Fotografie scomposte

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{Narrativa}

Anna Pasquini

FOTOGRAFIE SCOMPOSTE


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Copyright © 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it In copertina dipinto “Attese in quiete” di Anna Pasquini

ISBN:978-88-99751-45-6

Anna Pasquini, Fotografie scomposte, Antipodes, Palermo 2018


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A Stefano


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Nota dell’Editore

erché un libro di racconti? Quando Fotografie scomposte è arrivato alla nostra Redazione, questa è stata una domanda spontanea, poiché il libro di Anna Pasquini è, fuor di dubbio, un libro di racconti. Spesso molti considerano questo genere letterario demodé, o di qualità inferiore al romanzo, forse più adatto ai bambini che agli adulti oppure un semplice esercizio di stile propedeutico all’apprendimento dell’arte della narrazione. Pur svolgendo questo lavoro da tanti anni raramente, come in questo caso, ci siamo ritrovati a stupirci di quante emozioni possano trasmettere poche parole sapientemente organizzate nello spazio di mezza pagina. Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal nostro stesso desiderio di scoprire le altre avventure nascoste sotto il titolo successivo, d’immaginare ancora altri luoghi, altri tempi, altre vite guidati da uno stile elegante che con garbo, tenerezza e a volte anche ironia è capace di illustrare ciò che l’occhio non vede ma la mente costruisce e comprende. Fotografie scomposte regala al lettore emozioni quotidiane, istantanee di vite che con semplicità descrivono universi personali e psicologie. Attimi, catturati in percorsi esperienziali importanti o di poco conto che porteranno i protagonisti a riflessioni profonde e lasceranno a chi legge la sensazione di essere stato testimone di qualcosa d’importante, di un cambiamento o semplicemente una 5


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presa di coscienza, confidente di un personaggio che in poche righe è diventato protagonista assoluto ed è tornato nella penna dell’autrice. Basta questo a fugare ogni dubbio e a rispondere alla domanda.

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Cuori ribelli

argareth aveva incontrato William a un ballo, nella magnifica reggia della Contessa Lorens, a Londra. La Contessa lo aveva organizzato per il debutto in società della sua unica figlia: Plutina. Lo sfarzo e la perfezione maniacale furono i protagonisti della serata, la Contessa si sentiva molto fiera di sé e passava in rassegna, in modo non troppo discreto, i giovani accorsi per il grande evento. In realtà sperava in cuor suo che fosse il giovane William a farsi avanti, peccato però che questo non avesse occhi che per Margareth, terzogenita dei Redfield, e decisamente meno agiata della sua Plutina. Margareth sedeva composta accanto alla sorella maggiore, lievemente imbarazzata e profondamente incuriosita da tutto quel fluttuare di corpi e sguardi. Tuttavia il suo sentimento non era di ammirazione, in verità osservando quella ricca e variopinta fauna, termine adatto considerati gli animaleschi cappellini e i colli di pelliccia indossati dalle signorine e dalle signore presenti in sala, tutte in ghingheri davanti a lei, provava una chiara insofferenza e in cuor suo si sentiva molto più vicina alla giovane cameriera che portando con fermezza un vassoio ricolmo di calici, taluni pieni altri vuoti, tra spintoni e gomitate, riusciva a mantenere una postura composta ed elegante. Sì, sentiva di poter condividere molte più cose con quella ragazza popolana, piuttosto che con quelle oche vanitose desiderose solo di maritare un uomo facoltoso senza 7


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il minimo interesse per quello che potevano essere, qualora ce ne fossero, i reciproci pensieri, ideali, sentimenti. Fu nel pieno delle sue elucubrazioni cerebrali che il baronetto William, senza che lei se ne rendesse conto, le si avvicinò. “Sembrate molto pensierosa, mia Signora… ”, le disse spavaldo, sorridendo. Margareth sobbalzò sorpresa, non era abituata a certi scambi con l’altro sesso senza esser prima presentata, arrossì abbassando lo sguardo e puntandolo fisso sulle mani, che avvolte dai guanti in pizzo bianco rimasero ferme sulle gambe per impedire che il ragazzo notasse il loro tremolio. Fu questo il loro primo incontro. Quel giorno era poi intervenuta la vecchia signora Clotilde, nobile aristocratica della Contea di West Brown, la quale senza vergogna avendo osservato la scena da pochi metri, accondiscendendo civettuola a quella potenziale unione, si era avvicinata e aveva fatto le presentazioni. “Baronetto William, mi permetta di presentarle le signorine Redfield, Vanessa la maggiore e Margareth, che se avrà la compiacenza di alzare gli occhi dai suoi guanti… ”, solo allora Margareth si destò e porse il dorso della mano all’affascinante sconosciuto. La serata trascorse piacevole. Vanessa ballò moltissimo e si divertì, anche Margareth tornò a casa felice, pur non essendosi alzata mai se non per raggiungere la carrozza. Infatti, lei e il baronetto trascorsero l’intera serata seduti a dialogare, tra lo stupore degli invitati, l’invidia delle giovani donne e delle loro madri e la curiosità generale. S’innamorarono e iniziarono a frequentarsi come potevano quando potevano, sempre rigorosamente insieme a vagonate di altre persone: feste, gite, tea pomeridiani. Qualche volta capitava che simulassero incontri improvvisi, William mandava il fratellino minore a recapitare i suoi messaggi di nascosto, in essi la informava che nel pomeriggio avrebbe cavalcato in città e così Marga8


