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T r a d u z i o n ei nl i n g u ai t a l i a n ad i Os c a rDo n a t oPi c c o l i T e s t oo r i g i n a l e : Os c a rMa s a t oHi g a , Ka r a t e d o . Lav í ah a c i al aa r mo n í at o t a l .
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Copyright Oscar Masato Higa© 2017 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta con sistemi elettronici, meccanici o altri, senza l’autorizzazione dell’Autore.
Oscar Masato Higa, KARATE-DO. La via verso l’armonia totale, Antipodes, Palermo 2017
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INDICE Ringraziamenti Dediche Introduzione Biografia dell’autore Prefazione Le mani vuote: il simbolo del Karate-do
7 9 11 15 23 27
PRIMA PARTE – PARTE TECNICA Capitolo 1. LA TECNICA DEL KARATE-DO. ASPETTI FONDAMENTALI DELLA PRATICA a) Undo o Taiso (Riscaldamento. Ginnastica) b) Kihon (Tecniche di base) c) Kata (Forme) d) Kumite (Pratica delle tecniche a due - combattimento)
33 36 36 38 38
Capitolo 2. GRUPPI TECNICI FONDAMENTALI a) Tachi Kata (Posizioni) b) Tsuki Waza (Tecniche di pugno) c) Keri Waza (Tecniche di calcio) d) Uke Waza (Tecniche di parata) e) Uchi Waza (Tecniche di percossa)
41 43 53 60 66 82
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Capitolo 3. PRINCIPI FONDAMENTALI DEL KARATE-DO SHORINRYU KYUDOKAN HIGA TE a) Mi o Mamoru b) Hara-Ki c) Yin Yang d) Kokyu e) Marumi f) Muchimi g) Chakugan h) Kime 1) Kiai
93 95 96 96 96 97 97 98 98 99
SECONDA PARTE – PARTE ESPERIENZIALE Capitolo 4. BREVE STORIA
103
Capitolo 5. IL KARATE-DO. UNA FILOSOFIA DI VITA 113 Capitolo 6. LA PRATICA SENZA FINI
117
Capitolo 7. IL MAESTRO. I MIEI MAESTRI
121
Capitolo 8. LA PRATICA DEL KARATE-DO
141
Capitolo 9. TRADIZIONE ED EVOLUZIONE
151
Capitolo 10. L’ATTEGGIAMENTO
155
Capitolo 11. IL DISTACCO DALL’IO
165
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Capitolo 12. IL VUOTO
169
Capitolo 13. IL KATA
173
Capitolo 14. Il KARATE SPORTIVO. LA MIA ESPERIENZA
185
Capitolo 15. IL KARATE È PER TUTTI
193
Capitolo 16. L’APPLICAZIONE DEI PRINCIPI DEL KARATE-DO ALLA VITA QUOTIDIANA
201
Conclusioni
211
Epilogo
215
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EMBLEMA DELLA FAMIGLIA HIGA
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TSUKI WAZA In questo gruppo viene studiato tutto ciò che si riferisce alle diverse varianti di pugno. Nello Tsuki la zona che colpisce è quella corrispondente alle prime due nocche (estremità del 2° e 3° metacarpale). Il pugno deve essere chiuso in maniera tale che le falangi delle ultime quattro dita siano completamente flesse, con il pollice flesso in modo tale che appoggi e faccia pressione sull’indice e il dito medio, formando così una massa compatta.
Delle diverse forme di pugno, la tecnica di base rappresentativa è il Choku Zuki, che significa pugno diretto, poiché percorre nella sua traiettoria la via più diretta e breve tra il punto di partenza e il suo obiettivo. Il braccio opposto a quello che effettua la tecnica di attacco deve indietreggiare contemporaneamente, con una traslazione e rotazione di pugno opposta a quella del Choku Zuki. Durante la dinamica di questa tecnica gli avambracci si muovono parallelamente: si porta in avanti quello che effettua l’attacco e l’altro va indietro fino a che entrambi i gomiti toccano la parte interiore della zona intercostale. A partire da lì, i polsi devono ruotare contemporaneamente di 180 gradi. Poiché il pugno è diretto, i gomiti devono sempre sfiorare la zona intercostale, senza separarsi dal corpo in nessuna fase della dinamica. Il pugno che indietreggia (reazione) rimane sotto l’ultima costola, con il palmo verso l’alto, con l’avambraccio orizzontale e il gomito che scorre lungo il corpo. Quando il pugno è diretto alla zona media (Chudan), la sua posizione viene a trovarsi appena sotto la spalla. 53
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Il braccio rimane completamente steso (con il palmo della mano in giù) con un angolo orizzontale di poco inferiore a 90 gradi rispetto al grande pettorale: il pugno non deve essere né al centro del corpo né al di fuori di esso.
