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Il popolo curdo, dalle sue origini all’attualità geopolitica /Medio Oriente

IL POPOLO CURDO, DALLE SUE ORIGINI ALL’ATTUALITÀ GEOPOLITICA

di Mouhamed Cissé

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Per avere una pertinente chiave di lettura del coinvolgimento del popolo curdo nella crisi che scuote la parte settentrionale dell’Iraq, la Siria e la Turchia, è necessario partire dalla conoscenza storica di questo popolo. In effetti dalla folgorante offensiva dell’ISIS (Islamic State of Iraq and Siria) nel nord dell’Iraq, la questione curda è più che mai di attualità.

Gli storici (1) si accordano generalmente ad attribuire ai curdi un’appartenenza al ramo iraniano della grande famiglia del popolo indoeuropeo. Tra il 1169 e il 1250 una dinastia curda, fondata dal famoso Saladino, emerge ed assume la leadership del mondo musulmano per circa un secolo fino all’invasione turco-mongola del XIII secolo. L’impero di Saladino comprendeva oltre la quasi totalità del Kurdistan (2), tutta la Siria, l’Egitto e lo Yemen.

Nella seconda metà del XV secolo il Kurdistan inizia a riprendersi dall’effetto delle invasioni turco-mongole e ad assumere la forma di un’entità autonoma, unita dalla sua lingua, la sua cultura e la sua civilizzazione ma politicamente frammentata in una serie di principati.

Già all’inizio del XVI secolo, il Kurdistan diventava una questione centrale delle rivalità tra l’Impero ottomano e la Persia. Da un lato, il nuovo Scià della Persia che ha imposto lo sciismo come religione di Stato cerca di espanderlo ai suoi vicini. Dall’altro lato, gli ottomani vogliono bloccare la politica espansionista dello Scià, rafforzare le loro frontiere con l’Iran per poter lanciarsi nella conquista dei paesi arabi. Preso tra i due giganti, il popolo curdo politicamente frammentato non aveva nessuna chance di sopravvivere come entità indipendente.

Posto davanti alla scelta di essere un giorno o l’altro annesso dalla Persia o accettare formalmente la supremazia del Sultano ottomano in cambio di una larghissima autonomia, i dirigenti curdi optarono per la seconda soluzione. Pertanto il Kurdistan o più esattamente i numerosi feudi e principati entrarono sotto la protezione ottomana attraverso la via della diplomazia. Questo statuto particolare assicurò al Kurdistan quasi tre secoli di pace (fino all’inizio del XIX secolo). In effetti, gli ottomani, protetti dalla possente barriera curda di fronte all’Iran potevano concentrare le loro forze su altri fronti. Rimane in ogni caso il fatto che ogni principe era più preoccupato ad occuparsi degli interessi della sua dinastia, per cui le dinamiche familiari e del clan prevalsero spesso su tutte le altre considerazioni. Perciò decisero di sollevarsi tentando di creare un Kurdistan unificato solo quando all’inizio del XIX secolo l’impero ottomano si ingerì nei loro affari e cercò di porre fine alla loro autonomia.

Dal 1847 al 1881, si susseguirono numerose insurrezione guidate da capi tradizionali, sovente religiosi, per la creazione di uno Stato curdo, insurrezioni che durarono fino alla prima guerra mondiale. Dopo aver annesso uno dopo l’altro i principati curdi, il potere turco s’impegnò ad integrare l’aristocrazia curda dando generosamente loro dei posti di prestigio. La società curda affrontò la prima guerra mondiale divisa, decapitata e senza un progetto collettivo per il suo futuro. Nel 1915, gli accordi franco-britannici detti Sykes-Picot 3 previdero lo smembramento del loro stato. I curdi erano già in conflitto sul futuro della loro nazione: da un lato, alcuni, molto permeabili all’ideologia “pan-islamica” del sultano-califfo, vedevano la loro salvezza nello statuto di autonomia culturale e amministrativa nel quadro dell’impero ottomano. Dall’altro lato, gli altri propendevano per il principio delle nazionalità, combattendo per l’indipendenza totale del Kurdistan.

