strategie di intervento basate sul rinforzo ignorando i comportamenti disadattivi e rinforzando comportamenti alternativi positivi e appropriati. Oggi si assiste inoltre a un sempre maggiore interesse nei confronti della manipolazione e gestione degli antecedenti rispetto alle conseguenze del comportamento (Moderato e Copelli, 2010). È opportuno quindi ribadire che la punizione non è MAI utilizzata come parte di un programma di insegnamento. L’obiettivo primario è sempre promuovere lo sviluppo e l’incremento di comportamenti adattivi prediligendo l’utilizzo del rinforzo e della gestione e manipolazione delle variabili antecedenti, con particolare attenzione alla motivazione del bambino. L’analisi del comportamento è una scienza e come tale non dovrebbe essere inquinata da visioni scientiste o dogmatiche di qualunque segno né a favore né contro, ma affrontata solo con l’atteggiamento di dubbio metodico e con la prassi di intersoggettività che caratterizza la scienza. Nonostante i risultati ottenuti in vari campi, l’ABA è stata spesso oggetto di descrizioni distorte, superficiali e perfino caricaturali. D’altro canto tutta la storia della scienza è piena di esempi di questo tipo.

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Bibliografia Anderson, S.R., Avery, D.L., DiPietro, E.K., Edwards, G.L., & Christian, W.P. (1987). Intensive home-based early intervention with autistic children. Education and Treatment of Children, 10, 352-366. Azrin, N.H., & Holz, W.C. (1996). Punishment. In W.K. Honig (Ed.) Operant behavior: areas of research and application (pp. 380-447). New York Appleton Century Crofts. Baer, D.M., Wolf, M.M., & Risley, T.R. (1968). Some current dimensions of applied behavior analysis. Journal of Applied Behavior Analysis, 1, 91-97. Birnbrauer, J.S., & Leach, D.J. (1993). The Murdoch early intervention program after two years. Behaviour Change, 10, 63-74. Cooper, J.O., Heron, T., & Heward, W. (2007). Applied behavior analysis (2nd ed.). Upper Saddle River, NJ: Pearson. DeMyer, M.K., Hingtgen, J.N., & Jackson, R.K. (1981). Infantile autism reviewed: A decade of research. Schizophrenia Bulletin, 7, 388-451. Eikeseth, S., Smith, T., Jahr, E., & Eldevik, S. (2002). Intensive behavioral treatment for 4- to 7- year-old children with autism: A 1-year comparison controlled study. Behavior Modification, 26, 49-68. Harris, S.L., Handleman, J.S., Gordon, R., Kristoff, B., & Fuentes, F. (1991). Changes in cognitive and language functioning of preschool children with autism. Journal of Autism and Developmental Disorders, 21, 281290. Harris, S., Handleman, J.S., Kristoff Bass, L., & Gordon, R. (1990). Changes in language development among autistic and peer children in segregated and integrated preschool settings. Journal of Autism and Developmental Disorders, 20, 23-31. Hoyson, M., Jamieson, B., & Strain, P.S. (1984). Individualized group instruction of normally and autistic-like children: A description and evaluation of the LEAP curriculum model. Journal of the Division of Early Childhood, 8, 157-181. Iwata, B.A., Zarcone, J.B., Vollmer, T.R., & Smith, R.G. (1994). Assessment and treatment of self-injurious behavior. In E.Schopler & G.B. Mezibov (Eds.), Behavioral issues in autism (pp. 131-159). NewYork: Plenum. Lovaas, O.I. (1987). Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 55, 3-9. Lovaas, O.I., Koegel, R., Simmons, J.Q., & Long, J.S. (1973). Some generalization and follow-up measures on autistic children in behavior therapy. Journal of Applied Behavior Analysis, 6, 131-166.


