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Intervista ad Ales Bialiatski /Attualità

INTERVISTA AD ALES BIALIATSKI

di Giuseppe Provenza

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In occasione del suo viaggio in Italia abbiamo intervistato per i lettori di VOCI Ales Bialiatski, il presidente della ONG per la difesa dei diritti umani VIASNA (Primavera), ingiustamente incarcerato dal regime di Lukashenko al fine di ostacolare l’attività della sua organizzazione.

Desideriamo innanzitutto esprimergli il ringraziamento per la testimonianza che ci ha portato, e manifestargli la nostra ammirazione per il coraggio con cui ha affrontato ed affronta il duro regime politico del suo paese, fino al sacrificio della propria libertà, coraggio riconosciuto ed apprezzato, fra gli altri, dall’ONU, dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (che gli ha conferito la prima edizione del premio Havel per i diritti umani) e da Amnesty International che lo ha adottato, riconoscendo in lui un “prigioniero di coscienza”.

Per i lettori di VOCI, prima di riportare l’intervista, tracciamo in poche righe un profilo della Bielorussia.

La Bielorussia, capitale Minsk, è un paese di circa 10 milioni di abitanti situato fra Russia, Ucraina, Polonia, Lituania e Lettonia. Il suo territorio, prevalentemente pianeggiante, è per circa la metà ricoperto da boschi ed è ricco di laghi e fiumi, fra cui il Dnepr, fra i più grandi d’Europa.

Fino al 1991 era una delle 15 repubbliche dell’Unione Sovietica. Dopo la dissoluzione di questa divenne indipendente.

Dal punto di vista istituzionale è una repubblica presidenziale.

Presidente della Bielorussia dal 1994 è Aleksandr Lukashenko, che ha fatto modificare la costituzione per essere rieletto dopo i primi due mandati. Questa circostanza, unita alla atipicità del Parlamento, i cui rappresentanti appartengo TUTTI al partito del Presidente, fanno considerare agli osservatori internazionali le elezioni della Bielorussia, sia presidenziali che politiche, una vera e propria farsa.

Inevitabilmente, in questo contesto politico, nel paese manca qualsiasi garanzia di rispetto dei diritti civili e politici, come dimostra, fra le altre, la vicenda Bialiatski.

Ciò ha implicato l’impossibilità per la Bielorussia di far parte del Consiglio d’Europa, anche in relazione al mantenimento della pena di morte, unico paese europeo ed unico paese dell’ex Unione Sovietica.

(D.) Ales, puoi riassumerci brevemente i fatti che portarono al tuo arresto e alla tua condanna?

(R.) Le elezioni presidenziali del 2010 avevano suscitato a Minsk manifestazioni popolari, contrastate violentemente dalla polizia, durante le quali erano stati operati più di 1.000 arresti e a cui avevano fatto seguito condanne, il più delle volte per reati amministrativi, tranne che per circa 50 casi, per i quali le condanne riguardarono reati previsti dal Codice Penale.

Quella stessa notte furono anche compiute perquisizioni presso la sede della mia Organizzazione, Viasna, nel corso delle quali vennero anche sequestrati i computer dell’Organizzazione.

Apparve subito chiaro che lo scopo delle perquisizioni era intimidire Viasna, ma l’Organizzazione continuò la sua azione poiché venne ben compresa l’importanza, in quel momento, del sostegno a chi aveva subito condanne.

Le perquisizioni si ripeterono nel tempo, e ad esse fecero seguito controlli fiscali e minacce, anche indirizzate a me personalmente dal Procuratore Generale per la mia attività svolta in nome di una organizzazione non autorizzata. Tuttavia non riuscirono ad intimidirci.

Si rese anche evidente che volessero costringermi a lasciare il paese, ma per me era chiaro che non potevo partire senza danneggiare la causa dei diritti umani in Bielorussia e quindi rimasi. Quando si resero conto che non avevo intenzione di lasciare il paese capirono che era necessario arrestarmi ed accusarmi penalmente.

Infatti, poiché ero stato costretto, per la mancata autorizzazione a Viasna, ad aprire i conti correnti dell’Organizzazione in Polonia e Lituania, fui accusato di evasione fiscale. Era stato chiaramente trovato il modo di incriminarmi e durante il processo, infatti, dai documenti risultò chiaro che le accuse a me rivolte provenivano dal KGB.

