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Fiorenza Golferini Pelaez
Il paese dei Senza
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Copyright Š 2016 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it In copertina: Il paese dei Senza di Ala Baba. Illustrazioni a cura di Ala Baba. ISBN: 978-88-99751-09-8
Fiorenza Golferini Pelaez, Il paese dei Senza, Antipodes, Palermo 2016
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A mia madre
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IL SASSOLINO ROSSO
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L
udo era al settimo cielo. Finalmente realizzava il suo grande sogno di conoscere di persona la foresta tropicale e procedeva, esploratore solitario, con tutto l’entusiasmo e la curiosità di cui era capace. E anche di più. A mano a mano che si addentrava nella foresta, la vegetazione diventava sempre più fitta e le chiome degli alberi formavano una volta verde continua tale da lasciar filtrare solo qualche raggio di sole. Camminava con gli occhi bene aperti, meravigliato e sorpreso dalla varietà di paesaggio che la foresta offriva e dai mille suoni che la attraversavano. Famiglie di scimmie urlavano rincorrendosi di ramo in ramo per gioco o per rubarsi il cibo conquistato, provocando l’alzarsi in volo di stormi di uccelli che a loro volta starnazzavano. Eserciti di formiche piccole o grandi, rosse o nere brulicavano in ogni parte. Ovunque ragnatele luccicanti, che univano un albero all’altro, percorse da ragni pelosi neri, e a volte rossi o gialli. A Ludo i ragni, piccoli o grandi, pelosi o no che fossero, non piacevano proprio, tanto che al solo vederli da lontano preferiva tornare indietro e percorrere sentieri diversi. Camminava e guardava in tutte le direzioni nel timore d’imbattersi, all’improvviso, in un animale feroce. Aveva sentito dire che nella foresta tropicale si potevano incontrare leopardi, serpenti, oltre a scimmie uccelli ragni e insetti di 5
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ogni tipo e così non riusciva più a tenere a bada il suo cuore che accelerava a ogni movimento sospetto o addirittura a un lieve fruscio. Camminava già da qualche tempo, quando ebbe la strana sensazione di essere seguito, e quella presenza invisibile e sconosciuta non fece che aumentare il suo batticuore. Si voltò più volte, ma non vide mai nessuno. Si fermò. Molto lentamente girò lo sguardo intorno ed ecco apparire due, quattro, poi sei, dieci occhi che lo spiavano da dietro foglie enormi e cespugli molto fitti, e che si dileguarono rapidamente non appena Ludo si mosse. Con l’intenzione di allontanarsi in fretta, prese un sentiero tracciato vagamente. Superò radici che uscivano dal terreno con gobbe enormi e contorte di alberi giganteschi, attraversò siepi di rovi e arbusti intrecciati tra loro, che lo costrinsero a piegarsi e a volte strisciare. I jeans proteggevano bene le gambe, ma la maglietta lasciava scoperte le braccia, che in breve tempo si riempirono di graffi. Faceva molto caldo. L’umidità era soffocante e un’infinità d’insetti lo accompagnava ronzando. Si sentiva appiccicoso e stanco e il suo cuore trasaliva ormai a ogni minimo rumore. Il grande entusiasmo dell’esploratore era scomparso e aveva lasciato il posto a un unico pensiero, uscire in fretta dalla foresta. Ma Ludo aveva smarrito l’orientamento, non sapeva più che direzione prendere. Sedette allora sul tronco di un albero caduto a ponte su un piccolo rigagnolo, alimentato da una cascatella. Quasi ipnotizzato dal suono dell’acqua, che gli portava un po’ di fresco, si riposò. Non riusciva a pensare, aveva la testa vuota, ma sapeva 6
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che era assolutamente necessario trovare un posto dove rifugiarsi quando fosse sopraggiunta la notte. A un tratto un dolore acuto a una caviglia lo fece sobbalzare. Con orrore vide che i suoi calzini bianchi erano aggrediti da decine e decine di formiconi neri e che un esercito di formichine rosse avanzava imperterrito dal tronco verso i suoi jeans. Con un salto riuscì a scuotersi di dosso queste, ma non si liberò dei formiconi neri che erano aggrappati saldamente con tutte le loro zampe. Con loro ingaggiò una dura lotta anche perché, nonostante i calzini, avevano raggiunto i polpacci e affondato le robuste e forti mandibole in vari punti. Durante la strenua difesa non comparve nessuno, eppure sentiva gli occhi degli sconosciuti costantemente su di sé. Quando si lasciò scappare un grido di aiuto, gli giunsero, infatti, diversi gridolini divertiti, che trasformarono la sua paura in rabbia, sfogata poi sugli assalitori ostinati e voraci. Ben presto i loro morsi si fecero sentire con un prurito e un bruciore intensi. La testa divenne pesante, la foresta incominciò a girare, e un brusio fastidioso crebbe e crebbe fino a che Ludo non sentì più nulla. Quando riaprì gli occhi era coricato su uno strato morbido di felci sotto lo sguardo curioso e attento di una decina di uomini. Uomini alti non più di un ragazzo di dodici-tredici anni, il corpo magro e forte, la pelle di colore bruno chiaro, la testa piccola e rotonda. Ludo sbatté più volte le palpebre per accertarsi di non stare sognando. Poi cercò di capire che cosa fosse successo per trovarsi lì, coricato, in mezzo a quegli sconosciuti che 7
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comunicavano tra loro con parole tanto strane, assolutamente incomprensibili. L’atteggiamento pacifico, però, lo tranquillizzò. Si sedette. Disse qualche parola, ma come lui non capiva loro, loro non capivano lui. Un ragazzino lo osservò per qualche attimo, si nascose, ricomparve dietro uno degli adulti, e più volte, come se giocasse. A Ludo mancava certamente qualche passaggio alla situazione attuale: forse si era addormentato, o era svenuto. Le gambe pizzicavano ed erano fasciate con grandi foglie contenenti una pappa che dava insieme una sensazione di fresco e di sollievo. Rimasero a lungo, in silenzio, nella stessa posizione: gli indigeni, in piedi, guardavano Ludo incuriositi e Ludo, seduto, guardava loro frastornato. Un “NDUNG” improvviso ruppe il silenzio: era l’ordine del vecchio capo di tornare immediatamente alle solite occupazioni. Tutti, o quasi, si allontanarono. E così, in men che non si dica, Ludo si ritrovò di nuovo solo. Poco dopo, però, due occhietti neri comparvero tra i rami di un cespuglio, poi sporsero da un tronco più vicino e via via, finché il proprietario si fece vedere in tutta la sua altezza. Era il ragazzo che prima giocava a nascondino dietro l’adulto. Rimase per un po’ in piedi, lanciando occhiate furtive. Passetto dopo passetto si avvicinò e si sedette, infine, accanto in silenzio. “Come ti chiami?” Cominciò Ludo. E lui niente. “Io sono Ludo. E tu?” Lo guardava, ma non diceva niente. “Cosa è successo?” Sorrideva, ma ancora niente. 8