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L’Europa, la pace e il Mediterraneo /Sociologia

L’EUROPA, LA PACE E IL MEDITERRANEO

di Aurelio Angelini

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L’acceso ineguale che caratterizza i rapporti tra paesi del Nord e del Sud del mondo, allarga sempre di più la forbice che divide la maggioranza dei popoli della Terra che vivono in condizioni di grande indigenza ed una minoranza costituita da un quinto, che vive nell’opulenza.

L’espansione nel mondo della produzione di beni e servizi resa possibile dai cambiamenti tecnologici, sociali ed economici ha permesso solo ad una parte del mondo di mantenere e implementare gli standard di vita, più di quanto sia avvenuto nella storia dell’umanità. Nell’ultimo mezzo secolo, grazie al progresso tecnologico, la produzione è stata molto maggiore della crescita della popolazione, generando un aumento di tre volte del PIL pro capite. Ma i benefici non sono stati ripartiti in modo omogeneo... In Africa, ben un terzo della popolazione è denutrita e questo numero è in aumento.

In termini assoluti, il numero di persone che, a livello mondiale – secondo ONU – vive al di sotto della soglia di povertà è pari a più di un miliardo e soffre di denutrizione e secondo i dati forniti dall’UNICEF ogni giorno nel mondo 19.000 bambini (circa 7 milioni l’anno) sotto i 5 anni muoiono per cause prevenibili e malattie facilmente curabili.

La carenza d’acqua è uno dei maggiori drammi che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi decenni. In particolare quella dolce, non è distribuita uniformemente e la crescita della popolazione mondiale rende l’umanità sempre più bisognosa di risorse idriche. 500 milioni di persone hanno scarso accesso all’acqua ed altri 2,4 miliardi vivono in paesi in cui il sistema idrico è a rischio (Clarke, King, 2008).

La maggior parte dell’acqua viene utilizzata per l’agricoltura, specialmente nelle regioni più aride; in Europa e America del Nord ha un forte impatto anche il consumo industriale (ad esempio gli impianti di generazione elettrica).

L’emergenza idrica non investe più solamente i paesi del Sud del mondo, si calcola infatti che oltre il 60% delle grandi città europee sfrutta eccessivamente e in maniera sbagliata le proprie risorse idriche. Tale fenomeno è solo la punta di un iceberg prodotto da condizioni climatiche che tendono a peggiorare e che non appaiono congiunturali, condizioni ambientali del suolo sempre più precarie e un sistema organizzativo carente, dispendioso e inefficiente.

L’Europa è tra le aree del mondo in cui la temperatura è aumentata maggiormente nella media mondiale con l’effetto della diminuzione delle precipitazioni climatico, che rende sempre più difficile la previsione di quali saranno gli scenari che si potrebbero determinare in queste zone dell’Europa.

La mancanza di acqua potabile genera malattie e fame. La ricarica naturale di molte falde è messa a rischio dai milioni di pozzi scavati in tutto il mondo. Per questo motivo un crescente numero di paesi, come lo Yemen, l’Iran, il Messico i paesi del Medio Oriente, quasi tutti i paesi dell’Africa del Nord e dell’Asia centrale, hanno il bilancio idrico in rosso.

È stato calcolato che un essere umano su quattro non può utilizzare acqua pulita per mangare, bere e lavarsi.

La conseguenza di questa situazione è la morte di 2,2 milioni di persone ogni anno. Sì stima che entro il 2020 le persone senza accesso all’acqua diventeranno 4 miliardi, più della metà della popolazione mondiale. I cambiamenti climatici mettono in pericolo la vita nel Pianeta accelerando le differenze e le opportunità tra Nord e Sud del Mondo. Oggi più di ieri è necessario sviluppare politiche e pratiche sostenibili per l’ambiente, portando avanti quelle pratiche che siano in grado di supportare le capacità autoriproduttive dell’ambiente e che questo avvenga in modo rapido. Il paradosso è che nel Sud del mondo, il territorio viene disseminato di immense opere di ingegneria idraulica volute dalle grandi multinazionali dell’acqua che hanno il solo effetto di sconvolgere in modo irreparabile il territorio e gli equilibri ambientali. Sono opere che devastano l’assetto idrogeologico del territorio per canalizzare l’acqua e controllarla in un unico bacino.

Le carenze idriche, i cambiamenti climatici e l’inquinamento, sono tra le principali cause che provocano il progressivo impoverimento della biodiversità che determina una sequenza di reazioni a catena. La fine di una specie determina la scomparsa di numerose altre specie con cui è collegata con le altre catene alimentari. Niente può più del ciclo dell’acqua rappresentare il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri: dalla siccità che provoca carestie e malattie, alle sconvolgenti alluvioni che distruggono i territori, un cerchio crudele che unisce i mutamenti climatici al degrado ambientale alla povertà e al disagio sociale.