Sulla base di queste accuse, una mattina, mentre mi recavo a prendere il Metrò fui arrestato per strada.

(D.) In Bielorussia esiste una reale opposizione organizzata?

(R.) Subito dopo l’indipendenza, nel 1991, in Bielorussia era cominciato uno sviluppo democratico. Tuttavia dopo la sua elezione nel 1994, Lukashenko prese il controllo dello stato e le strutture democratiche sono rimaste deboli.

Esistono alcune ONG organizzate meglio dei partiti e sindacati indipendenti, in aggiunta a quelli ufficiali.

Lo spirito democratico, e questo è importante che si sappia, in Bielorussia esiste, ma non si esprime per paura.

Viasna trova simpatizzanti nelle città, tanto è vero che camminando per le strade di Minsk, non è infrequente che io venga fermato per manifestarmi sostegno, e questo in Bielorussia è rilevante, poiché la gente è solitamente chiusa.

Diversa è invece la situazione nelle campagne, dove si trovano più anziani, e dove, quindi, lo spirito democratico è meno diffuso. La possibilità di un cambiamento democratico, dunque, esiste, ed è affidata ai giovani.

(D.) Come vede il bielorusso comune l’attuale regime politico del paese?

(R.) Una parte della popolazione in effetti sostiene l’attuale regime, ed è soprattutto costituita dagli anziani delle campagne e dei piccoli centri, il più delle volte si tratta di persone di bassa cultura e non informate in maniera indipendente. A questi si aggiunge una buona parte di coloro che lavorano per la pubblica amministrazione.

Al contrario fra i giovani si riscontra uno scarso sostegno all’attuale regime. In sostanza, mentre circa l’80% degli anziani è a favore di Lukashenko, fra i giovani i favorevoli sono intorno al 20%.

(D.) Dal punto di vista economico come si vive oggi in Bielorussia?

(R.) Dal punto di vista economico la vita in Bielorussia risulta difficile. Vi è stata una svalutazione prima del 10% e poi del 30% del Rublo Bielorusso (agganciato al Rublo Russo), con conseguente aumento dei prezzi, mentre i salari sono rimasti immutati.

Il salario medio equivale a circa 300 euro (o poco più nelle città). Tuttavia la paura che accada quanto è successo nella vicina Ucraina ha impedito che sorgessero manifestazioni di protesta, anche perché molti bielorussi lavorano in Russia.

Il modello economico costruito da Lukashenko non si è rivelato efficace ed è stato salvato dal sostegno russo.

(D.) C’è qualche bisogno essenziale garantito in Bielorussia? (salute, abitazione, ecc.)

(R.) La costituzione garantisce la salute, l’abitazione e l’educazione. Tuttavia il paese è povero e la mancanza di mezzi impedisce che si realizzi pienamente quanto previsto dalla costituzione. A ciò va aggiunto che i salari sono insufficienti e che non sono rispettati i diritti civili e politici. Lukashenko ha detto che è meglio lavorare che fare politica.

(D.) Che futuro vedi per la Bielorussia?

(R.) È difficile fare ipotesi sul futuro, tuttavia voglio essere ottimista perché sono sicuro che in futuro la Bielorussia sarà membro del Consiglio d’Europa. Questo è importante perché potrà assicurare una maggiore difesa dei diritti umani.

Tuttavia sono anche preoccupato per la guerra Russo/Ucraina anche nei riguardi della Bielorussia, perché è chiara l’intenzione di ricostituire l’impero russo. Questo è un timore che riguarda tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica.

Fino a poco tempo fa ciò sembrava impossibile, ma la Crimea e l’est Ucraina hanno provato che è possibile. Miei amici che vivevano a Lugansk sono dovuti fuggire a Kiev.

(D.) E’ possibile prevedere una evoluzione pacifica verso la democrazia?

(R.) È un’evoluzione che è cominciata nella mente di molti e questi cambiamenti alla fine diventeranno realtà. Ho un’amica anziana nella repubblica Ceca che mi ha detto che nel ’68, due settimane prima non sembrava che dovesse scoppiare la rivoluzione. È per questo che è importante non abbandonare il lavoro.

In chiusura di questa intervista desidero manifestare la mia gratitudine ai soci di Amnesty International che hanno raccolto firme e spedito cartoline, perché le firme sono state d’aiuto per la pressione esercitata sul regime, e le cartoline sono state d’aiuto per me per sopportare il carcere.

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