Parola di demone

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Savino Princigalli

Parola di demone


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Copyright Š 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-28-4 In copertina: illustrazione di Sonia Amendolare Savino Princigalli, Parola di demone, Antipodes, Palermo 2014


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Alla mia famiglia, per avermi donato valori che contano; ai miei amici, per avermi sorretto nel momento del bisogno; a Sergio, per avermi dato un sogno che mai morirĂ ; ad Antipodes, per averlo concretizzato.


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I

l mio nome è Erghion Galonda. Sono conosciuto in tanti modi ma qui a Yvelard mi chiamano il segugio, il mastino o semplicemente il cacciatore. Banale, vero? Si direbbe quasi che, ottuse da anni di guerre e dissidi, le menti di queste genti prive di fantasia si siano atrofizzate. Personalmente, preferisco il soprannome che mi è stato affibbiato tempo fa nel Vecchio Continente, da dove provengo: flagello dei bardi. È certamente un nomignolo curioso, non trovate? Ma, a scanso di equivoci, è bene precisare che io non passo il mio tempo a spaccare cetre, ghironde e flauti sulla testa dei cantori. È un tipo di flagello innocuo, quello che pratico. Il mio sollazzo, infatti, è impedire che essi possano cantare di me quello che cantano per tanti altri eroi di questo infelice continente. Il paladino che sconfigge il demone con la sua spada benedetta, il drago impalato dalla lancia dell’eroe, il non morto disintegrato dal prete della Luce: questi sono esempi di eventi degni d’esser cantati. Ma con me, nulla di tutto ciò può avere effetto. E quando la pallottola della mia fedele compagna spappola impietosamente il 5


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cranio dell’avversario, senza eroismo, senza alcuna ricercata sentenza di morte, senza enfasi nei toni, allora quello è il momento in cui immagino il bardo intento a scrivere delle mie imprese: chiuso nel suo scrittoio, col volto annoiato, privo di orpelli nelle parole e seccato dalla mia mancanza di valore. Vivo da svariati anni, tanto che ho deciso di non tenerne più il conto. È probabilmente merito del mio retaggio non buono che, a quanto pare, preserva la mia sofferta esistenza oltre il dovuto. Ho detto sofferta e tendo a rimarcarlo. La vita di un metademone, come ci chiamano soprattutto gli umani, non è facile. Siamo una razza in via d’estinzione e anzi, vista la maniera con la quale siamo stati partoriti, forse non siamo nemmeno parte di una specie. Ne so poco a riguardo e non credo si tratti di verità assodate. La storia della mia stirpe è stata infatti scritta dai vincitori, dagli stessi maghi che prima ci hanno generato e dopo hanno preferito occultare le parti scomode di quel misfatto. Ciò che mi è stato detto è che, secoli or sono, la magia evocatrice era ai suoi massimi livelli. Stregoni di ogni sorta erano in grado di evocare e controllare simulacri di potenti creature dimoranti nel centro della terra, mostri privi di scrupoli, oscenità del tempo della Guerra degli Dei. Come ogni buona storia che vada a male, qualche imbecille privo di remore superò i limiti consentiti, creando un portale di collegamento tra questo mondo e il loro. Centinaia di demoni si riversarono sulla terra insanguinata di Yvelard e solo grazie all’utilizzo dello Specchio di Giada, un artefatto in grado di svelare la natura demoniaca, i maghi di Mytheria riuscirono a eliminare i posseduti. Molti furono comunque i diavoli che si sollazzarono, nel senso carnale del termine, con le creature di sesso opposto con cui riuscirono a entrare in contatto, durante il loro limitato periodo di permanenza. I metademoni partoriti da quegli osceni incroci furono sterminati a vista e le fiamme dell’Inquisizione brillarono ardenti nell’oscurità della notte, portando con sé i lamenti degli 6


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eretici e parimenti degli innocenti. Una strage priva di raziocinio, che avrebbe dovuto cancellare per sempre la piaga e che invece mise a nudo la spietatezza degli umani: ecco cosa fu la decantata Crociata dello Specchio. Ed è dai superstiti di quei miserabili e spesso incestuosi rapporti che nasce la mia genia, un miscuglio impuro che ci pone al crocevia di due razze. Il nostro sangue si è diluito parecchio col passare dei secoli ma di tanto in tanto capita ancora che, da rapporti assolutamente sani, possa nascere uno sgorbio come me, con un’insolita pelle bluastra, orecchie un po’ allungate, occhi scarlatti e denti affilati come rasoi. È un po’ come se quella stilla corruttrice passi ancor oggi di generazione in generazione, di portatore in portatore, fino al punto in cui riesce a fecondare una donna umana, distruggendola. Mia madre è morta dopo avermi dato alla luce e s’è risparmiata, credo, un’ulteriore sofferenza dopo quella che deve averle causato la gestazione di un mostro. Mio padre era troppo incredulo per capire di aver avuto in dono dagli dei beffardi un metademone ma bisogna dargli atto del fatto che, prima di aver tentato di fracassarmi la testa con un bastone, ha provato a crescermi e ad allevarmi per ben sei anni, impazzendo infine dinanzi alla mia evidente diversità. So cosa s’agita nelle vostre menti. Ho preso i vantaggi di entrambe le razze? Non saprei. Certo è che qualche pregio, in effetti, ce l’ho. Posso vedere al buio come se fosse giorno. Non dormo quasi mai e, se proprio ne sento il bisogno, solitamente lo faccio con gli occhi spalancati. Le mie ossa sono più dure di quelle umane o chissà cosa ne sarebbe stato di me oggi, se non fossero state resistenti come il ferro. Ma la cosa più incredibile di tutte è che ho una memoria gustativa e olfattiva superiore a quella di qualsiasi altra bestia in natura: quando sento un odore o un sapore, posso rintracciarne la provenienza nel raggio di migliaia di passi e per mesi. 7


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Come uso queste doti? Sarei potuto diventare il più grande ricercatore di burzocchi, un frutto rarissimo qui a Yvelard, che cresce nel sottosuolo e che va a ruba al mercato di Peldvall. O il miglior cuoco nella storia dei cuochi. Ho scelto, invece, di diventare un sicario, un cacciatore, un segugio, per l’appunto. Quando mi chiedono il perchè della mia scelta, mi piace rispondere che mi guida un senso di colpa per la mia genia, un senso di riscatto che mi porta a fare indistintamente del bene, per dimostrare che i metademoni sono molto meno mostruosi degli umani. A volte, mi sono talmente immedesimato in questa teoria da essermene quasi convinto. Ma la verità è ben diversa. E durante i periodi di magra, in cui non v’è violenza o uccisione alcuna, sento improvvisamente crescere in me una pulsione, un desiderio di morte, di sangue e sofferenza altrui che mi è quasi impossibile reprimere e che scompare, mai definitivamente, solo se ammazzo qualcuno. Il confine tra demone e umano, come avrete intuito, è davvero irrisorio: al pari di quello che c’è tra bonta e ipocrisia.

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