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Roberto Castiglione
La Dea di Hesperia
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Copyright Š 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN:978-88-96926-62-8
Roberto Castiglione, La Dea di Hesperia, Antipodes, Palermo 2014.
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A Filippo, il nipote gentiluomo.
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I Barbari, che avevano assalito la mia città come un branco di lupi, erano stati sconfitti dalle armi dei veterani delle legioni e da quelle dei loro figli. Con inaudita insolenza le forze nemiche si erano presentate di fronte alla grande porta, adornata dalle teste di tre Dei, ma erano state disperse in ogni direzione. Volaterrae era di nuovo al sicuro, rinchiusa e protetta dalle sue mura di pietra, costruite sette secoli fa. La vera battaglia era stata combattuta nel buio delle antiche gallerie, scavate in ere lontane dai nostri antenati. La malvagia e sanguinaria divinità, che gli Etruschi avevano chiamato Laran, aveva ceduto facilmente, fin troppo facilmente, alla potenza della spada donatami dalla dea Turan. La sua accolita Lucrezia era stata spazzata via come mera polvere dalla magia di Clelia, la donna che credevo ormai di aver perduto. Alla fine di un lungo esilio eravamo di nuovo insieme come ai tempi felici della nostra adolescenza. Riuscimmo a entrare nella camera sepolcrale costruita da mio nonno Aranth e dagli affreschi dipinti sulle pareti comprendemmo quale fosse stato il nostro passato, consumato a lottare contro le forze dell’oscurità. Arrivati davanti al suo sarcofago, vedemmo migliaia di cilindri che contenevano la storia del nostro mondo dall’inizio alla fine. Osai persino toccare quello che la statua del nonno teneva in mano. Non credo che potrei farlo una seconda volta senza perdere la ragione o peggio. 5
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Nella tomba di Aranth Spurianas la mia anima era stata sul punto di perdersi nelle tenebre, soffocata nella morsa del maligno demone che l’aveva afferrata. Soltanto l’amore della mia Clelia era riuscito a salvarla, riportandola alla luce. Pensavo di avere portato a termine la missione affidatami dalle profezie del vecchio indovino, ma mi sbagliavo. Egli aveva ancora molto da chiedere a me e ai miei fedeli compagni. Un cilindro dorato, che conteneva le lamine incise del tempo, era rotolato sotto la tomba di Aranth. Io non ebbi il coraggio di sfiorarlo e lo lasciai lì, incustodito e facile preda per l’entità malvagia che si nascondeva tra le ombre. Dall’oscurità impenetrabile del sepolcro la creatura spiccò il volo e giunse nelle assolate pianure della Mesopotamia. Di fronte ai suoi occhi rossi come il fuoco dell’inferno si ergevano le possenti mura della città di Karkemish. Non affannatevi a cercarla sulla carta, poiché è un nome sepolto dalle sabbie del tempo, molto più in profondità di quanto possiate immaginare. Il demone prese le sembianze di un re che un tempo lontano aveva portato il nome di Shaushatar con onore e si avviò verso la Porta Orientale della città sull’Eufrate. Sono Aulo Persio Severo, Tribunus della Legio IV Italica Invicta di stanza nella Pars Orientalis dell’Impero di Roma. Lasciate che vi narri gli eventi straordinari che seguirono la fine 6
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della nostra missione a Volaterrae. Devo dire che faccio fatica a comprenderli persino io che li ho vissuti.
Scriptum in castris Legionis apud Seleuciam Pieriam. Die Nonarum Octubris anno millesimo centesimo quadragesimo octavo ab Urbe condita aut vero primo Imperii Augustorum Flavii Arcadii et Flavii Honorii. Post scriptum: I Cristiani preferiscono conteggiare gli anni dalla nascita del loro Salvatore e pertanto sono obbligato a precisare come oggi sia il 7 ottobre del 395 dalla nascita di GesÚ. Devo aggiungere che comincia a piacermi questo sistema di datazione che invero mi appare come la logica conseguenza di una‌. La logica conseguenza sarebbe quella di iniziare a raccontare la storia. Prima cominci, prima la finisci. Ho un paio di appuntamenti con alcune giovanette e non vorrei far tardi per colpa tua o per essermi addormentato. Hai ragione, Settimio! Alle volte divago un po’ troppo!
