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Libia, un paese nel caos

LIBIA, UN PAESE NEL CAOS

di Martina Manzari e Refka Znaidi

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La Libia è nel caos dallo scoppio della primavera araba nel 2010 e dalla caduta del dittatore Gheddafi nel 2011. I tentativi di costruire uno stato democratico dopo la rivoluzione si sono tramutati in una guerra civile tra governi rivali nel 2014. I gruppi armati, compresi gli estremisti come Daesh, sono proliferati e il Paese senza legge è diventato un principale punto di transito per le persone provenienti da tutta l’Africa che vogliono raggiungere l’Europa.

Dal 2014 i combattimenti sono stati principalmente tra centri rivali di potere politico nella Libia orientale e occidentale: l’amministrazione di Tripoli, nota come Governo di Accordo Nazionale (GNA), guidata da Sarraj, e l’amministrazione di Tobruk. Sebbene il GNA sia stato ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite come governo legittimo della Libia, aveva poco potere sul campo e alcuni diffidavano della sua politica considerata sotto determinati aspetti estremista.

Negli ultimi anni le potenze straniere sono sempre più intervenute nella guerra civile in Libia per difendere i propri interessi geopolitici ed economici. Il GNA è stato sostenuto dall’ONU e dai paesi occidentali, ma i suoi principali alleati erano Turchia, Qatar e Italia. Il LNA (Libyan National Army) godeva del sostegno di Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e, in misura minore, Francia e Giordania.

Le parti straniere hanno inondato la Libia di armi e droni, ignorando l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite. La Russia ha inviato mercenari a fianco del LNA, anche la Turchia non si è astenuta nel supportare i combattimenti.

Dopo diversi tentativi di ristabilizzazione si è raggiunta, finalmente a Febbraio 2021, una tregua con l’insediamento di un Governo di Unità Nazionale che dovrà guidare il paese fino alle elezioni di Dicembre.

L’instabilità politica e economica della Libia ha causato danni irreversibili ai civili. Secondo le Nazioni Unite, più di 200mila persone sono sfollate e 1,3milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria. I numeri delle vittime sono altamente politicizzati e difficili da verificare.

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) stima che ci siano anche circa 636 mila migranti e rifugiati nel Paese. Alcuni sono detenuti in centri di detenzione gestiti dal governo e da gruppi armati.

A ottobre 2021 le violazioni commesse all’interno dei centri di detenzioni sono state confermate dal rapporto delle Nazioni Unite “Libya: Evidence crimes against humanity and war crimes committed since 2016” (1) che denuncia la complicità del governo libico in crimini contro l’umanità. La pubblicazione di questo rapporto è l’ennesima prova di quello che Amnesty International e centinaia di altre ONG sostengono da tempo: la Libia non è un paese sicuro. È per questo che il principio di non respingimento dovrebbe essere applicato dai paesi europei per evitare di diventare complici delle torture, stupri e detenzioni arbitrarie che i migranti respinti subiscono in Libia.

Eppure, la collaborazione con la “Guardia Costiera Libica” (LGC) va in tutt’altra direzione. Dal 2017 al 2020 il nostro paese ha speso 22.1 milioni di euro per finanziare la LGC, la quale ha comprovate

responsabilità nella morte di migranti in mare oltre che essere stata filmata mentre utilizza armi contro i migranti stessi e contro le organizzazioni di salvataggio presenti nel Mediterraneo. Nonostante la mobilitazione nazionale contro tali accordi, a Luglio di quest’anno il Parlamento Italiano ha rinnovato il suo impegno a supportare la LGC.

Amnesty International con tutti i suoi attivisti continuerà a chiedere alle autorità italiane la sospensione della collaborazione con le autorità libiche se queste non garantiranno la protezione dei diritti umani di persone migranti e rifugiate. Allo stesso tempo, Amnesty si batte per l’evacuazione immediata delle persone rinchiuse nei centri di detenzione libici, per l’estensione di canali di ingresso regolari e per il ripristino di un sistema istituzionale di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale.

PERCHÉ SALVARE VITE NON È REATO E LA LIBIA NON È UN PORTO SICURO.

Martina Manzari e Refka Znaidi - Coordinamento Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International Italia

Note:

(1) - Libya: Evidence crimes against humanity and war crimes committed since 2016, UN report finds - https://www.ohchr.org/en/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=27595&LangID=E

Independent Fact-Finding Mission on Libya https://www.ohchr.org/EN/HRBodies/HRC/FFM_Libya/Pages/Index.aspx

Migranti nelle celle di un centro di detenzione in Libia, 31 gennaio 2017 © ALESSIO ROMENZI/Unicef

I posti di blocco militari rimangono una vista comune in Libia dove persistenti scontri tra milizie rivali hanno sollevato timori di violenza, mentre il paese si prepara per elezioni cruciali. Dicembre 2021© AFP/MAHMUD TURKIA

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