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I dati della bonifica dei siti contaminati

Durante la 13° edizione del workshop SiCon sono stati forniti i dati nazionali della situazione di recupero dei siti contaminati. La Lombardia fa da capofila fra le regioni virtuose. Procede bene l’Italia, ma alcuni ostacoli rallentano i processi.

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Si è svolta a Brescia, presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Brescia, la 13° edizione di SiCon, il workshop itinerante dedicato ai temi del risanamento e messa in sicurezza dei siti contaminati. Il progetto organizzato dall’Università di Catania, la Sapienza di Roma e la già citata Università degli Studi di Brescia è diventato negli anni un punto di riferimento per gli operatori del settore, spostandosi in ogni edizione in una nuova città. Quest’anno è stato il turno dell’Università degli Studi di Brescia che ha accolto un tavolo di lavoro durato tre giorni, con la partecipazione di oltre 50 relatori esperti, fra professori e professionisti, per parlare della situazione attuale delle bonifiche, con specifico risalto agli aspetti tecnico-operativi. Negli anni l’evento ha assunto autorità grazie all’approfondimento di temi di forte attualità per il settore, come la presentazione di strumenti all’avanguardia per la bonifica, ricerche scientifiche e studi con dati precisi e dettagliati sullo stato dell’arte delle attività di risanamento delle aree in Italia. Anche in questa nuova edizione il convegno non ha tradito le aspettative presentando una panoramica positiva dell’attuale situazione che interessa tutto lo stivale. Secondo le ultime stime in Italia ci sono quasi 5000 siti contaminati e circa 5000 potenzialmente contaminati. Per quest’ultimi si intendono i siti segnalati e dunque sotto processo di indagine. Una volta conclusa l’analisi, le aree potrebbero poi essere dichiarate effettivamente contaminate e soggette a piani di bonifica, oppure risultare salubri e non più sotto indagine. Ai circa 5000 siti citati si aggiungono 42 ulteriori siti di Interesse Nazionale che per le loro specifiche caratteristiche, come una vasta estensione oppure una forte complessità nel trattamento, vengono gestiti direttamente dal Ministero della transizione ecologica. Inclusi fra questi anche il sito bresciano della Caffaro, ex stabilimento chimico industriale alle porte della città, da poco protagonista di un rilevante processo di bonifica. “In linea di massima possiamo confermare che il quadro a livello nazionale è eterogeneo, con realtà in cui i tempi per la bonifica dei siti sono brevi e mentre altre in cui sono lunghi.” spiega il professore Mentore Vaccari dell’Università di Brescia e alla guida del CeRAR, il centro di ricerca Risanamento Ambientale e Recupero di aree degradate e siti contaminati dell’ateneo bresciano.

La Lombardia è la regione più virtuosa che traina il settore delle bonifiche. Nel territorio si contano 995 siti contaminati ai quali si aggiungono altri 996 potenzialmente contaminati. A fine 2020 le aree bonificate sono state 2715. Secondo le statistiche nella regione lombarda il 60% dei siti contaminati viene bonificato in meno di tre anni e circa il 75% in meno di cinque anni. “La Lombardia è la regione più avanzata su tali tematiche per due motivi: perché si tratta di un territorio industrializzato e anche per questo presenta molti siti che richiedono un intervento, ma soprattutto è molto attiva nella ricerca e nell’attività di indagine” racconta il professor Vaccari. Infatti, in Lombardia dal 2012 al 2020 il totale dei siti contaminati, potenzialmente contaminati, bonificati e non contaminati è cresciuto del 30%, mentre sono 1200 i siti che sono risultati non contaminati e le quote continuano a crescere perché aumenta anche la sensibilità e l’attenzione alla problematica. Diversi fattori in Italia mettono un freno all’incalzante avanzamento dei progetti bonifica. Le problematiche appartengono a due topologie principali: la prima di carattere prettamente economico, in quanto gli interventi richiedono investimenti significativi e l’impiego di ingenti somme, mentre la seconda è di carattere giuridico amministrativo. La normativa non è sempre chiara come le procedure da seguire e spesso i comuni di piccole dimensioni non hanno le competenze e le strutture idonee per effettuare interventi complessi. “Il processo di risanamento non deve avere solo l’obiettivo di eliminare il rischio sanitario, ma deve essere anche rivolta a recuperare l’area che deve essere poi destinata ad una certa funzione e qui entra in gioco l’urbanistica. Un altro aspetto importante è quello di individuare la destinazione d’uso di quell’area e la sua riqualificazione al termine dell’intervento. Quindi, quando si bonifica un’area bisogna seguire sia procedure in campo ambientale che in campo urbanistico e questi due aspetti non sempre sono coordinati, rallentando di conseguenza i lavori”.

