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Lorenzo Frabbi
Uroboros
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“Anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno.” H. Hesse
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Copyright Š 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN:978-88-96926-21-5 Il disegno presente in copertina Ê stato realizzato da Ash Artworks Lorenzo Frabbi, Uroboros, Antipodes, Palermo 2014
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Capitolo
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C
’era un’ombra… Vagava per le vie della città, disorientato, afflitto da un senso di disagio angosciante, senza meta; stretto in un cappotto scuro ed avvolto dalla fitta foschia di un mattino invernale con un unico pensiero: compiere il proprio destino.
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Capitolo
1
L
a vista dell’insegna sbiadita di colore blu elettrico sovrastante la tabaccheria poco distante da casa lo rasserenò «Finalmente!!… ancora pochi metri e anche questa giornata sarà finita!» Con un rapido quanto istintivo movimento infilò la mano nella borsa in pelle nera che indossava con una lunga tracolla, facendola ondeggiare e rimbalzare a sincrono sulla gamba destra ad ogni passo; frugò avido nella tasca anteriore, cercando l’inconfondibile contatto sulle dita con l’aderenza della plastica dell’immancabile pacchetto di Winston bianche; una volta trovato lo aprì «Due?! Solo due?! Accidenti, non mi bastano fino a domani!» Deviò così di malavoglia il suo percorso dirigendosi verso quell’insegna blu, la cui luce, opaca e consumata ma ancora ben visibile in contrasto al buio della sera, indicava che fortunatamente il negozio era ancora aperto nonostante l’ora tarda. All’apertura della porta seguì immediatamente il suono del campanello che avvisò, dell’entrata di un cliente, il commesso: questo, tutto preso dal suo cellulare, tardò qualche secondo prima di sollevare lo sguardo e dedicare la propria attenzione all’individuo tremante che, dopo avere appoggiato la berretta appena sfilata sul banco, era a capo chino intento a contare una manciata di monetine. 6
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«Ooh! Buona sera Robert!», squillò infine una voce gioiosa da dietro il bancone, «fammi indovinare … due pacchetti di Winston bianche??» lo anticipò facendo seguire un’acuta risata, in netto contrasto con l’evidente pessimo umore del suo interlocutore, il cui volto era chiaramente contratto in una maschera di spossatezza e disinteresse. «Esatto James! ...quando mi darai la medaglia per il miglior cliente? Mah!! Un giorno, caro James, potrei anche stupirti … e cambiare almeno marca!!» rispose Robert nel tentativo di non far pesare il suo pessimo umore, mentre lasciò uscire dal pugno gli spiccioli che rotolarono rumorosamente sul bancone in vetro. Il suo unico pensiero, in quel momento, era rifugiarsi in casa e riscaldare il corpo infreddolito sotto il getto di una doccia bollente. Purtroppo però James interpretò erroneamente quella che era semplice cortesia, non si accorse minimamente dello sforzo che gli era costata e si aggrappò a quelle poche parole per porre fine alla solitudine dell’infinita giornata, trascorsa chiuso dentro quattro mura, distolto dalla noia solo da pochi e frettolosi clienti e dal suo inseparabile cellulare; così, stanco e felice di vedere una persona familiare con cui scambiare finalmente due chiacchiere nell’ultima mezz’ora prima della chiusura, non si lasciò sfuggire questa opportunità e incalzò «Robert, posso farti una domanda?» e senza aspettare risposta «… Da quanto tempo fumi?» «Trent’anni circa … anno più anno meno … perché?» rispose sempre cortese celando la crescente insofferenza. «E quanto fumi mediamente?» proseguì incessante l’altro talmente preso da sé stesso da non rendersi conto della propria invadenza. «Non saprei! Un pacchetto al giorno, forse più …. Ma cos’è tutta questa curiosità oggi?» «He He! Se invece di fumarli quei soldi li avessi risparmiati, caro Robert, ora ti potresti permettere una Ferrari!» esclamò soddisfatto 7
