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[{ Saggi e Manuali }
Davide Bellacicco Consiglieri delegati e collaboratori civici negli enti locali:
aspetti ricostruttivi in ordine alla loro legittimitĂ e al diritto di accesso
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Copyright Š 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN:978-88-99751-51-7
Davide Bellacicco, Consiglieri delegati e collaboratori civici negli enti locali: aspetti ricostruttivi in ordine alla loro legittimitĂ e al diritto di accesso, Antipodes, Palermo 2018
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Alla mia famiglia, che ha sempre creduto in me
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Introduzione LE FIGURE ATIPICHE NELLA PRASSI E LA NECESSITÀ DI RICOSTRUIRE UNA DISCIPLINA ORGANICA
Consiglieri delegati e collaboratori civici costituiscono due soluzioni con le quali gli enti locali hanno inteso far fronte ad una esigenza di carattere contingente. Il maturare nell’elettorato di un crescendo di attenzione, di una sensibilità verso il tema del contenimento della spesa pubblica e, in specie, dei cd. costi della politica, in un clima cui, certamente, deve aver contribuito la straordinaria fase di crisi economica che ha segnato il Paese, ha indotto le forze politiche locali, in un primo momento, a porsi il tema delle esternalità mediatiche negative generate dalla costituzione di giunte composte da un numero ritenuto eccessivamente elevato, e quindi dispendioso, di membri e, in seconda istanza, non di rado, a scommettere su questo trend anticipando nei programmi elettorali la volontà, in caso di vittoria, di non superare un certo numero di nomine. La corsa a ribasso, associata alla riduzione del tetto massimo di assessori, operata con legge nel 20111, ha posto il problema di come bilanciare la nuova tendenza con la necessità di disporre di una squadra che possa aver cura dei referati senza inefficienti eccessi di deleghe in capo a singoli soggetti. Parallelamente non è cessata la ricerca di forme di gratificazione di soggetti che, sebbene non eletti negli organi consiliari o Art. 47 co. 1 T.U.E.L., come mod. dall’art. 16 co. 17, L. 14 settembre 2011, n. 148. 1
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non avendo partecipato in prima persona alla competizione elettorale, abbiano contribuito all’esito positivo della medesima: una dinamica che, invero, ha da sempre trovato la sua risposta nei rinnovi dei cd. incarichi di sottogoverno ma che, non v’è dubbio, costituisce una concausa dei fenomeni oggetto della trattazione, soprattutto per l’agilità della soluzione, la quale consente di svincolare il tentativo di integrazione nella gestione dell’ente in via indiretta dall’aspetto economico, possibile bersaglio di critica politica, senza, con ciò, intaccare la rafforzata fedeltà dell’interessato alla maggioranza di governo: sicuramente un altro aspetto non irrilevante nel gioco correntizio dei partiti e soprattutto delle coalizioni, se si considera che ad un minor numero di assessori corrispondono maggiori difficoltà a soddisfare le aspettative di rappresentatività di ciascuna lista. Queste riflessioni traggono origine, dunque, da una fotografia della realtà degli enti locali italiani. Il punto di partenza comune resta il tentativo delle amministrazioni di trovare degli pseudo-assessori: qui si intende porre in luce il ruolo di dottrina e giurisprudenza nel ridimensionamento di queste aspettative. Le criticità che quest’opera tenterà di affrontare afferiscono a due interrogativi, rispettivamente relativi alla legittimità, o meglio, alle condizioni, al perimetro entro il quale possa ritenersi consentita la nomina di un consigliere delegato o di un collaboratore civico (terreno, questo, che i quotidiani locali ci restituiscono essere terreno di aspri confronti con le opposizioni) e all’applicabilità di quel complesso sistema normativo che disciplina l’accesso ad atti, dati e informazioni e che risulterà, giocoforza, il perno centrale, per valutare, qualora fosse appurata la legittimità di queste figure, la loro funzionalità sul piano pratico. Il sorgere dal basso di questi soggetti, in parte novità, in parte, come si dirà, frutto di un recupero da un passato connotato da un 6
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diverso ordine di relazioni fra Consiglio, Sindaco/Presidente e Giunta, impone, nell’assenza di norme ad hoc del legislatore (fatte salve alcune eloquenti eccezioni), di procedere ad una ricostruzione di una disciplina organica partendo dalle norme vigenti in materia di enti locali e non solo ed è questo ciò a cui, nel loro piccolo, queste riflessioni si propongono di contribuire.