Nelle tecniche di pugno dirette alla zona alta (Jodan) o bassa (Gedan), il pugno non rimane completamente girato, ma le prime due nocche vengono a trovarsi in posizione più alta delle altre dita; dando, al profilo trasversale del pugno, una leggera inclinazione verso il margine esterno. Oltre a ciò, si deve flettere leggermente il polso verso il basso. Tutto ciò è importante per evitare che, in luogo delle nocche, siano le articolazioni delle dita a colpire l’obiettivo. Nel Kihon (pratica di base), il pugno Jodan è indirizzato all’altezza degli occhi dell’avversario e quello Gedan verso il pube e la distanza Jodan- Chudan deve essere la stessa di quella Chudan-Gedan. Come in tutte le tecniche, le spalle devono mantenersi basse e rilassate, con l’aria naturalmente trattenuta nella zona addominale-diaframmatica.
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Esistono varianti del Choku Zuki, come l’Ura Zuki (pugno rovesciato) nel quale il pugno non gira nella sua breve traiettoria, mantenendosi con le dita orientate verso l’alto e il Tate Zuki (pugno verticale) nel quale il pugno effettua un mezzo giro, cioè, una rotazione di 90 gradi invece dei 180 gradi del Choku Zuki.
Il Choku Zuki si chiama Oi Zuki quando è portato dal lato della gamba anteriore che avanza. Invece, quando il pugno è dalla parte opposta alla gamba anteriore viene denominato Gyaku Zuki.
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Una tecnica del Kata Chinto
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Capitolo 8
LA PRATICA DEL KARATE-DO
Keiko, Keiko, Keiko pratica, pratica, pratica. Questa è l’unica grande verità nel Karate-do
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Tecnica del Kata Yara no Kushanku e Higa no Kushanku
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L’empirismo, detto in diversi modi, conoscenza esperienziale, prassi o attività pratica, è la vera filosofia del Karate-do. In questo termine, che ripeterò spesso, sta la vera essenza del Karate-do. I monaci Zen quando parlano di cambiamento nella loro vita indotto dal tempo e dalle loro illuminazioni, non lo fanno basandosi sulla loro conoscenza teorico-intellettuale o sulla storia della loro filosofia; essi lo fanno in funzione delle loro esperienze nel mondo reale, nel quale la meditazione occupa un posto fondamentale. Nel Karate-do accade lo stesso. Conoscere la sua storia e tutto ciò che attiene alla parte razionale e intellettuale arricchisce indubbiamente la nostra cultura e il nostro spirito, ma non è attraverso questo che si perviene all’essenza del Karate-do e alla trasformazione interiore. Perciò, dico sempre che la differenza tra il Karate teorico e il Karate pratico è la stessa che intercorre tra pensare e sentire.
NEL KARATE-DO È FONDAMENTALMENTE IMPORTANTE SENTIRE Non è un caso che grandi personaggi della storia, in ambiti diversi, in differenti modi, affermino esattamente lo stesso concetto. Mio padre Jintatsu e mio zio Yuchoku, sempre ripetevano la stessa cosa: “Non dite, fate; non parlate, praticate”. Il saggio e filosofo Lao Tsé, precursore del Taoismo, affermava: ”Chi parla, non sa. Chi sa non parla”. Il grande Pablo Picasso, uno dei più grandi artisti plastici della storia della pittura ha detto: “L’ispirazione arriva, ma deve trovarti lavorando”. Io ho copiato le sue sagge parole e ripeto: “Nel Karate l’ispirazione arriva ma ti deve trovare praticando”. Il grande saggio e filosofo cinese Confucio ha detto: “Me lo hanno spiegato e me lo sono dimenticato; l’ho visto e ho capito; l’ho fatto e ho imparato”. Uno dei più grandi maestri Zen del secolo scorso, il Maestro Daisetsu Teitaro Suzuki diceva sempre: “Lo Zen che può essere spiegato non è il vero Zen. Lo Zen deve essere praticato, deve essere sentito, deve essere vissuto”. Parafrasando le sue parole questo detto lo applico anche nel Karate: “Il Karate che può essere spiegato non è il vero Karate. Il Karate deve essere praticato, deve essere sudato, deve essere sentito, deve essere vissuto”. Perciò, pratica sempre e senti 143