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Tiziana Cariello
Il paese degli aerei di carta
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Copyright Š 2015 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it
ISBN: 978-88-96926-69-7
Tiziana Cariello, Il paese degli aerei di carta, Antipodes, Palermo 2015
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A Sveva e Alida, che mi ricordano ogni giorno la leggerezza...
"Io so inventare so improvvisare senza regole nÊ strutture faccio come mi pare come mi pare. So immaginare una storia intera, senza una sola parola vera faccio come mi pare come mi pare. Sono libero ed incosciente, quindi posso serenamente fare come mi pare[...]" da "Come mi pare" di M. Gazzè, N. Fabi, D. Silvestri
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Come un pittore
I
mmagina una grande parete su una spiaggia, alta un paio di metri e larga circa tre. Si sorregge da sola, per uno strano incantesimo. Non ha pilastri ma resiste al vento e all’usura del tempo. A terra, sulla sabbia, proprio dove poggia la parete, sono disposti in fila indiana diversi barattoli di vernice, ognuno contenente un colore diverso. Ogni persona che passa da lì v’intinge le mani e lascia un segno di sé su quella parete. E dunque in questa parete si possono osservare diverse impronte. Quelle di un bambino, che in un giorno spensierato di mare ha affondato le sue manine nel barattolo con la vernice blu e verde e poi ha poggiato quelle stesse manine sul muro, proprio alla sua altezza. Sono chiare, riconoscibili, perché le ha premute con tutta la sua energia di bambino felice. Poi c’è un disegno indefinito, chiazze di vernice dei più disparati colori. Le hanno lasciate due amanti. La schiena della ragazza, imbrattata di viola e azzurro, ha sparso il colore ovunque, a tratti più o meno forte, secondo la pressione che il corpo di lui esercitava su quello di lei, secondo lo scandirsi dell’ardore. E, frammisti a questa lunga chiazza di vaga forma allungata, sfumata e sbavata dal sudore, ci sono come 5
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dei graffi di colore, strie interrotte di giallo, arancio, rosso vermiglio. C’è la passione in quei graffi, raccontano di come lei si sia tenuta aggrappata alla vita di quella parete per non smarrire la sua. E se si potesse accostare l’orecchio a quel muro, si udirebbero i sospiri, le grida strozzate, i gemiti di piacere. E quelli di dolore dopo. Quando i due amanti si sarebbero dovuti separare. Poco distante si può osservare un disegno, il disegno di una ragazzina, che ritrae un sole, i suoi raggi e appena sotto c’è una casetta stilizzata, con il tetto spiovente e il fumo che esce dal comignolo. La casetta è tinta di lilla, gli schizzi di colore sono imprecisi ma rendono il disegno ancora più bello e luminoso. Prima di andare via lei si è premurata di farvi un riquadro tutto attorno, per distinguerlo dagli altri. C’è una chiazza di colore grigio, anch’essa indefinita. Sembra sia lì per caso. Un vecchio, sorretto da un bastone, si è appoggiato alla parete per non cadere e vi ha lasciato il segno della sua precarietà. Una macchia fugace ma intensa: porta il peso dei ricordi che vanno via via sbiadendo. Proseguendo oltre, ci sono piccole macchie di colore rosso, l’una accanto all’altra, disposte in fila come piccoli soldatini. Saranno almeno un centinaio. Sono le lacrime di una mamma, che aspetta il ritorno di un figlio lontano. Poco più in basso c’è un’altra striscia, sembra vi sia passato un pettine. È allegra e scanzonata. È passato un cagnolino di lì e per curiosità si è avvicinato al colore e si è sporcato la coda. E con questa, scodinzolando alla vita, ha lasciato anche il suo segno sulla parete. È di colore rosa, fucsia e celeste. Più a sinistra c’è un cerchio, di colore blu mischiato con il nero, più intenso al centro e più sfumato verso la periferia. È deciso, forte. È il pugno di un amico tradito. La parete ha attutito il colpo ma si è in parte incrinata di fronte all’ira e al dolore. 6
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In uno spazio più piccolo, timido e perfetto, si può scorgere il disegno di una culla. È beige e verde acqua, semplice e delicata. L’ha dipinta una mamma, ancora giovane e immatura, in attesa del suo primo bambino. Poco sotto, qualche sfumatura lasciata dal ventre che lo porta. E in quel dipinto ci sono tutta la gioia e la serenità che essere umano possa provare. Alla giusta distanza, per rispetto alla sacralità del dipinto accanto, c’è una scritta, tracciata con un dito, di colore nero. Sono i versi di un poeta, l’inno alla maledizione che lo tormenta: “La carne che non ti possiede, che non vive nella bramosia del tuo corpo, che non prova il desiderio urente e assetato di possederlo, sia tagliata in quarti, da mano di abile macellaio. E la mia lingua, che non ha conosciuto e assaporato la tua, indegna sia tagliata anch’essa e gettata tra gli scarti. Solo all’inferno si sazierà tutta la fame di questo peccato.” Il poeta ha posto la sua firma, in rosso. Illeggibile. La parete, come un monolite sulla sabbia, racchiude l’anima di tutti coloro che da lì sono passati. Testimonia il caos dell’esistenza, le sfumature di cui è fatto il mestiere del vivere. Un uomo infine passa da lì. Si ferma ad osservare. Gli hanno dato un compito e lui vuole assolverlo. Ha con sé un barattolo, più capiente di tutti gli altri, contenente della vernice bianca, immacolata. Ha tutta quella che gli occorre. Gli hanno detto: «Questa parete ora è tua. Puliscila, ridipingila e parti da lei per costruirti la tua casa.» Così l’uomo indugia ad osservare per un momento ancora, non gli piace tutto quel caos. Tutta quell’umanità raffigurata e raccontata lo sconcerta. Con gesto deciso affonda il pennello nel secchio e comincia a coprire tutto. Comincia dalle manine del bambino. Per finire con i versi truculenti del giovane poeta. Passa su tutto. Senza riguardo. 7
