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Mudawi, l’uomo che non smette di sfidare il governo /Inserto speciale "Il Coraggio delle proprie idee"

MUDAWI, L’UOMO CHE NON SMETTE DI SFIDARE IL GOVERNO

di Martina Costa

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Quella di Mudawi Ibrahim Adam è la storia di un dottore, attivista e noto difensore dei diritti umani, che opera in Sudan e in particolare nella regione del Darfur. È possibile concludere oggi la storia di Mudawi con un lieto fine. E sebbene sia inusuale cominciare un racconto dalla fine, per quella di Mudawi vale proprio la pena fare un’eccezione.

Arrestato nel dicembre del 2016, il 29 agosto 2017 Mudawi è stato rilasciato dal governo sudanese e le accuse a lui rivolte sono cadute. Oggi continua a lottare al fine di abrogare tutte le leggi che consentono la detenzione arbitraria e che vietano la libertà di espressione, la libertà di stampa e le dimostrazioni pacifiche.

Ma facciamo un passo indietro. Il dottor Mudawi, nato nel 1956 in Sudan, oggi padre di quattro figli, è un ingegnere meccanico, professore all’Università di Khartoum dal 1982. Parallelamente a questo lavoro, ha fondato l’Organizzazione per lo Sviluppo Sociale in Sudan (SUDO), un’organizzazione di volontariato creata al fine di promuovere la tutela dei diritti umani e uno sviluppo ambientale sostenibile, attraverso la riqualificazione delle acque, della salute e della sanità. L’organizzazione intende inoltre porre fine ai conflitti che ormai dal 2003 dilaniano il territorio.

Le dinamiche sociali del Sudan si inseriscono in un contesto storico-politico complesso. Il Sudan copre un territorio vasto e con una popolazione di quasi trenta milioni di persone originarie da diverse etnie, la sua composizione è quanto mai frammentata. La fragile politica interna ha inoltre condotto il paese a un controllo esterno sempre più marcato, il che non ha permesso il completamento del processo di unificazione. Il conflitto armato in Darfur, che va avanti ormai da 14 anni, non si presta a terminare: attacchi via terra e i raid aerei continuano a distruggere interi villaggi. Stupri, uccisioni illegali di uomini, donne e bambini e attacchi chimici da parte dalle forze governative sudanesi, continuano ad alimentare un conflitto in netta violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.

Uno degli obiettivi di Mudawi era anche quello di portare all’attenzione mondiale lo stato di abusi e di violazione dei diritti umani presenti nel Paese. Ha criticato il governo, rischiando la sua stessa vita, lottando costantemente per la pace.

Per il lavoro svolto, nel 2005 ha ottenuto due premi: Front Line Award for Human Rights Defenders at Risk e Human Rights First Award.

Mentre a livello internazionale il suo lavoro veniva riconosciuto e appoggiato - nel 2007 prese anche parte alla Conferenza mondiale dei dissidenti a Praga - nel suo paese, l’abilità di lavorare con persone di diversa etnia, il suo incrollabile impegno per la verità e giustizia, la sua credibilità internazionale sono stati viste come qualità pericolose. Per questo le autorità del Sudan perseguitano Mudawi da 14 anni. Il primo mandato di arresto risale infatti al 2003, quando, con l’accusa di crimini contro lo Stato, viene detenuto per circa otto mesi; e poi ancora nel 2005 e nel 2011 per un totale di tre mesi, molti dei quali in isolamento.

Nel 2009 il governo sudanese ordinò la chiusura di SUDO e gli uffici vennero presi sotto il controllo del NISS (National Intelligence and Security Service), i servizi segreti sudanesi. La decisione arriva il giorno dopo la condanna della Corte Penale Internazionale, che incriminava il Presidente Omar al-Bashir per crimini contro l’umanità in Darfur. Tredici organizzazioni internazionali operanti in Sudan vennero chiuse e diversi attivisti espulsi o arrestati. L’ultimo mandato arriva il 7 dicembre 2016, quando Mudawi è stato arrestato insieme al suo autista, Adam El-Sheikh Mukhtar, all’università di Khartoum. L’arresto arbitrario ha coinvolto anche altri individui, anche loro accusati di minare il sistema costituzionale del Paese e di intraprendere una campagna militare contro lo Stato, entrambe le accuse punibili con la pena di morte. Molti di questi difensori sono stati sottoposti a torture, maltrattamenti oltre che a una detenzione arbitraria prolungata. Inoltre la detenzione è avvenuta in isolamento e in località sconosciute, senza la possibilità di ricevere visite o cure mediche.

Diverse organizzazioni internazionali hanno richiesto il rilascio dei difensori dei diritti umani. Tra le tante, anche Amnesty International (1) ha lottato per il rilascio di Mudawi e dei suoi compagni.

Secondo quanto emerge da un Rapporto di AI, la libertà di espressione e di associazione è fortemente mitigata. (2)

In questo contesto, arresti arbitrari e restrizioni della libertà personale, sono i mezzi più efficaci per un governo che intende reprimere il dissenso. Il Niss ha impedito a diverse associazioni e partiti di opposizione di organizzare attività pubbliche.

In un contesto in cui il dissenso non è ammesso, i protagonisti di questa repressione non possono che essere membri dei partiti politici d’opposizione, difensori dei diritti umani, studenti e attivisti politici.

Possiamo dire con certezza che il sistema sudanese è stato caratterizzato per decenni dalla sistematica violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. La tendenza generale delle autorità è quella di restringere la libertà di associazione ed espressione, attraverso il controllo, l’intimidazione e interferendo nelle organizzazioni della società civile, censurando i media indipendenti.

Le forze di sicurezza anche hanno usato metodi letali (come dimostra un Rapporto di AI) (3) per disperdere le proteste. Uso eccessivo della forza, arresti arbitrari, limitazione della libertà di espressione e associazione, sono aggravati poi dal mancato accertamento delle responsabilità. Il governo si è premurato di garantire una certa immunità per i crimini commessi dalle forze di sicurezza.

Il Sudan continua a mantenere quelle forze paramilitari abusive, come il National Intelligence and Security Service o le Rapid Support Forces, che legittimano l’uso eccessivo della forza e gli arresti arbitrari dal National Security Act del 2010. Inoltre il governo sudanese non ha reso conformi al diritto internazionale le sue riforme legislative e in particolare quelle riguardanti la sicurezza. (4)

Il 29 agosto del 2017, inseguito al perdono del Presidente Omar al- Bashir, Mudawi è stato rilasciato insieme a Hafiz Idris, Tasneem Taha Zaki, Abdelmukhles Yousef Ali, Abdelhakim Noor e Mubarak Adam Abdullah.

Gli sforzi del governo sudanese di costruire un caso penale contro Mudawi la dice lunga sulla loro necessità di metterlo a tacere ma lui non si arrende ed anzi afferma (5): “Bisogna resistere e persistere, bisogna continuare a lottare insieme alle comunità per cui si lavora”.

(1) - https://www.amnesty.org/en/latest/news/2017/06/sudan-end-the-miscarriageof-justice-against-dr-mudawi-and-his-colleague/

(2) - https://www.amnesty.org/en/documents/afr54/101/2004/en/

(3) - https://www.amnesty.org/en/documents/afr54/4877/2016/en/

(4) - https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017/africa/ sudan/

(5) - https://medium.com/@RadioBullets/sotto-tiro-dottor-mudawi-la-voce-che-nonsentirete-6f11e39444c7

Dr. Mudawi Ibrahin Adam - Sudan

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