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Francesco Dell’Orco Università IULM, Milano IESCUM - Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano, Parma Francesco Pozzi Università IULM, Milano IESCUM - Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano, Parma

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Per contattare gli autori scrivere a: Francesco Dell’Orco E-mail: francesco.dellorco@iulm.it Francesco Pozzi E-mail: pozzi.francesco@gmail.com


Un recente contributo apparso sulla rivista di scienze cognitive State of Mind (http://www. stateofmind.it/2012/06/esercizi-comportamentali) prova a definire l’importanza degli “esercizi comportamentali”, in particolar modo dell’esposizione, nella pratica psicoterapeutica di orientamento cognitivo-comportamentale. Secondo l’autore, l’efficacia di queste tecniche è subordinata a un successivo intervento di “elaborazione cognitiva” finalizzato “alla sdrammatizzazione delle previsioni negative” e alla modifica di alcuni pensieri disfunzionali. La considerazione che sembra emergere dalla lettura dell’articolo appare quella di definire, all’interno della pratica clinica in contesti ambulatoriali, la componente comportamentale come accessoria e subordinata in ultima istanza a quella cognitiva. Già a partire dagli anni ’60 è sorto un profondo dibattito scientifico sull’efficacia delle terapie comportamentali per i problemi comunemente riferiti dalle persone nella pratica clinica. La nascita e lo sviluppo delle terapie cognitive può essere considerato proprio uno degli esiti di questo processo. La domanda a cui cercheremo di dare risposta in questo articolo è dunque se e come la terapia comportamentale e in particolar modo l’analisi del comportamento possano occuparsi in maniera autonoma dei problemi della pratica clinica. L’analisi del comportamento applicata alla clinica (Clinical Behavior Analysis) può essere considerata un campo di sviluppo relativamente recente all’interno della “cosa” comportamentista che negli ultimi venti anni sta vivendo una crescita vertiginosa, dopo un periodo di appannamento, grazie a nuove epistemologie, a più potenti formulazioni teoriche e a nuovi campi di applicazione. Dougher e Hayes (2000) definiscono la Clinical Behavior Analysis (CBA) come l’applicazione dei principi di base, dei paradigmi e delle procedure dell’analisi comportamentale di matrice contestualista funzionale ai problemi della pratica clinica che ogni specialista incontra quotidianamente nei contesti ambulatoriali. Accanto ai molti punti di continuità, la CBA presenta alcuni elementi di discontinuità con l’analisi tradizionale del comportamento, in particolar modo per i soggetti a cui si rivolge e per alcuni aspetti teorici fondanti. Cercheremo dunque di metterne in luce le peculiarità tracciando un quadro storico che ne descriva lo sviluppo e i presupposti teorici su cui è fondata. A partire dagli anni sessanta, muovendo dalle evidenze del paradigma skinneriano, l’analisi del comportamento ha dedicato buona parte del suo interesse a interventi rivolti a soggetti in età evolutiva, spesso gravemente compromessi dal punto di vista del funzionamento e dello sviluppo (autismo, ritardo mentale, ecc.). Il setting di questi programmi era principalmente circoscritto a contesti residenziali (scuole speciali, comunità terapeutiche, centri di riabilitazione, ecc.) in cui era possibile esercitare un controllo efficace sulle contingenze di rinforzo che potevano influenzare il comportamento del soggetto. Questo modus operandi continua tutt’oggi a rappresentare il cuore di buona parte degli interventi clinici sviluppati nell’ambito dell’analisi del comportamento. Il tentativo di applicare questo genere di trattamenti anche a contesti clinici di tipo ambulatoriale, in cui adulti verbalmente competenti riportavano le problematiche della loro quotidianità (ansia, depressione, stress, ecc.), è stato tuttavia spesso messo in atto snaturando i principi epistemologici dell’analisi comportamentale. “Ciò ha portato a mettere in atto interventi non efficaci che hanno contribuito, a partire dagli anni ’70, a escludere l’analisi del comportamento dalle possibili strategie per la pratica clinica ambulatoriale” (Kohlenberg, Tsai e Dougher, 1993). Le situazioni riferite dai pazienti nella pratica clinica mostravano infatti generalmente un grado di complessità strutturale molto elevato. Spesso coinvolgevano nel loro manifestarsi e mantenersi altre persone o erano circoscritti a contesti specifici non accessibili al terapeuta. Non

