La storia della papessa giovanna

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{Sa n d r aMa n c u s o } Las t o r i ad e l l ap a p e s s aGi o v a n n a : f r al e g g e n d aer a p p r e s e n t a z i o n en e l d r a mma d i Di e t r i c hSc h e r n b e r g Ei ns c h ỏns p i e l v o nFr a uJu t t e n



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L’ a u t r i c ed i c h i a r ad ie s s e r et i t o l a r ed e ic o n t e n u t ie s p o s t in e l l ap r e s e n t eo p e r a . Co p y r i g h t©2 0 1 8-Tu t t iid i r i t t is o n or i s e r v a t ip e rt u t t iiPa e s i An t i p o d e ss . a . s . v i aTo s c a n a2 9 0 1 4 4Pa l e r mo www. a n t i p o d e s . i t Ema i l :i n f o @a n t i p o d e s . i t I SBN9 7 8 8 8 9 9 7 5 1 5 8 6 Sa n d r aMa n c u s o , Las t o r i ad e l l ap a p e s s aGi o v a n n a :f r al e g g e n d aer a p p r e s e n t a z i o n en e ld r a mmad iDi e t r i c h S c h e r n b e r gEi ns c h ỏ ns p i e lv o nFr a uJ u t t e n , An t i p o d e s , Pa l e r mo2 0 1 8 .


A colei che sparse di fiori il mio cammino, a Concetta, mia madre.

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Indice Prefazione ………………………………………………………………………..…..…..4

Capitolo 1. Il fascino della trasgressione: la tradizione della Papessa Giovanna. 1.1. Giovanna la Papessa: tra mito e leggenda ……………………………….…….……...9 Capitolo 2. Dietrich Schernberg: Ein schỏn spiel von Frau Jutten. 2.1. La storia di Frau Jutta, alias “Johannes aus Engelland”…………..…….…………....22

2.2. La riscoperta del dramma di Schernberg durante gli scontri confessionali dell‟Età Moderna……………………………………………………………………......…26

2.3. Il dramma di Schernberg e la sua rappresentazione …..……………………….…….36 2.4. Schernberg, “Meister der Zuschneidekunst” ………………………..….……………47 2.4.1 Elaborazione delle fonti …………………………………………….……………50 2.4.2 L‟influenza di Polonus nello Juttenspiel …………………………………...……58

2.5 Frau Jutta e Mariken van Nieumeghen: due donne ed un unico desiderio, la conoscenza ………………………………………………………………………...……..62 2.5.1 La storia di Mariken. ………………………………………………………….…63 2.5.2 Jutta e Mariken: differenze ed analogie………………………………………….66

Bibliografia 1. Testi e traduzioni ……………………………………………….……………………...75 2. Studi ...………………………………………….……………………...………………75 3. Studi sulla papessa Giovanna ………………………………………………………….76

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Prefazione

Nella memoria orale e soprattutto nelle tradizioni anticlericali popolari, sussistono ancora oggi tracce di un‟invenzione leggendaria, quella di un‟immaginaria papessa, che per secoli la Chiesa stessa ha trattato come storia. Mi riferisco alla famigerata Geschichte der Päpstin Johanna, (Storia della Papessa Giovanna), in cui si narra di una donna ascesa al soglio pontificio, secondo la tradizione dopo la morte di Leone IV e prima di Benedetto III, ossia fra l‟855 e l‟857. Le vicende legate a questa celeberrima e leggendaria figura femminile sono sintetizzate assai bene in un sonetto del XIX sec. in vernacolo romanesco di Giuseppe Gioacchino Belli1 intitolato per l‟appunto La papessa Giuvanna: Fu pproprio donna. Buttò via „r zinale Prima de tutto e ss‟ingaggiò ssordato; Doppo se fece prete, poi prelato, E ppoi vescovo, e arfine cardinale.

E quanno er Papa maschio stiede male, E morze, c‟è chi dice, avvelenato, Fu ffatto Papa lei, e straportato A Ssan Giuvanni su in zedia papale.

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Giuseppe Gioacchino Belli (Roma, 1791- 1863) descrive nei suoi numerosi sonetti in vernacolo romanesco il popolo della Roma pontificia del XIX secolo. Si tratta della produzione più corposa della poesia italiana dell‟800, il cui fine viene evidenziato dallo stesso autore nell‟introduzione alla raccolta dei suoi sonetti: “[…] Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che è la plebe di Roma. In lei sta certo un tipo di originalità: la sua lingua, i suoi concetti, l‟indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, le credenze i pregiudizi, le superstizioni, tutto ciò insomma che la riguarda, […]”. Cfr. G. G. Belli, Sonetti, Giorgio Vigolo (a cura di), Milano 1978, p. 40.

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Ma qua sse sciorze er nodo a la commedia; Chè ssanbruto je preseno le doje, E sficò un pupo lì ssopra la ssedia . D‟allora st‟antra ssedia ce fu messa Pe ttastà ssotto ar zito de le voje Si er Pontefice sii Papa o Papessa.

La figura di Giovanna, che indossando abiti maschili (e dopo aver stretto un patto con il diavolo), viene eletta papa, diventa a secondo delle esigenze, nel corso dei secoli, argomento per screditare il dogma dell‟infallibilità papale, sottolineando così la degenerazione morale e religiosa del papato stesso o, più semplicemente, un‟allegoria della tentazione di Satana e dell‟inadeguatezza delle donne ad accedere alla gestione del sacro, ribadendo così, l‟idea di debolezza e pericolosità insita nelle donne secondo una diffusa mentalità medioevale2. Giovanna, però, diventa ben presto anche uno strumento atto alla glorificazione di Maria e alla rappresentazione della drammaticità del conflitto fra bene e male, e la sua storia è argomento a sostegno delle feroci critiche di Lutero e dei suoi seguaci, che vedono in lei la “prostituta di Babilonia” e nel potere del papa “il regno dell‟anticristo”3. Ed è proprio la critica alla chiesa e al papato, insita nella vicenda di Giovanna, a rendere quest‟ultima particolarmente appetibile ai luterani, tanto che si deve 2

Nella figura di Giovanna, che diventando papa assume una posizione di autorità sugli uomini, sembrano concretizzarsi appieno le paure, le credenze e le superstizioni dell‟uomo medievale legate all‟immagine della donna. Cfr. Petoia Erberto, Miti e leggende: Scandalo a San Pietro, in “ Medioevo” n. 4, 2004, pp. 71-72. 3 Ibidem, p. 71.

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proprio ad uno di essi, Hieronymus Tilesius, la ristampa di un testo sulla papessa, quello del cattolico Dietrich Schernberg, intitolato Ein schỏn Spiel von Frau Jutten del 1480, edito nel 1565, su cui è incentrato questo lavoro. Il dramma di Schernberg risulta essere un‟opera assai affascinante nella storia del dramma tedesco, vuoi per il suo valore letterario e per la sua importanza nell‟ambito dello sviluppo del teatro in Germania, vuoi per il suo valore di documento culturale (in riferimento alla situazione storica e sociale del tempo) e in ultima analisi anche filologico4. Nel presente lavoro, dopo aver tracciato la storia della leggenda di Giovanna, così come tramandataci dalle fonti e trasformatasi nel corso dei secoli, cercherò di evidenziare le ragioni che hanno spinto alla riscoperta del dramma tardo medioevale di Dietrich Schernberg e alla ristampa dello stesso nel 1565, nel pieno dello scontro fra Riforma protestante e Controriforma cattolica. Cercherò, inoltre, attraverso l‟analisi testuale, di descrivere la possibile5 rappresentazione teatrale dell‟opera di Schernberg non dimenticando, al contempo, di far emergere, ove possibile, le affinità con il teatro religioso medievale, soprattutto con i “Mysterienspiele” (Drammi dei sacri misteri), gli “Osterspiele” (Drammi pasquali), i “Theophilusspiele” a cui risalgono le radici del dramma.

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Cfr. Michael Wolfgang F., D. Schernberg. Ein schön Spiel von F. Jutten. in “Journal of English and Germanic philology” 1972, Vol. 71, n. 1, p. 65. 5 Purtroppo ad oggi non sono state rinvenute fonti che riferiscano del modo in cui venisse rappresentato il dramma di Schernberg, motivo per cui possiamo solo fare supposizioni prendendo spunto dai riferimenti testuali presenti e confrontandoli con le convenzioni teatrali del tempo. Cfr. Helder Ebba von der, Dietrich Schernberg‟s - Ein schön Spiel von Frau Jutten – How was it staged?, Camberra 1983, p. 114.

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Il mio obiettivo è da un lato far conoscere un dramma pressochè dimenticato, dall‟altro evidenziare, attraverso l‟analisi testuale, come Jutta6, la protagonista del nostro dramma, si distingua dagli altri personaggi che stringono un patto con le forze del Male (i cosiddetti “Teufelsbündler”) non solo perché il contraente umano è donna, ma anche perché come Faust e un‟altra donna, Mariken van Nieumeghen (Marietta di Nimega 1514), ella si dà al diavolo non per bramosia di ricchezza o per cercare piaceri carnali, ma, per assecondare la sua profonda ambizione e la sua smisurata curiositas intellettuale. Cercherò di far emergere come l‟ambiziosa Jutta, al pari di Mariken, agisca in preda a sete di conoscenza, un “Drang nach Erkenntnis”, che sembra essere l‟espressione più viva delle sete umana di sapere. In un mondo in cui le parole delle donne devono essere escluse da ogni dimensione pubblica e il loro vagabondaggio intellettuale e morale preoccupa enormemente predicatori e moralisti, a Giovanna non resta altro che acquisire un‟identità assolutamente nuova per potere accedere al mondo della cultura riservato esclusivamente agli uomini. Il travestitismo della protagonista è, però, sentito come diabolico dalla società cristiano-medioevale, in quanto sembra realizzare mediante l‟inganno e la menzogna la sovversione dei tradizionali ruoli dei sessi e, quindi, in definitiva

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Dietrich Schernberg, Ein schỏn spiel von Frau Jutten, nach dem Eislebener Druch von 1565, Lemmer Manfred (a cura di), Berlin 1971, p. 32, v. 78.

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lo sconvolgimento dello stesso ordine del creato, che in quanto provvidenziale e voluto da Dio è ritenuto perfetto e necessariamente immutabile. A tal proposito, Feistner scrive: “das cross-dressing profiliert […] die bestehende

Geschlechterordnung

und

rückt

zugleich

die Interaktion

der Geschlechter in ein dialektisches Licht”7.

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Feistner Edith, Manlîchiu wîp, wîpliche man; Zum Kleidertausch in der Literatur des Mittelalters, (1997/2), pp. 235-260. Trad. it. mia: “Il travestitismo mette in luce […] il vigente ruolo dei sessi sottolineando la loro interazione in una luce dialettica”.

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Capitolo 1

Il fascino della trasgressione: la tradizione della Papessa Giovanna.

1.1. Giovanna la Papessa: tra mito e leggenda. La leggenda della papessa Giovanna, che secondo gli studi di Döllinger1 è da ricondurre alla metà del XIII secolo, è stata definita da Ferdinand Gregorovius nella sua Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter (Storia della città di Roma nel Medioevo) come “[…] Eine der wunderlichsten Fabeln, welche die ausschweifende Phantasie des Mittelalters erzeugt hat” 2 (“una delle più stravaganti favole che la sfrenata fantasia del Medioevo abbia mai concepito”). A citarla per la prima volta è stato Stefan de Bourbon (morto nel 1261), che, richiamandosi ad una non identificata fonte3, ha rappresentato Giovanna come una fanciulla senza nome, abilissima scrittrice, vissuta intorno al 1100, già incinta al momento della sua nomina a papa e condannata a morte per lapidazione subito dopo la nascita del suo bambino4. Nella Chronica de Romanis Pontificibus et Imperatoribus (Cronache degli imperatori e dei papi romani, 1280 circa) del cronista medievale Martinus

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Cfr. Döllinger Ignaz von, Die Papst-Fabeln des Mittelalters, (1863). Neuausgabe von Georg Landmann, Kettwig 1991, pp. 1-45. 2 Citato da Ricklefs Ulfert, Magie und Grenze: Arnims “Päpstin Johanna”, Göttingen 1990, p. 59. 3 Con grande probabilità il domenicano Jean de Mailly, che nella sua Chronica Universalis di Metz, redatta intorno al 1235, parlò di una donna travestita da uomo che: “in virtù dell‟integrità del suo ingegno, diventa prima notaio della curia, poi cardinale ed, infine, papa”. Cfr. Petoia Erberto, Miti e leggende: Scandalo a San Pietro, in “Medioevo” n. 4, p. 69. 4 Richlefs Ulfert, op. cit., p. 73.

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Polonus (Martino il polacco), la leggenda della papessa appare in una versione largamente più arricchita. L‟autore, infatti, colloca il suo pontificato intorno all‟anno 855, dopo quello di Leone IV, identificandola con papa Giovanni Angelico di Magonza. Secondo il suo racconto, Giovanna è stata condotta ad Atene in abiti maschili dal suo amante. Qui la donna “tanto progredì nelle diverse scienze che nessuno potè più eguagliarla […]. Fu così che, in seguito, a Roma insegnò le arti del trivio […] e, poichè, la sua condotta ed il suo sapere (vita et sciencia) riuscirono a destare grande e profonda ammirazione, fu eletta papa all‟unanimità”5. Per ben due anni, sette mesi e quattro giorni ella detiene il potere sul trono di Pietro, assolvendo con scrupolosa attenzione ai propri doveri, “[…] ordinando ministri e promulgando leggi […]”6, senza mai destare fra i suoi

collaboratori un qualsivoglia sospetto circa la propria femminilità. Ascesa alla più alta carica ecclesiastica, Giovanna non ha saputo, però, astenersi dai piaceri sessuali rimanendo così incinta del suo amante. Assalita dalle doglie durante una processione dal Laterano verso San Pietro (fra il Colosseo e la chiesa di San Clemente), partorisce un

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Petoia Erberto, op. cit., p. 70. Alla Papessa Giovanna si fa, infatti, risalire l‟istituzione del Digiuno delle Quattro Tempora. In realtà, le Quattro Tempora erano già menzionate negli scritti di S. Filastrio, vescovo di Brescia (morto nel 387) che le poneva in relazione con le maggiori festività cristiane. Si trattava di quattro distinti periodi di 3 giorni – mercoledì, venerdì e sabato – di una stessa settimana, destinati al digiuno e alla preghiera, conosciuti come ieiunium vernum, aestivum, autumnale et hiemale (digiuno di primavera, d‟estate, d‟autunno e d‟inverno). Erano giorni considerati, tra l‟altro, particolarmente idonei per l‟ordinazione del clero. Il 17 febbraio 1966, papa Paolo VI, con un decreto, ne sancì la definitiva esclusione dai giorni di digiuno ed astinenza. Ibidem, p. 70. 6

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bambino, con grande scandalo degli astanti, per poi spirare ed essere sepolta nello stesso luogo in cui vede la luce il bambino7. Da quel giorno la strada ha preso il nome di vicolo della Papessa che i pontefici (così riferisce Martinus Polonus8), hanno evitato accuratamente di percorrere durante le processioni, in segno di condanna e riprovazione per l‟accaduto. Cronache successive a quelle di Martinus Polonus incrementano la leggenda di ulteriori dettagli. Si ricordino a proposito i Flores Temporum9 (1290-92), che ritraggono una papessa intenta a praticare un esorcismo, alle prese con un demonio che si dice pronto ad abbandonare il corpo della propria vittima solo nel giorno in cui lei, sommo pontefice, assalita dalle doglie metterà al mondo una nuova creatura, svelando così al mondo intero il suo inganno10. Intorno al XVI secolo, la storia della papessa si arricchisce ulteriormente con particolari relativi alla sua origine. La si collega con il convento di Fulda in Germania e facendo leva sul suo secondo nome, “Anglicus”,

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Cfr. Petoia Erberto, op. cit., pp. 70, 74. Cfr. Rosemary and Darroll Pardoe, The Female Pope: The Mystery of Pope Joan. The first Complete Documentation of the Facts behind the Legend, Wellingborough 1988, p. 5. 9 Si tratta di una raccolta di cronache redatte, verso la fine del tredicesimo secolo, nel sud della Germania dall‟Ordine dei Frati Minori. Ibidem, p. 9. 10 Cfr. Doering Sabine, Die Schwestern des Doktor Faust. Eine Geschichte der weiblichen Faustgestalten, Göttingen 2001, p. 49. 8

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scrittori e poeti cominciano a supporre un‟origine inglese della papessa11. Negli scritti Mirabilia urbis Romae12, la papessa, ancora incinta, è costretta da un angelo a scegliere tra “ewige Verdamnis” (dannazione eterna) o “irdischer Schmach” (umiliazione terrena). La papessa sceglie l‟umiliazione pubblica, accetta di partorire e morire in mezzo alla strada, durante una processione, dinnanzi al clero ed ai fedeli. Una scelta, che le garantirà la salvezza dell‟anima. I motivi della profezia della nascita e della scelta tra umiliazione terrena e salvezza divina vengono riproposti nel dramma tardo medioevale di Dietrich Schernberg “Ein schỏn Spiel von Frau Jutten” del 1480, edito nel 1565, nel quale “la leggenda acquista per la prima volta dignità letteraria” 13. Durante un esorcismo praticato dalla Papessa al figlio di un senatore romano, uno dei diavoli di Lucifero, presente nel corpo della vittima, rivela ai presenti il segreto del “papa”: la sua gravidanza e, dunque, la sua femminilità. Cristo Salvatore, offeso dall‟inganno di Giovanna, decide che è arrivato per lei il momento di morire. Spetta, però, solo a lei scegliere fra la dannazione eterna o il perdono divino.