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Capitolo I I CONSIGLIERI DELEGATI 1.1 - I CONSIGLIERI DELEGATI NEGLI ENTI LOCALI DIVERSI
DAI COMUNI DOPO LA RIFORMA DELRIO (L. 7 APRILE 2014, N. 56)
Pare opportuno analizzare la disciplina dei consiglieri delegati ponendo riguardo preliminarmente alla situazione in essere negli enti locali diversi dai comuni, per poi approfondire nei paragrafi seguenti le criticità maggiori, che riguardano maggiormente proprio questi ultimi. In specie, ritroviamo questa figura negli interventi di riforma in materia di province e di città metropolitane. Il riferimento è alla L. 7 aprile 2014 n. 56, giornalisticamente nota come Legge Delrio, dal nome dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alle politiche di coesione territoriale. Pensate per sostituire l’ente provincia, pur in un regime di non totale sovrapponibilità funzionale con le stesse, in presenza di centri urbani di particolare estensione in cui non vi è soluzione di continuità fra il capoluogo e una periferia sempre più interconnessa e urbanizzata, nonché in presenza di oggettive necessità d’integrazione decisionale fra centro ed enti che risentono delle sue esternalità positive e negative, le città metropolitane, pur da tempo previste come elemento costitutivo della Repubblica al 114 Cost.2, Art. 114 Cost.: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato […]».
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dopo una lunga fase di stallo, muovono, ora i primi passi fra non poche incertezze e, nel novero dei detrattori, critiche relative per lo più al bilanciamento dei “rapporti di forza” fra capoluogo e altri comuni all’interno degli organi del nuovo ente e ad un, sovente denunciato, deficit di legittimazione popolare degli stessi. È d’uopo trattare l’argomento in parallelo con la riforma di un altro ente di area vasta quale la Provincia, giacché, per quanto attiene alle norme di interesse, la legge si è limitata a duplicare il contenuto di quelle relative alle Città metropolitane, in un contesto generale di marcata provvisorietà, stante la volontà, persino espressa nella legge3, di superare questa disciplina con una totale abrogazione dell’ente in sede di attuazione di quella riforma del titolo V poi naufragata all’esito del voto referendario del 4 dicembre 2016. Vediamo dove, nell’architettura di questo nuovo ente locale si innestano i consiglieri delegati e con quali attribuzioni. Al comma 7dell’articolo unico del testo di riforma si enunciano gli organi della città metropolitana: Sindaco metropolitano, Consiglio metropolitano e Conferenza metropolitana, ripartizione che per le province si ripete al comma 54 (il Consiglio metropolitano diventa Consiglio provinciale, la Conferenza diventa Assemblea dei sindaci, ma la sostanza non cambia). Come si può notare, si sceglie di alterare la storica individuazione degli organi tipici dell’ente locale in Presidente (o Sindaco), giunta e consiglio. In particolare, si sceglie di cancellare quella giunta organo esecutivo collegiale dalle competenze a carattere residuale senza chiarire la loro ricollocazione. Come recuperare la, tuttavia, essenziale presenza, se non di un organo esecutivo collegiale ad hoc, almeno di soggetti che, in concreto,
Art. 1 co. 51 L. 7 aprile 2014, n.56: «In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative leggi di attuazione, le province sono disciplinate dalla presente legge». 3
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si occupino di seguire quei referati un tempo appannaggio degli assessori provinciali? Uno spunto interpretativo giunge dalla nota n. 1 del 23 ottobre 2014 dell’allora Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Maria Carmela Lanzetta: in essa si sostiene che «al fine di garantire la funzionalità complessiva del sistema di governo dell’ente», date le lacune nella L. 56/2014, andranno applicate le norme del T.U.E.L. ogni qualvolta la legge di riforma non tocchi la questione (ovviamente la nota si riferisce alle sole norme del Testo Unico relative agli enti territoriali di cui la nuova legge tratta e non alla regolamentazione di personale, ordinamento finanziario e contabile etc.). Dal momento che poi è la Legge 56 a richiamare gli statuti dei nuovi enti, questi potranno ben definire elementi nebulosi nella riforma, ma non regolare tutte quelle questioni per cui non opera la deroga della Legge 56 e che trovano disciplina residuale nel Testo Unico. Siccome sia il T.U.E.L. che la L. 56/2014 chiariscono che il Consiglio provinciale è organo di indirizzo e controllo e la riforma circoscrive le competenze della Assemblea dei Sindaci, attribuendo poteri consultivi, di proposta o, anche qui, di mero controllo, e poiché il T.U.E.L. si occupa pure dei dirigenti specificandone pedissequamente il ruolo, l’unico organo con competenze definite ma che non collidano con delle competenze di carattere esecutivo residuale è il Presidente. Il Presidente della Provincia o il Sindaco metropolitano, dunque, sono, per esclusione, i nuovi titolari delle competenze residuali e, stante l’espunzione della giunta e delle sue competenze dai nuovi enti, il tutto è attratto in blocco alle competenze del Presidente/Sindaco, nuovo organo esecutivo monocratico4, con la necessaria conseguenza Del medesimo avviso S. LUIGINO, Il neopresidenzialismo nella "nuova" provincia ente d’area vasta, studiocataldi.it, 2014, [ultima cons. 2 settembre 2017]. 4