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reth iniziava a dare il tormento alla madre perché la portasse a comprare con urgenza un cappellino che aveva visto al negozio della vecchia signora Barnes, che era l’ultimo rimasto e che dovevano quindi sbrigarsi e così lui si metteva in ghingheri e si faceva trovare lì per caso, a cavallo. “Buon pomeriggio, Signore!” e Margareth era così fiera di lui, così bello, affascinante e anche la madre sembrava apprezzare quel giovane di grandi speranze e con un grosso capitale alle spalle, del resto anche la sua famiglia seppur più modesta, era nobile, dunque insieme i due avrebbero accresciuto il loro patrimonio. La signora Redfield approvava e benediva quell’unione, e presto convinse anche il marito, che aveva un debole per la figlia e sperava di rimandare il più possibile il distacco dalla ragazza. Margareth e William erano giovani e sognatori. La loro città per quanto bella e moderna gli stava stretta, come non sperare di andare altrove? Come non vagheggiare una vita oltre quel paese inamidato e stantio? L’America li chiamava. L’America era la soluzione. I due ragazzi volevano viaggiare, conoscere nuovi mondi, ripartire dall’inizio, in un luogo che non conoscevano e che non conosceva loro. I due ragazzi volevano farcela da soli, con le loro forze, l’azzardo dell’incoscienza sarebbe stato aiutato dalle loro risorse, ma una volta lì avrebbero intrapreso la loro strada. Margareth fece i biglietti per New York. Solo andata. I suoi genitori e quelli di William cercarono in tutti i modi di dissuaderli. Che bisogno avevano di allontanarsi? L’America rappresentava un’occasione per le folate di disperati che non avevano nulla, ma loro? Perché loro volevano lasciare la loro casa, i loro affetti, le loro radici? I due fecero qualcosa di ancora più intrepido e folle. Da sempre ribelli e insofferenti alle costrizioni dell’aristocrazia e della nascente borghesia, decisero di viaggiare come due persone normali, anzi di più, come due persone povere. Margareth infatti 9


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aveva rinunciato ai biglietti in prima classe. Una follia, sì, ma a vent’anni di follie se ne fanno e lei voleva farcela da sola. I soldi li avrebbero portati, certo, e anche qualche monile d’oro da poter rivendere in America, ma ben nascosto, sotto le scarpe e tra la biancheria. Si fecero dare umili vesti dalla loro servitù, ma non dissero nulla ai genitori, che per il dolore e il disappunto avevano deciso di non accompagnarli al porto. Si cambiarono strada facendo alle botteghe dei signori Jordan e Vladimiro e si ritrovarono lì, al porto. Si guardarono da lontano, felici, orgogliosi. Si riconobbero innamorati e folli, capaci di tutto dal momento che erano stati capaci di compiere un’impresa così grande e coraggiosa che aveva in serbo chissà quali e quanti rischi. Avevano paura anche. Ma di quella paura che ti fa sentire vivo, eccitato, forte, invincibile. Si abbracciarono, piansero. Avevano solo due valigie per uno, anche quelle donate dalla loro servitù, di un cartone rovinato e sghembo. “Andiamo, Amore mio? Sei pronta?” “Prontissima Amore mio. Andiamo! La nostra nuova vita ci aspetta… ” Tenendosi per mano s’incolonnarono dietro la fila che scomposta e fibrillante attendeva davanti al transatlantico. Era il loro primo viaggio insieme, così lungo in un luogo così lontano. Avevano paura anche di quello. Ma tutti avevano detto che quella immensa nave era praticamente inaffondabile, non avevano nulla da temere. Il Titanic salpò in orario, tra la sorpresa e il festoso entusiasmo della folla accalcata al porto.

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