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Pietro Ragusa
Isac delle Ossa
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Agli abitanti della sepoltura dei Cappuccini a Bisacquino, perché la vita dei morti è nel ricordo dei vivi. Ai giovani emigrati bisacquinesi e siciliani, perché al loro ritorno uccideranno il “Gattopardo”.
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Copyright Š 2015 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it In copertina: disegno di Pietro Ragusa
ISBN: 978-88-96926-63-5
Pietro Ragusa, Isac delle Ossa, Antipodes, Palermo 2015
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Introduzione
Leggere Isac delle Ossa in anteprima è stato per me, appassionato lettore fin dalla più tenera età, un grande privilegio. E questo non soltanto perché mi ha permesso di conoscere personaggi ben delineati e vicende intriganti che s’innestano in una trama ben congegnata (particolare che da solo varrebbe il motivo per cui questo libro deve essere pubblicato), ma anche perché ha risvegliato in me, onnivoro divoratore di pagine, il ricordo dei migliori romanzi che l’infanzia prima e l’adolescenza poi mi hanno regalato. Isac delle Ossa è, infatti, l’unione del fantasy più genuino con le sfumature di dark più autentiche. Ma è, nello stesso tempo, un vero romanzo di formazione, perché ci permette di seguire l’evoluzione di Isac dalla figura timida e incerta delle prime pagine fino alla piena consapevolezza della propria personalità e del proprio ruolo, in una storia nella quale i nemici esistono e sono ben determinati a fare del male, e allora solo il bene può tentare di stravolgere i loro piani. Personaggi ben delineati, dicevo qualche riga più su. E lo ribadisco, in quanto non è sempre facile (e a dire il vero succede raramente, in genere nei grandi libri e basta) sapere assegnare a ciascun attore del racconto quelle peculiarità che lo rendono unico 5
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e riconoscibile, e mantenerlo tale in tutto il dipanarsi della storia. Così, personaggi come il frate con il saio o il signor Matterdesk diventano volti familiari, poiché chi legge acquista il loro stesso senso della realtà e si trova a parteggiare per loro come spesso accade nella vita vera. Molto interessante, poi, l’ambientazione. Nessun richiamo al gotico, come farebbe chi si presta a scopiazzare di qua e di là, ma un’originale riferimento ai luoghi cari alla memoria dell’autore, spazi scoperti nel gioco o nelle avventurose sortite dell’infanzia, luoghi riscoperti da adulto quando la curiosità che spinge a fare proprio il dantesco “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” lo ha avvolto con una spira leggera ispirandogli questo testo poetico e immaginifico al tempo stesso. Ecco, Isac delle Ossa è questo. È un monumento alla memoria, un altare del ricordo, un obelisco innalzato al tempo trascorso che si è lasciato dietro la parte preziosa e oggi riemerge ad indorare il presente. Felice l’uomo che nella scrittura può lasciare traccia di sé. Le sue parole, una volta scritte, riecheggeranno per l’eternità.
Pietro Fischietti
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I La sfida «Sì, sì, sei semplicemente un codardo!» esclamò Tod. «Ma c’era da aspettarselo da te, sei sempre stato un fifone! Scommetto che ogni sera tua madre deve correre da te perché te la fai a letto!» E così dicendo diede una forte pacca sulla spalla ad Isac, che per un attimo perse l’equilibrio, mentre tutt’attorno gli altri ridacchiavano soddisfatti. Isac aveva un fisico snello e ben proporzionato ma era più basso dei tre ragazzi presenti, aveva i capelli di un rosso ramato che gli coprivano quasi del tutto gli occhi, le poche volte in cui i compagni di scuola avevano potuto scorgerli avevano affermato che sembravano davvero inconsueti. «Non è vero!» squittì il ragazzino «Ci sono entrato un mucchio di volte ma oggi non mi va!» «Ah sì? Sei entrato lì dentro, dici… bene, e allora dicci cosa c’è!» lo sfidò Tod, indispettito, alzando un sopracciglio e sfoggiando un sorriso sbilenco. «Nulla, nulla di niente. Solo polvere e…polvere» rispose Isac, che da qualche minuto teneva il suo sguardo fisso sopra le sue 7
