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{Romanzo}
Annarita Pizzo
a n i b m La ba volante
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Questo romanzo è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed avvenimenti sono immaginari e ogni rassomiglianza con persone esistenti o esistite, fatti o località reali è puramente casuale.
Copyright © 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it In copertina: fotografie di Gabriele Tuzzeo. ISBN: 978-88-99751-66-1
Annarita Pizzo, La bambina volante, Antipodes, Palermo 2018
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Io continuerò a sognare, voi a realizzare i miei sogni.
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Q
I
uella mattina di Luglio, Sofia se ne stava affacciata al davanzale della sua cameretta, al terzo piano di un condominio piuttosto anonimo nella periferia di una Roma silenziosa, svuotata dalle partenze per le ferie estive. Appena finita la scuola, come ogni anno, i genitori l’avevano mandata a trascorre le vacanze dalla nonna che abitava sola in quella grande città. La donna era anziana e malata di cuore, così, per farle compagnia, oltre a lei che si fermava tutto il mese, ogni fine settimana, la raggiungeva anche la mamma. Faceva un caldo infernale in quell’angusta stanzetta con il solo lettino e la scrivania ad angolo. Inoltre il riverbero del sole sul marciapiede la costringeva a tenere gli occhi socchiusi. Con la testolina appoggiata sulle mani incrociate, dondolava lentamente facendo brillare i suoi riccioli biondi. Un po’ annoiata e un ancora un po’ assonata, sbadigliava ripetutamente, guardando i passanti. Rifletteva sul motivo per cui, anche in quell’estate, fosse stata confinata lì piuttosto che trovarsi al mare con i suoi compagni di scuola e l’idea che si trattasse una specie di “punizione” le ronzava nella testa da un po’. Mal sopportava quella grande città e, incolpava, poi non tanto velatamente, la nonna di rovinarle sempre le vacanze. Proprio per queste ragioni non la chiamava quasi mai durante 5
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l’anno, giusto per Natale e Pasqua, limitandosi a porle anonimi auguri, sapendo che poi, comunque, in estate, avrebbe dovuto parlarle per un mese intero. Ora non le restava che sopportare pazientemente quel “supplizio” fino all’arrivo del primo di Agosto che salutava come il giorno più bello dell’anno dopo, naturalmente, il suo genetliaco. A un certo punto la sua attenzione fu catturata da un labrador di grossa taglia, dal color biondo-arancio, che usciva dal portone del palazzo di fronte. Si muoveva lentamente, rasentando il muro, quasi volesse trovare un appoggio. Ogni tanto si fermava a tastare il marciapiede con il muso per sentire gli ostacoli come fa un cieco quando usa il suo bastone. Lo seguì con lo sguardo sino in fondo alla via poco trafficata. Poi lo vide svoltare a destra mentre il luccichio del suo mantello le sembrava il riflesso del sole sulle onde del mare. Rimase lì ancora una po’, pensando a quel cane che, ogni mattina, alla stessa ora, faceva quel percorso, sotto il sole caldo e in perfetta solitudine, come se non avesse un padrone. Lo aveva visto comportarsi così il primo giorno del suo arrivo e tutti quelli successivi. Decise di andare in cucina a fare colazione, scandendo il tempo con la mente. Poi tornò alla finestra e vide, di nuovo, il cane che, schivo e attento, ritornava verso quella che doveva essere la sua casa, annusando l’aria quasi cercasse la strada giusta. “Sono le nove”. Pensò Sofia, guardando l’orologio, a forma di rana, appeso sopra al suo lettino. “In perfetto orario, come ogni mattina”. Si tolse il pigiama e si vestì in fretta. 6
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La nonna dormiva ancora e le lasciò un biglietto sul tavolo: le aveva scritto che era scesa un minuto a buttare la spazzatura, che sarebbe tornata subito e che portava con sé il cellulare. Quindi corse, con il suo inseparabile zainetto a fiori sulle spalle, verso la porta decisa a scoprire quale mistero nascondesse, facendo il più piano possibile. Aprì l’uscio e scese le scale. Una volta nell’androne del palazzo, aspettò che l’animale sparisse nel portone di fronte che era socchiuso. Lo seguì attraversando la strada quasi deserta. Appena giunta sul marciapiede di fronte, si trovò davanti una catena a strisce bianche e rosse con appeso un cartello con divieto d’accesso che, dalla sua finestra, abbastanza lontana, non era facilmente distinguibile. Probabilmente il cane vi passava sotto senza problemi, visto che era posizionata circa a metà del grande portone. Decise di proseguire lo stesso, si guardò intorno con circospezione, ben attenta a non farsi vedere. Si abbassò e sgusciò dentro all’edificio. Si ritrovò in un vecchio palazzo disabitato con i muri scrostati e pezzi d’intonaco sparsi ovunque. Comprese il motivo per cui ne fosse impedito l’accesso ed ebbe paura per cui pensò di restarvi giusto il tempo di capire dove fosse finito il labrador: in fondo era una bambina e l’innata curiosità, in lei, era più forte di una consapevole prudenza. Doveva far presto e ritornare a casa prima che sua nonna si svegliasse o che qualche cosa le cadesse sulla testa. Inoltre il forte odore di muffa e l’insopportabile aria stantia le fecero venire il voltastomaco, mentre con le mani cercava di distruggere le ragnatele che scendevano dal muro e che le ostruivano il passaggio. 7
