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Una risoluzione esemplare del parlamento europeo sui difensori dei diritti umani dell’Azerbaijan /Inserto speciale "Il Coraggio delle proprie idee"

UNA RISOLUZIONE ESEMPLARE DEL PARLAMENTO EUROPEO SUI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI DELL’AZERBAIJAN

di Giuseppe Provenza

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Il 15 giugno 2017 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione sul caso del giornalista e difensore dei diritti umani azero Afgan Mukhtarli, risoluzione che appare particolarmente importante poiché in essa si fa riferimento anche ad altri difensori dei diritti umani azeri, a favore di alcuni dei quali è intervenuta anche Amnesty International, come nei casi di Leyla e Arif Yunus, di Kadija Ismayilova, di Giyas Ibrahimov e di Bayram Mammadov e che, pertanto, suona come una severa condanna del regime azero che, come è ben noto, mantiene in carcere e persegue con processi iniqui chiunque, soprattutto giornalisti, sia critico nei suoi confronti e accusi il governo di corruzione.

Nella risoluzione viene riportato che Afgan Mukhtarli, giornalista investigativo azero in esilio, che lavora per diversi organi di stampa indipendenti, tra cui Radio Free Europe/Radio Liberty, si era trasferito a Tbilisi (capitale della Georgia) nel 2015, da dove era scomparso il 29 maggio 2017 per poi essere ritrovato qualche ora più tardi a Baku (capitale dell’Azerbaijan).

Sempre nella risoluzione viene riferito che, secondo il suo avvocato, Afgan Mukhtarli era stato fermato, spinto in un’automobile, percosso e condotto alla frontiera azera, dove gli sarebbe stata messa addosso a sua insaputa una somma pari a 10.000 EURO, da uomini non identificati, che presumibilmente indossavano la divisa della polizia criminale georgiana. Il Parlamento Europeo nella risoluzione ha quindi “condannato fermamente” il sequestro di Afgan Mukhtarli a Tbilisi e la sua successiva detenzione arbitraria a Baku, ritenendo che si sia compiuta una “grave violazione dei diritti umani”.

Nella risoluzione viene quindi condannato “fermamente il procedimento giudiziario basato su false accuse a carico di Afgan Mukhtarli” e si ribadisce “che tale persecuzione si basa sulla sua attività di giornalista indipendente” e viene chiesto alle autorità azere “di ritirare immediatamente e incondizionatamente tutte le accuse contro Afgan Mukhtarli e di rilasciarlo” insieme a “tutti i prigionieri politici, compresi giornalisti, attivisti per i diritti umani e altri attivisti della società civile, tra cui Afgan Mukhtarli, Ilkin Rustamzadeh, Rashad Ramazanov, Seymur Hazi, Giyas Ibrahimov (1), Mehman Huseynov, Bayram Mammadov, Ilgar Mammadov, Araz Guliyev, Tofig Hasanli, Ilgiz Qahramanov, Afgan Sadygov”, nonché “il ritiro di tutte le accuse nei loro confronti e il pieno ripristino dei loro diritti politici e civili, anche per quanto concerne i prigionieri politici precedentemente detenuti e poi rilasciati, tra cui Intigam Aliyev (2) e Khadija Ismayilova” (3), e di “interrompere l’attuale persecuzione di Leyla e Arif Yunus” (4) due difensori dei diritti umani ben noti agli attivisti di Amnesty International Italia per essere stati graditi ospiti dell’Assemblea Generale del 2017 tenutasi a Palermo.

Nei riguardi di questi ultimi, peraltro, nella risoluzione viene ricordato che il 17 maggio 2017 la Corte d’Appello di Baku ne ha disposto il rientro in Azerbaijan dai Paesi Bassi, dove i due coniugi hanno ricevuto asilo politico, richiamando “l’attenzione di Interpol su questo caso in quanto politicamente motivato”.

Oltre che sul caso di Afgan Mukhtarli, già delineato nella risoluzione del Parlamento Europeo, e su quello dei coniugi Yunus, già noto agli attivisti italiani, sembra opportuno soffermarsi sul caso, davvero esemplare, di Khadija Ismayilova, tipico caso di persecuzione di giornalista che abbia denunciato il governo del proprio paese, non soltanto perché non rispettoso dei diritti umani, primi fra tutti i diritti alla libertà di espressione e alla libertà di stampa, ma anche per averne denunciato la corruzione.

Dai microfoni di Radio Free Europe/Radio Liberty, infatti, fin dal 2010 denunziava i rapporti di affari occulti ed i possedimenti all’estero dell’intera famiglia del presidente Ilham Aliev, mentre rendeva pubblici gli elenchi dei prigionieri politici dell’Azerbaijan.

Khadija fu arrestata il 5 dicembre 2014 per evasione fiscale, appropriazione indebita ed attività illegale, nonché con l’accusa di istigazione al suicidio di un collega (su denuncia di quest’ultimo che aveva in seguito ritirato la denuncia) e condannata il 1° settembre 2015 a sette anni e mezzo di reclusione per tutte le accuse, tranne che per quella di istigazione al suicidio. La condanna fu confermata in appello il 25 novembre 2015.

Il 25 maggio 2016 Khadija è stata rilasciata dalla Corte Suprema dell’Azerbaijan che ha anche ridotto la pena a tre anni e mezzo con la sospensione.

Prima del ricorso a queste accuse del tutto infondate e quindi al conseguente procedimento penale ed al carcere, si era tentato di intimorirla nel marzo del 2012 con un ricatto a sfondo sessuale.

Le erano state recapitate delle immagini tratte da un filmato realizzato piazzando una videocamera nella sua camera da letto.

Le immagini mostravano suoi momenti intimi con il fidanzato ed erano accompagnate da una lettera con cui si minacciava la pubblicazione del filmato, qualora essa non avesse desistito dalla sua attività giornalistica.

La Ismayilova rifiutò pubblicamente di cedere al ricatto ed il filmato venne pubblicato su un sito internet.

Per la persecuzione subita, prima con il ricatto e poi a livello giudiziario, e quindi con il carcere, Khadija ha ricevuto il sostegno sia a livello politico internazionale, e in particolare dall’Unione Europea, che ora l’ha anche citata nella risoluzione del 15 giugno 2017, dal Presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, dal Commissario Europeo per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, sia da importanti organizzazioni internazionali non governative come Amnesty International, Reporters Without Borders, Human Rights Watch, Freedom House.

Contro il procedimento penale e l’arresto in custodia cautelare prima della condanna, Khadija ha presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

A gennaio del 2016, la nota avvocata Amal Alamuddin, moglie dell’attore George Clooney, ha annunciato che assumerà la difesa di Khadija in questo ricorso. Quest’ultima ha accettato.

(1) - Appello di Amnesty International Italia n. 146 dell’8/12/2016

(2) - Appello di Amnesty International Italia del 16/02/2016

(3) - Appello di Amnesty International Italia n. 50 del 22/04/2016

(4) - Appello di Amnesty International Italia n. 24 del 02/03/2016

La giornalista investigativa Khadija Ismayilova - Azerbaijan

Manifestazioni delle opposizioni in Azerbaijan (Ph.: VOA)

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