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Paolo Durando
Gli eletti di Scantigliano
Seconda edizione
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(...) E come portati via si rimane. G. Ungaretti Nostalgia
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Copyright Š 2015 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-73-4
Paolo Durando, Gli eletti di Scantigliano, seconda edizione, Antipodes, Palermo 2015
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oscani di Scantigliano, Alba Fruzzetti e Vincenzo Gori non avrebbero mai immaginato di ritrovarsi, nel giro di pochi giorni, nel Sahara Occidentale. Del gruppo, furono i primi ad arrivare alla sede di al-Dakhla dell’Extension Ov, a due passi dall’Hotel dove avevano pernottato. Seguirono delle frecce e si trovarono in un corridoio asettico, ancora deserto. Aspettarono, lui in piedi, le mani in tasca, lo sguardo diviso tra la parete bianca e il pavimento, lei seduta, china sulle mani intrecciate. Erano ancora perplessi per quanto era accaduto e storditi dal viaggio aereo, da tutto quel sole e vento secco, dal mare visibile ovunque si voltassero. Non si erano mai sentiti degni di particolare attenzione. E, dai tempi della grande crisi, avere superato i trent’anni significava avere altro, per la testa, che la cura del look. Una donna con un foglio-tablet in mano e gli occhiali quadrati, ovviamente hud, ma in quel momento disattivati, si affacciò sulla soglia e si soffermò sul volto pallido e spigoloso di Vincenzo. «Fruzzetti e Gori, entrate pure.» 5
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Alba liberò le dita delle mani e si alzò. Tendeva spesso a guardare per terra, oppure a perdersi su un punto qualsiasi, magari mentre parlava veloce, ravviandosi di tanto in tanto i capelli che le coprivano il viso affilato. Quasi mai intercettava lo sguardo del suo interlocutore. Vennero fatti sedere davanti ad una scrivania dove un uomo con gli stessi occhiali, però ovali, e l’aria più comunicativa, li squadrò con attenzione. «Dunque, avete superato la selezione. Quello che ci avete mandato, fotografie, filmati, indicazione di preferenze, gusti, aspirazioni generiche è stato considerato consono a questa nuova esperienza che vogliamo avviare. Ma già lo sapete.» I due giovani erano seduti rigidi, in apprensione. Le labbra sottili di lei erano serrate. Avevano partecipato alla selezione per scherzo, ufficialmente; in realtà certe cose non si fanno mai per finta, una parte di se stessi resta abbarbicata alla possibilità di cambiare vita, di far parlare di sé. «Ribadiamo che voi dovrete abbandonare la realtà aumentata per sei mesi, sarete privati di ogni ausilio tecnologico. La parola detta e, eventualmente, scritta sarà il vostro unico modo di comunicare ed elaborare il pensiero. Vi sarà consentito di leggere.» «Leggere?» Fece Vincenzo, quasi incredulo. «Non vi sarà permesso, naturalmente, di usare fogli-tablet per la lettura o per la scrittura.» «Siamo interessati a questa esperienza,» disse Alba, «Ma non siamo sicuri…» continuò, guardando la parete e poi, di sbieco, Vincenzo, «…che resisteremo.» Apriva e chiudeva un pugno come per riferirsi ad una sostanza del discorso che le sfuggiva. L’uomo alla scrivania annuì sorridendo paterno, esprimendo con lo sguardo simpatia e interesse. 6
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Faceva parte del suo ruolo, ovviamente, pensò più o meno Vincenzo, avvertendo che non era davvero lui come persona ad interessarlo. Aveva ormai compreso che un vero interesse per i propri simili non ce l’aveva nessuno. Esiste un interesse professionale e, subito dopo, quello sessuale e sentimentale. Si basava su questa considerazione più per prevenire le delusioni che perché la pensasse davvero così. In verità era più credulone, più fiducioso negli altri di Alba, che sfuggendo tutto e tutti, si era creata una corazza quasi inespugnabile, avendo però l’aria di non curarsene, di non accorgersene neppure. Le difese più riuscite sono quelle inconsapevoli, considerò in un angolo di sé, osservando di sottecchi la sua ragazza, il profilo coperto dai capelli. «Bene,» disse l’uomo, appoggiando i gomiti alla scrivania «Voi siete scritturati per questo reality. Stanotte sarete ancora ospiti dell’Hotel convenzionato e domani mattina sarete accompagnati all’imbarco.» Dopo di loro arrivò Giuseppe Lenzi, grasso e flaccido libraio cinquantenne. Fu fatto accomodare. L’impressione generale di inestetismo non impediva che tutt’intorno a lui pareva quasi di sentire l’odore dei libri, quelli di carta, i libri antichi, che lui collezionava ed esponeva in una sala appartata della sua libreria nel centro di Scantigliano. Il suo doveva essere un mondo di parole. La parola veloce, magmatica, sfuggente della sua epoca ma anche quella scolpita, tornita, pesante dei secoli precedenti. In lui il passato non era perduto né il presente veniva rinnegato. Facendo domanda per essere selezionato aveva saputo mettere in evidenza questo sia nelle immagini che lo ritraevano in mezzo ai suoi polverosi testi, sia nelle dichiarazioni oloregistrate, dove si perdeva in aneddoti raffinati quanto suggestivi sulla sua vita, ad esempio quando era scappato dai nonni per chiudersi in una casa diroccata sulla costa a leggere i classici russi, incontrando poi un rampollo dei Roma7