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raccogliendo le monete dal bancone e riponendole con una cura ed una lentezza eccessive nella cassa, visibilmente tronfio ed orgoglioso per la bella freddura di cui era stato protagonista e con il viso stravolto in una incomprensibile smorfia tra lo stupido e l’orrido. Era da tanto che desiderava dare vita a questo sketch, ma finora non si era mai presentata l’occasione giusta. Nella sua mente ripassava le battute e le possibili risposte del suo interlocutore, alcune volte aveva anche studiato l’espressione più appropriata davanti allo specchio del bagno, mentre si faceva la barba, ricercandone una tra il serio ed il misterioso, proprio come gli avevano insegnato al corso di teatro che frequentava con estremo entusiasmo. Immaginava la fragorosa risata conclusiva, che lo avrebbe inconfutabilmente celebrato come il personaggio più spiritoso del quartiere, sollevandolo da quello attuale di povero mentecatto di cui era penosamente consapevole. Ma la risata non giunse anzi, fu sostituita da una domanda inaspettata «E tu James hai mai fumato?» «No! Mai dato nemmeno un tiro in vita mia» rispose fiero. «E … dimmi un po’ James … come mai non ho visto la tua Ferrari parcheggiata qui fuori?» Silenzio. Il commesso abbassò lo sguardo, stupito e preso in contropiede dalla prontezza di risposta di Robert. «Touchè!» esclamò infine, sconfitto nel suo sogno di gloria. I due si guardarono qualche secondo negli occhi poi scoppiarono a ridere, entrambi più rilassati. Robert indossò nuovamente la berretta in lana nera portandola a coprire la fronte fino a sfiorare le sopracciglia, pronto a tuffarsi nel gelo della sera invernale «Grazie James! Buon lavoro! A presto!» «Arrivederci Robert!» rispose il commesso pensando che la prossima volta avrebbe dovuto stare più attento nella scelta della sua spalla. 8
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L’appartamento di Robert era situato in un quartiere tranquillo sebbene distasse solo una decina di minuti a piedi dal centro: al primo di cinque piani di un condominio di nuova generazione, sorto da appena quattro anni su un terreno su cui fino a qualche tempo prima si ergeva un immenso e fatiscente capannone industriale. Il portico sotto casa quella sera sembrava interminabile, il freddo rendeva infiniti i pochi ultimi passi che lo separavano dalla porta d’ingresso. Salì le scale in grès porcellanato di colore beige, accompagnato da un improvviso ed insistente brontolio proveniente dalla sua pancia che lo avvisava di un appetito fino a quel momento non percepito ma tutto ad un tratto impellente; tolse la berretta riponendola malamente nella tasca del cappotto ed estrasse dalla borsa un fazzoletto di stoffa con il quale sfregò energicamente gli occhiali appannati a causa dello sbalzo termico. Viveva solo, non c’era nessuno ad aspettarlo, godeva dell’unica e silenziosa compagnia del fedele pesce rosso, un infaticabile nuotatore all’interno della sua palla in vetro posta sul tavolo del soggiorno. Questa era la vita che aveva scelto, divincolandosi da legami sentimentali a lui troppo stretti e da amicizie troppo invadenti. Raggiunta la porta del suo appartamento venne assalito da un’inspiegabile ed angosciante sensazione di turbamento; inserì la chiave facendo scattare le quattro mandate della serratura. La luce del soggiorno era accesa, la finestra che si affacciava sul cortile interno del palazzo, spalancata. «I ladri!!» pensò ascoltando il silenzio «… forse sono già fuggiti! Chissà cosa pensavano di trovare! Sicuramente saranno rimasti delusi … non c’è proprio nulla degno di essere portato via qui dentro!» rifletté esaminando con cura la sala ancora fermo sulla soglia. Infine entrò di soppiatto cercando di fare meno rumore possibile; la stanza era vuota; chiuse la porta blindata alle sue spalle e si incamminò verso la camera da letto in punta di piedi, ancora all’erta. 9