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sembravano dunque osservabili in seduta e per questo motivo non era possibile intervenire su di essi manipolando direttamente le contingenze di rinforzo. A fronte di questa situazione, molti analisti del comportamento continuarono fino agli anni ’90 a dedicare, nella pratica come nella ricerca, buona parte dei loro sforzi allo sviluppo di paradigmi rivolti a soggetti il cui comportamento poteva essere direttamente osservato e rinforzato. Coloro i quali si trovavano a lavorare prevalentemente in contesti clinici con soggetti verbalmente competenti rivolsero il loro interesse ad altri modelli basati su trattamenti centrati su desensibilizzazione e condizionamento (Behavior Therapy) o, a partire dagli anni ’70, ai modelli cognitivisti. L’abbandono di un approccio behavior-analitico alla pratica clinica fu dunque motivato da alcune posizioni che oggi possiamo giudicare come in parte fuorvianti; tra tutte, la più rilevante, è quella secondo la quale la maggior parte dei problemi della pratica clinica (difficoltà nelle relazioni sociali, depressione, rabbia, ecc.) fossero osservabili solo al di fuori del setting e quindi non influenzabili (attraverso la manipolazione delle contingenze di rinforzo) durante il lavoro in seduta. Quella che venne definita, secondo alcuni del tutto impropriamente (Hobbs e Chiesa, 2011), come la rivoluzione cognitiva degli anni ’70 segnava comunque un profondo distinguo a livello filosofico ed epistemologico con l’analisi del comportamento che proveremo sinteticamente a definire prendendo a modello la distinzione proposta da Dougher (2000).

Meccanicismo vs Contestualismo Il paradigma cognitivista, quello della metafora HIP, delle scienze cognitive e della terapia cognitiva alla Beck, è per sua natura meccanicista. La metafora radice del meccanicismo è la macchina come insieme di principi componenti che ne determinano il funzionamento. Il comportamento di un individuo è dunque spiegato alla luce dell’azione di alcuni meccanismi cognitivi. La metafora più comunemente utilizzata per spiegare il funzionamento della mente è il computer, che sembra una macchina molto complessa, ma è pur sempre una macchina (e talvolta anche abbastanza stupida) che processa informazioni binarie (0/1). Il criterio di verità è dato dalla misura in cui il funzionamento della macchina, o di una parte di essa, è in grado di prevedere il comportamento di un soggetto. Prendendo a modello l’esempio proposto da Dougher (2000) il criterio di verità per un costrutto cognitivo come quello di Self-Efficacy proposto da Bandura (1977) è dato da quante differenze individuali nelle percezioni di autoefficacia siano in grado ad esempio di prevedere la performance scolastica di un gruppo di studenti in una classe universitaria. L’analisi del comportamento affonda le proprie radici in una visione del mondo di natura contestualista. Il comportamento è il livello minimo di analisi e può essere compreso, analizzato e definito solo in relazione al contesto in cui si manifesta. Il criterio di verità è pragmatico ed è dato dalla misura in cui un’affermazione è in grado di prevedere e controllare un determinato evento. Riprendendo l’esempio precedente, la misura del costrutto di self efficacy può essere certamente in grado di prevedere il comportamento, ma non permette di influenzarlo in alcun modo. Per poterlo fare sarebbe necessario poter accedere agli elementi costitutivi di questo costrutto (comportamenti). Dal punto di vista dell’analisi del comportamento la teoria della Self-Efficacy non può dunque essere esaustiva nella spiegazione del comportamento.