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nov con cui aveva avuto lunghe e gratificanti scambi di vedute, fino ad accorgersi che il piccolo aristocratico era solo una sua proiezione, un sogno ad occhi aperti. Quell’esperienza al limite della psicosi, gli era servita, raccontava, per penetrare nell’anima profonda, tormentata e sconvolta dell’ottocento russo. L’uomo alla scrivania volle riportarlo a quella vicenda, mostrandosene vivamente interessato. A Giuseppe non parve vero di poter di nuovo diffondersi sulle conversazioni immaginarie col suo amichetto russo, che gli aveva dispiegato un mondo di raffinatezze impensabili nell’Italia del suo tempo, a Scantigliano o altrove. La realtà aumentata nella quale tutti vivevano era nulla, diceva, rispetto allo scandaglio dell’interiorità e, a maggior ragione, della realtà nel suo complesso, di cui erano stati capaci i russi e i loro scrittori. «Siamo stati subito interessati a lei, in quanto saprà meglio di noi che a leggere un romanzo tipo “Guerra e pace” sono rimasti, ormai, solo depressi e/o iperdotati.» «Io non ero né l’uno né l’altro quando lo lessi…» Considerò umilmente, non si sa se credendoci davvero. In realtà un po’ depresso non poteva non esserlo stato da ragazzo, con quel corpo che si ritrovava, e iperdotato, in fondo ci stava. Il suo nido d’amore sugli scogli aveva accolto la sua amicizia immaginaria quando aveva sui dieci anni, un’età in cui di solito non ci si aspetta che si discuta con qualcuno di nichilismo e destino dell’aristocrazia nella storia europea. Giuseppe guardò il suo interlocutore tristemente, gli occhi un po’ acquosi. Era calmo e comprensivo, volendo dare ad intendere che l’essere stato selezionato per quel reality non poteva avere un grande significato per lui, ma si sarebbe prestato per solidarietà e condiscendenza nei confronti del genere umano. Quel tipo di programmi non era più stato di moda per parecchi anni. 8
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Ultimamente si stava affacciando una generazione che andava riscoprendo gli anni Zero, che cercava di differenziarsi dai genitori figli degli anni ‘40, quelli della “Revisione”, in nome di un edonismo fine a se stesso e del culto della vita privata. Era il momento giusto per la riproposizione di un reality. La Extension Ov si distingueva per questo tipo di operazioni. Più una cosa pareva superata, più la scommessa per una sua riscoperta era da prendere in considerazione. L’uomo alla scrivania lo fece firmare. «L’unica cosa che mi dispiace,» commentò Giuseppe, al momento del congedo, «è che la gente possa rendersi conto della mia non esteticità davanti, dietro, di lato.» «Su questo non c’è dubbio,» gli rispose provocatoriamente l’uomo tendendogli la mano. Era come una intesa tra maschi, una complicità. Il suo inestetismo e il loro successo in termini di share. Era il tacito pensiero di un uomo che valutava anche le sfortune altrui in termini di possibili entrate. Con l’accortezza poi di buttarla in ridere, in scherzo, come se ciò non contasse nulla. Erano in piedi sulla soglia e nel corridoio attendevano la circa quarantenne Nuccia Sbrana con il decenne Giorgio, in fibrillazione in attesa del loro turno. Giuseppe, pertanto, si allontanò, un po’ goffo, mentre la madre e il figlio si catapultavano nell’ufficio, come se fossero già stati chiamati. «Oh mi scusi!» esclamò poi Nuccia, i capelli rossi tirati all’indietro, «È che mio figlio non mi dà pace. Da stamane è agitato, non sta nella pelle… Ora usciamo subito.» «Ma no, figuratevi. Era giusto il vostro turno, no? Entrate, entrate!» La donna con gli occhiali quadrati, che stavolta non aveva potuto pronunciare in tempo il loro nome, li guardò con disapprova9
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zione mettendosi da una parte. Era sempre in piedi, col foglio-tablet in mano, su cui prendeva misteriosi appunti. Il ragazzino si sedette rapidamente sulla sedia, senza salutare. «Vogliate scusarlo. La colpa sarà mia che non l’ho saputo educare. Ma sapete, è da stamattina che me la mena con questa storia che siamo stati selezionati. Io avevo risposto al vostro appello per gioco, per far giocare lui intendo. E invece…» Si passò una mano sulla fronte, forse per asciugarne il sudore. Respirava un po’ affannosamente. Si sedette accanto al figlio e accavallò le gambe. «Avreste dovuto vederlo davanti allo screen di casa!» Aggiunse poi, con un sorriso radioso con cui voleva farsi perdonare. «Si è messo a gridare alla notizia della selezione. Una ola che è continuata fino alla telefonata di mio marito, che l’ha messo di nuovo di cattivo umore…» «Suo marito…» Fece l’uomo tornato al suo posto, nella sua veste di auscultatore di anime. «Sì, mi ha lasciata, ma quel che è peggio ha lasciato lui…» Improvvisamente le venne un groppo in gola e ricacciò le lacrime, furiosa. L’uomo le fece porgere un fazzoletto dalla donna che, lenta, impassibile, glielo porse. «Si calmi… e non parliamone. Anzi, mettiamo tra questa faccenda e lei la giusta distanza. In fondo domani ci sarà l’imbarco.» «L’imbarco…» mormorò lei, come se solo in quel momento mettesse a fuoco la verità dei fatti. «Sì, mamma, domani andiamo sulla nave del reality,» esclamò il bambino, con gli occhi che gli si illuminavano. Nuccia annuì con le guance ancora umide. Poi si riassestò. «A che ora?» chiese, controllata. «Alle dieci. Ma verremo noi a prenderla. Le sarà stato riferito che questa notte dormirete un’altra volta nel nostro hotel.» 10