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scarpette da ginnastica rosse, usurate e più grandi di due misure, che un tempo erano appartenute a suo fratello, così come i jeans che indossava. «Bella questa, pisciasotto! Avete sentito? Non c’è nulla!» esclamò Tod, volgendosi verso i suoi degni compari Carth e Lusty. «Beh, allora non avrai alcun problema ad entrarci ancora una volta, no? Se è davvero vuoto questo posto non avrai nulla di cui aver paura» aggiunse quest’ultimo. «E poi, ci siamo passati tutti» disse Carth, girandogli attorno come fa una mosca su un leccalecca caduto per terra. «Esatto, se vuoi entrare a far parte del nostro gruppo, i To.Ca.Lu., devi superare questa prova, altrimenti come sappiamo se puoi esserne degno?» chiese Tod, fintamente compassionevole. «Noi siamo il gruppo più ganzo di tutta Waterbis» gli ricordò Carth. «E se tu fai quello che ti diciamo, il gruppo cambierà nome e si chiamerà, vediamo… To.Ca.Lu.Is., bello no?» lo blandì Lusty, facendo una finta riflessione. Isac alzò lo sguardo, ma continuò a non guardarli mentre si portava una mano sul naso che stingeva tra l’indice e il pollice ad intervalli di tempo. «Mi promettete che, se faccio questo, entro veramente nel vostro gruppo e che nessuno mi prenderà più in giro?» domandò. «Sìììì, ceeerto!» esclamò Lusty. «Per noi sarebbe il massimo accoglierti!» mentì Carth. «Dai, adesso muoviti, moccioso!» mise fine alla discussione Tod. «Ma ricordati: vogliamo una prova.» Isac si girò e s’incamminò deciso. Il sole stava pensando di mandare a dormire quella giornata e il vento freddo, faceva sollevare la frangetta, che velocemente risistemava con un rapido movimento di mano. 8
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Il piccolo convento verso cui si dirigeva era conosciuto come St. Penitents Hooded e sorgeva vicino alla chiesa di St. George Dragons: da ciò che gli aveva raccontato sua madre, era stato per lungo tempo adibito ad ospedale, prendendo il nome di Hospital Relief, per poi essere gradualmente abbandonato fino a diventare l’edificio diroccato che era adesso. Il ragazzino si era fermato all’ingresso, sperando di trovare la fessura da dove i ragazzi del paese entravano per fumarsi in santa pace le sigarette o distruggere le poche cose rimaste al suo interno, ma le sue aspettative furono deluse come quando ci si aspetta una torta gelato ricoperta di cioccolato e fragole e invece ne arriva una al limone. «Cavolo, sono proprio sfortunato!» sbuffò, non trovandola. Dovette, perciò, spostare una piccola tavola di legno ammuffita, che si sgretolò in più punti quando l’afferrò per alzarla, e poi, accompagnato da un sinistro cigolio molto simile alla frenata di un treno che sta per deragliare, entrò. Il primo passo risuonò per tutto il corridoio con la stessa forza di un sasso buttato in un pozzo. Isac provò un brivido lungo la schiena, ma la sua mente lo catapultò nel sogno prospettatogli da Tod: pensava alle uscite con lui e gli altri, agli scherzi che avrebbero fatto soprattutto alle ragazze. Così continuò a camminare, non facendo caso, nello stato di trance in cui si trovava, alle numerose stanze che si aprivano sul corridoio e, miracolosamente, nemmeno ai tratti dove il pavimento veniva pericolosamente a mancare. Qualche minuto dopo sbucò nel chiostro, che conosceva benissimo visto che c’era già stato diverse volte con suo fratello a giocare a nascondino, e si ritrovò dinanzi ad un muretto ormai crollato nel quale, come una ferita, si apriva una fenditura che immetteva in una stradina di terra battuta. Con movenze che ricordavano molto un foglio di carta che passa sotto una porta, Isac riuscì ad oltrepassarla. La stradina, mal9
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grado il sole non fosse andato a spegnersi dietro i monti più alti, era immersa nell’ombra di alcuni alberi, che lui non aveva capito a che specie appartenessero ma che certamente erano stati piantati chissà quanti secoli prima dai monaci, i quali avevano creato una sorta di galleria dinamica, a causa del vento che faceva muovere repentinamente le foglie. Con il cuore in gola, perché consapevole di non essersi mai spinto così in là prima d’ora all’interno dell’ospedaletto, e lottando contro i rovi le cui spine s’impigliavano nel maglione di due taglie più grandi, Isac continuò a camminare, chiudendo a tratti gli occhi. “Respira, Isac pochi secondi e andiamo via… pochi secondi e andiamo via” si ripeteva come un mantra. Inciampò su un ramo, ma riuscì a mantenersi in piedi, e subito dopo scorse un’altra porta. Tese la mano per spingerla, ma si bloccò. “Ne vale la pena?”, pensò. Capì che quello era il momento di dimostrare che non era un piscialetto e si convinse che sì, ne valeva la pena se voleva cancellare il punto interrogativo che ogni giorno gli copriva la faccia e diventare finalmente qualcuno. Perciò, spinse la porta ed entrò. Nella grande volta che sovrastava la stanza qualcosa svolazzò, spaventandolo. Ma appena alzò gli occhi, vide un piccione planare per poi risalire, cosicché sorrise e si diede dell’idiota per quell’attimo di paura. Tutto, però, cambiò quando abbassò lo sguardo. Le pareti, affrescate con decorazioni floreali e immagini di angeli, mettevano in bella mostra piccole cellette contenenti scheletri o mummie: ve ne erano a centinaia e di ogni tipo. Il ragazzino rimase di sasso ed ebbe l’impulso di mettersi ad urlare, ma pensò agli altri, fuori, che sicuramente lo avrebbero sentito e canzonato se appunto si fosse messo a strillare. Per un attimo pensò di essere diventato lui stesso una mummia: 10