Strutturalismo vs Funzionalismo Le teorie cognitiviste adottano un punto di vista strutturalista nella spiegazione del comportamento: postulano l’esistenza di strutture (credenze, schemi, ecc.) che ne determinano il funzionamento oppure cercano di isolare componenti a livello cerebrale responsabili dell’agire (neurocognitivismo). La prospettiva della Behavior Analysis è funzionalista: la spiegazione del comportamento è legata alla funzione che esso assolve all’interno del contesto. La sua analisi si attua dunque a livello funzionale e non topografico. Esistono comportamenti simili che possono rivelarsi funzionalmente differenti.

Mentalismo vs Non Mentalismo Il tentativo di spiegare il comportamento attraverso strutture, schemi o processi a livello cognitivo porta a una posizione mentalistica, rispetto alla sua origine. Un simile approccio può rivelarsi efficace in termini di previsione del comportamento ma inadatto all’obiettivo di influenzarne il manifestarsi, cioè di modificarlo in senso terapeutico. Essere a conoscenza del fatto che un individuo sia particolarmente ansioso o carente nella percezione della propria autoefficacia, ci permette certamente di prevedere il suo comportamento in alcune determinate situazioni. D’altro canto però, se il nostro obiettivo è quello di modificare il suo comportamento, una simile spiegazione non ci fornisce alcuna informazione su quali siano i suoi fattori determinanti. L’analisi del comportamento adotta invece una prospettiva non mentalista in cui la causa del comportamento è sempre individuabile in eventi esterni che risultino accessibili e manipolabili.

Riduzionismo vs Non Riduzionismo Legata all’adozione di una prospettiva mentalistica è la tendenza al riduzionismo, ovvero il tentativo di spiegare eventi psicologici facendo ricorso a livelli di analisi inferiori e diversi in quanto al dominio. Questo è molto spesso quanto avviene nelle neuroscienze cognitive. Il comportamento viene spiegato alla luce di processi psicologici associati a meccanismi fisiologici che a loro volta sono determinati da processi biochimici che dipendono da determinate strutture fisiche. Un simile modus operandi rischia di innescare una catena di regressione ad infinitum che porta a un livello di analisi in cui il comportamento inizialmente oggetto di indagine finisce per scomparire in un’analisi che termina all’atomo o a una delle sue particelle. Pur riconoscendo come significativi e importanti i progressi nella genetica e delle neuroscienze, risulta critico cercare le basi del comportamento a un simile livello. Il livello di analisi più indicato resta dunque quello dell’interazione tra l’individuo e l’ambiente e il comportamento (che rappresenta questa interazione complessa) l’oggetto di studio privilegiato. Sebbene Skinner in Science and Human Behavior (1953) si sia occupato da un punto di vista comportamentale di alcuni dei processi della psicoterapia, l’analisi del comportamento applicata alla clinica emerge con forza solo nei primi anni ’90, al termine di quello che viene