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Ibidem, p. 50. I Mirabilia urbis Romae facenti parte della letteratura periegetica erano l‟equivalente delle nostre moderne guide da viaggio, difatti servivano ai pellegrini che si recavano nella Città Eterna. I primi Mirabilia nascono nel XII secolo, sono manoscritti e si manterranno fino al Barocco. Successivamente il titolo rimarrà lo stesso, ma si avranno modifiche nei contenuti. Dal XV secolo inizia la stampa di questi ricercati libretti che rimangono tra i più antichi incunaboli pubblicati dai tipografi tedeschi a Roma. Nonostante fossero guide per i pellegrini raccontavano anche storie fiabesche e leggendarie come nel caso della nostra papessa. Cfr. Accame Maria e Dell‟Oro Emy (a cura di), I Mirabilia urbis Romae, Tivoli 2004, pp. 55-56. 13 Cfr. Ricklefs Ulfert, op.cit. p. 73. […] in dem die Sage erstmalig poetischen Rang erhält. 12

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Come si vede, la leggenda relativa a questa immaginaria quanto misteriosa figura femminile che, si dice, avesse occupato uno dei luoghi simbolo del potere maschile, il trono di Pietro, travestendosi da uomo, ha fin dalle sue origini sollecitato l‟interesse di teologi e storici, ma, anche la fantasia di innumerevoli scrittori e poeti. L‟eco della leggenda, sebbene con alterne fortune, è persino giunto a noi, continuando ad affascinare e scandalizzare intere generazioni di lettori 14. Giovanna è divenuta, per esempio, intorno al XVI secolo, personaggio delle satire nei lazzi anticlericali del periodo carnascialesco 15, ed in tempi più recenti oggetto d‟interesse dei più svariati romanzieri per il gusto erotico sotteso alla sua vicenda. Cito a proposito lo scrittore greco Emmanouíl Rhoídis ed il suo romanzo La Papessa Giovanna16del 1866, considerato uno dei capolavori della letteratura greca moderna ed il prototipo di numerose altre opere sullo stesso tema, tra cui quella di Lawrence Durrell17. Pensiamo anche al romanzo L‟incredibile storia della papessa Giovanna dello scrittore greco Vanghelis Raptòpulos del 2000, tradotto in italiano solo 2 anni più tardi

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Una prima raccolta di testi aventi come protagonista la Papessa viene fornita da Werner Kraft, Die Päpstin Johanna. Eine motivgeschichtliche Untersuchung, Miss. Diss. Frankfurt/M. 1925, p. 37. L‟autore cita i seguenti testi in lingua tedesca: Lüdecke Friedrich, Die Päpstin Johanna, Norden 1874; Zürner Hugo, Frau Jutta. Ein lustig neu Spiel von Frau Jutten, Zürich 1895; Weitemeyer Max, Die Päpstin Johanna, Erfurt 1900; Gorm Ludwig, Päpstin Johanna, 2. Aufl. München 1919; Edon Richard A., Der Anti-Christ. Die Tragödie der Päpstin Johanna, Berlin 1920; Reicke Georg, Päpstin Jutte, Berlin 1924. Ai testi messi assieme da Werner Kraft, debbono aggiungersi oggi anche: Siegbert Meyer, Die Päpstin. Höchst seltsame Historie, so im 9. Jahrhundert passiert ist, Berlin 1876; Löwe Fritz, Frau Jutta. Die Päpstin. Eine deutsche Volkssage. Epos in drei Teilen, Offenbach 1832; Niehaus-Osterloh Monika, Die Mission der Päpstin Johanna, Bonn 1990 ed, infine, i romanzi dell‟americana Donna W. Cross e Vanghelis Raptόpulos. 15 Nelle rielaborazioni di Hans Sachs (Historia von Johanna Angelica der Päpstin, Storia di Johanna Angelica la Papessa, 1558) che è essenzialmente autore di commedie carnascialesche Giovanna funge più da personaggio da commedia che da eroina di un dramma religioso. 16 Cfr. Rhoìdis Emmanouìl, La Papessa Giovanna, Milano 2003. 17 Cfr. Durrell Lawrence, La Papessa Giovanna, Milano 1973.

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o al bestseller La papessa Giovanna dell‟americana Donna Woolfolk Cross18 del 2001. Ricordiamo a proposito, però, anche i molteplici interventi 19 in cui ancora oggi si discute della “storicità” del personaggio, nonostante già a partire dal 1863 Ignaz von Döllinger20 abbia fornito prove sufficienti per dimostrare il carattere esclusivamente leggendario della papessa Giovanna. Tale è stato l‟impatto della leggenda sulla realtà, che la fantasia popolare vuole che sia stato addirittura istituito un rito di verifica della “virilità” del pontefice, ovviamente mai svoltosi, ma ripreso con molto interesse da autori protestanti del „500. Lo stesso Schernberg, infatti, nel suo Juttenspiel ne fa menzione: Wir wollen einen Stuhl lassen machen Der da dienet zu solchen sachen Da sol sich der new Bapst begreiffen lahn […] Das man da erkenne Ob er sey ein Han ode ein Henne21. Nonostante non ve ne sia traccia in alcuno dei testi normativi che fissano le regole della cerimonia d‟incoronazione, sono poi numerosi anche i riferimenti

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Cfr. Woolfolk Cross Donna, La papessa Giovanna, 2001 e Raptόpulos Vanghelis, L‟incredibile storia della Papessa Giovanna, Milano 2002. 19 Dell‟esistenza storica della papessa si sono occupati in tempi più recenti: Boureau Alain, La Papesse Jeanne, Paris 1988; Pardon Rosemary and Daroll, The Female Pope. The mystery of Pope Joan. The First Complete Documentation of the Facts behind the Legend, Wellingborough 1988; Gössmann Elisabeth, Mulier Papa. Der Skandal eines Weiblichen Papstes. Zur Rezeptionsgeschichte der Gestalt der Päpstin Johanna, München 1994; Stanford Peter, Die Wahre Geschichte der Päpstin Johanna, Berlin 1999. 20 Cfr. Döllinger Ignaz von, op. cit., pp. 1-45. 21 Dietrich Schernberg. Ein schỏn spiel von Frau Jutten, nach dem Eislebener Druck von 1565, Lemmer Manfred (a cura di), Berlin 1971, p. 75, vv. 1323-28. Trad. it. mia: Vogliamo far costruire una sedia/ Che serva a tale scopo […] Lì il nuovo papa si lasci tastare/ per potere individuare/ se sia gallo o gallina.

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a questo rito sia nella storia dei papi, tra cui il Liber Pontificalis (1479) del Platina22, sia nella descrizione della cerimonia stessa. Il più giovane dei diaconi presenti alla cerimonia d‟incoronazione si accertava, mediante un accurato esame intimo, della virilità del pontefice. Il giovane ministro della chiesa, difatti, si assicurava con la mano del sesso del papa23 a sua volta seduto su una sedia di marmo rosso perforata. Si andava in tal modo ad escludere con assoluta certezza l‟ascesa al soglio pontificio tanto di una donna travestita da uomo, quanto di un eunuco 24 (l‟elezione di un papa castrato sarebbe stata, difatti, altrettanto inaccettabile). La leggenda del “rito di virilità” è nata sulla base della reale esistenza di sedie perforate che, però, viste le loro origini e le loro probabili funzioni, ben poco hanno in comune con la storia della Papessa25.

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Bartolomeo Platina definisce la sedia perforata in questi termini: “è stata predisposta affinché colui che è investito da un sì grande potere sappia che egli non è Dio, ma un uomo e pertanto è sottomesso alla necessità della sua natura”. Cfr. Pardoe Rosemary and Darroll, op. cit., p. 25. 23 Del rito, abbiamo, perfino, la formula che il diacono addetto alla verifica del sesso dell‟eletto seduto sulla sedia di pietra perforata pronuncerà dopo avergli toccato i genitali: “Habet duos testiculos et bene pendentes”. Cfr. Döllinger Ignaz von, op. cit., p. 32 e anche Petoia Erberto, op. cit., p. 70. 24 La Chiesa cattolica non consentiva ad un eunuco neanche di essere sacerdote, figuriamoci papa: “Testiculos qui non habet Papa esse non posset” così, recitava, infatti, secondo la tradizione la formula. Negli ultimi cinquant‟anni del I Millennio si succedettero sulla Cattedra di Pietro 12 fra papi ed antipapi. Due di essi (Benedetto VI e Giovanni XIV) furono deposti e uccisi, un terzo (Bonifacio VII) morì in circostanze non chiare, un quarto, l‟antipapa Giovanni XVI, fu relativamente più fortunato: fu deposto nel 998 da Ottone III, che gli risparmiò la vita, ma lo fece evirare, in modo che in nessun caso avrebbe potuto ritornare a fare il papa. Nel tardo Medioevo sul divieto per gli eunuchi di celebrare messa e sull‟interpretazione da dare alla frase “habet testiculos” prese spunto il fiorentino Franco Sacchetti per creare una divertente novella: a Forlì, un prete era stato condannato a essere castrato, ma in città non v‟era nessuno in grado di eseguire la sentenza. Si propose allora messer Dolcibene che eseguì l‟intervento, ma non gettò i testicoli asportati. Li conservò sotto sale e li vendette allo stesso malcapitato prete che, portandoli in tasca, non sarebbe rientrato nella categoria di coloro che non hanno i testicoli e avrebbe potuto continuare a celebrare messa e quindi, a procurarsi i mezzi per sopravvivere. Cfr. Sorrentino Francesco, Prova di virilità, in “Medioevo” n. 7, 2008, pp. 90-91 e anche Döllinger Ignaz von, op. cit., pp. 49-50. 25 É attestata l‟esistenza di ben 2 sedie di marmo rosso perforate, erroneamente ritenute di porfido, di epoca imperiale, usate secondo alcuni studiosi come sedie da parto. Cfr. Döllinger Ignaz von, op. cit., p. 32 e anche Petoia Erberto, op. cit., p. 70. Secondo altri, provenendo da un‟antica struttura termale romana, venivano usate per scopi terapeutici: per effettuare fumigazioni curative in caso di infiammazioni emorroidarie o ginecologiche, ponendovi sotto un braciere acceso su cui venivano bruciate erbe medicinali. É attestata anche l‟esistenza di una terza sedia in pietra, detta “sedia stercoraria”. Tutte e tre sono fornite di spalliera, di due

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Piuttosto è importante stabilire perché sorse questa leggenda. La spiegazione la offre in maniera assai convincente Cesare D‟Onofrio26, che mette la leggenda in diretto collegamento con il concetto della Mater Ecclesia “inserito” e “rappresentato” nella liturgia dell‟elezione papale utilizzando, per l‟appunto, due imperiali sedie da parto, sulle quali il neo-eletto, all‟atto dell‟investitura mediante la consegna delle chiavi evangeliche, doveva assumere la posizione di una partoriente. L‟autore spiega che il rito aveva carattere essenzialmente religioso, la sedia da parto simboleggiava la madre Chiesa che generava i suoi figli alla vita eterna. Il cerimoniale si svolgeva nel palazzo del Laterano e restò in uso dagli inizi del X secolo fino al 1566; fu proprio la strana liturgia dell‟elezione papale caratterizzata dall‟uso delle due sedie perforate a suffragare se non a far nascere la leggenda dell‟esistenza di un papa donna27. Circa l‟epoca in cui la leggenda possa essere nata, il D‟Onofrio propende per il “fosco periodo dei primi decenni del X secolo” 28, allorché Roma ed i papi furono completamente alla mercè di donne prive di scrupoli, come Teodora e soprattutto sua figlia Marozia, “prostitute senza pudori”29. L‟atmosfera sarebbe, quindi stata delle più favorevoli quale terreno di coltura per una leggenda di una “femmina-papa”.

robusti braccioli e i loro sedili presentano al centro una grossa apertura che arriva fino al bordo anteriore. Cfr. Sorrentino Francesco, op. cit., p. 91. 26 Cfr. D‟Onofrio Cesare, Mille anni di leggenda: una donna sul trono di Pietro, Roma 1978, p. 98. 27 Cfr. Rendina Claudio, I papi. Storia e segreti, Roma 2005, p. 274. 28 Cfr. D‟Onofrio Cesare, op. cit., p. 101. 29 Teodora moglie di Teofilatto, dux et magister militum, nonché sacri palatii vesterarius, diventa l‟amante di Giovanni X, assassinato da Marozia, figlia della stessa amante. Marozia a 15 anni è già amante di papa Sergio III, dal quale avrà un figlio, il futuro Giovanni XI. Ibidem, pp. 311, 314.

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Se oggi non è più un segreto che la Papessa altro non è che il frutto di una fervida fantasia popolare, Giovanna è, di fatto, ritenuta “personaggio storico”, fino alla fine del XVI secolo. Boccaccio, ad esempio, ne rappresenta la vita nel De claris mulieribus (Le donne famose 1362), affiancando la sua biografia a quella di numerose altre donne famose vissute in diverse età della storia 30. La sua esistenza è ritenuta vera al punto che si erige in suo onore, intorno al 1400, nella cattedrale di Siena, un busto accompagnato dall‟iscrizione: Giovanni VIII, una donna inglese. Il busto rimase nella cattedrale per circa 200 anni, fino a quando cioè papa Clemente VIII non decise di sostituire ad esso il busto di papa Zaccaria31. L‟esistenza delle sedie perforate, di una statua collocata in una nicchia lungo “il Vicolo della Papessa” e di una pietra recante una misteriosa scritta interpretata come Parce Patrum papissae prodere partum (Padre, perdona il parto alla papessa) sembravano essere, per quel tempo, prove sufficienti per potere attestare l‟esistenza storica di Giovanna. Oggi sappiamo che in realtà, la tanto discussa “statua della Papessa”, a quanto pare vista dallo stesso Lutero durante una visita a Roma nel 1510, altro non è

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Nel Proemio del De claris mulieribus Boccaccio si dichiara mosso dall‟intento di colmare una lacuna presente nel campo degli studi d‟epoca sulle donne, offrendo una campionatura di biografie femminili. Sempre in apertura l‟autore dichiara di volere rappresentare non solo figure femminili esemplari e positive, ma anche quel genere di donne che egli definisce di “scelleratissimo ingegno”. Cfr. Tedesco Viva, Il disteso sorriso e la risata beffarda sulle donne, Verona 2008, p. 104. 31 Cfr. Doering Sabine, op. cit., p. 49.