Le tecnologie

Le tecnologie utilizzate per la bonifica sono di due macrotipologie e si rivolgono ai terreni contaminati oppure alle acque sotterranee inquinate. La pratica più diffusa per la bonifica del terreno, che riguarda ancora l’80% dei siti contaminati è lo smaltimento in discarica, un metodo rapido ma che non depura effettivamente il suolo. Le vere tecnologie di bonifica prevedono il trattamento del suolo, che viene pulito e poi recuperato. Purtroppo, tali tecnologie restano ancora poco utilizzate. Il centro di ricerca bresciano sta attualmente lavorando su un interessante progetto, il quale prevede la produzione di biotensioattivi che possono essere impiegati per risanare terreni contaminati da idrocarburi. Nel caso delle acque sotterranee, il pump&treat risulta la tecnologia ad oggi più utilizzata. Esistono sul mercato tecnologie in situ che permettono di accelerare gli interventi di bonifica a un costo di investimento basso. È sicuramente più efficace intervenire sulla sorgente eliminando la fonte contaminata, con tecnologie che consentono di agire adeguatamente sulle acque inquinate, che però non sempre trovano impiego.

Il CeRAR

Il CeRAR, centro di ricerca “Risanamento Ambientale e Recupero di aree degradate e siti contaminati” dell’Università degli Studi di Brescia, nasce in continuità alle attività di un gruppo di lavoro multidisciplinare già attivo dal 2014. Il gruppo di ricerca si occupa di siti contaminati con l’intento di individuare i fattori che rallentano le bonifiche e di proporre delle opportune soluzioni. Il progetto del CeRAR dell’Università degli Studi di Brescia

Il centro di ricerca Risanamento Ambientale e Recupero di aree degradate e siti contaminati dell’Università degli Studi di Brescia ha presentato in occasione dell’incontro un interessante focus sul contenimento del suolo come contributo alle bonifiche. Secondo lo studio, il risanamento dei siti contaminati può dare, infatti, un contributo significativo al contenimento del consumo di suolo, dato che una volta bonificata l’area viene restituita alla collettività per poter poi realizzate una serie di attività, che diversamente sarebbero state destinate a terreni vergini. Incentivare questa pratica dunque porta notevoli benefici, ma è importante anche avere delle norme a supporto che incoraggino al contenimento. In Italia il consumo di suolo è ancora molto elevato in particolare nelle zone industriali e in quelle costiere. “Ad oggi un’inversione di rotta non c’è. Alcune regioni come la Lombardia si sono dotate di norme che vanno verso il contenimento di consumo di suolo naturale” aggiunge il professor Vaccari “Serve un cambio di visione, pensare che la bonifica non è solo una necessità, ma, piuttosto, un’opportunità. Perché bonificare un’area significa restituire alla collettività uno spazio da destinare a nuove attività”. Dai dati stimati per difetto dal Cerar è stato rilevato che per ogni cento euro spesi in attività di recupero di siti contaminati, almeno un 40% viene restituito alla collettività attraverso, ad esempio, nuovi posti di lavoro, miglioramento dell’ecosistema o nuovi investimenti. E se bonificare è un’opportunità, non farlo porterebbe a delle perdite dal punto di vista sanitario, ambientale, ma anche immobiliare in quanto le aree in prossimità di siti inquinati perdono di valore. Ci sono fattori che rallentano la bonifica, come già anticipato, che sono di natura giuridico amministrativa, economica, ma ancor più di tempistica. In particolare, i privati sono preoccupati dai tempi di intervento, che a livello nazionale sono purtroppo indefiniti. I ritardi e le incertezze frenano gli investitori e gli interventi vengono così bloccati sul nascere. “Abbiamo iniziato un’interlocuzione con gli enti per poter dare delle informazioni più puntuali agli operatori del settore su quali possano essere i tempi e i costi per un intervento di bonifica” avvisa il direttore del Cerar sulle attività e le soluzioni messe in campo dal centro di ricerca.

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