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definito un lungo periodo di “stasi”(Kohlenberg et al., 1990) con l’interesse che nel frattempo si era sviluppato all’interno della Behavior Analysis a livello sperimentale per lo studio dei processi linguistici e cognitivi. La capacità di costruire interazioni verbali costituisce il tratto più caratteristico degli esseri umani rispetto ad altre specie e conferisce loro un significativo vantaggio evolutivo. Allo stesso tempo, nella grande padronanza verbale e nella plasticità del linguaggio sembrano trovare origine un importante numero di disturbi clinici. Gli studi sul linguaggio portano a un rinnovato interesse verso i contesti clinici tipicamente verbali come quelli che si esplicitano in buona parte delle talk therapies, in cui individui verbalmente competenti incontrano in un contesto ambulatoriale il proprio terapeuta con una cadenza settimanale per far fronte ai propri problemi di depressione, ansia o stress. In questo genere di setting lo specialista non è in grado di esercitare un preciso controllo sulle contingenze che influenzano il comportamento problematico dell’individuo nella vita di tutti i giorni e può fare affidamento quasi esclusivamente su interventi di natura verbale per indurre un cambiamento. Ciò che segna la peculiarità dell’analisi del comportamento applicata alla clinica è dunque l’interesse per il comportamento verbale dell’individuo e per il suo ruolo nello sviluppo, nel mantenimento e nel trattamento dei disturbi psicopatologici. In questo senso allora la psicopatologia viene a essere definita come una patologia verbale (Dougher e Hayes, 2000). L’analisi del comportamento applicata alla clinica può essere dunque ridefinita come quel campo, all’interno della scienza dell’analisi del comportamento, che studia un moderno approccio comportamentale al linguaggio e le sue implicazioni nell’area della psicopatologia e della cura. L’assunto di base dell’analisi comportamentale applicata alla clinica è che i problemi che normalmente le persone incontrano nella vita di tutti i giorni possono accadere e accadono anche nel contesto di una seduta (Kohlenberg, Bolling, Kanter e Parker, 2002). Un’affermazione di questo genere porta con sé alcune importanti implicazioni: • il comportamento problematico può quindi essere direttamente osservato, misurato e manipolato rispetto alle contingenze che lo influenzano da parte del terapeuta in seduta; • il fatto che il comportamento problematico del paziente si manifesti nel contesto della seduta rappresenta un importante presupposto per la generalizzazione. I contesti non sono confrontati secondo le loro caratteristiche fisiche ma a partire dal fatto che siano in grado di evocare comportamenti simili; • il comportamento del paziente in seduta deve dunque essere osservato funzionalmente, per la sua rilevanza da un punto di vista clinico e interpretato in linea con le contingenze di rinforzo che operano in quel contesto. Date queste premesse appare evidente il ruolo centrale del terapeuta nel processo di cambiamento. La possibilità di evocare in terapia contesti funzionalmente rilevanti per le problematiche del paziente risiede per buona parte nella qualità della relazione terapeutica. Come anticipato poco sopra, uno degli aspetti fondativi dell’analisi comportamentale applicata alla clinica risiede negli studi sul ruolo degli antecedenti verbali nella modifica e nell’influenza del comportamento, in particolar sul ruolo del comportamento governato da regole (Skinner, 1969; Zettle e Hayes, 1982). Molto spesso il paziente porta in trattamento una serie di regole che guidano il proprio comportamento. Alcune di queste sono correlate ai comportamenti clinicamente rilevanti. Una delle caratteristiche più significative del comportamento


