Benvenuti a Delfinia...dove la realtà si fa beffe della fantasia!

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Gilberto Landolina di Rigilifi

Benvenuti a Delfinia ...dove la realtĂ si fa beffe della fantasia!


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Copyright © 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it

In copertina: “Lo scoglio malefico” di Vitale Virga www.vitalevirga.simplesite.com

ISBN:978-88-99751-53-1

Gilberto Landolina, Benvenuti a Delfinia, Antipodes, Palermo 2018


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Alla cara zia Lia


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Questo romanzo è un’opera di fantasia. Tutti i personaggi, le ditte citate e gli eventi descritti sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Pertanto, ogni riferimento a fatti, persone o cose realmente esistenti è puramente casuale.


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Prefazione dell’autore

Gentile lettrice, gentile lettore, Prima di lasciarti andare tra le pagine di questo racconto vorrei spendere poche parole per spiegarti alcune cose su di esso. L’embrione di questa narrazione nacque un giorno di qualche tempo fa quando mi trovai per lavoro nella stupenda città di Bologna intento a scoprire un posteggio. La fortuna decise di darmi e togliermi, facendomi si trovare posto per l’auto ma accanto ad un pericolosissimo chiodo arrugginito che sporgeva da una tavoletta di legno. Scesi dall’auto e provai un dolore intenso poggiando inavvertitamente e con forza il mio piede destro giusto sopra quella trappola infernale. Non sono un tipo che teme le malattie ma con sincerità devo ammettere che un chiodo arrugginito che oltrepassa la suola delle scarpe di gomma andando a trafiggermi la pianta del piede, mi preoccupò e non poco. In quella giornata di sorte altalenante vidi però davanti a me un inconfondibile insegna bianca e rossa con stampigliato il bastone di Esculapio. Era la clinica “Santa Ninfea dei Carmelitani scalzi”. Pensai con ironia che dal momento che erano scalzi avrebbero sicuramente saputo cosa fare con il mio piede sanguinante. Zoppicando malamente saltellai fino all’ingresso per poi notare, una volta arrivato, la scoraggiante scritta “Ospedale Psichiatrico”. Dissi a me stesso che al di là delle patologie trattate in quell’istituto, di certo il personale vedendo arrivare un povero zoppo 5


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ferito e sanguinante gli avrebbe prestato soccorso, infondo al punto in cui ero anche un po’ di garza e una spruzzata di alcol mi sarebbero già stati già d’aiuto. All’ingresso spiegai all’usciere cosa mi fosse capitato. Lui, capendo il mio dolore, mi portò dentro una sala d’attesa nivea e fredda invitandomi a sedere «Aspetti qui: le mando un dottore». Mentre aspettavo con il mio bravo chiodo ancora conficcato nella pianta del piede, sentii un ticchettio a me molto noto provenire dalla una stanza socchiusa subito difronte alla mia sedia. Forse non avrei dovuto muovermi ferito a quel modo ma attirato dal rumore mi alzai e sporsi la testa dentro con fare curioso. L’ambiente era una saletta medica arredata di tutto punto, con infondo al centro una scrivania alla quale stava seduto, intento a scrivere al computer, un uomo vestito di bianco sui quarant’anni, che pareva essere un infermiere. Dall’aspetto mi sembrò di conoscerlo ma scartai subito l’ipotesi, si trattava indubitabilmente di un viso noto e basta. «Cerchi il dottore?» Improvvisamente egli aveva alzato il suo viso dal computer, guardandomi. «Si, mi spiace, non volevo curiosare» mi giustificai «è che sentivo battere sui tasti e il rumore mi ha attirato, forse perché sono uno scrittore.» «Davvero? E cosa scrivi?» «Romanzi, per lo più di fantascienza. Ombre nella notte, Progetto D.O.; sono alcuni miei titoli, magari mi hai letto!» «No, non credo, sono chiuso qui da molto però e non c’è una biblioteca molto fornita.» Solo in quel momento realizzai che quella che l’uomo indossava non era la casacca bianca di un infermiere ma il camice di un paziente. Il paziente di un ospedale psichiatrico. «Sei in cura?» chiesi un po’ turbato. 6


