La profezia del vecchio indovino

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Roberto Castiglione

La profezia del vecchio indovino



Alla Ragione, unica e sola divinitĂ


Copyright Š 2015 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-90-1 In copertina: disegno di Roberta Bellotto

Roberto Castiglione, La profezia del vecchio indovino, Antipodes, Palermo 2015


I 7 maggio del 330 dopo Cristo

I

l senatore Lucius Herennius Secundus percorreva le vie di Volaterrae in tutta fretta. Era arrivato da poco nella sua residenza cittadina dalla villa sul mare. Aveva letto il pressante messaggio del suo amico Arrunzio che lo invitava a raggiungerlo nella grande domus dei Persii Severi. Si era fatto accompagnare da un paio di fedeli schiavi verso la sommità del colle su cui era stata fondata la potente città etrusca. Non aveva voluto essere trasportato nella lettiga e con riluttanza aveva concesso ai servi di fargli strada, precedendolo con le torce. Il tramonto era vicino e in quella fredda e nuvolosa sera d’inizio maggio la luce mancava per le vie lastricate di Volaterrae. «Un vecchio legionario deve essere in fin di vita o morto per farsi portare a spalla. Arrunzio si prenderebbe gioco di me, se mi vedesse arrivare come uno di quei debosciati che vengono da Roma» aveva detto al capo della servitù che aveva insistito fino all’ultimo per farlo salire sulla portantina. Giunsero velocemente alla domus della famiglia dei Persii Severi. Per le strade avevano incontrato poche persone che si recavano in fretta alle loro case per ripararsi dal freddo. Da lontano il senatore vide la mole dell’abitazione del suo amico fraterno. 5


Era una delle più grandi della città e distava una ventina di passi dal quadrivio che portava in alto all’acropoli e in basso alla porta di Giove. L’edificio ospitava una decina di tabernae, affittate ad artigiani e commercianti sul lato che dava sulla via principale e altrettante sul retro. Gustò con piacere gli affreschi sempre curati e restaurati di frequente, che ornavano le mura vicino alla porta. «Sono dipinti che non si vedono più in giro!» pensò tra sé «La gloria della nazione etrusca è tramontata per sempre, ma tu, vecchio pazzo, ci credi ancora» Uno degli schiavi bussò al grande portone rinforzato con liste di bronzo e dopo alcuni secondi il capo della servitù arrivò ad aprirlo senza sforzo. «Caio! Ti sei disturbato ad aprire» disse il senatore con tono di bonario rimprovero. «Il tribunus Arrunzio così ha ordinato!» rispose sorridendo Caio, portandosi la mano destra chiusa a pugno sul cuore. «Vecchio amico, non siamo più ai tempi della legione! Siamo diventati cives e abbiamo riposto il cingulum in qualche arca a prendere polvere» disse ancora Lucio. «Purtroppo è vero, senatore Herennius Secundus» «Chiamami Lucius! Abbiamo combattuto per venti anni sotto il tuo tribunus Arrunzio. Scusami Caio, ma non ricordo mai a quale grado arrivasti prima di congedarti» «Fui nominato centurio prior della quinta coorte della nostra legione, ma tu eri già tornato in Etruria» rispose fieramente Caio. «La nostra Quarta Italica Invicta» ricordò Lucio entrando nella casa dell’amico «Bei Tempi sotto il comando di Diocleziano!» Attraversarono il lunghissimo vestibolo che ospitava le stanze della numerosa servitù. Arrivarono nell’atrio dove furono accolti da alcuni schiavi. 6


«Il senatore Arrunzio Persio Severo ti prega di attendere alcuni istanti. È impegnato nel tablinium» disse Caio, allontanandosi per annunciare che Lucio era giunto. Udì la voce potente del suo amico: «Tesinth Tamiathuras, digli che sarò da lui tra un momento!» «Come ti ha chiamato?» chiese incuriosito al capo della servitù, tornato nell’atrio per offrirgli una coppa di vino. «Ultimamente usa spesso l’antica lingua e quello è il termine per indicare il mio lavoro» rispose Caio. «La lingua dei nostri antenati Rasenna non è più parlata da secoli. Saranno rimasti in cinque a capirla e ancora meno a comprenderla a fondo. Senti, ma cosa sta facendo Arrunzio? Mi ha fatto venire qui di corsa! Ho ancora gli abiti da viaggio!» «Non lo so con certezza. Ho visto che scriveva una lunga lettera e parlava con qualcuno, ma non ho visto nessuno nella stanza» «Hai potuto capire se si trattasse di un uomo o una donna?» chiese Lucio, stringendogli nervosamente un braccio. «Sicuramente una donna! L’ha chiamata mia signora» «Ha detto proprio così? Ne sei certo?» «Assolutamente!» «Allora ci siamo! È cominciata!» disse Lucio, respirando profondamente per fare appello a tutte le sue forze «Dimmi ancora!» «Stamani all’alba è salito sul tetto e ne è ridisceso cantando e ballando!» disse titubante Caio. «Immagino che la servitù si sia meravigliata parecchio! Il mio vecchio amico potrebbe fare concorrenza a Catone il Censore per sobrietà» replicò Lucio, ridendo all’idea. «Abbiamo pensato che fosse impazzito dalla gioia per la…» disse Caio, fermandosi in tempo. «Gioia per cosa?» «Non posso dire altro per espresso ordine del senatore» 7