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I Shaushatar
«Fermo, Khurrita!» intimò la sentinella all’uomo che stava entrando in città «Pensavi di approfittare della confusione creata da questi maledetti mercanti che portano le loro cianfrusaglie al mercato. Nessuno può sfuggire alla vista di falco di Huzziyas l’Ittita, capo delle guardie della porta orientale di Karkemish» «Ti prego di perdonarmi, possente soldato della Terra di Khatti» disse l’uomo inchinandosi «Non volevo disturbare il tuo prezioso lavoro. Come puoi vedere, non porto nulla se non la mia indegna persona e questi pochi pezzi d’oro. Torno in città dopo un lungo viaggio e manco da alcuni anni» Il metallo era comparso per lo spazio di un battito del cuore nella mano dell’uomo e altrettanto velocemente finì nelle tasche di Huzziyas, molto più ben disposto di pochi istanti prima. «Lasciate passare questo onesto cittadino che torna alla propria dimora» gridò ai soldati «Per dimostrare che la Terra di Khatti protegge i nuovi sudditi, lo accompagnerò io stesso all’interno della città. Voi continuate a ispezionare questi contadini puzzolenti e le 9
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loro greggi. Paghino il dovuto al nostro Signore Piyashili, figlio del Grande Re Shuppiluliuma che risiede nella città di Hattusas» I due si avviarono verso la piazza principale della città. Era giorno di mercato per celebrare l’arrivo della primavera e la moltitudine di genti era grande. Si vedevano mercanti fenici venuti a vendere i loro rossi tessuti. Gli uomini di Assur e di Babilonia contrattavano il prezzo del rame con quelli di Cipro. Da Creta e dalle terre oltre il mare, dove regnavano i potenti sovrani achei, giungevano carri e armi in bronzo. Molti soldati della guarnigione vigilavano sui pacifici scambi. «Il dominio di Khatti ha favorito il commercio e tutti si arricchiscono. La città non è mai stata così prospera da quando il Grande Re ha sconfitto il vostro Tushratta. Sono trascorsi dieci anni da quella guerra, alla quale ho partecipato combattendo sui nostri invincibili carri» si stava vantando il soldato con il nuovo amico «A proposito, non mi hai ancora detto il tuo nome. Mi sembra di averti già visto in passato, ma non ricordo dove. Non mi hai neppure rivelato quali affari ti abbiano riportato sulle sponde dell’Eufrate» «Probabilmente hai visto il mio ritratto nel palazzo che ora è occupato dal tuo Piyashili. Il mio nome è Shaushatar» rispose l’uomo estraendo una corta spada dalle pieghe del mantello. Il soldato non fece in tempo a evitare il fendente e la sua testa rotolò verso il banco di un mercante egiziano. L’uomo la prese per i lunghi capelli e la mostrò alla folla che si tirò indietro impaurita. I soldati erano lontani e non compresero subito cosa fosse successo, ma si avvicinarono velocemente richiamati dal trambusto. In maniera innaturale la voce di Shaushatar risuonò come un tuono nell’intera piazza: «Uomini di Karkemish, fedeli sudditi del regno di Mitanni, non abbiate paura. Questo è il giorno della nostra liberazione dal giogo straniero. Ricacciamoli oltre le montagne da dove sono venuti per derubarci!» 10
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Alcuni scontri erano scoppiati tra i soldati, che cercavano di raggiungere l’assassino del compagno, e gli abitanti di origine Khurrita. Da ogni parte della città le forze della guarnigione occupante convergevano verso il mercato per stroncare la ribellione. Non era la prima volta che si verificavano disordini, ma fino ad allora erano stati sedati in breve tempo e con poche perdite. L’uomo, che aveva dato inizio all’insurrezione, salì su un carro e gridò ancora più forte: «Sono il vostro antico re! Sono Shaushatar e gli dei di Mitanni mi hanno permesso di tornare sulla terra per liberarvi. Venite con me al palazzo!» Una folla enorme lo seguì e respinse i soldati verso la parte alta della città dove si trovava la residenza del re. Gli Ittiti trovati per strada furono trucidati e le loro teste infilzate sulle lance. Quel giorno ne furono massacrati almeno mille, inseguiti e finiti come topi nei vicoli di Karkemish. La marea umana si presentò urlando di fronte al palazzo del re straniero. Le porte dalle spesse assi di legno di cedro si aprirono e il comandante della guarnigione si fece avanti per parlamentare. Il vecchio generale era consapevole che le sue forze non potessero affrontare una simile rivolta, ma confidava nella sua fama per tenerla sotto controllo. La sua comparsa aveva raffreddato molto gli animi. Tutti avevano riconosciuto la sua figura, poiché da anni vigilava con fermezza e giustizia sulla città. «È Zannanza! È un cugino del Grande Re di Khatti! Ascoltiamo le sue parole!» dicevano già in tanti, abbassando le armi sporche del sangue ittita. Shaushatar vide che l’impeto diminuiva e capì di non poterlo permettere. Si avvicinò al comandante nemico, che cercava di ottenere il silenzio, e lo trafisse da parte a parte. Zannanza cadde in ginocchio, mentre l’altro gli afferrava i capelli. Di fronte all’intera 11