La scissione si accentuò nel 1918 all’indomani della sconfitta ottomana di fronte alle potenze alleate. Gli indipendentisti formarono una delegazione per andare alla conferenza di Versailles per presentare le loro rivendicazioni per una nazione curda. La loro azione contribuì alla presa in considerazione per la prima volta, da parte della comunità internazionale, del fatto nazionale curdo. Sebbene il Trattato di Sèvres, concluso il 10 agosto 1920, tra gli alleati tra cui la Francia, gli Stati Uniti e l’impero ottomano raccomandasse alla sezione III (art. 62-64) la creazione su una parte del territorio del Kurdistan di uno Stato curdo, questo trattato non fu mai implementato. L’ala tradizionale del movimento curdo dominato dai capi religiosi siglò un’alleanza con il capo nazionalista turco Mustafa Kemal venuto in Kurdistan a cercare aiuto presso i capi curdi per liberare l’Anatolia occupata. Già a quell’epoca la potenza militare curda era sollecitata tant’è che le prime forze della guerra d’indipendenza della Turchia provenivano di fatto dalle province curde. Fino alla vittoria definitiva sui greci nel 1922, Mustafa Kemal non cessò di promettere la creazione di uno Stato musulmano dei turchi e dei curdi. Il 24 luglio 1923, un nuovo trattato venne firmato tra il governo kemalista d’Ankara e le potenze alleate, annullando il Trattato di Sèvres. Senza apportare nessuna garanzia alla causa dei diritti dei curdi, si consacrava l’annessione della maggior parte del Kurdistan al nuovo stato turco.

Per ciò che riguarda la questione della provincia curda di Mossul ricchissima di petrolio, Turchi e britannici la rivendicavano mentre la sua popolazione durante una consultazione organizzata dalla Società delle Nazioni si era pronunciata con una proporzione del 7/8 a favore di uno Stato curdo indipendente. Argomentando che lo Stato Iracheno non sarebbe sopravvissuto senza le ricchezze agricole e petrolifere di questa provincia, la Gran Bretagna finì per ottenere il 16 dicembre 1925 dal Consiglio della Società delle Nazioni l’annessione di questi territori curdi all’Iraq che a quel tempo era sotto il suo mandato.

Con gli sfollamenti conseguenti alle guerre (prima e seconda guerra mondiale), i problemi di apolidia diventarono di attualità (4). Già dal 1925 il paese dei curdi, conosciuto dal XII secolo sotto il nome di Kurdistan si trovava diviso tra 4 Stati: Turchia, Iran, Iraq e Siria. I curdi sono oggi il più grande popolo apolide del mondo.

A conferma che spesso la storia si ripete, nel contesto dell’offensiva dell’ISIS, dopo le prime sconfitte nelle montagne Sinjar e nella piana di Mossul, le truppe curde, appoggiate dai bombardamenti aerei americani e attraverso l’approvvigionamento di armi da parte degli Stati Uniti e dell’Europa (Francia, Regno-Unito, Germania, Italia e Repubblica Ceca) i curdi hanno conquistato dei territori persi, come la diga di Mossul e la città d’Amerli.

Come nel passato il loro ruolo rimane fondamentale nella strategia militare delle grandi potenze in gioco. Se nel passato servirono da zona cuscinetto tra l’impero ottomano e persiano oggigiorno la situazione è più complessa.

Intanto, oltre alla loro divisione geografica in quattro paesi, i curdi sono divisi anche da un punto di vista religioso. La maggior parte dei curdi è musulmana sunnita (80%). Il resto della popolazione di confessione musulmana si divide tra lo sciismo e l’alevismo. In Iran, 2/3 seguono il rito sunnito. Questi ultimi rappresentano quindi una doppia minoranza: etnica e religiosa, ciò che fa di loro dei bersagli di persecuzioni continue nella Repubblica islamica dell’Iran. I curdi cristiani si dividono tra cattolici, assiri, chaldeani, e siriaci. La divisione geografica, culturale e religiosa oltre che la mancanza di una visione politica comune del loro futuro fa del popolo curdo un bersaglio permanente di Stati sotto le cui regole i primi sono costretti a sottostare. Il punto comune sono le persecuzioni che subiscono anche se esse sono di diversa natura da paese a paese.

Un sentimento nazionale si è rinforzato per via delle persecuzioni e le repressioni subite: interdizione della pratica della loro lingua (5), interdizione di una libera pratica delle religioni (6) e della loro cultura (7), impossibilità di godimento del diritto di associazione e di formare un partito politico, un’arabizzazione dei loro villaggi, la creazione di una cintura di popolazione non curda per frammentarli, deportazione, prigionia.

Nell’ Iraq di Saddam Hussein, nel 1988, approfittando di un cessate il fuoco con l’Iran, quest’ultimo decise di colpire duramente i curdi d’Iraq. L’attacco contro la città d’Halabja, nel Kurdistan iracheno, caduta il 15 febbraio 1988 nelle mani dei peshmerga, fu condotto dai MIG e Mirage dell’esercito iracheno. Gli aerei lanciarono dei gas chimici. Il bilancio fu di 5.000 morti. Ali Hassan al-Majid, a capo della missione militare, fu accusato di genocidio e condannato a morte e giustiziato.

A quel tempo però l’occidente era amico dell’Iraq contro il nemico Iran e si rese coresponsabile del massacro, avendo fornito all’Iraq come nel caso della Francia la sua flotta aerea per rispondere ai bisogni dell’esercito iracheno.