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Ricopre le storie degli altri con la sua anima linda e bianca, un’anima che non ha mai voluto macchiarsi, l’anima di un vile che ha avuto paura di vivere con intensità. Succede però adesso che quella parete, così bianca e pulita, non è più lei. Non ha più alcun senso. Ha perso il significato del suo stesso esistere. Non è più testimone di nulla. Non porta il vuoto devastante della perdita, il dolore progressivo e sordo della vecchiaia, non porta le aspettative di una vita giovane, la passione incontenibile di due amanti, la spensieratezza della gioventù. Ora non appartiene più a nessuno, non sussurra storie, non squarcia l’omogeneità di un paesaggio. È diventata lineare e insincera. Racconta la menzogna di essere linda. Di non avere traccia delle sfaccettature che la vita si diverte a comporre e disgregare, del colore del sangue, del colore della passione, della leggerezza, della felicità. All’uomo saggio e cauto tutto questo sembra non sfiorarlo. Ma quando, al termine del suo minuzioso lavoro, si guarda intorno e si ritrova solo su quella spiaggia, avvolto dal disincantato silenzio del mare, con davanti a sé quella parete muta e bianca, si lascia cadere il pennello dalle mani e rivolge all’immensa imperturbabilità del mare un urlo atroce, che poco ha di umano. Urla tutta la sua solitudine. E quell’urlo squarcia il cielo, increspa il mare. La parete, che non aveva mai vacillato, a quel punto si sgretola come tufo. Come semplice sabbia.
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Il deltaplano
Q
uando terminò di spegnere gli stoppini delle lampade della cucina, sembrava che fosse già notte inoltrata. In realtà quell’inverno, arrivato troppo in fretta, non aveva insegnato ancora al sole a scomparire gradualmente. E così, da giorno che era, nell’arco di pochi minuti si aveva il buio della notte. Con l’unica candela rimasta accesa, si fece luce fino alla sua camera da letto. Posò la stessa candela su un piccolo tavolo in legno, non prima di avere acceso, con essa, le altre due che vi erano poggiate. Quando le parve che ci fosse luce a sufficienza, si sedette e prese la stoffa tra le mani, la stirò infine sulle ginocchia e osservò compiaciuta il lavoro compiuto. Da uno scatolone adagiato a terra estrasse altri tre ritagli di stoffa e, munita di ago, filo e tanta pazienza, strizzando gli occhi come se le fosse arrivato succo di limone, cominciò a cucire. In meno di mezz’ora terminò. Per le sue sapienti e nodose mani da sarta, questo era un gioco da ragazzi. Infine ripiegò il lungo telo diverse volte su se stesso, fino a dargli la parvenza di una vecchia coperta e, indossati cappotto, sciarpa e guanti, ripose la tela dentro un grande sacco e affrontò il gelo. Percorse quasi un chilometro, il respiro affannato, la punta 9
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del naso livida, le mani congelate nonostante i guanti. Per strada non incontrò nessuno all’infuori di due gatti magri come degli stecchi, che si contendevano rimasugli di cibo. Giunta in via dei Benedettini ebbe un sussulto. Le sembrò di vederlo, quel vecchio famelico e cattivo che chiedeva l’elemosina davanti alla chiesa Madre ogni domenica e che una volta, mentre lei gli tendeva la mano per fargli l’ elemosina, l’aveva tenuta saldamente per il polso e le aveva detto con voce demoniaca, mettendo in mostra denti storti e ingialliti dalla nicotina: «Quella mano me la vedo addosso. Vieni di là con me...» Da quella volta, quell’incubo inaspettato non l’aveva lasciata. Quell’uomo l’aveva incontrato diverse volte ancora, ma non le aveva più rivolto lo sguardo. "Forse me lo sono sognato!" pensava talvolta Elena, sollevando le spalle. Elena non era mai stata con uomo. Non volontariamente. Solo lei e il prete del paese ne conoscevano il motivo. Elena gli uomini li odiava. Quando si rese conto che il vecchio barbone che rovistava nella spazzatura non era il mendicante della chiesa, si sentì sollevata e proseguì il suo cammino. Girò nel vicolo e dopo pochi passi giunse sotto il balcone. Posò a terra il sacco. Sollevò il capo e cominciò ad emettere un lungo suono, simile a un fischio, che aveva imparato da bambina. Elena imitava alla perfezione il verso del cardellino. E un cardellino rispose al suo richiamo, ma era un cardellino senza ali, con lunghi capelli biondi sciolti e due occhioni che sembravano illuminare tutto ciò che di buio vi era intorno a lei. Quando la bimba compare alla finestra Elena ha un sussulto. Il cuore non si abitua a tutto quell’amore per cui vive, respira, esiste. La piccola le fa un cenno con la mano e richiude la finestra con estrema lentezza. Elena si sposta vicino al portone, quasi nascondendosi, e 10