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«Si» mi sorrise lui capendo il mio disagio «ma non sono un matto, anche se penso che un matto direbbe proprio così». Ridemmo di gusto e ci presentammo, lui si chiamava Petronio Punti e mi disse di essere lì per un percorso riabilitativo che durava oramai da un po’ di anni. Mi confidò di come uno dei dottori gli concedesse di stare in quella stanza per scrivere un diario che a dire dello stesso medico gli avrebbe portato beneficio. «Sei uno scrittore anche tu allora.» «No, cioè, sono uno che scrive ma non credo sia un’opera di gran valore, è solo un diario.» Mi feci passare un paio di fogli già stampati ed iniziai a leggerli. Forse la forma e la punteggiatura erano da sistemare un po’, ma c’era del bello in quelle righe. Continuai a leggere anche quando il dottore arrivò e mi estrasse il chiodo dal piede. Lessi mentre mi disinfettava, durante l’iniezione di antitetanica e sul finire mi ritrovai a leggere ancora mentre il gentilissimo medico mi fasciava il piede. «Così le piace il diario del nostro Petronio?!» mi chiese «lui è un ospite speciale della struttura.» Vedendo che il paziente si era nuovamente chinato sulla tastiera, estraniandosi,pensai di chiedere al medico perché fosse in cura lì. «Che problema ha?» «Sfortuna» mi guardò negli occhi «la sfortuna di aver vissuto gli accadimenti narrati in quel diario.» «Ma come? Non è un’opera di fantasia?» chiesi sbalordito, dal momento che molti nomi che avevo letto, di persone e città non mi pareva esistessero nella realtà come del resto alcuni mestieri di cui Petronio aveva scritto. «Magari fosse di fantasia! Cioè molte cose possibilmente le ricorda male e perciò inventa nomi e luoghi, ma posso garantirle che è tutto vero.» 7


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Impossibile: o il medico era più folle dei suoi pazienti e mi stava giocando un tiro o quel poveretto aveva veramente vissuto le tragedie che avevo letto. Non potevo crederci. Dovevo saperne di più. Petronio mi disse che il diario non era finito ma che se davvero mi andava di dargli un’occhiata potevo ripassare dall’ospedale dopo qualche giorno. Cara lettrice, caro lettore, se hai in mano questo volume allora capirai che tornai da lui e quello che lessi mi piacque così tanto da volerlo aggiustare un po’ prima di regalarlo alle stampe. Quelli che seguono sono i capitomboli narrati nel diario del mio adesso amico Petronio Punti.

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capitombolo 1

P

L’isola che purtroppo c’è

ensa, amico mio: che suono avrebbe avuto il nome Overlook Hotel nelle orecchie di Jack Torrance se gli avessero rivelato che sarebbe stato la sua bara? Il nome dei luoghi e delle cose cambia suono in base a come noi stessi lo assimiliamo nella nostra mente; semplice ma io non potevo capirlo la prima volta che sentii nominare Via dei Magazzini. Però è bene fare una precisazione, Raimondo; il padre di Amleto era morto e sepolto quando lo si vide passeggiare funestamente sui torrioni di Helsinor, altresì non sarebbe stato bizzarro guardarlo mentre si godeva un giro all’aperto nella fredda aria notturna. Perché ti dico questo?! Perché devo farti una grossa precisazione prima di iniziare a raccontarti cos’è stata la mia vita sullo scoglio malefico e cioè che tutte quelle cose assurde che sto per scrivere sono successe veramente anche se qui le narro usando la naturalezza di due amici che chiacchierano al bar. Forse sarò un po’ sarcastico ma ne converrai anche tu che è molto meglio così, almeno smorzo i toni di quella che in effetti è stata una sciagura. So che tu non sai molto di me, visto che sei un parto del mio psichiatra (dottore so che non dovevo scriverlo questo, ma almeno una volta è giusto che Raimondo sappia che lui è un amico fittizio che lei ha creato per consentirmi di narrare la mia storia) quindi ti dirò brevemente alcune cose che io reputo scontate ed inutili ma 9


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che magari a te possono servire per comprendermi meglio. Mentre ti scrivo ho trentasette anni, non sono sposato ne ho una compagna, ho lavorato tutta la vita nel settore assicurativo nella mia città natale che è Bologna ed ho un grave esaurimento nervoso che mi tiene compagnia da oltre un lustro. Non so come tutto ebbe inizio, oppure lo so ma non l’ho mai ammesso neanche a me stesso, fatto sta che cinque anni fa ero impiegato in un palazzone grigio nel centro del centro dell’Emilia e d’un tratto sentii il tintinnio dello Schiaccianoci di Tchaikovsky. Non era Natale e non avevo la radio accesa in ufficio, però il tintinnio era reale; almeno per me. Strano vero?! L’inizio della mia fine ha avuto il suo avvento con un bel brano di musica classica! La storia d’amore più vera degli ultimi miei anni era finita alcuni giorni prima e il mio cervello per qualche assurdo motivo aveva deciso di mettere su una musica da balletto. Bene, pensai non crucciandomene. Non riuscivo ad impegnarmi sul lavoro, non mi godevo la fantastica città dove abitavo e non coltivavo più amicizie ed hobby. E dire che ero sempre stato un tipo allegro prima d’allora. Adesso ti illustro in due parole che si trattava di depressione, ma allora probabilmente sarei rimasto in silenzio pensando di avere un calo vitaminico poiché non credevo che certe malattie potessero esistere davvero. Difficile ammetterlo per chi non ha passato il dramma che io ho sentito ardere sulla mia pelle. Le sedute dallo psicologo furono inevitabili come inevitabile era la noia che ne susseguiva. Non trovavo beneficio nel narrare il niente ad un perfetto sconosciuto che mi trasmetteva il nulla. Il mio analista di quei tempi non sapeva come aiutarmi e del resto io non ero ben cosciente di aver bisogno di qualcuno che lo facesse. «Si rilassi Petronio» diceva sempre «pensi ad una spiaggia assolata!» che strano; non funzionava mai. 10