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che la rappresentazione di Giunone che allatta Ercole32, mentre la pietra, sulla quale sono incise le 6 P allitteranti, altro non è che una semplice lapide commemorativa, anch‟essa di origine romana33. Qualsiasi sia l‟origine della leggenda della Papessa Giovanna, l‟unica certezza è che questa donna è divenuta, a seconda delle esigenze, nel corso dei secoli, argomento a sostegno degli attacchi dei luterani per condannare la dissolutezza e l‟amoralità della chiesa cattolica, ma anche argomento per screditare il dogma dell‟infallibilità papale34. È divenuta anche una chiara allegoria della tentazione di Satana, di cui la donna secondo un diffuso topos del tempo è facile preda, essendo essa per sua natura profondamente incline alla cupidigia e alla voluttà. La communis opinio medioevale, e forse ancor più rinascimentale, ancorata al più tenace misoginismo ha guardato, difatti, alla donna sempre come ad un essere inferiore ed abietto, incline alle peggiori efferatezze35ed il suo ruolo nella società si è limitato così ad essere

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É l‟immagine assai elegante e dignitosa di una giovane donna, vestita di una lunga tonaca con il capo circondato di un bellissimo diadema che tiene in braccio il suo bambino completamente nudo. La statua di origine romana è oggi conservata nella Galleria Chiaramonti del Museo Vaticano ed è per molti semplicemente la rappresentazione del dono della maternità. Cfr. Rosemary and Darroll Pardon, op. cit., pp. 30-31. 33 La P iniziale indica con grande probabilità il nome del committente della lapide. Le 3 P seguenti dovrebbero essere interpretate come Pecunia propria posuit ossia “collocò (la lapide) con il proprio denaro”. Le ultime 2 P indicano, e qui il parere degli studiosi è assolutamente unanime, l‟espressione Pater patrum, “padre dei padri”, riferibile al culto di Mitra diffusosi intorno al III secolo d.c.. Cfr. Rosemary and Darroll Pardon, op. cit., pp. 28-29. 34 John Hus, la maggiore autorità intellettuale del movimento boemo e sostenitore dell‟egualitarismo evangelico, invitato al Concilio di Costanza, facendo leva sulla leggenda della papessa Giovanna (ritenuta ancora assolutamente vera), vi argomenta la necessità del rifiuto della mediazione della Chiesa fra Dio e gli uomini. Hus sostiene, infatti, che se la Chiesa è riuscita a garantire la continuità del messaggio evangelico anche durante il pontificato illegittimo di Giovanna, allora si potrà deporre ogni rappresentante di Dio sulla terra, essendo Cristo l‟unico e vero Capo della Chiesa. Considerato eretico Hus è condannato al rogo nel 1415 insieme al suo compagno Girolamo da Praga. Cfr. Pardon Rosemary and Darroll, op. cit., p. 25. 35 La donna è addirittura ritenuta capace di praticare meretricio con Satana e di compiere nocive pratiche magiche proprio in virtù di patti con il Principe del Male. Cfr. Monter William, Riti, mitologia e magia in Europa all‟inizio dell‟età moderna, Bologna 1987, p. 41.

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principalmente quello di uno strumento biologico atto ad assicurare la sopravvivenza dell‟umanità36. Quale che sia il valore dato alla figura di Giovanna nel corso dei secoli, vera o leggendaria che sia la sua esistenza, certo è che ella rappresenta in ogni caso la dimensione delle frustrazioni e delle paure umane, forse addirittura del sottaciuto terrore per “l‟altro”, quell‟altro rappresentato in questo nostro caso dalla donna che sempre più nei suoi atteggiamenti, nei suoi legittimi desideri d‟affermazione sembra voler assomigliare al suo contrario, o complementare, all‟uomo. La storia della papessa si può leggere come una sorta di apologo sui confini sempre più labili tra virilità e femminilità e sui pericoli che la donna corre quando rinuncia alla sua natura, assumendo il comportamento, l‟ambizione ed il cinismo del mondo maschile.

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Sant‟Agostino definisce: “debolezza intellettuale, naturale disposizione alla sensualità e alla perversione”, gli attributi essenziali del concetto stesso di donna. In linea con l‟ottica agostiniana, anche S. Ambrogio e S. Girolamo vedono nella donna una creatura priva di un‟identità propria, l‟immagine del peccato e della menzogna. Cfr. De Matteis Maria Consiglia (a cura di), Donna nel Medioevo, aspetti culturali e di vita quotidiana, Bologna 1986, pp. 20-21.

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L‟episodio del parto, che svelò l‟inganno della papessa, in una xilografia tedesca di Jakob Kallenberg del 1539, contenuta nell‟edizione del De Claris Mulieribus di Giovanni Boccaccio.

Immagine tratta dalla Schedelsche Weltchronik del 1493, di Hartman Schedel.

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La Papessa, ritratta su una carta dei Tarocchi Visconti-Sforza eseguiti da Bonifacio Bembo, ca. 1450, The Pierpont Morgan Library (inv. M. 630), New York.

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Capitolo 2 Dietrich Schernberg: Ein schỏn spiel von Frau Jutten. 2.1. La storia di Frau Jutta, alias “Johannes aus Engelland”. In Germania, la leggenda della donna che per ambizione diventa papa (Päpstin Johanna o Frau Jutta) viene narrata1 non solo a glorificazione di Maria, che intercede presso il Figlio e ottiene la salvezza della peccatrice, ma anche per rappresentare drammaticamente il perenne conflitto fra il bene ed il male. Sia per quest‟aspetto, sia per l‟implicita critica alla Chiesa e al Papato che la vicenda di Giovanna comporta, il tema piace molto anche ai luterani, tanto che si deve proprio ad uno di essi la ristampa di un testo sulla Papessa, quello del cattolico Dietrich Schernberg: Ein schỏn Spiel von Frau Jutten2 (Dramma di Frau Jutta). Il dramma di Frau Jutta è attribuito dal riformatore protestante Hieronymus Tilesius ad un certo Theodoricus Schernberck, indicato spregiativamente come Mespfaffe3. Schernberg, che per la prima volta conferisce dignità letteraria ad una materia fin a quel momento nota solo per mezzo di cronache e racconti, presenta come

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Frenzel Elisabeth, Päpstin Johanna, Stoffe der Weltliteratur, Stuttgart 1998, pp. 614-616. Dietrich Schernberg. Ein schỏn Spiel von Frau Jutten, nach dem Eislebener Druck von 1565, Lemmer Manfred (a cura di), Berlin 1971. 3 Schernberg fu attivo come chierico e notaio nella città imperiale di Mühlhausen nel periodo fra il 14801502. Un atto di vendita del 1499 lo indicava come: Ditterich (e non Theodoricus), vicar an der capellen Sancti Johannis Baptistae. Un altro atto lo citava come: eyn heyliger keyszerlicher schrieber. Cfr. Wackernell J. E., Haage, Dietrich Schernberg und sein Spiel von Frau Jutten, in “Zeitschrift für deusches Altertum und deutsche Literatur”, Berlin 1893. Cfr. anche Dietrich Schernberg, op. cit., p. 92. 2

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protagonista del suo dramma una giovane e ambiziosa donna inglese chiamata Jutta4. Jutta (così, infatti, sappiamo per mezzo di Lucifero), manifesta il desiderio di lasciare il suo paese d‟origine, per soddisfare, sotto mentite spoglie, la propria infinita curiositas intellettuale: Luciper ruffet seinem Hellischen Gesinde zuhauff/ vnd spricht: […]Da gehet gar ein schỏn Jungfrawe Die ist Juttha genant Die wil ziehen aus Engelland […] […]In die hohe Schule kegen Paris5. Lucifero, sempre pronto a fare nuovi accoliti, non esita a chiamare attorno a sé il suo Hellische Gesinde (nemici infernali) per ordinare loro di tentare l‟anima della schỏn Jungfrawe (bella giovane donna). L‟inglesina istigata dai diavoli alla ricerca della fama, della gloria e degli onori, lascia così l‟Inghilterra con il nome di Johannes, accompagnata dal suo fedele amico, forse anche amante, Clericus. I due si recano a studiare in un primo momento a Parigi, dove conseguono il dottorato e poi a Roma, dove lavorano al servizio di papa Basilio come cardinali. Alla morte di quest‟ultimo, Johannnes aus Engelland6, così è nota a tutti Jutta, gli succede al soglio pontificio. Sfortunatamente, nel breve tempo del suo pontificato,

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Cfr. Pardon Rosemary and Darroll, op. cit., p. 57. Trad. it. mia: Lucifero chiama attorno a sè i suoi Nemici Infernali/ e dice: […] Lì c‟è una bella giovane/ chiamata Jutta/ vuole andare via dall‟Inghilterra/ […]/ per recarsi alla scuola di Parigi. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., pp. 30, 32, vv. 68-70. 6 Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 32, v. 78. 5

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resta incinta. Viene smascherata pubblicamente dal diavolo Unversün7 che è chiamata a scacciare per mezzo di un esorcismo. Cristo in Cielo, saputo del suo inganno, decide che per lei è giunto il momento di pagare con la morte il male commesso. La Vergine Maria intercede, però, per Jutta presso il Figlio che accetta di salvare l‟anima della giovane a patto che si sottometta ad un disonore pubblico. L‟arcangelo Gabriele comunica alla donna il volere divino. Jutta acconsente e partorisce coram populo, con Morte che agisce come suo carnefice. La sua anima è però portata via dai diavoli che, all‟Inferno la costringono ad ogni tipo di torture, mentre lei resta salda nelle sue preghiere alla Madonna e a San Nicola. Sulla terra i cardinali organizzano una processione per evitare la punizione di Dio sulla città di Roma. In Cielo, Cristo, supplicato dalla Vergine e da S. Nicola, invia l‟arcangelo Michele all‟Inferno, affinchè liberi l‟anima di Jutta, che viene così finalmente ammessa alla presenza di Dio. L‟opera si conclude con le preghiere di ringraziamento della giovane peccatrice redenta e con un‟esortazione al pubblico a pregare sempre la Vergine Maria dalla quale dipende la nostra salvezza. Il messaggio comunicato dall‟autore ai suoi contemporanei sembra essere chiaro: nessun peccatore avrà mai motivo di dubitare della misericordia divina.

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Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., pp. 56-57, vv. 751-768.

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Dio, infatti, sarĂ sempre pronto a riammettere alla sua presenza i propri figli, a patto che essi manifestino sincero pentimento per i propri peccati.

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2.2. La riscoperta del dramma di Schernberg durante gli scontri confessionali dell’Età Moderna. Sebbene scritto molti decenni prima (1480 circa) dell‟avvento di Lutero sulla scena tedesca, il dramma non viene, però, pubblicato fino al 1565. A quella data il manoscritto finisce nelle mani di Hieronymus Tilesius8, uno zelante difensore della Riforma che, riscopertolo in una delle biblioteche di Mühlhausen, decide di ristamparlo usandolo come arma contro i papisti, i cosiddetti Lügenden9 (falsi testimoni della fede). Il manoscritto di Schernberg viene così riproposto al pubblico con il titolo di Apotheosis Iohannis VIII. Pontificis Romani. Ein schỏn Spiel von Frau Jutten, ma modernizzato10 e con un nuovo fine didattico. Il testo, stampato nell‟officina di Andrea Petris, l‟unico ad essersi conservato11, si propone al pubblico nella sua nuova versione corredato da un prologo, il Vorwort, scritto dallo stesso Tilesius, e da un epilogo, il Nachwort, scritto da un altro riformatore, un certo Christopher Irenäus. I paratesti dei due riformatori, che fungono da cornice al testo, conferiscono al dramma originario un significato del tutto nuovo, direttamente funzionale alla 8

Hieronymus Tilesius fu attivo come predicatore protestante nella chiesa Divi Blasii di Mühlhausen in Turingia. Di nobili origini nacque ad Hirschberg (Slesia) il 19.11.1529. Morì di peste alla giovane età di 37 anni il 17.09.1566 a Mühlhausen. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 11. 9 Cfr. Michael Wolfgang F., D. Schernberg. “Ein schön spiel von F. Jutten”, University of Illinois 1972, p. 65. 10 Tilesius ha introdotto cambiamenti linguistici per rendere l‟opera accessibile ad un vasto pubblico. Cfr. Doering Sabine, op. cit., p. 52. 11 Il testo è oggi conservato nella Niedersächsische Landesbibliothek di Hannover. Di questa edizione a stampa esistevano altri 2 esmplari, conservati uno nell‟allora Königliche Bibliothek zu Berlin e l‟altro nella Königliche Őffentliche Bibliothek zu Dresden. Secondo quanto riferito dalla Deutsche Staatsbibliothek Berlin e dalla Sächsische Landesbibliothek Dresden i 2 esemplari sono catalogati come dispersi durante la Seconda Guerra Mondiale. Cfr. Smits Katheryn, D. Schernberg: Ein schön Spiel von Frau Jutten, New Zealand 1973, p. 139.

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difesa e al sostegno dei principi della nuova Riforma Protestante. Ci troviamo così dinnanzi ad un‟opera con una duplice chiave di lettura, a secondo che la si voglia leggere come genuino resoconto delle tradizioni culturali e teatrali tardo-medievali o (in presenza dei due paratesti) come espressione della società rinascimentale con i suoi nuovi scenari religiosi e politici. A spingere Tilesius12 alla ristampa del testo è soprattutto la circolazione, nel 1562, di un scritto pubblicato dal vescovo di Naumburg, Julius von Pflug, intitolato Christliche Ermahnung13. Mediante questo scritto il vescovo sottolinea, a gran voce, la validità dei fondamenti del cattolicesimo, respingendo in blocco le affermazioni dottrinali protestanti. In accordo con le posizioni dogmatiche e disciplinari del Concilio di Trento il vescovo, infatti, condanna come eresia la dottrina della

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Se a Tilesius e alla sua interpretatio protestantica dello Juttenspiel si deve la sopravvivenza di un‟opera altrimenti destinata a sicuro oblio, a Gottsched spetta il merito di aver riproposto il testo, esattamente 200 anni dopo, all‟attenzione del grande pubblico con l‟intento es vom Untergang zu retten (di salvarlo dall‟oblio). Il dramma di Schernberg definito da Gottsched come das älteste tragische gedruckte deutsche Originalstück (la più antica pièce originale tedesca stampata) viene pubblicato nella seconda parte del suo Nöthiger vorrath zur Geschichte der deutschen Dramatischen Dichtkunst. Erster und zweiter Teil. Il commento di Gottshed che accompagna la ripubblicazione dello Juttenspiel, manifesta a chiare lettere l‟orgoglio di potere proporre all‟attenzione dei suoi contemporanei un Trauerspiel capace di competere per contenuto e forme con i prodotti letterari delle altre nazioni europee. Scrive, infatti: “Wer weis, wo noch ein heutiger Shackespear drüber kommt, der nächst der versprochenen Comödie vom D. Faust, auch das Trauerspiel unseres Schernbergs von Papst Jutten erneuert und umschmelzet, um ein recht erstaunlich rührendes Stück, dem Kaufmanne zu London oder Miβ Sara Samson, zu machen”. Cfr. Doering Sabine, op. cit., pp. 53-54. Il dramma di Schernberg verrà ripubblicato (peraltro senza i paratesti dei due riformatori) fra il 1853-58 a Stoccarda da Adalbert von Keller, che lo inserirà nella sua raccolta Fastnachtspiele aus dem fünfzehnten Jahrhundert. Theil 1-3, e nel 1911 da Edward Schröder a Bonn con il titolo Dietrich Schernbergs Spiel von Frau Jutten (1480). Nach der einzigen Überlieferung im Druck des Hieronimus Tilesius (Eisleben 1565). Cfr. Obenaus Michael, Hure und Heilige: Verhandlungen über die Päpstin zwischen spätem Mittelalter und früher Neuzeit, Hamburg 2008, p. 32. L‟ultima edizione del dramma risale al 1971, si tratta dell‟edizione curata da Manfred Lemmer intitolata Dietrich Schernberg. Ein schön Spiel von Frau Jutten . 13 Trad. it. mia: Esortazione ai Cristiani. Il titolo originale del libello recita: Christliche Ermanūng an des Naumburgischen Stieffts underthanen und vorwandten/ wes sie sich bey dem vorgefallenem hochbeschwerlichem miβvorstad in Religions sachen halten sollen. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 11.