«Sempre misteri con Arrunzio! Stasera gli comunicherò una bella notizia che farà il paio con la sua!» La porta del tablinium si aprì e il padrone di casa si affacciò: «Scusa, se ti ho fatto aspettare, ma avevo una gradita ospite» disse, invitandolo a entrare. Lucio entrò nella grande stanza, ingombra di pergamene arrotolate e fogli di papiro. Non vide nessun altro e vi era una sola porta. «Volaterrae, Die Nonarum Maii, Anno ab Urbe Condita millesimo octuagesimo tertio. Ecco, fratello mio, ho finito l’epistola che dovevo inviare al Praetor Etruriae» disse il senatore Arrunzio Persio Severo, riponendo con cura la penna d’oca sul tavolo da lavoro. Il tablinium era immerso nella penombra e alcune torce riuscivano a illuminarlo a malapena. Il tramonto era già trascorso da una decina di minuti e la servitù preparava il banchetto per la fausta occasione che aveva rallegrato la domus. I due anziani uomini sedevano uno di fronte all’altro. Si conoscevano da quasi mezzo secolo e avevano militato fino a pochi anni prima nella stessa legione in Oriente. Arrunzio era stato il comandante della Quarta Italica per molto tempo, come i suoi antenati. L’imperatore Alessandro Severo aveva costituito la legione cento anni prima per combattere i Persiani. «Ora possiamo parlare con calma» rispose Lucio, sistemandosi meglio sulla sedia curule «Mi congratulo per la nascita del tuo secondo nipote. Come hai deciso di chiamarlo?» «Vedo che ha già capito tutto. Questo bambino è arrivato all’alba. Ci siamo senza ombra di dubbio! Stamani ho scorto cinque aquile volteggiare sopra il colle e le ho vedute attaccare uno stormo di corvi. Li hanno uccisi tutti! Se non lo avessi visto con i miei occhi, non lo avrei creduto» replicò Arrunzio. 8


«Dici davvero? Dopo tanti secoli è tornato tra noi?» «Lucius Herennius Secundus! Da quanti anni mi conosci? Ti pare che io abbia voglia di scherzare su un argomento del genere?» «Aranth, fratello mio! Ci conosciamo fin da ragazzi e so bene quanto tu abbia atteso questo momento» concesse Lucio sorridendo. «Quanto lo abbiamo atteso! Ora tocca a te fare la tua parte» riprese Arrunzio, ringraziandolo con un cenno della testa per aver usato l’antica lingua. «La moglie del mio primogenito è incinta di due mesi e la bambina dovrebbe nascere intorno alle Idi di Dicembre» rispose Lucio. «Deve nascere due giorni dopo, il quindici dicembre. Esattamente sette mesi e otto giorni dopo il bimbo!» ordinò Aranth, divenuto scuro in volto «Vedi di provvedere in tal senso!» «Non capisco perché proprio quel giorno, ma tu sei sempre stato l’augure della situazione. Mi piego al tuo volere, amico mio» si scusò Lucio. «Così è scritto. Così accadde tanti secoli or sono. Così dovrà accadere nuovamente alla fine di questo anno che ha visto la fondazione della nuova capitale dell’Impero» sentenziò Aranth, scrutandolo con i suoi occhi blu che pretendevano rispetto e obbedienza assoluta. «Era questo che attendevi?» chiese Lucio all’oscuro di tanti particolari al contrario dell’amico. «Proprio così, fratello! I due bambini sarebbero dovuti nascere soltanto in questo anno e il loro destino si compirà quando l’Impero si dividerà per sempre!» disse senza remore Aranth. «Il nostro Impero è destinato a frantumarsi entro pochi anni? Costantino lo ha risollevato dalla crisi in cui era precipitato e ancor prima Diocleziano lo aveva salvato dalla distruzione totale. Non è possibile che Roma si destinata a cadere entro due o tre decenni!» esclamò incredulo. 9


«C’è ancora tempo e noi non vedremo mai quei giorni oscuri. Questo spetterà ai due bimbi e insieme dovranno salvare l’eredità più preziosa della nostra nazione» lo rassicurò con un cenno della mano. «Non mi hai ancora detto quale sarà il nome del bambino» chiese Lucio. «Ho imposto a mio figlio di chiamarlo con il suo nome» rispose Aranth «In fin dei conti è il secondogenito e può prendere il nome del padre» «Aulo Persio Severo!» disse Lucio. «Mi piacerebbe che potesse essere chiamato Avile nella nostra antica lingua. Purtroppo quei tempi gloriosi sono trascorsi e non torneranno a risplendere» precisò Aranth. «Io imporrò il nome che abbiamo concordato alla bambina» «Lo abbiamo deciso fin da quella notte sotto le mura di Ctesifonte, trentatré anni fa. La bimba si chiamerà Clelia Herennia Secunda» «Così sarà, fratello!» confermò Lucio. «Così dovrà essere! Il mio compito non è ancora finito. L’anno prossimo Avile dovrà avere un fratello e dovrà nascere a quindici mesi esatti da lui, il 7 di agosto. Così successe mille anni fa e così dovrà accadere nuovamente. Il suo nome sarà Caelio» profetizzò Aranth. «Come sta il tuo primo nipote? Deve avere cinque anni ormai» si premurò di chiedere l’amico. «Sono tentato ogni giorno di portarlo nel bosco a Sud della città e abbandonarlo laggiù» rispose, scuotendo la testa dove i capelli si ostinavano a restare castani «Non posso farlo perché anche lui avrà la sua parte nella tragedia che stiamo allestendo. Per puro scrupolo di coscienza quando nacque, volli salire sul tetto per osservare i segni. 10


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