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che il titolare di un potere possa delegarlo ad altri soggetti, da cui la legittimazione dei consiglieri delegati cui allude il testo di riforma, una mossa pressoché obbligata per un Presidente, che ha già da gestire il suo comune e versa nell’oggettiva difficoltà di condurre in solitaria il nuovo ente metropolitano, più che una soluzione dettata da un certo, pur rilevabile, “conservatorismo amministrativo”. Questa ricostruzione restituisce il sentore che ai consiglieri delegati di nomina del Presidente della Provincia possano essere attribuiti poteri anche più ampi rispetto a quelli conferibili dai sindaci nei comuni, sulla scorta del fatto che un Sindaco non potrebbe, invece, disporre delle attribuzioni derivanti dalle competenze dell’organo giunta. Il testo della L. 56/2014 distingue, poi, la nomina del Vicesindaco metropolitano, cui eventualmente sono attribuibili deleghe, dai consiglieri delegati. Il rapporto, anche se nella legge sono trattati in due fasi, è di species-genus. Per quanto rileva la nomina del Vicesindaco metropolitano/Vicepresidente della Provincia i comma 40 e 66 suggeriscono la mera eventualità che vi si provveda e una scelta che ricada nel novero dei consiglieri (per questo è una species), «stabilendo le eventuali funzioni a lui delegate e dandone immediata comunicazione al Consiglio». Sarebbe stato auspicabile, da parte di un più avveduto legislatore, inserire nel testo la previsione di una incompatibilità fra l’ufficio di Vicepresidente dell’ente e quello di consigliere, considerato che, come lo stesso comma 40 prospetta subito dopo, «il Vicesindaco esercita le funzioni del Sindaco in ogni caso in cui questi ne sia impedito» e, questione ancora più spinosa, «qualora il Sindaco metropolitano cessi dalla carica per cessazione dalla titolarità dell’incarico di Sindaco del proprio comune, il Vicesindaco rimane in carica fino all’insediamento del nuovo Sindaco metropolitano», non operando, quindi, alcuna prorogatio. In altri termini, il Sindaco metropolitano nomina un suo sostituto fra i consiglieri, il cui ruolo definito ex lege è di membri di un «organo di 12
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indirizzo e controllo» che «Approva regolamenti, piani e programmi» e «Ogni altro atto ad esso sottoposto dal Sindaco metropolitano»5, un sostituto che potrà non solo esercitare le funzioni del Sindaco in caso di impedimento, ma anche subentrarvi ad interim in caso di cessazione del primo dalla carica6, il tutto, stando alla littera legis, continuando, da controllato, a vestire anche i panni del controllore. Alla luce di queste considerazioni, almeno per l’eventualità di una stabile sostituzione causata dalla cessazione da parte del Sindaco metropolitano della titolarità dell’incarico di Sindaco del suo comune e in attesa della proclamazione del nuovo eletto a seguito del ritorno alle urne, si potrebbe sostenere con sufficiente sicurezza che il Sindaco metropolitano ad interim dovrebbe decadere dalla carica di consigliere, a garanzia del ruolo rivestito dall’organo di cui era membro. Ad una soluzione di tal genere si potrebbe ovviare privando del diritto di voto il consigliere delegato a funzioni vicarie, quando nell’esercizio delle sue funzioni, tutte vie d’uscita praticabili colmando in via interpretativa un testo in più punti lacunoso e adotArt. 1 co. 8 L. 7 aprile 2014, n.56. Non così, a contrario, il Vicepresidente della Provincia, giacché, ex art. 1 co. 59 L. 7 aprile 2014, n.56, «Il Presidente della Provincia dura in carica quattro anni», non residuando, quindi, soluzioni di continuità nella titolarità della carica che potrebbero invece residuare per il Sindaco metropolitano, a maggior ragione considerando che il legislatore ha inteso su questo punto generare una differenziazione fra la disposizione relativa al Sindaco metropolitano e quella riguardante il Presidente della Provincia, elidendo, in quest’ultimo caso, il passaggio in cui si escludeva indirettamente la prorogatio facendo subentrare il Vicepresidente. Potrebbe, eventualmente, riprodursi lo stesso problema per le province solo in caso di cessazione anticipata del mandato presidenziale per cause diverse dalle dimissioni volontarie (tutte questioni su cui la legge glissa) in cui, di fatto, non ci sia più un soggetto alla guida dell’ente, sebbene solo in regime di prorogatio. Senza dubbio dovremmo sostenere che il ruolo di “traghettatore” spetterebbe al Vicepresidente, con la puntuale riproposizione delle criticità già analizzate. 5 6