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giustificazione, rivalutando l‟importanza dei Sacramenti e la superiorità, nonché la santità, del potere papale14. Il dramma, proponendo la vicenda in parte rivisitata di Giovanna la Papessa, alias Jutta, sembra offrire a Tilesius l‟occasione adatta per invalidare le tesi del vescovo, permettendogli di condannare apertamente l‟idolatria, la superstizione ed il decadimento morale dei papi e di buona parte del clero. Lo Juttenspiel, si presenta, infatti, ai suoi occhi come feine proba und Muster15, della corruzione insita nella vecchia Chiesa di Roma. Nel suo prologo egli mira a colpire in particolar modo il valore dell‟intercessione dei santi e della Vergine Maria, il primato del Papa ed il celibato del clero. L‟intercessione della Vergine (e dei santi in generale) è sentita da Tilesius come offesa ed oltraggio all‟onnipotenza di Dio-Cristo Salvatore. Scrive infatti, Tilesius nel suo prologo indirizzandosi direttamente al Christlicher Leser: […] die heilige Junckfraw Maria sey vnser versỏnerin/[…]. Jha kỏnne durch jre fůrbit vnd verdienst/ die verdampten aus der Hellen pein Freyen vnnd los machen/ wie der Author dieses spieles von Bapst Jutten Seel narret […].Jst das nicht in die dinge die Gott allein eigen […]16.

14

Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., pp. 10-15 e Doering Sabine, op. cit., pp. 51-52. Trad. it. mia: Raffinata testimonianza ed esempio, cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., Vorrede p. 91, v. 96. 16 Trad. it. mia: Si dice che la Vergine Maria sia la nostra consolatrice/ […] Che possa attraverso la sua intercessione/ liberare i dannati dalle pene dell‟Inferno/ come afferma l‟autore di questo dramma parlando dell‟anima della Papessa Jutta […] Ma non sono questioni queste pertinenti unicamente a Dio? Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., Vorrede p. 92, vv. 115-138. 15

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Suffragando la sua tesi con alcuni passi della Bibbia egli dimostra, come si possa attribuire solo a Dio-Cristo e a nessun altro il potere della creazione e soprattutto della salvezza ultima dell‟uomo17. Il dramma inoltre, offre all‟editore la possibilità di dimostrare (ricordiamo che l‟esistenza della Papessa non è ancora messa in dubbio) come la successione al trono di Pietro non abbia riscontrato in ogni tempo il favore di Cristo, contrariamente a quanto sostenuto dal vescovo di Naumburg nel suo scritto 18. Scrive infatti, Tilesius: Wie Gott dem Herren gefalle alles dieses/ […] zeigt sein Gỏttlich wort klerlich an/ […] Gott hat der Rỏmischē Båpste/ Sodomitisches Bubenlebē/ fůr aller welt entdeckt/ vnd an tag gebracht/ […]19. Infine, l‟opera offre a Tilesius la possibilità di dimostrare come il celibato dei preti sia la causa prima dei grandi mali della Chiesa cattolica, una sorta di grande porta attraverso la quale sono penetrati in essa dissolutezza e vizio. Durch Celibat vnd Antichristischen Eheverbot/ […] erfolgte Heidinischer/ Sodomitischer vnzucht/ […]20.

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Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 142. Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 144. 19 Trad. it. mia: Come tutto questo piaccia a Dio […] è reso palese dalle Sue parole divine […] Dio ha fatto conoscere al mondo/ e portato alla luce del giorno/ la vita dissoluta dei papi di Roma […]. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 94. 20 Trad. it. mia: Al celibato ed al divieto di matrimonio dei sacerdoti/ […] hanno fatto seguito oscenità pagane e sodomitiche […]. Cfr. Dietrich Schernberg, ivi, p. 96. Il primato della fede conduceva Lutero a diffidare di tutto ciò che tendeva a realizzare il cristianesimo in una forma di vita eccezionale, si trattasse anche del più puro ascetismo e misticismo monacale. Anzi, il monachesimo andava del tutto contro l‟esaltazione della vita laboriosa che Lutero veniva scoprendo: l‟uomo doveva sposarsi, avere figli, lavorare, produrre, adempiere al proprio ufficio, qualunque esso fosse. E perciò il divieto di matrimonio dei sacerdoti doveva essere abolito come contro natura. Cfr. Guarracino Scipione, Storia dell‟Età Medievale, Milano 1992, p. 799. 18

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Nell‟epilogo di Christopher Irenäus si sottolinea di contro il rifiuto di ogni possibilità di compromesso fra il cattolicesimo e la Chiesa riformata di Lutero: Es sind zweierley Kirchen/ Vnd der Herr Christus gebeut vns/ das wir nicht die falsche Kirche annemensollen/ […]21. Il papa (e dunque la chiesa di Roma che egli rappresenta) è nella visione di Irenäus l‟Anticristo, rappresentato dall‟immagine della Prostituta di Babilonia sintomatica del lassismo, della prostituzione e corruzione della chiesa cattolica. L‟intenzione polemica sottesa alla pubblicazione del dramma si evince, quindi, unicamente dagli scritti dei due riformatori che condannano, facendo leva sui misfatti della Papessa die Superstition, Hurerey und Falsche lehre22 (la superstizione, la prostituzione e la falsa dottrina) della Chiesa di Roma. Senza i loro scritti, nel dramma di Schernberg, la dottrina cattolica rimane inviolata, viene, anzi, ulteriormente confermata sottolineando la grandezza della misericordia divina (attraverso il perdono dei peccati di Jutta) e la validità dell‟intercessione dei santi ed in primis della Madre di Dio. Se Jutta, infatti, viene rappresentata come una grande peccatrice redenta che chiede perdono a Cristo in punto di morte, è pur vero che solo il suo pentimento ma,

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Trad. it. mia: Esistono due chiese/ e il Signore Gesù Cristo ci ordina/ di non accettare la chiesa sbagliata/ […]. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 103. 22 Ibidem, p. 89.

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soprattutto le preghiere di Maria e di San Nicola, le offrono la possibilità della redenzione e della salvezza eterna. La ristampa del dramma di Schernberg risulta, quindi, strettamente collegata agli scontri confessionali dell‟età moderna, caratterizzata, lo sappiamo, anche da grandi cambiamenti politici ed economici. La novità maggiore è rappresentata dalla nascita dello stato moderno in Francia, Spagna ed Inghilterra. Nella seconda metà del Quattrocento, infatti, la monarchia francese di Luigi XI (1461-1483), quella spagnola di Ferdinando d‟Aragona (1479-1516) e quella inglese di Enrico VII (1485-1509) riescono ad unificare il territorio nazionale imponendo la propria autorità progressivamente a tutti i ceti sociali. Si tratta del risultato di una vastissima opera di accentramento politico che vede le monarchie dotarsi di nuovi potenti strumenti di governo: dall‟uso di un personale politico specializzato e di estrazione prevalentemente borghese, all‟istituzione di eserciti permanenti alle dirette dipendenze della corona e al sistematico prelievo fiscale capace di mantenere la costosa macchina dello stato moderno23, che rivendica poi anche nei confronti della chiesa, dei suoi poteri politici e privilegi fiscali, un proprio controllo. In Francia, difatti, Carlo VII emana fin dal 1438 la Prammatica Sanzione, che garantisce alla monarchia le maggiori nomine episcopali, mentre, in Spagna

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Cfr. Guarracino Scipione, Storia della età moderna, Milano 1992, pp. 18-23.

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l‟Inquisizione diventa fin dal 1480 uno strumento politico fondamentale della monarchia stessa. La Germania, invece, a causa della sua accentuata frammentazione territoriale continua ad essere un paese politicamente arretrato rispetto alle altre monarchie europee. Qui si ha la tendenza alla formazione di sovranità regionali coincidenti con i grandi ducati, anche se il tentativo è ostacolato dall‟esistenza di troppe autonomie cittadine, di piccole ma certamente prestigiose sovranità ecclesiastiche e di molti e dispersi poteri feudali24. L‟unità tedesca è, difatti, data solo dall‟autorità imperiale di Vienna, che a sua volta sembra troppo legata ad un‟eredità medioevale connotata da una continua ingerenza, politica e finanziaria, nelle cose tedesche di quel lontano centro di legittimazione rappresentato da Roma. Questa situazione porta a partire dalla seconda metà del XV secolo, un po‟ ovunque sul territorio tedesco, alla nascita di sentimenti di protesta e risentimento nei confronti della Chiesa di Roma. Libelli e scritti polemici invocano che l‟imperatore assuma la difesa dei territori tedeschi dallo “sfruttamento guelfo” 25 di cui si critica in particolar modo la condotta mondana e l‟avidità di guadagno.

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Cfr. Guarracino Scipione, Storia dell‟età medievale, Milano 1992, p. 795. La dottrina comunemente accettata diceva che Gesù e i santi avevano creato un grande tesoro di indulgenze cui il papa e il suo clero potevano far accedere i fedeli dietro lauto compenso. Se il papa aveva le chiavi della banca delle indulgenze, l‟alto clero aveva a sua volta stretti rapporti anche con le banche terrene tenute dai finanzieri italiani e tedeschi. All‟inizio del 1515 Albert Hohenzollern (la cui famiglia deteneva il ducato di Brandeburgo), già titolare di due importanti diocesi, aveva chiesto per sé anche il vescovado di Magonza. Questo cumulo di cariche era proibito, ma, Leone X era disposto ad autorizzarlo dietro il pagamento di 10.000 monete d‟oro. Albert se li fece anticipare dal banchiere J. Fugger e per poterli restituire concordò con il papa il bando di un‟indulgenza della durata di due anni. La vendita delle indulgenze nelle 25

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I papi del „400 e del primo „500 sono, infatti, più spesso abili principi che non grandi esempi di devozione, più sensibili alle esigenze politiche dello Stato della Chiesa che non ai bisogni spirituali della comunità cristiana, impegnati in macchinosi giochi di potere per favorire gli interessi privati della propria famiglia, preoccupati soprattutto di creare principati per i loro figli illegittimi, anzichè aperti ad un‟autentica dimensione universalistica e cristiana. A volte splendidi mecenati capaci di apprezzare e proteggere la nuova cultura rinascimentale, ma incapaci di rivolgersi all‟intera società cristiana26. Pensiamo a Niccolò V o Pio II, affascinati dalle arti, dalla letteratura pagana e dal culto dell‟antichità classica27, ma, poco inclini alla cura delle anime. Il divario crescente tra i fedeli e l‟istituzione, che soltanto una profonda riforma interna della chiesa potrà superare, non sembra entrare nelle preoccupazioni dei pontefici rinascimentali. Quando, così, all‟inizio del „500 Lutero pronuncia le sue vibranti accuse28 contro la corruzione del clero, le sue parole, amplificate dalla stampa, si diffondono velocemente nei vari strati della società tedesca, dando luogo ad un processo irreversibile che lacera l‟unità della chiesa romana.

regioni tedesche iniziò nel 1517 ad opera dei frati domenicani che affermavano che “nello stesso istante in cui la moneta cadeva nella cassetta, l‟anima del defunto sarebbe volata in paradiso”. Cfr. Guarracino Scipione, op. cit., pp. 793-794. 26 Cfr. Cioffi F., Luppi G., Vigorelli A., Zanette E., Il testo filosofico, vol. 2, p. 29. 27 Cfr. Guarracino Scipione, op. cit., vol. 1, p. 796. 28 Nel corso del 1520 Lutero pubblica brevi trattati sui problemi della riforma ecclesiastica – Del papato romano. La cattività babilonese della Chiesa – ma, è un opuscolo intitolato “Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca” ad avere la risonanza più vasta. Lutero attacca direttamente il potere del papa e la sua ingerenza nelle cose secolari: “Là vengono infranti i voti, là concessa licenza ai monaci di abbandonare gli ordini, là è in vendita ai sacerdoti il matrimonio, la i figli di puttana possono diventare legittimi, là ogni vergogna e disonore può assurgere a dignità e ogni vizio e inclinazione iniqua esser consacrata cavaliere e diventare nobile”. Cfr. Guarracino Scipione, op. cit., p. 799.

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La Riforma si estende velocemente in Europa, declinandosi diversamente a seconda dei protagonisti che raccolgono, interpretano e diffondono la nuova dottrina della salvezza a secondo dei contesti geografici29. Dinnanzi a questa esplosione e diffusione imprevista, la chiesa cerca di appianare i diversi e forti contrasti, convocando il Concilio di Trento (15451563 ) che, più volte interrotto, comunque, non ottiene i risultati sperati. La chiesa anzi, reagendo con una contrapposizione violenta nei confronti del movimento protestante, blocca ogni possibilità di dialogo, ribadendo rigorosamente le proprie posizioni: la chiesa è da considerarsi come l‟unica depositaria in materia di fede e l‟autorità papale resta indiscutibile. Alleatasi con l‟Impero, la chiesa rafforza i propri poteri e riorganizza le proprie istituzioni. Il concilio, però, se avvia una profonda riforma interna della cattolicità segna, anche la definitiva frantumazione dell‟unità religiosa. Riforma protestante e Controriforma cattolica oramai, infatti, si fronteggiano apertamente, contendendosi il monopolio del controllo delle coscienze. Il motivo della ristampa dell‟opera di Schernberg va proprio ricercato nel rinnovato contesto politico-religioso di questi anni.

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Negli scritti e nella predicazione di Melantone, Zwingli e Calvino, di Müntzer e di Knox, degli anabattisti e dei sociniani, nell‟area tedesca, svizzera o francese, nella Polonia o negli stati scandinavi, in Scozia o in Inghilterra, la Riforma viene assumendo significati ogni volta originali, incontrandosi con il profondo bisogno di riforma religiosa e con gli interessi economici, sociali e politici esistenti nelle diverse situazioni. Cfr. Cioffi F., Luppi G., Vigorelli A., Zanette E., op. cit., p. 29.

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Unâ€&#x;opera impregnata di profondo spirito cristiano, redatta da un fervente cattolico, viene salvata da sicuro oblio per mano di uno zelante riformatore che, mediante lâ€&#x;aggiunta dei paratesti, conferisce al dramma un significato ed uno scopo didattico del tutto nuovo.

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2.3. Il dramma di Schernberg e la sua rappresentazione.