guidato da regole è che sembra essere insensibile alle contingenze (Catania, Matthews e Shimoff, 1990; Zettle e Hayes, 1982) e questo dunque restringe per il soggetto le possibilità di interazione con il contesto impegnandolo in modalità disfunzionali di comportamento. Definito il ruolo delle regole verbali nel comportamento dell’individuo, è importante provare brevemente a chiarire come gli stimoli verbali siano in grado di esercitare controllo sul comportamento. Gli stimoli verbali acquisiscono la loro funzione partecipando a classi di equivalenza (Sidman e Tailby, 1982). Ricerche di laboratorio (Hayes, Kohlenberg e Hayes, 1991) hanno messo in luce come una volta che uno stimolo entra a far parte di una classe di equivalenza finisca per acquisire automaticamente le funzioni degli altri membri della classe. In questo modo gli stimoli verbali (parole, pensieri) diventano funzionalmente equivalenti agli stimoli a cui fanno riferimento e influenzano il comportamento in modo conseguente. Possiamo così comprendere come una regola verbale possa influenzare il comportamento. Un paziente con una storia di fallimento nelle relazioni di coppia potrebbe ad esempio dirsi “sono ridicolo, tutti ridono di me” e quindi agire in accordo con questa affermazione. Questo pensiero genera sentimenti di depressione e rinforza negativamente il comportamento evitante del paziente. Allo stesso modo funziona da stimolo discriminativo intraverbale e attraverso relazioni derivate è in grado di generare una catena di pensieri che assumono un ruolo debilitante per il funzionamento del paziente. I pensieri disfunzionali non sono affrontati con l’obiettivo di cambiarne contenuto, come avviene nella terapia cognitiva ma bensì in ottica contestualista agendo dunque sulla relazione che essi instaurano con il funzionamento del paziente. Lo sviluppo della CBA a partire dagli anni ’90 ha offerto quindi basi importanti alla nascita dei modelli di psicoterapia anche definiti di terza generazione (Acceptance and Commitment Therapy - ACT, Behavioral Activation, Behavioral Pediatrics, Dialectical Behavior Therapy - DBT, Functional Analytic Psychotherapy - FAP, Integrative Behavioral Couples Therapy, Traditional Behavioral Marital Therapy): • fornendo un inquadramento teorico univoco per il lavoro nella pratica clinica e offrendo un modello fortemente ancorato alla ricerca di base; • ponendo, a partire dalla considerazione che il comportamento problematico del paziente si manifesta proprio nel setting clinico, la relazione con il terapeuta come veicolo principale di cambiamento; • proponendo nuovi modelli di trattamento centrati su accettazione (e non sulla modifica del comportamento), su un atteggiamento non direttivo del terapeuta e focalizzati sulle emozioni (Hayes, 1987; Jacobson, 1992; Kohlenberg, Hayes e Tsai, 1993; Linehan, 1993); • espandendo il range di efficacia delle terapie comportamentali alla cura di problematiche che fino a prima non erano state affrontate con efficacia. Riprendendo l’interrogativo con cui abbiamo aperto l’articolo, alla luce di quanto esposto, possiamo dunque affermare che l’analisi del comportamento applicata alla clinica costituisca un approccio valido e scientificamente solido ai problemi normalmente riferiti dai pazienti nella pratica clinica ambulatoriale. Lo sviluppo delle terapie di terza generazione, che in essa sono fondate, ne costituisce l’esito più evidente e la conferma che il suo status possa considerarsi assolutamente autonomo e in alcun modo subordinato a interventi di natura cognitiva.

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F. Dell'Orco e F. Pozzi

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Uno degli aspetti caratteristici dello sviluppo dei modelli contestualisti funzionali, primo tra tutti l’ACT, è proprio la messa in discussione dei processi che nelle terapia cognitiva sono finalizzati alla modifica dei contenuti dei pensieri (decastrofizzazione, sdrammatizzazione, ristrutturazione cognitiva) di cui si parla nell’articolo citato in apertura. Il tentativo di modificare i pensieri sembra infatti inavvertitamente finire per rinforzare lo stesso contesto verbale che mantiene la funzione di quegli eventi. Il focus degli interventi ACT è dunque centrato sulla modifica del contesto in cui gli eventi interni si manifestano indebolendo in questo modo la funzione di controllo del comportamento da parte dei pensieri e delle emozioni. Anche l’idea espressa dall’autore che “gli esercizi di esposizione abbiano valore solo se discussi ed elaborati cognitivamente in seduta” desta qualche perplessità; meta analisi dimostrano infatti come l’esposizione accompagnata o meno da interventi di ristrutturazione cognitiva porti ai medesimi effetti (Feske e Chambless, 1995). Allo stesso tempo un consistente corpus di studi mette in luce come alcuni dei processi del modello ACT (accettazione, defusione e mindfulness) siano direttamente correlati a una riduzione dell’evitamento esperienziale (Hayes, Luoma, Bond, Masuda e Lillis, 2006) e che questo aumenti la disponibilità del soggetto verso l’esposizione alle situazioni temute (Levitt, Brown, Orsillo e Barlow, 2004). In conclusione dunque posta la possibilità di previsione e controllo di un dato fenomeno come l’obiettivo della psicologia scientifica, il ricorso a costrutti “cognitivi” per la spiegazione del comportamento sembra rivelarsi paradossalmente superfluo. Gli sviluppi più recenti delle terapie comportamentiste di matrice contestualista funzionale mettono in discussione l’efficacia di alcuni degli strumenti verbali delle terapie cognitive finalizzati alla manipolazione di pensieri o schemi disfunzionali. Tutto questo riteniamo ponga importanti interrogativi alla supposta necessità di “sottoporre il comportamentismo al paradigma dell’elaborazione mentale”.