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tabili in sede di redazione dello statuto dell’ente. Per altro il tema del conflitto controllante-controllore ritornerà spesso nella trattazione della tesi, giacché è forse questa la più irrisolta e spinosa criticità circa i consiglieri delegati o comunque titolari di attribuzioni che li pongono “al di là della barricata”, nel novero di chi pratica la gestione attiva dell’ente. Per quanto attiene le deleghe un tempo conferite agli assessori, la Legge Delrio attribuisce al Sindaco/Presidente anche la facoltà di assegnarne a dei consiglieri, questione destinata a generare criticità analoghe a quelle relative al Vicesindaco/Vicepresidente, senonché è lo stesso legislatore a delimitare il perimetro di ammissibilità entro «le modalità» e «I limiti stabiliti dallo statuto»7. Sempre la nota ministeriale, tra l’altro, conferma che questa dizione stia a precisare la necessità che l’assegnazione delle deleghe sia coperta da una disposizione statutaria. Il vero dibattito dottrinale si staglia, invece, sul riferimento che pone il dato normativo al «rispetto del principio di collegialità»8, non essendo minimamente chiaro se per tale debba intendersi collegialità fra delegati e Sindaco/Presidente o collegialità con il Consiglio di cui pure restano membri. La questione non è peregrina, giacché siamo partiti dall’assunto che la Riforma rivede la distinzione Presidente-Giunta-Consiglio e, forte della competenza statale in materia di disciplina degli organi degli enti locali aventi rilevanza esterna, propone uno schema nuovo che “taglia” il fu organo esecutivo. Parlare di principio di collegialità fra delegati sembrerebbe sconfessare, poche righe dopo, il nuovo impianto suggerito dal co. 8. Di questa Art. 1 co. 41 L. 7 aprile 2014, n.56: «Il Sindaco metropolitano può altresì assegnare deleghe a consiglieri metropolitani, nel rispetto del principio di collegialità, secondo le modalità e nei limiti stabiliti dallo statuto». 8 MIGLIARESE CAPUTI, Diritto degli Enti Locali. Dall’autarchia alla sussidiarietà, Torino, Giappichelli, 2016, p. 220. 7
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vaga affermazione del legislatore hanno prontamente approfittato un discreto numero di enti, desiderosi di ripristinare lo status quo per le ragioni già esposte: pensiamo ad es. alla Città metropolitana di Bari9, Roma10 ma anche Milano11, Bologna12 e Genova13 che hanno istituito dei coordinamenti o delle commissioni consiliari composti esclusivamente da consiglieri delegati proprio per ripristinare una qualche forma di collegialità, attribuendo ai medesimi poteri consultivi se non proprio un ruolo organico nella fase di approvazione delle singole proposte14,
Art. 22 Statuto Città metropolitana di Bari: «I consiglieri delegati collaborano col Sindaco Metropolitano, anche operando in forme coordinate e in riunioni convocate e presiedute dal Sindaco metropolitano o, su sua delega, dal Vicesindaco […]». 10 Art. 15 Statuto Città metropolitana di Roma: «[…] Il Sindaco nomina un Coordinamento dei consiglieri delegati, composto dal Sindaco, dal Vice Sindaco e dai Consiglieri delegati, di seguito denominato “Coordinamento dei delegati”, che può riunire in forma collegiale». 11 Art. 22 co. 3 Statuto Città metropolitana di Milano: «Nel rispetto del principio di collegialità e allo scopo di assicurare l’esercizio coordinato delle funzioni di cui al comma 1, il Sindaco metropolitano riunisce periodicamente il Vice Sindaco e i Consiglieri delegati, anche al fine di definire le proposte da presentare al Consiglio metropolitano per l’attuazione dei programmi e per definire le priorità da perseguire». 12 Art. 35 Statuto Città metropolitana di Bologna: «Il Sindaco può convocare riunioni con il Vicesindaco e i Consiglieri metropolitani delegati al fine di condividere e concorrere all’elaborazione delle politiche ed al coordinamento delle attività della Città metropolitana». 13 Art. 15 co. 6 Statuto Città metropolitana di Genova: «Il Sindaco può riunire il Vicesindaco e i Consiglieri delegati al fine di concorrere alla elaborazione di politiche ed al coordinamento delle attività della Città metropolitana». 14 Art. 18 Statuto Città metropolitana di Roma: «[…] Spettano al Consiglio le seguenti competenze fondamentali: […] adottare, su proposta del Sindaco, sentito il Coordinamento dei delegati, gli schemi di bilancio da sottoporre al parere della Conferenza»; Art. 22 Statuto Città metropolitana di Roma: «Il Sindaco […] adotta, sentiti i Consiglieri delegati, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi della Città metropolitana, sulla base dei criteri generali e degli indirizzi fissati dal Consiglio; f) propone al Consiglio gli schemi di bilancio e le relative variazioni, di concerto con il Coordinamento dei delegati». 9
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