Il dramma di Schernberg Ein schỏn Spiel von Frau Jutten, come già ricordato, viene pubblicato nel 1565 dal riformatore luterano Hieronymus Tilesius, sebbene esso fosse stato scritto nel 1480, molti decenni prima dell‟avvento di Lutero sulla scena tedesca1. Secondo quanto riferito dallo stesso Tilesius nel suo prologo, il dramma viene realizzato e portato sulle scene nel 1480 in una città imperiale che possiamo supporre essere Mühlhausen, visto che, a quella data, proprio lì è attestata l‟esistenza dell‟autore. Scrive, infatti, l‟editore nella sua Vorrede: “[…] Jst im jhar Vierzehen hundert vud achzig/ durch einen Mespfaffen Theodoricum Schernberck/ in einer Reichstadt gemacht vnd geschriben/ […] Daruber ists auch also approbiret/ das es offentlich zur selben Zeit also gespielt und agiert ist worden […]”2. È alquanto probabile che Schernberg stesso vi agisse come direttore o regens ludi, in quanto, almeno in Germania, l‟autore ed il direttore di scena tendevano ad essere la stessa persona3.

1

Il dramma viene pubblicato in un‟epoca in cui non solo la Germania, ma in genere tutto il Nord Europa sono percorsi da un‟angoscia profonda. Scoperte di nuovi mondi, crisi filosofiche, sconvolgimenti religiosi e guerre si susseguono a un ritmo senza precedenti per dar vita ad un “secolo di ferro” che si concluderà a metà Seicento con nuovi assetti ed una nuova civiltà. La Germania in particolare è l‟epicentro di molti di questi sconvolgimenti, primo fra tutti quello religioso, con l‟avvento della Riforma. Cfr. Iannaccone Mario, Il prezzo della conoscenza, in “Medioevo” n. 8, 2008, p. 97. 2 Trad. it. mia: Scritto nel 1480 in una città imperiale/ da un prete, un certo Theodoricum Schernberck/ […] È altresì accertato/ che nello stesso tempo è stato rappresentato e diretto. Cfr. Dietrich Schernberg, Ein schỏn Spiel von Frau Jutten, Lemmer Manfred (a cura di), Berlin 1971, p. 92. 3 Cfr. Hartl Eduard, Das Drama des Mittelalter, Darmstadt 1964, p. 195.

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Sebbene Tilesius4 non offra dettagli riguardo alla mise en scène dello Juttenspiel e sebbene ancora oggi non siamo in possesso di prove aggiuntive provenienti da altre fonti - l‟originale stesso è andato perduto - possiamo comunque supporre che il dramma fosse stato pensato da Schernberg per una rappresentazione esterna ad una chiesa, sulla cosiddetta Simultanbühne5, possibilmente sul sagrato di una delle chiese di Mühlhausen 6. A questa ipotesi si può giungere cercando di accordare le informazioni che abbiamo relativamente alla tradizione teatrale del tempo con quelle che possiamo estrapolare dal testo stesso. In Europa, infatti, le rappresentazioni potevano avvenire su di un grande palcoscenico rialzato, sulla terra battuta, su carri processionali o su vari piccoli palcoscenici magari collegati fra loro mediante passerelle. Era inoltre ben documentato l‟uso dei luoghi deputati, ossia la presenza contemporanea sulla scena dei vari punti in cui l‟azione si sposta. La Simultanbühne tardo-medievale si presentava, dunque, come un grande

4

Ciò che più premeva all‟editore Tilesius era di mostrare a partire dall‟opera di Schernberg, corredata oramai dal suo prologo e dall‟epilogo di Irenäus, la decadenza morale della Chiesa di Roma e la debolezza dei suoi contenuti dottrinali. Ciò porterebbe a pensare che Tilesius, non avendo nessun interesse a riproporre il dramma sulle scene, avesse volutamente soppresso alcune delle rubriche che quasi sicuramente corredavano (secondo un‟usanza tipica del tempo) il testo di Schernberg, perché considerate irrilevanti per il suo scopo polemico. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., pp. 89-97. 5 Questo tipo di palcoscenico era quello maggiormente attestato in Germania nel periodo precedente la Riforma. Una caratteristica del palcoscenico tedesco era che le scene, di solito da 6 a 10, tendevano a coprire un‟area molto estesa, a volte l‟intero Spilhof, ciò si verificava in particolare nei Drammi dei sacri misteri, dove potevano essere previste più ambientazioni. Cfr. Drumble Johann (a cura di), Il teatro medievale, Bologna 1989, pp. 174-176. 6 Dato che Schernberg era vicario della Cappella di S. Giovanni Battista, annessa alla Chiesa della Santa Vergine Maria, la più importante di tutte le chiese di Mühlhausen e dato che il dramma era scritto in onore della Vergine Maria, non sarebbe irragionevole supporre che fosse rappresentato nelle vicinanze di quella chiesa. Un‟altra località possibile potrebbe essere la Barfüsserkirche, la Chiesa dei Francescani Minori. I francescani erano, difatti, particolarmente attivi in Germania nell‟ambito del dramma medievale ed erano responsabili di molte opere strettamente collegate alla Passione (dai Passionenspiele Schernberg eredita in particolare la Teufelstradition), che chiaramente influenzarono il testo di Schernberg. Cfr. Helder Ebba von der, Dietrich Schernberg‟s – Ein schön Spiel von Frau Jutten: How was it staged?, Camberra 1983, pp. 115116.

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palcoscenico con le habitationes, di regola sistemate in giustapposizione attorno all‟area di recitazione, ovvero la platea. Gli attori tendevano a restare sul palcoscenico per tutta la durata della performance, ritirandosi nelle habitationes loro assegnate quando non erano direttamente impegnati nell‟azione7. Sebbene nella ristampa di Tilesius non ci sia un riferimento diretto ad un palcoscenico, c‟è nel testo di Schernberg un cenno ripetuto ai “luoghi deputati”, dai quali, o verso i quali, si muovono gli attori: l‟Inferno, la Magister Schule di Parigi, il Pallast del papa a Roma ed, infine, il Cielo, ovvero il Paradiso8. Visto l‟esiguo numero delle ambientazioni (solo 4), sarebbe alquanto verosimile credere che queste si presentassero al pubblico sistemate in un semicerchio, attorno ad una platea, con il portale o il muro di una chiesa come sfondo, con il Paradiso collocato al di sopra delle altre tre 9. Così, almeno farebbe pensare l‟indicazione data dal testo stesso nei vv. 16671669: […] Wenn Gott der Herr in ewigkeit/ Der hat jtzund seinen Engel bereit/

7

Cfr. D‟Amico Masolino, Dieci secoli di teatro inglese 970-1980, Milano 1981, Vol. 1, p. 16. Prendendo spunto dalle convenzioni teatrali del tempo, possiamo supporre che questi “luoghi deputati” fossero aperti su 3 lati, in maniera tale da consentire la visione della rappresentazione al pubblico e che non presentassero scenografie elaborate. Pochi oggetti e simboli legati a personaggi specifici (un trono papale, un tavolo, delle sedie, etc…nel nostro caso) davano probabilmente al pubblico occasione di comprendere il tipo di ambiente in cui si muovevano i personaggi. Più interessante in questo senso doveva presentarsi l‟Inferno, probabilmente rappresentato, secondo l‟uso del tempo, come un‟immensa fauce di mostro, rappresentante lo spaventoso leviatano descritto nella Bibbia, eruttante fumo e fuoco. Effetti speciali di diverso tipo venivano, infatti, usati nelle rappresentazioni drammatiche del tempo soprattutto nell‟Inferno e con i diavoli. Quest‟ultimi, infatti, portavano in scena zampilli di fuoco, fumo, odore di zolfo e petardi, mentre l‟Inferno era solitamente dotato di un congegno per eruttare fumo e fuoco, di un tamburo per simulare il terremoto ed un verricello. Cfr. Drumble Johann (a cura di), op. cit., pp. 174-176. 9 Cfr. Helder Ebba von der, op. cit., p. 116. 8

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Lassen zu vnsernieder komen/ […]10 Non era insolito avere il Paradiso situato su una piattaforma rialzata con gli angeli che salivano e scendevano per mezzo di scale. Si potrebbe supporre che il Paradiso fosse posizionato durante la rappresentazione sul lato est del palcoscenico, con l‟Inferno collocato sul lato ovest con Parigi e Roma in mezzo. Difatti, l‟impalcatura che rappresentava l‟Inferno era solitamente posizionata a nord nello spazio scenico in quanto nella simbologia medievale, che si può riscontrare anche nell‟orientamento delle chiese gotiche e romaniche, la direzione est era simbolo della divinità e del bene. In queste chiese, ancora oggi, la luce dell‟alba illumina i vetri istoriati del rosone e crea quell‟effetto mistico voluto dagli architetti e dai teologi del tempo, mentre il lato nord rimane sempre più buio e freddo, per cui diventava facile identificare questa direzione con l‟opposto della divinità e quindi, con il male ed il diavolo11. Questo schema resta valido anche se non si dispone la struttura secondo il nord geografico: il male viene sempre identificato con il lato sinistro perché il nord si trova a sinistra dell‟est. Ricordiamo, inoltre, che il Demonio nell‟immaginario medioevale si collegava sempre a determinati luoghi e ore del giorno. Il diavolo, si diceva, preferiva il meriggio e la mezzanotte, non disdegnando l‟imbrunire e volando all‟alba quando cantava il gallo. La sua

10

Trad. it. mia: Il Signore, Dio dell‟Eternità /ci ha inviati quaggiù il suo angelo. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 86, vv. 1667-1669. 11 Cfr. Happè P., English Drama before Shakespeare, Cambridge 2000, p. 53.

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direzione era il nord, dominio delle tenebre e del freddo. Poiché tutte le chiese del tempo erano costruite con l‟abside in direzione est, il nord era sempre alla sinistra di chi vi entrava ed era sul lato nord della chiesa, fuori le mura, che secondo la superstizione del tempo, il diavolo si metteva in agguato 12. La sinistra era così connessa con il nefasto ed il pericolo mentre il nord era la direzione dell‟inferno. Questo spiegherebbe perché sulle scene del tempo (con grande probabilità anche nel caso dello Juttenspiel) l‟Inferno veniva sempre posto a sinistra del Paradiso. La disposizione del palcoscenico corrisponde all‟ordine in cui i 26 attori vengono elencate nell‟edizione di Tilesius 13: prima gli abitanti dell‟Inferno (probabilmente collocati a sinistra), poi Jutta e Clericus (che non possiedono però, un locus fisso), poi il Magister ed il suo Knecht, i cardinali, il papa, il senatore ed il figlio (con Parigi e Roma situati al centro), infine gli abitanti del Cielo (forse collocati a destra) con Morte che agisce per ultimo. Questa lista coincide ampiamente con l‟ordine di apparizione degli attori sulla scena, sebbene essa li raggruppi anche secondo la categoria di appartenenza ai loro rispettivi luoghi deputati14. All‟interno della lista, il più importante membro di ciascun gruppo (vedi Lucifero, Jutta, papa Basilio e Cristo Salvatore) viene citato sempre per primo, mentre gli altri seguono in un ordine gerarchico (nel caso dei diavoli,

12

Cfr. Burton Russell Jeffrey, Il diavolo nel medioevo, Roma 1987, pp. 46-47. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 29. 14 Cfr. Helder Ebba von der, op. cit., pp. 117-118. 13

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quest‟ordine corrisponde esattamente all‟importanza data alle loro rispettive parti, misurata dalla lunghezza dei loro discorsi). Confrontiamo per esempio la lista in riferimento agli abitanti dell‟Inferno e del Paradiso:

Luciper

Christus Salvator

Vnuersůn

Maria

Lillis/des Teufels[gros]mutter

S. Nicolaus

Sathanas

Gabriel

Spiegelglantz

Teuffel

Fedderwisch

Michael Mors, der Tod

Nottis Astrot Krentzelein L‟apertura è data nel dramma da Lucifero che raduna attorno a sé il suo Hellische Gesinde (i suoi servi infernali). Aprire la rappresentazione con i diavoli doveva avere certamente i suoi vantaggi, visto che essi godevano di un rapporto speciale col pubblico: nella stragrande maggioranza dei drammi medievali in vernacolo, i diavoli avevano la libertà di muoversi negli spazi aperti della platea, tra l‟Inferno ed il Paradiso e nel bel mezzo del pubblico. La loro maniera tipica di muoversi era quella di correre: essi “correvano” oppure “facevano una scorribanda” attraverso la platea o per populum, sempre ritirandosi verso l‟Inferno prima

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che il dialogo riprendesse15. I diavoli, dispensatori di divertimento oltre che oggetto di terrore dottrinale, avevano in questo modo essenzialmente il compito di mettere ordine fra il pubblico catturandone l‟attenzione attraverso le loro scorrerie per populum o sulla platea. Gli spettatori, d‟altro canto, dovevano essere abituati alla vista dei diavoli in mezzo al pubblico, soprattutto durante la rappresentazione dei drammi pasquali, come testimoniato ampiamente dagli Osterspiele portati in scena nella città di Innsbruck16. Questo sembra essere anche il caso dello Juttenspiel che si apre con Lucifero che chiama attorno a sé i suoi collaboratori infernali da ogni dove, dando al lettore l‟impressione che essi giungano sul palcoscenico dall‟esterno, saltando magari proprio fuori dal pubblico. Tale è il senso che si ricava dalla lettura dei versi iniziali 1-5: Wolher/ Wolher/ Wolher/ Alles Teuflisches heer/ Aus beechen vnd aus bruchich/ Aus wiesen vnd aus rorich/ Nu kompt her aus holtze vnd aus felden/ […]17 L‟imprigionamento

di

un‟anima

avveniva

poi

di

solito

con

l‟accompagnamento di diaboliche grida di esultanza e con una grande

15

Cfr. Drumble Johann, (a cura di), op. cit., pp. 151-153. Cronache del 1400 raccontano, infatti, di attori rumorosi, con maschere di animali e grandi ali di pipistrello aggirarsi fra il pubblico durante le rappresentazioni di drammi pasquali sia nella città di Innsbruck che in quella di Mühlhausen. Qui la tradizione voleva che fosse stato addirittura avvistato in mezzo al pubblico un diavolo vero, inizialmente scambiato per un semplice attore, ma poi riconosciuto come vero perché dileguatosi attraverso un muro come un fantasma. Cfr. Helder Ebba von der, op. cit., pp. 118-119. 17 Trad. it. mia: A me/ A me/ A me/ tutto ciò che è diabolico venga a me/ Dai ruscelli e dalle paludi/ Dai prati e dalle paludi/ Venite a me dalle foreste e dai campi/ […]. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 30. 16

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danza18. Questo è anche il caso dello Juttenspiel. La papessa, infatti, condotta dai diavoli all‟Inferno viene accolta con danze e teufflischen gesang19 (con canti diabolici). Ai diavoli, però, spettava anche il compito di mantenere in moto il meccanismo dell‟azione per tutta la durata della performance. Difatti, nel nostro caso ritroviamo i diavoli non solo all‟inizio della rappresentazione, nei vv. 1-216, ma, anche nel bel mezzo dell‟azione, nei vv. 731-784, e verso la fine nei vv. 1135-1286. Mentre all‟inizio ai diavoli spetta il compito di dare l‟incipit all‟azione, presentando al pubblico il Bildungsentschluss (la decisione ad acquisire sapere e conoscenza) della papessa ed il grande peccato ad esso sotteso, nei versi centrali i diavoli (nello specifico Vnuersůn) permettono il prosieguo dell‟azione rivelando durante un esorcismo la gravidanza e dunque, l‟inganno della papessa. Ritroviamo poi i diavoli nei versi finali mentre sottopongono Jutta, nel loro regno, a terribili torture tentando, inutilmente di trattenere la sua anima votata alla salvezza grazie all‟intercessione della Vergine e di S. Nicola presso Cristo. In questi versi si creano le condizioni per potere dimostrare tutta la forza e la potenza insita nell‟intercessione dei santi, ma soprattutto della Vergine Maria. Il dramma acquista a questo punto tutti i caratteri del Marienmirakel.

