La regina oscura

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Roberto Castiglione

La Regina Oscura


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Copyright Š 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-51-2

In copertina: disegno di Roberta Bellotto

Roberto Castiglione, La Regina Oscura, Antipodes, Palermo 2014.


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A Lisa e Giulia, le nostre damigelle di un tempo ormai lontano.


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Sono Aulo Persio Severo, Tribunus della Legio IV Italica Invicta di guarnigione nella fortezza di Rhesena ai confini orientali dell’Impero di Roma. Voglio continuare a narrare le avventure che io e i miei compagni abbiamo vissuto (o crediamo di averlo fatto) in altre epoche, perse in un lontano passato. Pensavo che nulla avrebbe più potuto stupirmi dopo la missione a Volaterrae, conclusasi con la sconfitta del malvagio dio Laran e della sua accolita Lucrezia nella tomba di mio nonno. La mia pur fervida immaginazione fu messa a dura prova da quello che ci accadde nei mesi successivi. Lasciate che riprenda le fila del mio racconto. Durante il lungo viaggio per mare, che avrebbe dovuto riportarci in Siria, fummo colpiti da una terribile tempesta vicino a Creta. Io e Clelia combattemmo tutta la notte contro i fulmini che minacciavano di mandare in frantumi la trireme. La nostra nave fu sbattuta dalla violenza inaudita delle onde sulle rive dell’Argolide, vicino a Tirinto. Mi accorsi subito di come qualcosa fosse cambiato intorno a noi. La tempesta non era il mero frutto della Natura e ci aveva scagliato lontano nel tempo. Nostro malgrado eravamo finiti un paio di secoli (anno più, anno meno) prima della guerra combattuta sotto le ciclopiche mura di Troia. Il re di Micene ci accolse e ci avvertì del mortale pericolo che gravava sul loro mondo. Un sovrano del regno asiatico di Mitanni era risorto dalla tomba e si era impadronito di molte terre. Shaushatar era il suo nome e 5


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grazie al grande generale Varuna aveva sconfitto gli Ittiti e gli Egiziani in una travolgente campagna militare. Persino la Terra di Assur e la potente Babilonia erano minacciate. Capisco che alcuni di questi popoli siano stati già dimenticati, sepolti sotto cumuli di rovine, ma giungerà il tempo in cui saranno riportati alla luce da uomini ansiosi di conoscere la storia dell’umanità. Scusate, ma sto divagando come mio solito. Per farla breve e non far addormentare gli ascoltatori e gli eventuali futuri lettori, vi dirò che Shaushatar attaccò Micene, ma fummo in grado di ricacciare le sue truppe in mare. Andammo a cercarlo in Siria con una potente flotta, armata con macchine da guerra create appositamente da mio fratello Caelio. Durante lo sbarco ci trovammo di fronte un nemico inatteso, chiamato dalla Nera Regina di Mitanni. Questa strega malefica aveva invocato l’aiuto dei terribili Pazuzu, gli Uomini Leone, provenienti da un altro mondo, simile al nostro. Un intero esercito era schierato davanti a noi nella piana di Alalakh. A fatica ne venimmo a capo e ci rendemmo conto che non avremmo potuto vincere le armate di Karaindash, il re dei Pazuzu, non con il misero esercito di quindicimila Achei che ero riuscito a levare in tutta fretta. Per fortuna il coraggio degli Uomini non venne meno e le terre sconfitte da Varuna giunsero in nostro soccorso. Per un’unica volta gli eserciti ittiti, egiziani, assiri e khurriti avrebbero 6