Bibliografia Bandura, A. (1977). Self efficacy: Toward a unifying theory of behavior change. Psychological Review, 84, 191215. Catania, A.C., Matthews, B.A., & Shimoff, E. (1990). Properties of rule-governed behavior and their implications. In D.E. Blackman & H. Lejeune (Eds.), Behavior analysis in theory and practice: Contributions and controversies (pp. 215-230). Hove, England: Erlbaum. Dougher, M.J., & Hayes, S.C. (2000). Clinical behavior analysis. In M.J. Dougher (Ed.), Clinical Behavior Analysis (pp. 11-26). Reno, NV: Context Press. Feske, U., & Chambless, D.L. (1995). Cognitive behavioral versus exposure only treatment for social phobia: A meta-analysis. Behavior Therapy, 26, 695–720. Hayes, S.C. (1987). A contextual approach to therapeutic change. In N.S. Jacobson (Ed.), Psychotherapists in clinical practice: Cognitive and behavioral perspectives (pp. 327-387). New York: Guilford. Hayes, S.C., Kohlenberg, B.K., & Hayes, L.J. (1991). Transfer of consequential functions through simple and conditional equivalence classes. Journal of the Experimental Analysis of Behavior, 56, 119-137. Hayes, S.C., Luoma, J., Bond, F., Masuda, A., & Lillis, J. (2006). Acceptance and commitment therapy: Model, processes, and outcomes. Behaviour Research and Therapy, 44, 1–25. Hobbs, S., & Chiesa, M. (2011). The myth of “Cognitive Revolution”. European Journal of Behavior Analysis, 12 (2), 385-394. Jacobson, N.S. (1992). Behavioral couple therapy: A new beginning. Behavior Therapy, 23, 493-506.


Kohlenberg, R.J., Bolling, M., Kanter, J., & Parker, C. (2002). Clinical behavior analysis: Where it went wrong, how it was made good again, and why its future is so bright. Behavior Analyst Today, 3, 246-251. Kohlenberg, R.J., Hayes, S.C., & Tsai, M. (1993). Radical behavioral psychotherapy. Clinical Psychology Review, 13, 579-592. Kohlenberg, R.J., Tsai, M., & Dougher, M.J. (1993). The dimensions of clinical behavior analysis. The Behavior Analyst, 271-282. Levitt, J.T., Brown, T.A., Orsillo, S.M., & Barlow, D.H. (2004). The effects of acceptance versus suppression of emotion on subjective and psychophysiological response to carbon dioxide challenge in patients with panic disorder. Behavior Therapy, 35, 747–766. Linehan, M.M. (1993). Cognitive behavioral treatment of borderline personality disorder: The dialectics of effective treatment. New York: Guilford. Skinner, B.F. (1953). Science and human behavior. New York: The Free Press/Macmillan. Skinner, B.F. (1969). An operant analysis of problem solving. In B. F. Skinner, Contingencies of reinforcement: A theoretical analysis (pp. 133-171). New York: Appleton-Century-Crofts. Zettle, R.D., & Hayes, S.C. (1982). Rule-governed behavior: A potential theoretical framework for cognitivebehavioral therapy. In P. C. Kendall (Ed.), Advances in cognitive-behavioral research and therapy (Vol. 1, pp. 73-118). New York: Academic Press.