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Libri vecchi, mobili in disuso, cataste di giornali e di rifiuti, lì da un bel po’ di tempo, le impedivano quasi di muoversi. Non c’erano finestre, la sola luce proveniva dal portone rotto, che restava socchiuso, e da una torcia accesa, che doveva essere un po’ più in alto rispetto alla sua posizione, a giudicare dalla direzione verso cui puntava. Guardò in quella semi oscurità. Vide una rampa di scale che conduceva ad un pianerottolo su cui si affacciava una porta divelta e senza maniglia. Davanti ad essa, accucciato su una vecchia coperta ed un mucchietto di stracci ammuffiti, si trovava il labrador, con gli occhi chiusi, come se stesse dormendo. Quasi rassicurata di non essere da sola in quel luogo inospitale, Sofia salì rapidamente i gradini di ardesia e si fermò davanti all’animale. Il cane alzò il muso, annusò l’aria, ed iniziò a fiutare. Al vederlo così da vicino, la bambina pensò che fosse cieco perché muoveva freneticamente il naso come se stesso cercando di definire esattamente la sua posizione, mentre i suoi grandi occhi neri lacrimavano ed erano ricoperti da una patina biancastra. Sofia provò una gran pena per quella povera bestia abbandonata e si chinò per accarezzarla. D’improvviso l’animale si alzò e, con le zampe, si mise a rovistare sotto la coperta per tirarne fuori un oggetto rettangolare. L’afferrò con la bocca e glielo porse, scodinzolando. Sofia lo prese tra le mani, pulendolo dalla saliva con il bordo della gonna rossa, facendo ben attenzione a non sporcarsi la maglietta bianca messa pulita. Vide che si trattava di un diario con la copertina rossa scolorita e le pagine ingiallite. Doveva essere lì da un bel po’ di tempo, sapeva di muffa. 8
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Pensò che fosse importante, dato che l’animale lo custodiva tanto gelosamente. Il suo primo impulso fu quello di metterlo nello zaino, di uscire e ritornare a casa per guardarlo con calma. Non fece in tempo ad assecondarlo che il cane, come se le avesse letto nel pensiero, con un salto, le si parò davanti per impedirle di scendere la rampa. La bambina perse l’equilibrio e, se non si fosse appoggiata con i gomiti al muro, sarebbe di certo caduta. Capì che doveva restare lì ancora un po’. Tirò fuori il cellulare dallo zainetto e vide che non c’erano chiamate, probabilmente la nonna dormiva ancora. Decise di fermarsi qualche minuto: era troppa la curiosità di scoprire quale storia nascondesse. Aprì il diario e si meravigliò nel vedere le parole ancora perfettamente leggibili, come se fossero state appena scritte. Notò anche la grafia molto simile alla sua e sorrise. Si fece un po’ di spazio sull’ultimo gradino, pulendo con le mani. Prese dallo zainetto un pacco di fazzoletti di carta, ne estrasse uno, ve lo appoggiò e si sedette con il cane accanto. Annusò la carta dall’odore umido, poi lo sfogliò lentamente. Il labrador guaì e lei lo accarezzò per tranquillizzarlo. Sulla prima pagina lesse a voce alta:
Diario di Elisabeth Vidimari. Qualche riga più sotto:
Quinta Elementare. 11 Anni.
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La bimba sorrise, pensando che l’autrice avesse solo un anno più di lei. Poi continuò a scorrere le pagine che si aprivano a fatica, come se l’umidità le avesse incollate una con l’altra. Notò che non c’erano disegni, né colori, sono pensierini scritti a matita. Quindi si fermò a leggere:
20 Marzo. Mia mamma è inglese e io ho lo stesso nome della mia adorata nonna che vive a Londra. Si chiama Elisabetta, perché anche lei è italiana, figlia di immigrati in Inghilterra, ma tutti la chiamiamo, e per noi ormai è, Elisabeth. I miei genitori si sono sposati tredici anni fa e mia mamma è venuta a vivere a Roma, dove sono nata io il ventidue di maggio. Papà dice sempre che è stato il giorno più bello della loro vita! Oggi mi ha regalato questo diario perché vi scriva tutto quello che sento. Sono felice, grazie!
Prese la torcia appoggiata sul ballatoio e l’avvicinò per poter vedere meglio. Alla luce diretta capì che quel diario doveva avere alcuni anni con le sue pagine avvizzite e macchiate: forse quel cane lo aveva trovato in qualche luogo e poi portato lì. 10