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marciato insieme contro il nero terrore che minacciava il loro (e nostro) mondo. Persino il grande Varuna era passato dalla nostra parte ribellandosi contro le atrocità dei Pazuzu. Non voglio nemmeno dimenticare l’aiuto giunto dalle rive del Fiume Giallo e dai Grandi laghi dove nasce il Nilo. Shaushatar e la Regina Nera si rifugiarono a Washukanni, la capitale del loro regno, per preparare la fine del mondo e consegnarlo nelle rapaci mani dei Pazuzu. Gli eserciti degli Uomini si presentarono di fronte alle loro mura, sfidando il nemico in campo aperto. La battaglia che ne seguì fu tremenda, ma riuscimmo ad annientare gli Uomini Leone, grazie anche alla loro arroganza. L’indomani stesso attaccammo la capitale di Mitanni, dove la Regina governava senza il suo re. Shaushatar era stato eliminato per aver contraddetto la strega, ringraziandolo a modo suo per averla liberata dalla prigionia sotto la ziggurat di Ur. Il Male non ha riconoscenza né amici. Una nera magia difendeva le mura della capitale assediata, ma un potere più grande fu in grado di abbatterle e scardinare le pesanti porte. Come una muta di cani inseguimmo Karaindash e la regina fin nelle segrete del grande tempio di Teshub e nell’oscurità la strega si rivelò finalmente ai nostri occhi. Il suo viso era quello di Clelia, la mia adorata Magistra, e soltanto gli occhi e i capelli, neri come la notte più buia, erano diversi. Il suo nome era Eresh Kigal, la Dea della Morte di Sumer. 7


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Karaindash tentò di rientrare nel suo mondo, ma fu catturato dai ribelli che avevano approfittato della sua assenza per impadronirsi del potere. Eresh Kigal ci sfuggì grazie alla sua magia e un cilindro che conteneva le lamine del tempo. Queste erano state sottratte dalla tomba di nostro nonno dal demone che si celava sotto le spoglie di Shaushatar. Non ci restava altro da fare che attraversare ancora una volta le cortine del tempo per catturare la strega prima che potesse sovvertire il passato e divenire la padrona del mondo. Io sapevo dove si era rifugiata e l’avrei inseguita fino all’alba della creazione pur di prenderla. Die octavo ante Idus Octubris anno millesimo centesimo quadragesimo octavo ab Urbe condita.

«Scusa, Aulo! Non potresti usare il conto degli anni dei cristiani? Mi piace molto di più!» «Come vuoi tu, Clelia! Oggi è l’ottavo giorno del mese di ottobre dell’anno 395 dopo la nascita di Cristo. Anche se in verità i calcoli non tornano e credo che ci siano almeno cinque anni in più, ma questo dovrebbe dipendere da…»

«E io lo sapevo che dietro c’era la fregatura! Adesso non ti metterai mica a disquisire sui vari metodi di datazione. Mi hai già riempito la testa con queste sciocchezze un paio di giorni fa! Vuoi raccontare la storia o no?»

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«Va bene, Settimio. Inizio dalla partenza dalla capitale di Mitanni dopo la fine dell’assedio. Sei d’accordo?»

«È meglio che tu cominci dalla mattina seguente, perché la notte potrei raccontarla sicuramente meglio io!» «Su questo non si discute!»

«Sempre la stessa storia con te, Settimio, ma non pensi ad altro?» «Certo che no, Clelia!»

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I Ur

Un’ora prima dell’alba Aulo si svegliò tranquillamente. Aprendo gli occhi vide la stoffa grezza della tenda che avevano montato la sera prima sulle rive di un piccolo stagno. Era molto diversa da quella solitamente usata per i contubernia della legione, ma per una notte poteva andare. Si voltò verso Clelia che dormiva al suo fianco e stette a osservarla per alcuni istanti. Non riusciva a capire come potesse essere così bella. I lunghi capelli biondi erano sparsi sulle spalle esili e le braccia sottili erano attaccate al corpo. Tra poco avrebbe aperto gli occhi ed egli sarebbe rimasto abbacinato dal loro verde splendore. Alle volte gli apparivano come due smeraldi in grado di illuminare il mondo intero. Le carezzò una guancia liscia e rosea e Clelia si svegliò sorridendogli: «Dobbiamo partire. Il tempio di Teshub ci aspetta!» le disse con un sussurro. Clelia gli prese il viso tra le mani e lo baciò sulle labbra: «Andiamo! Dobbiamo finire quello che abbiamo iniziato!» disse con voce chiara. 11