L’impoverimento della biodiversità non riguarda, solamente, la scomparsa delle specie, che vengono trasformate in materie prime per il sistema industriale e il loro sistema d’arricchimento. Ma, è soprattutto, un impoverimento dei sistemi di vita su cui si basa la sopravvivenza di milioni di persone. La biodiversità, oltre ad essere una ricchezza per la natura in quanto tale, è la risorsa principale d’intere popolazioni che dipendono dalle risorse biologiche per il nutrimento, la cura della salute, l’energia, i vestiti e le abitazioni.

Il limite delle risorse disegna scenari ancora più drammatici rispetto alle attuali tragiche guerre per il controllo delle risorse naturali, idriche ed energetiche che produce dei veri e propri esodi ambientali.

La diversità biologica è sottoposta ad un costante processo di erosione a causa della devastazione degli habitat naturali, dall’invadenza tecnologica ed economica protesa a sostituire la diversità con l’omogeneità in agricoltura, silvicoltura, allevamento degli animali e nella pesca. Il progressivo impoverimento della biodiversità aggravato dall’effetto serra, determina una sequenza di reazioni a catena. L’impoverimento della biodiversità è soprattutto, un impoverimento dei sistemi di vita su cui si basa la sopravvivenza di milioni di persone, diventando una delle cause dell’immigrazione che da fenomeno ciclico diventa strutturale ed è conseguenza della carenza di risorse alimentari e dell’acqua, espressione della globalizzazione e dell’omologazione produttiva. I fenomeni migratori avvengono a causa di grandi cause strutturali che riguardano l’insieme del Pianeta, e in particolare, da quei paesi in cui: la povertà, la fame, la mancanza di lavoro o il lavoro ridotto a schiavitù, le carestie, le guerre, la sovrappopolazione, i regimi oppressivi, le persecuzioni delle minoranze e i disastri ambientali, spingono sempre più un gran numero di individui a cercare di raggiungere con ogni mezzo, dopo essere stati privati dei pochi dollari di cui disponevano e a rischio della vita, le coste del ricco, opulento e libero occidente.

L’immigrazione è divenuta un macrofenomeno sociale in Europa, che necessita della costruzione di una politica comune del vecchio continente, sia per l’accoglienza e sia di integrazione sociale, in considerazione che da più di qualche decennio l’Europa si è trovata ad accogliere numeri sempre crescenti di stranieri, e si assiste alla presenza di immigrati di seconda, o anche di terza, generazione, ormai stabili e radicati sul territorio. Laddove inizialmente erano i singoli individui che iniziavano un percorso migratorio, adesso si constata, un radicamento di interi nuclei familiari ed è in crescita esponenziale il numero di arrivi di minori non accompagnati.

Il Mediterraneo è da millenni una regione del mondo in cui si incrociano e si integranoculture e popoli diversi. Il Mediterraneo contiene una straordinaria ricchezza di luoghi, di città, di culture, di diversità culturale, religiosa, biologica e paesaggistica.

Il Mediterraneo oggi rappresenta anche la linea di demarcazione fra ricchezza e povertà. Un divario che l’Europa intendeva ridurre attraverso l’ormai archiviato processo di Barcellona e la strategia di Lisbona. Entro il 2010 doveva giungere a compimento la strategia di Lisbona (“fare divenire l’Europa l’economia più competitiva e dinamica basata sulla conoscenza”). Nello stesso anno era anche prevista la realizzazione dell’area di libero scambio euro-mediterranea, la più grande al mondo, con oltre 40 paesi e quasi 800 milioni di persone, rilanciando gli scambi tra i paesi dell’Unione Europea e quelli della sponda sud del Mediterraneo, oltre che tra questi ultimi, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Al contrario, a una fase caratterizzata dall’intensificarsi dell’integrazione commerciale iniziata a partire dalla metà degli anni ottanta e novanta, ha fatto seguito, sul finire degli anni novanta un rallentamento nella tendenza.

Oggi un’Europa che manifesta tutta la propria impotenza davanti ai conflitti che infiammano il Mediterraneo e all’esodo di intere popolazioni in fuga dall’orrore della guerra, appena pochi anni fa pensava di trasformare il Mediterraneo in uno spazio economico comune, fondato su uno sviluppo armonico delle varie zone, su uno sfruttamento equo delle risorse e su un’integrazione sociale e culturale oltre che economica. Non aver raggiunto questo obiettivo ha comportato una degenerazione dei conflitti, un’esasperazione delle divisioni esistenti con la conseguente ingovernabilità di un’area nevralgica, nella quale confluiscono le propaggini di tre continenti.

Il processo di Barcellona e la strategia di Lisbona davano grande importanza agli aspetti economici e commerciali del processo di integrazione e quelli culturali, sociali e umani evitando di ridurre quest’ultimo punto semplicemente ad un problema di prevenzione dell’emigrazione. Oggi è strategico per la Pace e per l’Europa e per il suo destino, sottrarre il Mediterraneo alla sua condizione di conflitto e povertà.

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