In quell’occasione il principio della “Responsability to protect” della comunità internazionale doveva prevalere sugli interessi strategici ed egoistici delle potenze. Nel suo rapporto (8), l’ufficio dello Special Adviser sulla Prevenzione del Genocidio dichiara che il dovere di prevenire e bloccare il genocidio e le atrocità di massa riguarda prima i singoli Stati nei quali i cittadini si trovano, ma che allo stesso tempo la comunità internazionale ha un ruolo che non può essere fermato dall’invocazione della sovranità nazionale da parte dello Stato in questione. I tre pilastri della responsabilità di proteggere cosi come riportati nel rapporto del 2005 del Summit internazionale delle Nazioni Unite sono:

1) che lo Stato detiene la prima responsabilità;

2) che la comunità internazionale ha la responsabilità di incoraggiare e assistere gli Stati ;

3) che la comunità internazionale ha la responsabilità di usare i mezzi diplomatici, umanitari e altri mezzi per la protezione della popolazione in conformità con il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (9).

Il principio della responsabilità di proteggere non è altro che la messa in pratica del primo articolo della Carta delle Nazioni Unite (10). I primi interventi di protezione delle popolazioni della comunità internazionale si sono effettuati attraverso la cosiddetta “assistenza umanitaria” (11).

Le giurisdizioni internazionali possono essere sollecitate nei casi di crimini gravi. Nel 2013 delle vittime di quell’attacco chimico contro i curdi d’Iraq hanno depositato una denuncia contro ignoti in vista di aprire delle indagini per complicità in un crimine contro l’umanità in Kurdistan. La denuncia riguarda due società francesi e i loro dirigenti, sospettati di aver esportato in Iraq delle attrezzature per la produzione del gas chimico.

Dal 1991 al 2003, il Kurdistan iracheno, protetto dalla copertura aerea garantita dalle Nazioni Unite, ha goduto di una quasi-indipendenza di fatto. Con la nuova costituzione del 2005, i curdi iracheni hanno ottenuto lo status di una larga autonomia nello Stato federale. Mentre il caos regna in tutto il resto del paese, il Kurdistan iracheno con Erbil come capitale, è una zona prospera che gode di una relativa eccezionale stabilità. Secondo il Ministero della pianificazione e dell’organizzazione mondiale della migrazione (OIM), il 47 % dei 2 milioni d’iracheni sfollati sono stati accolti nel Kurdistan Iracheno (12). Secondo Jacqueline Badcock, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, il partenariato tra il governo iracheno, il governo regionale curdo e la comunità internazionale è fondamentale (13). E quindi il governo regionale curdo nonostante il suo status di autonomia è considerato dalla comunità internazionale come un soggetto giuridico internazionale quasi alla pari di uno Stato che sviluppa il proprio canale diplomatico e i suoi partenariati con le ONG. Dal 1980 il Comitato Internazionale della Croce Rossa promuove il rispetto del diritto internazionale umanitario in Iraq con l’esercito iracheno, le forze peshmergas e le forza di sicurezza del Kurdistan. Il Governo Regionale Curdo è considerato dagli altri come un esempio che dimostra come la soluzione migliore non sia per forza l’indipendenza ma che sia sufficiente un’autonomia effettiva di ogni minoranza nel quadro degli quattro Stati esistenti in vista di un’unione futura.

L’evoluzione della situazione in Siria è molto simile in quanto i curdi , molto meno numerosi che in Iraq, hanno colto l’occasione del caos della guerra per stabilire tre zone autonome nel Nord-Est della Siria con l’accordo tacito di Bashar El-Assad che ha ritirato il suo esercito senza combattere per inviarlo nei fronti più urgenti. Sono i combattenti del Partito dell’Unione Democratica (PYD) che controllano queste regioni . Questo partito è l’ala siriana del partito dei lavoratori del Kurdistan (il famoso PKK: Partiya Karkerên Kurdistan) soprattutto influente tra i curdi della Turchia e diretto fino al suo arresto da Abdullah Ocalan. Questo legame preoccupa molto la Turchia e gli occidentali.

Infatti, il PKK è classificato come organizzazione terrorista dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, e possiede delle ramificazioni in ogni “Kurdistan”: in Siria con il Partito dell’unione democratico (PYD), in Iran con il partito per una via libera al Kurdistan (PJAK) e in Iraq con il PCKD.

In trent’ anni, più di 45.000 persone sono morte nel conflitto che oppone lo Stato turco ai ribelli curdi del PKK.

La Turchia è stata condannata più volte per le sue violazioni dei diritti umani fondamentali nei confronti del popolo curdo come ad esempio per detenzione arbitraria (14), per l’uso eccesivo della forza e per l’assenza di inchieste (nei confronti dei curdi) (15), per aver praticato delle torture, stupro e trattamenti disumani e degradanti (16). L’ONG CETIM ha fatto una denuncia importante elencando le varie violazioni subite dal popolo curdo in Turchia (17).