18

Nell‟Adam, Ordo representacionis Adae, l‟imprigionamento di Adamo ed Eva è accolto con diaboliche grida di esultanza e con una grande danza. L‟associazione del diavolo con la danza risale al primo cristianesimo e fu un‟arma formidabile della Chiesa contro l‟ostinata persistenza delle danze popolari. Cfr. Drumble Johann, (a cura di), op. cit., p. 154. 19 Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 69, v. 1143.

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Per quello che concerne gli attori dello Juttenspiel, abbiamo motivo di credere che fossero tutti uomini, anche quelli che inscenavano Jutta, Maria e Lillis 20 (la madre di Lucifero). Secondo le convenzioni del tempo, infatti, già a partire dalla nascita del dramma liturgico e fino al XVI secolo circa, tutte le parti anche quelle femminili venivano sostenute da uomini. Le interpretazioni femminili venivano rese da iuvenes o pueri (giovani uomini o ragazzi), la cui faccia sbarbata ed il tono di voce non ancora completamente maturo li rendeva particolarmente credibili in queste loro interpretazioni 21. Le parti di personaggi sacri, in particolar modo Cristo e Maria, erano tradizionalmente affidate ai membri del clero. È probabile che nello Juttenspiel S. Nicola, gli angeli, il papa ed i cardinali fossero interpretati da rappresentanti del clero con addosso i loro tipici paramenti sacri 22. Gli altri personaggi, ossia Jutta, Clericus, il Magister, i diavoli, etc… erano con grande probabilità interpretati da discipuli e scolares, come era consuetudine del tempo23. Possiamo immaginare le parti dei diavoli e di Morte come le più colorite ed animate, forse anche come le più impegnative visto che richiedevano sicuramente una maggiore mimica e maggiori capacità

20

Il diavolo, secondo le superstizioni del tempo, aveva non solo dei collaboratori e dei complici infernali, ma, persino una sua famiglia. La nonna (più di rado la madre) era una figura ricorrente nel folklore. La nonna del Diavolo, originariamente Cibele, dea della fertilità, la Magna Mater, ovvero Holda era una figura terribile e potentissima, prototipo della madre mostruosa di Grendel. Cfr. Burton Russell Jeffrey, Il Diavolo nel Medioevo, Roma 1987, p. 51. 21 Cfr. Drumble Johann (a cura di), op. cit., p. 151. 22 Possiamo così immaginare Cristo in casula o dalmatica, i cardinali ed il papa con copricapo congeniali al loro rango o ancora S. Nicola con mitra e pastorale. Cfr. Helder Ebba von der, op. cit., p. 121. 23 Ibidem, pp. 121-122.

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acrobatiche rispetto alle altre parti relativamente statiche e determinate da stereotipati movimenti convenzionali24. Per quello che concerne i loro costumi, ancora una volta in assenza di una qualsivoglia informazione reale sul testo, possiamo solo immaginarli, seguendo le convenzioni del tempo. I diavoli potevano allora presentarsi al pubblico come figure quasi umane, con parti animalesche, quali artigli, peli, ali, con fuoco e fumo che fuoriuscivano da ogni parte del loro corpo25. Questi costumi avrebbero potuto così riproporre sulle scene l‟idea che l‟iconografia medievale aveva del demonio: simile a Pan, con le corna, maleodorante, coperto di vello caprino, con un grosso fallo ed un lungo naso26. Morte, invece, come era tipico dei Morality plays si presentava probabilmente semplicemente vestita di nero con il capo coperto. Sebbene sia un dramma di piccole proporzioni (solo 1724 versi), comparato ai Drammi pasquali ed ai Misteri più o meno contemporanei, l‟opera di Schernberg contiene in sé tutti gli ingredienti del teatro religioso popolare a noi noto. Possiede, infatti, la vivacità ed i colori richiesti dal pubblico del tempo, molteplici elementi di tensione ma, soprattutto serve uno scopo

24

Ibidem, p. 123. Così li descrive un Dialogo del Corpo e dell‟Anima in latino del XII secolo, mentre straziano con i loro forconi le anime incatenate a dei calderoni. Cfr. Drumble Johann (a cura di), op. cit., p. 153. 26 Spesso il Diavolo appariva mostruoso e deforme: zoppo per via della caduta dal cielo, con ginocchia ricurve all‟indietro e facce diverse sulla pancia o sulle natiche, senza sopracciglia, con grandi occhi fiammeggianti, piedi caprini, grandi ali di pipistrello e coperto di pelo irsuto. Egli emanava puzzo di zolfo e quando si allontanava lo faceva tra grandi fetori, baccano e fumo. Cfr. Burton Russell Jeffrey, op. cit., p. 46. 25

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didattico ed educativo, dimostrando di essere così una genuina testimonianza del teatro tardo medievale tedesco. Schernberg mette sapientemente a frutto i risultati migliori della tradizione teatrale medievale tedesca ed europea27, creando un dramma impregnato profondamente di spirito cristiano e caratterizzato da un chiaro intento didattico ed educativo. Lo Juttenspiel inizia, simbolicamente, nel “punto più basso”, ossia nelle viscere dell‟Inferno e si conclude “nel suo punto più alto”, nel Paradiso Celeste, in una sorta di parabola ascendente, metafora di un viaggio dell‟anima che confidando nella Vergine, giunge dall‟oscurità del peccato alla salvezza eterna e dunque, alla luce di Cristo. All‟inizio di questo “viaggio”, infatti, la protagonista stringe un patto con il demonio per assecondare la sua profonda ambizione ed il suo desiderio di conoscenza. Alla fine, però, affidandosi all‟intercessione della Madre di Dio, alla quale rivolge le sue preghiere, si sottomette pentita e senza condizioni a Cristo che le dimostra la grandezza della sua misericordia ammettendola al proprio cospetto e salutandola con le parole: wilkomen liebste Tochter mein28.

27 28

Haage lo definisce per questo “Meister der Zuschneidekunst”. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 18. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 87, v. 1989. Trad. it. mia: Benvenuta figlia mia cara.

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2.4 Schernberg, “Meister der Zuschneidekunst”.

Per lungo tempo si è cercato di far luce sul dramma di Schernberg cercando di attribuirlo ad uno specifico genere teatrale. Gottsched, per esempio, lo ha definito (nel suo Nothiger Vorrath…II § 22) come un Trauerspiel, Ersch-Gruber (nella sua Enzyklopädie vol. 42, p. 60) come dramma a metà strada fra il genere comico dei Fastnachtsspiele e dei Mysterienspiele, mentre Wackernagel (nella sua Geschichte der Deutschen Literatur Vol. I) come satira drammatica1. Per Haage, però, il dramma di Schernberg non risulta essere né una commedia carnascialesca come sostiene Gruber, né una satira così come sostiene Wackernagel, piuttosto un Marienmirakel, cioè un‟opera avente come tema principale l‟intercessione e la glorificazione della Madre di Dio e dei santi 2. La difficoltà nell‟attribuzione dello Juttenspiel ad uno specifico genere teatrale è nata sostanzialmente dall‟individuazione in esso di contenuti, elementi scenici e letterari fra loro fortemente eterogenei in quanto provenienti da opere diverse. Schernberg, da uomo dotto ed erudito, ha posto, infatti, al centro del su modus operandi un processo di “variazione ingegnosa”, tesa a riutilizzare il materiale 1

Studi più recenti annoverano lo Juttenspiel fra i Legendenspiele o più specificatamente fra i Mirakelspiele. Vedi a proposito: Ukena Elke, Die deutschen Mirakelspiele des Spätmittelalters. Studien und Texte, Frankfurt a.M. 1975, Vol. 1, p. 150; Biermann Heinrich, Die deutschsprachigen Legendenspiele des späten Mittelalters und der frühen Neuzeit, Köln 1977, p. 139 e Lemmer (a cura di), Schernbergs Spiel von Frau Jutten, Berlin 1971, p. 19. Cfr. Obenaus Michael, Hure und Heilige: Verhandlungen über die Päpstin zwischen spätem Mittelalter und früher Neuzeit, Hamburg 2008, p. 33. 2 Cfr. J. E. Wackernell, Haage, Dietrich Schernberg und sein Spiel von Frau Jutten, in “Anzeiger für deutsches Alterthum und deutsche Literatur”, Berlin 1893, p. 342.

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letterario e teatrale a lui noto e disponibile per inglobarlo in un‟unica pièce secondo nuovi criteri, in un‟operazione di riconversione assolutamente personale, che nasce da una manipolazione sapiente delle sue fonti. Schernberg, “Meister der Zuschneidekunst”, maestro nell‟arte del ritaglio, come lo ha definito Haage, difatti, ha mutuato dalla vasta produzione letteraria e teatrale del tempo, temi, piccole scene, versi o semplici modi di dire. Sfruttando poi magistralmente le loro molteplici possibilità combinatorie e la sua fantasia, il nostro drammaturgo ha così creato, sulla base di materiale già esistente, un‟opera assolutamente nuova in cui le “cuciture” fra le parti sembrano essere ad una prima lettura assolutamente invisibili3. Accade così che il dramma pur possedendo, soprattutto nella seconda parte, tutte le caratteristiche del Marienmirakel manifesti anche chiari collegamenti con i Theophilusspiele4 ai quali vanno ad intrecciarsi contenuti e

3

Haage definisce Schernberg “maestro dell‟arte del ritaglio” perché mette assieme “parti utilizzabili di drammi diversi al fine di creare per Jutta un abito che le doni e di cui non si intravedano, al primo colpo d‟occhio, le cuciture”. Scrive infatti, di Schernberg, come di un uomo colto ed erudito, capace di utilizzare fonti diverse per la stesura del suo Juttenspiel senza che ci si accorga immediatamente dell‟unione delle parti. Cfr. Wackernell J. E., op. cit., p. 343. 4 I Theophilusspiele presentano come protagonista Teofilo, un uomo assai pio che occupa una posizione di tutto rilievo nella Chiesa, quella di vicedomino. Alla morte del suo vescovo, la comunità vuole che sia lui a prenderne il posto, ma, pieno d‟umiltà, egli respinge l‟offerta e si dice contento della carica che già ricopre. Questa umiltà viene però, messa a dura prova dal nuovo vescovo, che lo priva del suo incarico. Pieno di rancore, egli si volge ad un negromante ebreo, il diavolo viene evocato, il patto stipulato, e ben presto Teofilo torna a essere tenuto in grande onore. Dopo un certo tempo, tormentato dal rimorso, invoca l‟aiuto della Vergine Maria che lo perdona e lo riaccoglie nella grazia sua e di Cristo. La versione del Teofilo che diventerà più celebre è quella scritta dalla monaca Roswitha, “l‟usignolo di Gandersheim”, badessa dell‟omonimo convento in Bassa Sassonia, vissuta nel periodo della rinascita ottoniana, verso la fine del X secolo. Il poemetto della badessa verrà copiato in tutta Europa. Lo riscriveranno Rutebeuf in Francia con il titolo Miracle de Théophile, e molti altri in Germania, fra i quali Hartmann che volgerà la storia in tedesco nell‟opera Von deme Gloube (XII sec.), e l‟anonimo de Die Legende des Theophilos (XIII sec.). In un testo del XII secolo, Der arme Hartmann, Teofilo non è più un vescovo ma, un signore feudale che pretende dal diavolo onori terreni e in un‟altra versione del XIII secolo, di Brun von Schonebeck, Wie Theophilus wart irlôst, egli è un laico. In ogni caso, resta sempre centrale l‟intervento salvifico di Maria la cui glorificazione ed il cui ruolo di intermediatrice per ottenere il perdono divino è il fine di tutte le leggende medievali che trattano del peccatore, della sua alleanza col diavolo e del suo pentimento. Con l‟avvento del protestantesimo e la fine del culto mariano cessa anche la fortuna di Teofilo, non cessa, però, l‟interesse per

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caratteristiche sceniche appartenenti a generi teatrali diversi: Legendenspiele, Fastnachtsspiele, Oster-und Passionspiele5. In effetti, Schernberg da un lato eredita dagli Oster-und Passionspiele tutta una tradizione inerente ai diavoli e alla loro rappresentazione sulle scene (come abbiamo visto nel paragrafo precedente), dall‟altro attinge a piene mani dai Legendenspiele e dai Theophilusspiele, per creare soprattutto sulla base dell‟esempio offerto da due grandi peccatori, come Maria Maddalena e Teofilo, celebrati in questi drammi, la figura di una grande peccatrice redenta, la Papessa Jutta, (la storia della quale sembra riprendere molto da vicino la leggenda tramandata da Martinus Polonus a partire dal 1280 circa). Maria Maddalena e Teofilo offrono, nello specifico, con i loro esempi di vita la struttura narrativa posta alla base della rappresentazione della leggenda della Papessa, ossia la storia di peccato, pentimento, espiazione e salvezza 6.

l‟uomo che stringe il patto col diavolo anche se i motivi che spingono a quell‟alleanza ora tendono a variare. Cfr. Frenzel Elisabeth, Stoffe der Weltliteratur, Stuttgart 1998, pp. 776-779. 5 Cfr. J. E. Wackernell, op. cit., pp. 342-343. 6 Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 89.

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2.4.1 Elaborazione delle fonti. Il Ludus Mariae Magdalenae in gaudio7 “Erlauer Spiele”, del XV sec. e soprattutto Die Legende des Theophilos8 del XIII sec., che hanno come protagonisti rispettivamente Maria Maddalena e Teofilo, costituiscono i riferimenti drammatici posti alla base dello Juttenspiel9. Nel Ludus, Maria Maddalena, oggetto di grande venerazione nel tardo medioevo, rappresenta in maniera quasi paradigmatica la figura della peccatrice che, dopo una vita vissuta nella lussuria e nella dissolutezza si ravvede e segue Cristo10. Nella prima parte dello Juttenspiel troviamo Lucifero che presenta Jutta ai suoi collaboratori infernali (e così anche al pubblico e ai lettori). Ancor prima del debutto della protagonista sulla scena, impariamo a conoscerla in una sorta di diabolico resoconto fatto dal Principe del Male che ce la presenta, fin dall‟inizio, come una peccatrice: si tratta, infatti, di un‟ambiziosa giovane donna inglese, pronta a lasciare il paese d‟origine per soddisfare, in Mannes weise (v. 76), travestita da uomo, la propria infinita curiositas intellettuale. 7

Ludus Mariae Magdalenae in gaudio. In Erlauer Spiele. Sechs Altdeutsche Mysterien, nach einer Handschrift des XV. Jahrhunderts. (ludus in cunabilis Christi – Ludus trium magorum - Visitatio sepulchri in nocte resurreccionis – Ludus Mariae Magdalenae in gaudio – Ludus Judaeorum circa sepulchrum Domini – Marienklage), (a cura di) Karl Ferdinand Kummer, Wien 1882, pp. 94-119. Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 98. 8 Theophilus. Mittelniederdeutsches Drama in drei Fassungen, (a cura di) Robert Petsch, Heidelberg 1908. Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 102. 9 Ibidem, p. 89. 10 Maria Maddalena era oggetto di grande venerazione nel Medioevo poiché rappresentava con il suo esempio di vita la speranza della redenzione e dunque, della vita eterna per ogni peccatore. Dopo aver condotto una vita peccaminosa ella diventa, infatti, una fedele seguace di Cristo (Lc. 8, 2), che ottiene addirittura il privilegio di vedere per prima il Cristo Risorto, il quale le affida l‟arduo compito di annunciare ai suoi discepoli la lieta novella (Gv 20, 11-18).