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Con un movimento fluido la donna si alzò senza nessuno sforzo, mentre lo stesso non riuscì ad Aulo. Al mattino le ferite di guerra si facevano sentire e si mettevano sempre in fila per l’appello, in maniera tale che non potesse dimenticarle. «Sono sempre più convinto che non sia del tutto umana, mentre io lo sono sicuramente, anche troppo!» pensò Aulo, uscendo dalla tenda e stirandosi le membra indolenzite «Una Dea si deve essere incarnata in lei!» Andarono a nuotare nell’acqua fresca dello stagno e tornarono verso il piccolo accampamento che si destava dal riposo notturno. Videro per primo Quinto, un uomo alto e robusto, che si preparava la titanica colazione. La sua testa pelata risplendeva ai primi raggi del sole. «Primuspilus!» lo salutò Aulo. «Tribunus!» rispose Quinto balzando in piedi e portandosi la destra chiusa a pugno sul cuore. Da una delle tende uscì ancora assonnato Sesto che cercava di dare un senso alla sua fluente capigliatura nera. Nel giro di dieci minuti si sarebbe trasformato nel soldato più in ordine della Legione, se questa non fosse restata ad alcuni millenni di distanza. Uno dopo l’altro i compagni si svegliarono e iniziarono a smontare il campo. Aulo e Clelia videro Alexandros, il principe di Micene, aiutare Claudia, la loro figlia adottiva, nel riporre le poche cose in suo possesso. Erano due giovani molto simili, alti e biondi, fatti l’uno per l’altra. Vicino si trovava Caelio, il fratello minore di Aulo, che discuteva animatamente con Sherri, la figlia del fabbro del palazzo reale di Karkemish. Aulo li indicò con un cenno del capo a Clelia e sorrisero. Sicuramente parlavano di minerali e metodi per fonderli o di qualche altra diavoleria del genere. «Mio fratello non molla mai la presa!» disse Aulo sottovoce «Ho sentito che hanno lavorato per almeno un paio d’ore nella 12


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loro tenda questa notte. Poi uno sbercio di Quinto li ha messi a dormire!» Sentirono un allegro vociare di ragazze e videro Enlil Nirari, l’erede al trono di Assur, circondato dalle allieve di Clelia. Il ragazzo teneva sotto braccio Camilla, la pronipote di Quinto, mentre le altre non facevano altro che domandare della nottata passata dai due davanti al fuoco. Il principe scuoteva i lunghi riccioli neri che gli arrivavano fin sulle spalle dicendo a bassa voce: «Non posso rivelare nulla del nostro incontro segreto. Il legionario pelato è troppo vicino! Quello mi strappa le gambe e le braccia se se ne accorge!» Camilla sorrideva felice al fianco del suo Enlil Nirari e il sole nascente illuminava i suoi capelli rossi. «Mi pare che siano tutti presenti!» gridò Quinto cercando di riportare un minimo d’ordine nell’accampamento. Dette un’occhiata incendiaria al piccolo principe e continuò a fare l’appello. «Non siamo all’adunata del mattino della legione!» gli fece notare Sesto, finendo di prepararsi con somma cura. «Ha ragione, fratello!» aggiunse Aulo «E poi credo che manchino almeno due componenti del gruppo!» «È vero! Come al solito Settimio è in ritardo!» esclamò Quinto rendendosi conto che l’ultimo legionario e la sua nuova fiamma erano assenti. Gli occhi dell’intera compagnia si volsero verso l’unica tenda ancora in piedi, ma nessuno ne uscì e non udirono alcun rumore provenire dall’interno. «Adesso stanno zitti e fermi, ma questa notte hanno fatto un bel po’ di rumoroso movimento!» disse Claudia. Alexandros si strinse nelle ampie spalle. Era perfettamente consapevole che sua sorella Ariadne fosse l’unica a poter competere con Settimio in una particolare arte. 13