Se le giurisdizioni europee condannano la Turchia per le violazioni elencate sopra, ciò rimane riduttivo rispetto alle condanne che potrebbe subire se invece di definire i membri del PKK dei terroristi, venissero definiti combattenti ai sensi del diritto internazionale umanitario. In effetti, secondo il diritto internazionale umanitario, le convenzioni di Ginevra si applicano solo nei casi di conflitti armati internazionali e conflitti armati non internazionali (18) escludendo le ribellioni interne e gli atti di terrorismo che nel caso specifico della Turchia riguarderebbero dei ribelli “nazionali“ turchi e quindi una faccenda interna (19).

Secondo Widad Akrawi, nella sua conferenza stampa intitolata: “The kurds and international Agreements” (20), rifiutarsi di definire il conflitto tra il governo turco e la minoranza curda del PKK un conflitto armato non internazionale porta a non assicurare un’adeguata protezione dei civili e un maggiore rispetto della condotta delle ostilità, evitando delle condanne proprio per tale condotta delle ostilità secondo il diritto internazionale umanitario. Lottare per questo riconoscimento dovrebbe essere il cavallo di battaglia di Amnesty internazionale.

Non è più surreale parlare di un Kurdistan unificato.

Paradossalmente, la situazione attuale di conflitto generalizzato e di avanzata dell’ISIS può essere considerata come un’opportunità per i curdi di unirsi con l’indebolimento dell’Iraq e la guerra civile in Siria. Secondo Kendal Nezan, il direttore dell’Istituto curdo di Parigi, “è un momento critico, se la guerra civile tra sunniti e sciiti in Iraq persiste, i curdi non avranno altra scelta che sottrassi a questa situazione”. Ciò significa proclamare l’indipendenza de iure dopo averlo stabilito de facto. Rimane il fatto che le strategie politiche tra i vari gruppi curdi sono diverse, come le ambizioni e i rispettivi problemi. In Siria ci sono 17 partiti politici, altri in Iraq, in Siria e in Iran. Il PDK di Barzani (presidente del Governo Regionale del Kurdistan Iracheno) ha dei buoni rapporti con Recep Tayyip Erdogan mentre il PKK è in guerra totale con Ankara. L’UPK è vicino all’Iran. La lotta contro le violazioni che le loro popolazioni subiscono rimane quindi il loro solo punto comune.

(1) - Per grande parte del contesto storico, ref. Kendal Nezan, Presidente dell’Istituto curdo di Parigi in, "Un aperçu de l’histoire des kurde", 2014.

(2) - Se il termine Kurdistan – letteralmente “paese dei curdi” è regolarmente impiegato, il Kurdistan in quanto Stato unificato alle frontiere internazionalmente riconosciuto non esiste.

(3) - http://www.europe-solidaire.org/IMG/article_PDF/article_a30786.pdf

(4) - http://legal.un.org/avl/pdf/ha/cssp/cssp_f.pdf

(5) - http://www.institutkurde.org/info/depeches/cedh-condamnation-de-la-turquie-concernant-la-langue-kurde-4218.html

(6) - «Affaire Cumhuriyetçi Eğitim Ve Kültür Merkezi Vakfi c. Turquie]» (requête n°32093/10), Cour européenne des Droits de l’homme, 2 décembre 2014.

(7) - https://aledh.files.wordpress.com/2008/01/memoire-christelle-hebert.pdf

(8) - Secretary general’s 2009 Report (A/63/677) on Implementing the Responsability to Protect; Outcome Document of the 2005 united Nations World Summit (A/RES/60/1, para. 138-140)

(9) - Carta delle Nazioni Unite, Capitolo VII

(10) - Articolo 1.1 della carta delle Nazioni Unite: I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace

(11) - http://files.studiperlapace.it/spp_zfiles/docs/arienti.pdf, p.16

(14) Aksoy contro Turchia , CrEDH, 18 dicembre 1996, §65-87. Art.5par.3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

(15) Gulec c. Turchia , 27 luglio 1998, §§63-83. Violazione dell’art.2 della convenzione.

(16) Aydin c. Turchia, CrEDH , 25 settembre 1997, §§ 62-88. Violazione dell’art.3 della Convenzione.

(17) http://www.cetim.ch/fr/interventions_details_print.php?iid=141

(18) https://w ww.icrc.org/fre/assets/files/other/opinion-paper-armed-conflict-fre.pdf

(19) Art. 2 e 3 comuni alle quattro convenzioni di Ginevra del 1949 e art. 1 del protocollo aggiuntivo alle 4 convenzioni di Ginevra del 1949.

(20) - Widad Akrawi: The Kurds and International Agreements, Press Conference, Brussels, June2.2008.

Foto - kurdistan stone houses - © jan Sefti - https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0/

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