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Rubrica Dialoghi sull’analisi del comportamento

Giovambattista Presti Università IULM, Milano IESCUM - Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano, Parma Francesco Pozzi Università IULM, Milano IESCUM - Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano, Parma

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Riassunto M. Jackson Marr è Professore Emerito di Analisi del Comportamento al Georgia Institute of Technology ad Atlanta, Georgia (USA). In questa intervista, raccolta da Giovambattista Presti a una recente Annual Convention dell’Association for Behavior Ananlysis International, definisce con chiarezza le caratteristiche dell’Analisi del Comportamento e dei suoi rami applicativi.. Il video dell’intervista è disponibile sul sito www.iescum.org nella sezione Learning Center.

Per contattare l’autore scrivere a: Francesco Pozzi E-mail: pozzi.francesco@gmail.com


Professore, come definirebbe l’Analisi del Comportamento? L’analisi del comportamento è un ambito di studi che ha avuto inizio con il lavoro di B.F. Skinner e che si occupa principalmente del comportamento delle persone e di altri organismi. Si cerca di comprendere il comportamento sulla base delle condizioni attuali, della storia, e della relazione fra il comportamento stesso e le sue conseguenze. L’Analisi del Comportamento può dare risposte importanti agli uomini, può fare la differenza? Sì, è particolarmente importante perché cerca di comprendere il comportamento umano complesso, in particolare in ambiti come il comportamento verbale: parlare, scrivere e così via. È importante perché cerca di individuare sequenze comportamentali costanti che rappresentano la nostra personalità e molte altre caratteristiche specificamente umane. Infine è particolarmente importante nell’ambito applicativo, in cui cerca di affrontare e risolvere molti diversi problemi umani. Perché parla di “comportamento” e non piuttosto di “persone”? La “persona” è la “persona che si comporta” ed è proprio il comportamento che, in un certo senso, definisce una persona. E questa è una delle ragioni per cui concentriamo l’attenzione sulle azioni delle persone. L’Analisi del Comportamento è importante anche in ambito clinico? Senz’altro, è molto importante in ambito clinico. In qualche modo si può dire che l’analisi comportamentale applicata, che è parte dell’analisi del comportamento, ha avuto inizio proprio in ambito clinico, in particolare avendo a che fare con casi molto difficili come quelli di bambini e adulti con disabilità evolutive molto serie, di diverso tipo. Qual è l’importanza della ricerca di base? Come ogni altra disciplina applicata derivata dalla scienza, l’Analisi del Comportamento necessita di una base di principi che sono stati e vengono sviluppati studiando condizioni ben controllate, in laboratorio. L’analogia migliore che conosco è per esempio la relazione fra la fisica e l’ingegneria meccanica, o fra la biologia di base e la biochimica in medicina. Non potremmo pensare di avere questi ambiti applicativi senza una comprensione di base dei processi che sono coinvolti in questo tipo di eventi. L’analisi comportamentale applicata è una forma di ingegneria, e può essere applicata in molti diversi ambiti: educativi, aziendali, clinici e molti altri. Quanto è difficile diventare un analista del comportamento? Questo dipende naturalmente dall’attività che si svolge. Molti analisti del comportamento che lavorano in università e svolgono ricerca di base o applicata hanno un dottorato in questo campo. Molti di coloro che lavorano in ambito clinico hanno una laurea di secondo livello, ma anche molte persone con una laurea di primo livello possono svolgere dei compiti in settings comportamentali.

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Dialoghi sull'analisi del comportamento

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G. Presti e F. Pozzi

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Qual è il suo rapporto con l’Italia? L’Italia è uno dei posti che preferisco. Ci sono stato molte volte, ad esempio per seguire congressi in Sicilia, a Palermo, ma anche a Venezia, a Milano e ultimamente in Sardegna. È molto bello vedere così tanto impegno nello sviluppo dell’analisi del comportamento in questo Paese. Mi aspetto un grande futuro.


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