OFFICINA* 32

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Michele Manigrasso Architetto e urbanista, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura di Pescara. Direttore dell’Osservatorio Paesaggi Costieri Italiani di Legambiente. michelemanigrasso@gmail.com

Il vuoto è uno specchio

The void is a mirror

L’attuale crisi climatica e la pandemia in corso stanno rappresentando, a livello globale, l’ineludibile e urgente bisogno di “manutenzione straordinaria” dei territori e delle città, alle diverse scale di intervento. L’aggiornamento dei paradigmi del progetto urbano e la revisione di alcuni significati epistemologici - di cui si parla e si scrive diffusamente - stanno alimentando, con nuovi stimoli, le riflessioni e i confronti sui temi relativi alla forma della città, alla necessità di una diversa sintassi tra pieni e vuoti, e al rapporto tra gli insediamenti e il territorio vasto. Si stanno registrando nuovi interessi in merito al “progetto del vuoto”, come campo di riflessione in cui si sovrappongono e trovano coerenza, più che nel passato, saperi differenti e transcalari. Riconoscere il paesaggio come “sistema di vuoti tra le cose” che non ha mai un retro, ma che costruisce relazioni tra gli oggetti presenti e le aree pronte a ospitare nuove funzioni e nuovi corpi, risulta strategico per diversi motivi: il paesaggio porta a sintesi il territorio come spazio fisico e l’ambiente come spazio della vita; attraverso il suo continuo mutamento, riflette la nostra società e il nostro tempo. Questo vuol dire dover dedicare maggiori energie al progetto del vuoto come “progetto democratico”, capace di ribadire il “diritto alla città”, in un’epoca di grandi cambiamenti in cui la “paura del rischio” incide ampiamente sul senso di libertà di chi la abita. Per queste ragioni, OFFICINA* dedica il numero 32 al tema del Vuoto, specchio in cui si riflettono e si coagulano le maggiori tensioni della contemporaneità; il vuoto è “spazio eterotopico” in cui immaginiamo un diverso futuro, e riversiamo le speranze di rinascita e di rinnovata condivisione. Un primo ambito di indagine ha interessato l’uso spontaneo e la pratica del progetto in spazi vuoti, abbandonati o semplicemente sottoutilizzati. Il contributo di Evelyn Leveghi, Vibrant urban osmosis, riguarda vuoti interstiziali che, in maniera spontanea e informale, vengono riusati dalla comunità insediata, volumizzandone il senso. Una casistica di

The current climate crisis and the pandemic in progress represent the inevitable and urgent global need for "extraordinary maintenance" of territories and cities. The updating of the paradigms of the urban project and the revision of some epistemological meanings are feeding with new points of view the reflections and comparisons about the issues concerning: the shape of the city, the need for a different relationship between full and empty spaces, and the relationship between the settlements and the territory. New interests are being registered regarding the “project of the void”, a field of reflection in which different, local and global knowledge overlap and find coherence, more than in the past. Considering the landscape as a "system of voids between things" that never has a back, but which builds relationships between the objects present and the areas ready to host new functions and new bodies, is strategic for various reasons: the landscape represents the territory as a physical space and the environment as a space of life; the landscape reflects our society and our time, through the constant changes of its shape. We must devote more energy to the project of empty spaces as a "democratic project" capable of reaffirming the "right to the city", in an era of great changes in which the "fear of risk" largely affects the sense of freedom of citizens. For these reasons, the magazine OFFICINA * dedicated issue 32 to the theme of the Void; the empty space is a mirror in which the greatest tensions of contemporaneity are reflected and coagulated; the void is “heterotopic space” in which we imagine a different future, and in it we pour the hopes of rebirth and renewed sharing. The first area of investigation concerned the spontaneous use and practice of the project in empty, abandoned or simply underused spaces. Evelyn Leveghi's chapter, Vibrant urban osmosis, concerns interstitial voids which are reused by the settled community, volumizing their meaning, in a spontaneous and informal way. A series of examples demonstrates

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