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«Sarebbe ora di svegliargli. Non possiamo attendere che riemergano dal sonno nel quale sono sprofondati. Devono essere svenuti un paio d’ore dopo la mezzanotte!» propose Aulo, avviandosi verso la tenda. Fece cenno al fratello e si misero uno di fronte all’altro. Presero la tenda e la ribaltarono completamente. Videro i due occupanti seminudi avvinghiati e ancora addormentati: «Non si saranno mica ammazzati a vicenda?» pensò Aulo, valutando le enormi forze scese in campo la sera prima. Poi si voltò e ordinò a Quinto di gettare una secchiata d’acqua sui due. Il Primuspilus corse allo stagno e prese una discreta quantità d’acqua mista a melma e alghe, seguito da Sesto: «Una forse non basterà» disse tornando verso la tenda divelta. Stettero un istante a osservare i due che ancora non avevano dato segno di vita. Soltanto il leggero alzarsi e abbassarsi del petto indicava che erano ancora vivi. Aulo li indicò e con il pollice rivolto verso il basso ne decretò il risveglio. «Ma chi? Ma cosa? Per l’animaccia dannata di Catone!» annaspò Settimio sputando l’acqua dello stagno e balzando in piedi. Poi vide i due con i secchi ancora in mano: «Ecco i fanatici!» li apostrofò scuotendo i lunghi capelli biondi intrisi di fango. Per tutta risposta Quinto e Sesto lo presero sotto braccio e di corsa si diressero verso lo stagno, incuranti delle grida dell’amico. Arrivati sulle rive, si arrestarono di botto e lo catapultarono in acqua. «Hai dieci minuti di tempo per prepararti a partire!» lo rimproverò Quinto. Settimio riemerse e li mandò al diavolo. Poi uscì a fatica dallo stagno, cercando di darsi un contegno di fronte alle ragazze. Ariadne, invece, si alzò imperturbabile, si avviò verso lo specchio 14


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d’acqua e vi si gettò, dopo essersi spogliata completamente. Dopo alcune bracciate tornò a riva e si mise al sole del mattino ad asciugarsi, sdraiata su una coperta, suscitando l’interesse di svariati componenti maschili della piccola compagnia. Clelia e Claudia si avvicinarono e dopo una breve, ma animata discussione le imposero di rivestirsi e prepararsi a partire. «È peggio di Settimio!» disse Clelia ancora infuriata ad Aulo. Il Tribunus allargò le braccia impotente. Nella legione era sufficiente il loro amico a creare scompiglio e la principessa di Micene avrebbe potuto scatenare disastri ancora peggiori. Un’ora dopo il sorgere del sole la compagnia era pronta a ripartire verso le rovine della capitale di Mitanni. Le provviste erano state riposte nelle bisacce e le bestie da soma caricate. Caelio si avvicinò al fratello e gli porse lo scudo e la spada, dicendo sottovoce: «Nella notte ho apportato alcune piccole modifiche. Spero che le troverai molto utili nel tempo e nel luogo dove siamo diretti» Aulo osservò le sue armi con attenzione: «Fratello, ma tu hai…» «Un piccolo regalo dal cielo non guasta mai!» ribattè Caelio sorridendo. La malinconia e la delusione del giorno prima non erano scomparse, ma il lavoro iniziato doveva essere portato a termine. Aulo dette l’ordine di partenza e la minuscola carovana si mise in marcia verso Sud. Incontrarono quasi subito le colonne degli Ittiti che ritornavano a Hattusas in silenzio. Ci furono pochi e sbrigativi saluti. «Per tutti gli Dei!» sbottò Quinto vedendole «Sembra che abbiano perduto la battaglia, quando dovrebbero rientrare in patria esultanti per la grande vittoria!» «E per lo scampato pericolo» suggerì Sesto osservandole mentre si allontanavano verso i monti del Tauro. 15


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