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In effetti era febbraio e a Bologna visualizzare la spiaggia assolata mentre la nebbia ti espropria i polmoni non è il massimo della semplicità, anche se ora col senno di poi ammetto che la nebbia l’avevo dentro di mio. «Cambi aria Petronio, faccia un viaggio.» “Grazie dottore, lo farò sicuramente, appena avrò finito di racimolare le forze necessarie almeno ad alzarmi dal letto al mattino.” Questo è sempre stato un mio difetto, penso più di quanto in realtà dico. Caro Raimondo in quel modo lì non funzionava, perdevo giorni su giorni tra cure palliative e lavoro oramai quasi inesistente chiedendomi quale sarebbe stato il mio destino. Una domanda simile se la stavano ponendo anche i due signori in attesa di rinnovare la polizza assicurativa della loro macchina, al di là del vetro che separava la mia scrivania dalla sala d’aspetto. Sentivo le loro parole, anzi respiravo il profumo delle loro parole, udivo le sirene di Ulisse che mi chiamavano verso gli scogli, anzi verso lo scoglio. «Prova così: a pochi passi dal mare e vicinissima al centro abitato, vendesi casa di circa tot metri quadri con annesso piccolo giardino» disse una voce maschile. «Si, ma dobbiamo specificarlo che si tratta di Delfinia, sennò l’annuncio passa inosservato» rispose una voce femminile. «Allora aggiungi: disponibile già da subito in Via dei Magazzini 80/a, Isola di Delfinia.» Il mio cervello stava trasmettendo a tutto volume i soliti tintinnii, ma sempre col mio adorato senno di poi avrebbe dovuto trasmettere il requiem di Mozart. Conoscevo di fama l’isoletta di Delfinia, un piccolo fiore all’occhiello nel mare della Remotia, ma quella era la prima volta che sentivo nominare la strada che tanto e troppo mi avrebbe tenuto sveglio la notte: Via dei Magazzini. Purtroppo non si mate11


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rializzò sul vetro dell’ufficio la parola REDRUM scritta col sangue, così che preso da un’improvvisa scintilla di luce liquidai velocemente la pratica di sinistro che avevo sottomano e mi precipitai a fare entrare la coppia dentro il mio studio. Erano marito e moglie, sulla quarantina, stavano armeggiando con un tablet e la cosa mi aiutò a capire che i discorsi che avevo sentito poc’anzi si riferivano ad un annuncio immobiliare, inoltre il mio occhio cadde volutamente sul display appena in tempo per carpire che il browser Internet era fermo su un famoso sito di annunci. Loro si accomodarono ed iniziarono a parlarmi della polizza assicurativa ma a me francamente non ne fotteva niente sia che andassero in BMW sia su un calesse a cavalli; io volevo sapere di più su Via dei Magazzini. La signora mi diede il suo documento d’identità per fotocopiarlo e così riuscii a trovare il mio cliffhanger per arrivare dove stranamente avevo scoperto di voler arrivare. «Lei è nata a Delfinia? che posto stupendo!» buttai lì, ricordando a me stesso Massimo Decimo Meridio che loda Roma senza averla vista mai. «Conosce il nostro piccolo paradiso?!» intervenne l’uomo con un tono di voce pacato ma allo stesso tempo autoritario e quasi fastidioso. «Solo in foto. Ma qualche anno fa sono stato in vacanza nell’isola di Balatelle, lì vicino» «Balatelle!» rispose arrogante «non vale un millesimo di Delfinia. Li hanno solamente sole e sassi; noi abbiamo la vita, la montagna, le spiagge incontaminate e i laghetti poi… » Sai Raimondo, io non mi ritengo una persona eccessivamente sensibile ma sentivo nel tono di voce di quell’uomo un non so che di untuoso; era come se stesse facendo alcune prove tecniche su cosa avrebbe dovuto dire ai possibili acquirenti della ridente casetta in via dei Magazzini. 12


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