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Questa presentazione di Jutta è realizzata da Schernberg, “Meister der Zuschneidekunst” (maestro nell‟arte del ritaglio) come lo ha definito R. Haage, ricalcando a chiare lettere la rappresentazione della peccatrice Maria Maddalena nel dramma Ludus Mariae Magdalenae in gaudio a cui si è accennato sopra. La somiglianza fra i due drammi si evince, infatti, fin dai primi versi e prosegue in quelli successivi: Lucifer dicit:

Luciper:

Hỏrst du, gesell Sathanas, Es wil ỉczund her aus gen Ein frau, haißt Magdalen; […] Und sůllen sei vahen an unser sail, Das si uns werd ze tail, Damit pringen wir sei gen hell11

Sehet hin zu jener Awen/ Da gehet gar ein schỏn Jungfrawe/ Die ist Juttha genant/ […] Vnd můgen sie zu vns gerůcken/ Zu jhrem grossen vnglůcke/ Vnd wil sie vns machen vnterthan12

(Erlau IV, vv. 296-303)

(Js, vv.67-82)

Come Maria Maddalena, anche Jutta è resa oggetto delle diaboliche attenzioni di Lucifero. Come lei, inoltre, Jutta prende per la prima volta la parola solo dopo che Lucifero ha inviato i propri servi infernali nel mondo per rafforzarla nei suoi malvagi propositi e come Maria Maddalena, infine, Jutta è perfettamente

consapevole

delle

proprie

trasgressioni:

la

prima

rappresentandosi apertamente come una donna desiderosa di piaceri carnali, la seconda manifestandosi desiderosa di sciencia ed onori, pur essendo 11

Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 98. Trad. it. mia: Senti servo Satana, c‟è in giro una donna, il suo nome è Maddalena […] deve essere nostra, deve diventare nostra suddita, così la conduciamo all‟Inferno. 12 Cfr. Dietrich Schernberg, Ein schỏn Spiel von Frau Jutten, p. 32. Trad. it. mia: Guardate lì a quella giovane/ lì cammina una bella giovane donna/ è chiamata Jutta/ […] che venga a noi/ per sua grande disgrazia/ e si renda nostra suddita.

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perfettamente consapevole che si tratta di un mondo riservato esclusivamente agli uomini:

[...] Ich wil preisen meinen leip, Wenn ich pin ein schỏnes weip; [...] Sol ich meines leibes nicht gewaltig sein?[...]13

[...] Vnd wollen vns also behende/ In die Schulen gen Paris wenden So mag vns ehre aufferstahn. [...] Vnd wil mich mit Mannes kleidern kleiden14

Alla vita peccaminosa e dissoluta di Maria Maddalena corrisponde dunque, in maniera funzionale e quasi speculare, il desiderio di conoscenza ed onori terreni di Jutta. Nella Legende Teofilo è, invece, un dignitario ecclesiastico che si vede scavalcato da una persona meno degna di lui, che fa carriera usando la calunnia presso i suoi superiori. Teofilo si rivolge allora a un “cabalista notturno”, un mago, al quale chiede di evocare il demonio. Il dignitario cede la propria anima in cambio di una vita di privilegi, promessa che puntualmente si avvera. Dopo molti anni, quando è ormai vecchio e la morte si avvicina, il terrore lo assale e il ricordo del patto con il diavolo non 13

Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 99. Trad. it. mia: Voglio dar onore al mio ventre; perchè sono una bella donna; non devo essere padrona del mio ventre? 14 Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 38. Trad. it. mia: E andiamo veloci nelle scuole di Parigi/ in modo che possiamo garantirci grandi onori. […] E voglio indossare abiti maschili/. Il Kleidertausch della protagonista è fin dall‟inizio interpretato come diabolico, in quanto realizza mediante l‟inganno e la menzogna la sovversione dei tradizionali ruoli dei sessi e quindi, in definitiva lo sconvolgimento dello stesso ordine del creato, che in quanto voluto da Dio è ritenuto perfetto ed immutabile. Ricordiamo, infatti, che solo all‟uomo, essere razionale, competeva il mondo della cultura e del potere, mentre alla donna, essere passionale e debole, spettava sostanzialmente il compito di provvedere alla famiglia e alla prole. Cfr. Feistner Edith, Manlîchiu wîp, wîpliche man; Zum Kleidertausch in der Literatur des Mittelalters, in “Beiträge zur Geschichte der deutschen Sprache und Literatur”, Tübingen 1997, p. 241.

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gli dà tregua. Chiede così aiuto alla Madonna e la prega ardentemente affinchè lo preservi dalla dannazione eterna15. La Vergine in un primo momento si rifiuta di intercedere per Teofilo, accusandolo di aver rinnegato con il suo comportamento Dio e tutti i santi. A questo punto il dignitario si rivolge alla Vergine come moder der barmhertycheyt (Madre della carità, Theo, v. 756), alla quale possono rivolgersi anche i peggiori peccatori16. La Madonna allora decide d‟intercedere per Teofilo presso il Figlio (che rifiuta all‟inizio ogni concessione), ricordandogli, in qualità di Mater dolorosa, come da piccolo lo abbia allattato al suo seno, come lo abbia dovuto proteggere fuggendo verso l‟Egitto e come abbia sofferto a causa della sua Passione. Cristo, mosso alla compassione, cede ai desideri della Madre, concedendo al peccatore il perdono e la grazia: Crystus dicit: Leue moter myn, Stant up, lat dyn weynent syn Ik gheue ene an dyne hant17 (theoS, v. 828-830) Nello Juttenspiel Schernberg riprende, più o meno alla lettera, diversi momenti di questa parte del dramma, difatti, il motivo dell‟intercessione e (della momentanea) negazione del perdono da parte di Cristo attraverso una chiara precisazione dell‟accusa rivolta alla peccatrice, (…ha seguito e 15

Cfr. Iannaccone Mario, op. cit., pp. 94-95. Cfr. Obenaus Michael, op. cit., pp. 102-103. 17 Trad. it. mia: Cristo dice: Cara Madre mia, smettetela di piangere. Voglio onorare la vostra mano. Ibidem, p. 104. 16

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continua a seguire i consigli del diavolo…), è ideato sulla base del modello offerto dal Theophilusspiel18. Esiste, tuttavia, una differenza sostanziale: Jutta, contrariamente a Teofilo, non giunge al pentimento a partire da un profondo turbamento e malessere intimo, quanto piuttosto a partire da un ultimatum divino che le profila una minaccia di dannazione eterna 19. Cristo è, infatti, profondamente indignato dal comportamento della Papessa che non accenna ad alcun pentimento, motivo per il quale ad una prima richiesta della Madre rifiuta il perdono: Mutter eddel vnd reiche/ Dir ist wol wissentleiche/ Was sie vbels gethan/ Vnd wlode des noch nie abegahn/ Sondern sie hat sich frůe vnd spat/ Gehalten nach des Teufels rath/ Des solte sie nu entgelten sehre20. Dopo un primo no Cristo cede, però, come nel Theophilusspiel, alla richiesta della Vergine di salvare l‟anima di Jutta, a patto che ella accetti di pagare con la morte il male commesso. La Papessa, tuttavia, avrà facoltà di scegliere circa il proprio destino: l‟arcangelo Gabriele, messaggero di Cristo, comunica a Jutta, infatti, la possibilità di scegliere tra “ewige Verdamnis” (dannazione eterna) o “irdischer Schmach” (umiliazione terrena) che le garantirà in ogni caso la salvezza dell‟anima. 18

Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 105. Ibidem, p. 107. 20 Trad. it. mia: Madre nobile e ricca/ Sei ben consapevole/ delle sue malefatte/ ed esita a pentirsi/ anzi ha continuato e continua/ a seguire il consiglio del diavolo/ Adesso deve pagare per questo, anche tanto. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 59, vv. 813-819. 19

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La Papessa sceglie la seconda possibilità, accetta di partorire e morire coram populo. La morte di Jutta viene rappresentata come una vera e propria esecuzione pubblica con Mors (la personificazione della morte stessa) che agisce come boia e braccio destro di Cristo: Der Tod kỏmpt zu Bapst Jutten Ich habe dir gar lange nachgekrochen/ Manchs jar vnd manche wochen/ Darumb solt du mir nicht entpfliehen. Ich wil mit dir machen ein spiel/ Nach alle meinen lust wie ich wil/ Wenn Gott hat mir die laub gefeben/ Das ich dir sol nemen dein leben […]21 Alla terribile minaccia di Mors, Jutta risponde semplicemente con una sentita preghiera rivolta alla Vergine Maria, nella quale manifesta comprensione per la punizione inflittale da Cristo: Nu wil ich gerne leiden/ […] Vmb meine sůnde die ich hab gethan. Ich hoffe Maria lasse meine seele nicht verderben22 Il trapasso di Jutta dalla vita alla morte è segnato nel testo dall‟uso, a partire dal verso 1134, della formula Bapst Jutten Seel, l‟anima della papessa Jutta. Si assiste a questo punto alla purificazione dell‟anima della peccatrice nell‟Inferno. La permanenza in questo luogo orrendo è, infatti, concepita come espiazione per i propri peccati.

21

Trad. it. mia: Mors raggiunge Jutta. Ti ho seguita a lungo/ per anni e settimane/ Per questo adesso non devi sfuggirmi/ Voglio fare un gioco con te/ Secondo le mie regole/ perché Cristo mi ha permesso/ di toglierti la vita […]. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 64, vv. 983-990. 22 Trad. it. mia: Voglio soffrire con piacere/ […] per espiare tutte le mie colpe. Spero solo che Maria non mi abbandoni. Ibidem, p. 67, vv. 1087-1095.

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L‟accoglienza dell‟anima di Jutta nell‟inferno avviene secondo il modello offerto dagli Oster-und Passionspiele: l‟anima è accolta fra terribili urla, canti e grida ed è sottoposta a indicibili pene. Le viene offerto un Helletranck (una bevanda) di zolfo e pece (vv. 1144, 1370, 1445), viene torturata con fewrigen zangen (tenaglie infuocate v. 1210), picchiata e strattonata (vv. 1237, 1448), mentre il suo corpo viene ricoperto da una salbe (un unguento) infernale. Le intenzioni dei diavoli sono chiare: ottenere da lei l‟abnegatio fidei: Das sie Gottes Mutter wol vergessen sal […]Das sie sol verleugnen Gott im Himelreiche23

Jutta non desiste, resta salda nelle sue preghiere alla Vergine e a San Nicola. Dal canto suo Cristo dopo la distruzione del corpo mortale di Jutta ed un lungo processo di purificazione dell‟anima è pronto ad ammetterla al proprio cospetto. Nello Juttenspiel il conflitto fra misericordia e iustitia si realizza come nel Theophilusspiel sotto forma di dialogo tra la Vergine Maria ed il Figlio. A differenza del testo di riferimento, il peccato di Jutta non si concretizza nel rinnegamento del culto cattolico di Maria e dei santi, quanto, come evidenziato da Cristo stesso durante il dialogo con la Vergine, nel superamento di specifici limiti, naturali ed intellettuali, concessi dalla cultura del tempo alle donne, nella conquista di un terreno di esclusivo monopolio 23

Trad. it. mia: Dimenticare la Madre di Dio […] Rinnegare Dio nel Regno dei Cieli. Ibidem, pp. 73-74, vv. 1277, 1386.

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maschile (il trono papale/potere) e nella profanzione pubblica (a causa della sua gravidanza) del voto di castità e celibato a cui tutto il clero è tenuto 24: […] Sie hat in Mannes weise gegangen/ Vnd also das Bapstumb empfangen/ Vnd ist nu schwanger worden/ […]25 Nello Juttenspiel troviamo un altro dialogo fra madre e figlio, quello fra Lillis26 e Lucifero. Nel loro discorso, Lillis offre al pubblico, nei versi iniziali 41-63, una parodia del successivo discorso della Vergine a Cristo: così come Maria intercede presso Cristo per tentare di salvare l‟anima di Jutta, così Lillis esorta, per mezzo delle sue diaboliche arti tentatrici, il Principe del Male ad assoggettare la bella inglesina: […] Nhun bitt ich dich du lieber Sohn/ Sagest den gesellen dein/ Vmbher vnd den willen mein […]27 Maria e Lillis si rivolgono entrambe ai massimi rappresentanti dei due regni dell‟oltretomba, senza mettere mai in dubbio la loro autorità e intercedendo ciascuna a proprio modo per Jutta, riescono alla fine ad influenzare le decisioni dei loro rispettivi figli28. La figura di Lillis, la madre del diavolo, è rappresentata oltre che nello Juttenspiel, anche nell‟Alsfelder Passionspiel: qui Hellekrug (così viene chiamata la genitrice di Lucifero), si inserisce nel ballo vorticoso e disordinato degli altri diavoli lamentandosi di essere stata dimenticata ed 24

Ibidem, p. 108. Trad. it. mia: […] Ha dimenticato la sua natura femminile/ e ha vagato in abiti maschili/ ha accettato il trono papale/ ed è rimasta incinta/ […]. Cfr. Ibidem, p. 60, vv. 864-867. 26 Cfr. Burton Russell J., Il diavolo nel Medioevo, Roma 1987, p. 52. 27 Trad. it. mia: Ti prego figlio mio caro/ parla ai tuoi servi/ fa che eseguano il mio volere. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 32, vv. 56-58. 28 Cfr. Obenaus Michael, op. cit., pp. 129-133. 25

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offrendo il suo malvagio aiuto nella cattura delle anime. Allo stesso modo nello Juttenspiel, Lillis, si associa ai balli convulsi degli altri servi infernali lamentandosi di essere stata dimenticata ed elogiando contemporaneamente le proprie qualità diaboliche. In una chiara parodia della Madonna e degli angeli, Lillis si unisce alle schiere demoniache per cantare le lodi tutt‟intorno al trono del figlio. 2.4.2 L’influenza di Polonus nello Juttenspiel La storia di Jutta raccontata nell‟opera di Schernberg riprende molto da vicino la leggenda della Papessa Giovanna così come tramandata da Martinus Polonus nella sua Chronica de Romanis Pontificibus et Imperatoribus del 1280 ca. in cui si narra di una giovane donna che abbandona, travestita da uomo, il proprio paese d‟origine per seguire le orme dell‟amato compagno 29. Nella versione di Polonus i due amanti giungono dapprima ad Atene (che nello Juttenspiel diventa Parigi) e poi a Roma. Nella città eterna Giovanna alias Johannes “in virtù del suo ingegno, diventa prima notaio, poi cardinale ed infine papa”. Proprio quando la carriera della donna è all‟apice del suo successo, la Papessa resta incinta del suo amante. Assalita dalle doglie durante una processione dal Laterano verso San Pietro, partorisce in mezzo alla strada, dove muore insieme al suo bambino lapidata dalla folla inferocita. Schernberg riprende molti momenti della versione di Polonus (il motivo del travestimento e della carriera della papessa, della sua gravidanza e della sua 29

Cfr. Obenaus Michael, op. cit., p. 75.

