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Sandro Orlandi
Il caso Timbari
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Copyright © 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it In copertina: “Ricerca di salvezza” di Maristella Angeli
ISBN:978-88-99751-26-5
Sandro Orlandi, Il caso Timbari, Antipodes, Palermo 2018
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A Renzo e Roberta
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Alle persone piene di sĂŠ preferisco le persone piene di se. (Snoopy)
Abbiamo bisogno di molto poco per condurre una vita felice (Marco Aurelio)
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a bara era troppo stretta. Riusciva a muovere sì e no le mani e gli avambracci, ma le spalle erano incastrate. Pensò addirittura che l’avessero scambiata con quella di un ragazzo, un ultimo, fatale errore umano. Era lunga però, perché con i piedi non arrivava al fondo di essa. Annaspò in modo inconsulto, graffiando a sangue il legno con le unghie, mentre gemiti gutturali di terrore puro riempivano lo spazio angusto. Il senso di soffocamento aumentò, anche perché era costretto a inspirare con la bocca aperta dal momento che col naso non ci riusciva. Però l’odore di legno lo sentiva: acre e dolciastro, come quello della propria paura. Dopo un po’ ne avvertì un altro, familiare: quello della propria urina che gli colava tra gambe. Sì, quella bara era davvero troppo stretta e sentiva di non avere speranze: era… sepolto vivo! Cominciò a gridare allora, via via sempre di più, mentre con la forza della disperazione colpiva e graffiava senza sosta, ma senza risultato, il coperchio della bara. Dopo un tempo lunghissimo si arrese e si lasciò andare ad un pianto disperato:sarebbe morto così, ora ne era certo. Singhiozzando il suo senso di soffocamento arrivò al massimo e… Aprì gli occhi e fissò lo specchio di fronte al letto. Nella penombra del lampione della strada gli sembrò di riconoscersi ma il viso non gli parve il suo per quanto era sconvolto. Con le orecchie sentiva ancora i propri gemiti, anzi, le proprie grida di terrore che evi7
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dentemente gli erano rimaste dentro per l’incubo appena avuto. Era stato un sogno dunque? Ma no, perché davvero non riusciva a respirare. Finalmente capì che aveva il naso completamente tappato a causa del raffreddore e che era costretto a prendere aria con la bocca aperta, come una cernia spiaggiata. Avrebbe sicuramente continuato a piangere e a boccheggiare mezzo incosciente se un rumore fortissimo non gli fosse penetrato nel cervello. Ci mise un bel po’ per capire che era il telefono che squillava. Non ce la fece. Avrebbe voluto muoversi, scendere dal letto per rispondere, trovare un modo per far tacere quel rumore infernale, ma gli sembrava di avere gambe e braccia ancora incollate nella bara. Dopo forse una trentina di squilli il telefono tacque e lui si sdraiò col cuore in tumulto. Ma ebbe appena il tempo di constatare di essere completamente sveglio, a casa sua, nella sua camera da letto, in preda ad un attacco influenzale, sicuramente con la febbre altissima, che il maledetto aggeggio ricominciò a trapanargli le tempie. A quel punto si catapultò letteralmente giù dal materasso finendo lungo sullo scendiletto. Con uno scatto di reni che gli costò un anno di vita riuscì a mettersi in piedi e barcollando come un ubriaco all’ultimo stadio abbrancò il cordless e finalmente alzò la cornetta. Gli sembrò meraviglioso il silenzio che ne seguì. «Pronto?» gracchiò una voce lontana. Accostò il telefono all’orecchio ma non rispose subito. «Pronto, maresciallo?» «Chi è?... » disse in un gemito gutturale e catarroso. «Pronto, pronto?» «Brrronto sì, chi è?» riuscì a rispondere a fatica. «Gesù maresciallo, mi scusi se la sveglio ma… mi sente?» «Mmmm». «Mi sa che è meglio se la richiamo più tardi vero?» «Che?» 8
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«Sta bene maresciallo?» «N-no». «Va bene facciamo così allora: mi richiami lei quando si sentirà di farlo, ok?» «Mmmm». «Maresciallo?» «Sì?» «Ha capito chi sono?» «Chi… ». «Oddio… Vincenzo, devo preoccuparmi? Sono il brigadiere… Esposito sono». «Ah, sì sì. Capito». «Allora aspetto la sua chiamata, va bene?» «Certo, certo» ripeté monocorde «Esposito, sì. Ma che ora è?» Come se avesse qualche importanza. «Le nove maresciallo». «Ah». «A dopo allora e non si preoccupi, non è urgentissimo. Cerchi di stare meglio… ». «Sì sì, a dopo sì» riuscì a sussurrare. E mise giù senza starci a riflettere. S’arrampicò sul materasso e vi si stese stanchissimo, come se non dormisse da tre giorni. Il naso, il suo prezioso naso, si era stappato: merito del brigadiere, pensò. Ma già dormiva di nuovo. Per fortuna l’incubo non ritornò. Ma era destino che non riuscisse a dormire come avrebbe voluto. Dopo neanche mezz’ora quelli del piano di sopra iniziarono i lavori di restauro. Il maledetto frullino, sottospecie di trapano, adatto per togliere facilmente ma rumorosamente l’intonaco e per rompere i timpani, oltre che le palle, era in azione continua e trapanava anche il cervello. Maledetti! Vincenzo si alzò, penosamente si trascinò in cucina e a fatica 9
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riuscì a mettere sul fuoco la macchinetta del caffè, quella grande. Gli venne da piangere quando subito dopo, al rumore del frullino, cominciò ad alternarsi quello del martello gigante. Finalmente ci fu una breve sosta e lui ne approfittò per bersi la sua pinta di caffè, nero e bollente. Il risultato fu strepitoso: il naso gli si stappò all’istante, mentre finalmente le sinapsi dei suoi neuroni si accesero come le luci dell’albero di Natale. Si sentì addirittura di richiamare il povero Esposito, che doveva averlo dato in fin di vita. «Bronto brigadiere, eccomi qui!» «Oh maresciallo, come si sente? Poteva aspettare a chiamarmi se sta male». «No, no, non si preoccupi è solo un po’ d’influenza che stenta a finire. Sopravvivrò, spero». «Accidenti, ma quant’è che sta così?» «Eh, ormai sarà più di una settimana». «Mi dispiace, scusi se l’ho svegliata, non lo sapevo e ho pensato che essendo le nove… comunque ora che m’ha richiamato le dico subito perché l’ho disturbata prima». «Sì, la prego, dica pure». «Stiamo facendo un sopralluogo a casa di un certo Timbari Pietro, un insegnante di quarantotto anni che vive solo nell’appartamento dove è stato trovato morto dalla donna di servizio». «Ah». «Sono qui insieme all’appuntato Papalìa che… sì ecco mi fa cenno di salutarla a suo nome… » «Oh grazie, ricambi per me». «Sì certo, ecco maresciallo, l’ho disturbata perché abbiamo trovato un suo biglietto da visita nel portafoglio della vittima». «Capisco. In effetti, ora che ricordo, è stato da me la scorsa settimana». 10