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morte) ma, a differenza di quest‟ultimo, egli rende immediatamente chiaro al suo pubblico che la motivazione al travestitismo e alla partenza dall‟Inghilterra della sua protagonista non risiede tanto nell‟amore che ella nutre per il suo amante, quanto piuttosto nella sua personale ambizione e sconfinata curiositas intellettuale, che la portano a desiderare weltliche Ehre und soziale Annerkennung, ossia onori terreni ed ascesa sociale. Il peccato di cui si macchia Jutta è difatti, in primis, quello di Superbia, dato che ella anela a prestigio, conoscenza e considerazione sociale su vasta scala. Al peccato di Superbia si sommerà di lì a poco quello di Concupiscentia, visto che come papa concepirà e partorirà un figlio30. Nello Juttenspiel i diavoli, che conoscono assai bene il punto debole di Jutta, le garantiscono proprio successo e merito, mirando così abilmente alla hybris della giovane donna. La carriera di Jutta e la sua veloce ascesa sociale vengono rappresentate nel testo con una serie di scene che sottolineano ripetutamente il suo bisogno di onori derivanti dalla conoscenza, sentito come motivazione e scopo del suo stesso agire: […] Vnd wollen vns behende/ In die hohen Schulen gen Paris wenden/ Darinne wollen wir lernen vnd disputieren/ Vnd vns ehre auffersthan/ […] 31

30

Cfr. Doering Sabine, Die Schwestern des Doktor Faust. Eine Geschichte der weiblichen Faustgestalten, Göttingen 2001, p. 53. 31 Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 38, vv. 231-234. Trad. it. mia: […] E andiamo veloci nelle scuole di Parigi/ Lì vogliamo imparare e disputare/ in modo che possiamo garantirci grandi onori […].

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Il magister promette ai due studenti Ehre und lob (onore e lode v. 323) come risultato dei loro sforzi. Papa Basilius prospetta ai due giovani l‟ascesa nei ranghi del clero con la formula:

[...]Auch sollet jhr furder mehre Zunemen an tugenden vnd an ehre/[...]32 e Jutta risponde al papa con parole che evidenziano il suo bisogno di consensi e meriti: [...]So mag vns folgen ehre vnd solde/ Mir vnd dem liebsten Bruder mein.[...]33

Per Ehre si intende qui ancora semplicemente riconoscimento pubblico per il risultati dei prossimi studi, ma in un secondo momento il termine indicherà concretamente anche il desiderio di potere, che coinciderà con la veloce ascesa sociale nei vari gradi delle gerarchie ecclesiastiche, fino a giungere alla conquista del trono papale. Jutta promette, infatti, a se stessa e al suo amante Clericus la conquista del potere e del riconoscimento alla corte papale di Roma (vv. 403-405): […] So můgen wir deste eher Komen zu grosser ehr In seinem Hofe one not […]34

32

Ibidem, p. 49, vv. 533-534. Trad. it. mia: […] dovrete presto crescere in virtù ed onori/ […]. Ibidem, p. 51, vv. 598-599. Trad. it. mia: […] Che seguano onore e ricompensa/ a me e al mio amato fratello […]. 34 Ibidem, p. 44, vv. 403-405. Trad. it. mia: […] così vorremmo presto/conquistare grandi onori/ alla sua corte/ […]. 33

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Questa rappresentazione quasi schematica dei passi dello Juttenspiel che evidenziano la rapida carriera della Papessa rende palese come l‟opera di Schernberg miri a collegare la storia di questa donna all‟anelito verso una conoscenza illimitata. Emerge infatti, nella protagonista Jutta un Drang nach Erkenntnis, un desiderio di conoscenza, che è l‟espressione più viva della sete umana di sapere la quale si traduce in un‟irrefrenabile smania di esplorazione del nuovo a costo di qualunque rinuncia e sacrificio. La protagonista sembra così essere la suprema incarnazione dell‟intelligenza umana, protesa ad un‟incessante indagine che nessun ostacolo (neanche la dannazione eterna) sembra poter scoraggiare. Jutta si colloca in questo modo, tra le fila dei più famosi Teufelsbündler della storia, come Faust ed un‟altra donna, Mariken van Nieumeghen, che stringono un patto con il demonio per sete di conoscenze proibite e volontà di potenza al di fuori di ogni limite35.

35

Proprio la Germania, nell‟autunno del Medioevo, si popola di sapienti che non temono di studiare le scienze proibite, saperi che donano il potere come l‟alchimia, la magia naturale, la Kabbalah, che i maghi studiano con avidità, certi della sua potenza. L‟immaginario del periodo si tinge scuro, si popola di fantasmi e dèmoni; si articola in leggende nere, tregende e sabba, mentre, la storia di un uomo (o donna!) che firma un patto con il Demonio per andare oltre, nella scienza e nel potere, sembra la migliore incarnazione di questa temperie. Cfr. Iannaccone Mario, op. cit., pp. 95-96.

61


2.5 Frau Jutta e Mariken van Nieumeghen: due donne ed un unico desiderio, la conoscenza. C‟è un patto con il diavolo che, nella nostra mente, ha quasi cancellato tutti gli altri e si è trasformato nel patto per antonomasia: mi riferisco al patto di sangue fra Faust e Mefistofele, raccontato da Johann Spiess nel 1587 nel suo Faustbuch ovvero nell‟Historia von Dr. Johann Fausten. Eppure prima di Faust, la letteratura europea ci ha presentato due donne “venditrici d‟anima”, Frau Jutta (ossia la leggendaria Papessa Giovanna) e Mariken di Nimega che, alla stregua del primo, ricevono in cambio del loro tradimento il sapere 1.

1

La leggenda faustiana, delineatasi agli inizi del XVI secolo, non ha fatto altro che aggiungere un‟ulteriore maglia a quella catena di patti che ha avuto inizio addirittura nei primi secoli del cristianesimo. Nella storia dei santi Cipriano e Giustina, risalente al IV secolo, Cipriano si presenta come un mago potente, capace di evocare demoni per inviarli a sedurre la vergine Giustina per conto del suo cliente Aglaidas. Solo quando si rende conto dell‟impotenza delle forze maligne di fronte al segno della croce si converte alla nuova fede diventando addirittura vescovo. Nella storia dello schiavo di Proterio, di oltre mille anni più tardi, troviamo in forma esplicita la tematica della sottomissione al principe del male e della cessione della propria anima in cambio di un favore terreno. Un giovane schiavo s‟innamora della figlia del padrone, ma la fanciulla ha già deciso di dedicare la propria vita a Cristo. Il giovane si rivolge allora ad un negromante, che invocato il diavolo, gli permette di vendere la sua anima in cambio dei favori dell‟amata. Pentitosi della sua azione, dopo aver sposato la ragazza, con l‟aiuto di San Basilio, sconfigge per mezzo della preghiera il demonio. Cfr. Ferrari Fulvio, Mariken di Nimega: una donna tra Tannhäuser e Faust, Torino 2003, pp. 92-93. Di grande popolarità ha goduto certamente nel Medioevo la vicenda di Teofilo e del patto con il Diavolo. La storia affiora per la prima volta in una leggenda ispirata al culto della Vergine, che narra di fatti a cui avrebbe assistito Eutychianus, patriarca di Costantinopoli, verso l‟anno 538. Scritta in greco nel VII secolo e poi in latino da Paolo Diacono di Neapolis (morto nell‟870), narra la storia del monaco Teofilo di Adana, che umilissimo, rinuncia ad ogni onore ma viene poi offeso e privato di ogni dignità. Roso dalla rabbia, viene avvicinato da un mago pestifer che lo convince a evocare il principe delle tenebre (con cui firmare un testamento nel quale s‟impegna a rinnegare il Battesimo) e la perfida secta Christi cultorum. Grazie al patto guadagna l‟onore perduto sino a quando, dopo aver meditato sulle conseguenze del proprio gesto, sprofonda nella disperazione. Implora allora l‟aiuto della Vergine, ricordandole che anche i peccatori dell‟Antico Patto, come Raab la prostituta che per fede non perì con gli abitanti di Ninive, furono perdonati; lei, nonostante l‟errore di quell‟uomo che aveva pianificato la propria dannazione, riesce a salvarlo. Per secoli il racconto della dannazione decisa per contratto viene raccontato nelle prediche e meditato nei monasteri. La storia di Teofilo continua ad essere raccontata nei monasteri della Germania dell‟Alto Medioevo, anche nella versione femminile dove Teofilo assume il nome di Mariken di Nieumeghen. Quando poi nel 1589 Spiess pubblica il Faustbuch consegna ai posteri uno dei miti fondanti della tradizione letteraria europea. Soltanto due anni più tardi, a Londra verrà rappresentato The Tragical History of Doctor Faustus di Christopher Marlowe. Seguiranno molte altre opere, come il Magico prodigioso (1612) dello spagnolo Calderón de la Barca, riduzioni narrative, drammatiche e, infine, anche musicali. Cfr. Iannaccone Mario, Il prezzo della conoscenza, in “Medioevo” n. 8, 2008, pp. 93-94, 99.

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2.5.1 La storia di Mariken. Mariken è la protagonista di una vicenda conosciuta come “La veritiera e meravigliosa storia di Mariken di Nimega”, di cui non conosciamo né l‟autore né l‟esatta data di composizione. Si tratta di un testo composito, in cui si succedono brani narrativi in prosa e dialoghi (o monologhi) in versi 2. La prima edizione nota del libro - di Willem Vorsterman - viene pubblicata, in lingua olandese, ad Anversa e risale alla prima metà del XVI secolo, esattamente negli anni fra il 1514 ed il 1518. Nel 1518 viene pubblicata, sempre ad Anversa, nell‟officina di Jan van Doesborch, un‟edizione in prosa in lingua inglese3. Stampato in diverse versioni tra l‟inizio del „500 e l‟inizio del „600 4, proibito dall‟autorità ecclesiastica nel 1621, Mariken di Nimega ha attraversato poi un lungo periodo di silenzio: la storia della giovane donna che per più di sette anni si accompagna al diavolo ha continuato a circolare sotto forma di racconto edificante non, però, nella sua integrità di testo letterario.

2

L‟alternanza di prosa e versi ha indotto gli studiosi a tre diverse opinioni: chi sostiene la priorità della versione poetica, teatrale, in cui sarebbero stati successivamente inseriti i passaggi in prosa per rendere più chiaro il legame tra le diverse scene o per riassumerle al momento della stampa; chi afferma l‟esistenza di una versione originale in prosa in seguito drammatizzata; chi è convinto che un unico autore, magari in momenti diversi, abbia composto sia la prosa che i versi. Chi propende alla tesi dei due autori distinti fa rilevare differenze piuttosto notevoli nella lingua delle parti narrative e di quelle grammaticali. E a partire da queste differenze – oltre che da particolarità delle descrizioni e delle informazioni contenute nella storia – è stato ipotizzato che l‟autore dei versi fosse nativo di Anversa, mentre le parti in prosa andrebbero attribuite ad uno scrittore del Nord, forse di Nimega o della regione circostante. Niente di definitivo è stato comunque stabilito né sulla storia del testo nè sull‟autore (o sugli autori). Cfr. Ferrari Fulvio, op. cit., p. 104. 3 L‟edizione in lingua olandese è oggi conservata nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, mentre l‟esemplare in lingua inglese è conservato presso la Henry E. Huntington Library in San Marino, California. Cfr. Doering Sabine, Die Schwestern des Doktor Faust. Eine Geschichte der weiblichen Faustgestalten, Göttingen 2001, p. 87. 4 È rimasta inascoltata una versione protestante della Mariken di Nimega risalente al 1608, pubblicata da Herman van Borculo. La sua versione è apparsa ripulita dagli elementi cattolici venendo meno soprattutto la figura della Vergine Maria e la sua intercessione salvifica. Ibidem, p. 88.

63


Solo da qualche anno, dopo la pubblicazione ad opera di P. Leendertz dell‟edizione Vosterman, Mariken di Nimega ha ripreso a pieno titolo il suo posto nella letteratura nederlandese. Fin dall‟inizio, l‟anonimo autore ci informa che ci troviamo nei pressi di Nimega, “al tempo in cui il duca di Gheldria venne preso prigioniero a Grave da suo figlio Adolfo e dai suoi complici” 5. L‟avventura di Mariken esce così subito dalla dimensione atemporale del racconto edificante, sempre valido e vero, e si inserisce nel tessuto della storia. Siamo, infatti, nella seconda metà del XV secolo, in un‟epoca non lontana dal momento in cui l‟opera viene scritta, in un periodo cruciale sia per quanto riguarda la stregoneria sia per quanto riguarda l‟antica tradizione del patto diabolico. La narrazione ha inizio, dunque, con l‟imprigionamento di Aroldo di Gheldria a opera del figlio, cioè nel 1465. A quella data vive nei pressi di Nimega un prete devoto chiamato don Ghijsbrecht. Insieme a lui vive una bella e giovane fanciulla di nome Mariken, figlia di una sua sorella morta. Questa fanciulla governa la casa dello zio, assistendolo con zelo ed onestà. Un giorno don Ghijsbrecht decide di inviare sua nipote Mariken nella città di Nimega per fare degli acquisti, “candele, olio per la lampada e zolfanelli” 6.

5

Cfr. Ferrari Fulvio, op. cit., Torino 2003, p. 7. Cfr. La veritiera e meravigliosa storia di Mariken di Nimega, tr. it. a cura di Ferrari Fulvio, Torino 2003, p. 9. 6

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Il prete temendo che si facesse troppo tardi per tornare in serata ordina alla nipote di pernottare in città da una zia. Questa, però, caccia di casa la giovane, apostrofandola come prostituta e incoraggiandola a “buttarsi nella Mosa” 7. Mariken è così sola, sul far della notte, in una città estranea piena di minacce e di pericoli. Seduta nei pressi di un cespuglio si affida, disperata, indifferentemente a Dio e a Satana. Quest‟ultimo, sempre pronto a tendere i suoi lacci e le sue reti, le si avvicina e presentandosi come Moenen, le chiede di diventare la sua amante a patto che non si faccia più il segno della croce e rinunci per sempre al suo nome: in cambio le insegnerà le sette arti liberali e le lingue del mondo. Ha così inizio la storia di Mariken e del suo terribile amante Moenen, il diavolo. I due si trasferiscono ad Anversa conducendo una vita dissoluta e segnata da indicibili disgrazie. Nella città, infatti, a causa loro ogni giorno accadono “omicidi, furti e altre cose assai malvagie” 8. Dopo sette anni di convivenza Emmeken (questo il nuovo nome di Mariken) sente il bisogno di rivedere suo zio ed il suo paese d‟origine. Mariken e Moenen giungono a Nimega il giorno della processione in onore di “Nostra Signora”, giorno in cui secondo una lunga tradizione si svolge la rappresentazione itinerante di Masscheroen, un Mirakelspiel avente come protagonisti Masscheroen ossia l‟avvocato di Lucifero, Dio e la Madonna.

7 8

Ibidem, p. 16. Ibidem, p. 45.

65


Alla vista di quel Mirakelspiel, che evidenzia con grande forza l‟immensa misericordia divina, Emmeken comincia a nutrire sentimenti di forte pentimento per i propri terribili peccati e si lascia sfuggire la frase: “O Signore, abbi pietà di me!”9. Moenen a queste parole, solleva Emmeken da terra “al di sopra di tutte le case”, scaraventandola poi in strada con l‟intento di spezzarle il collo. La fanciulla resta, però, in vita e viene riconosciuta e soccorsa da don Ghijsbrecht, anch‟egli presente alla rappresentazione. La giovane confessa allo zio il male commesso e visto che nessun prete, nemmeno il vescovo di Colonia, può darle l‟assoluzione, i due partono alla volta di Roma. Qui il papa stringe al collo e alle braccia della peccatrice, in segno di penitenza, degli anelli che dovrà portare per tutta la vita. Ritornati in Olanda, Mariken si fa monaca nel convento delle peccatrici convertite. Qui ella conduce una vita così santa, praticando una penitenza così severa che Cristo misericordioso alla fine le perdona tutti i suoi peccati, liberandola nel sonno dai suoi anelli.

2.5.2 Jutta e Mariken: differenze ed analogie. Le differenze fra le vicende personali di Frau Jutta e quelle di Mariken sono molte ed evidenti, ma, altrettanto evidenti sono i punti d‟intersezione. In entrambe le opere troviamo come personaggio principale una donna.

9

Ibidem, p. 62.

66


Queste, in entrambi i casi, descritte come “giovani e belle fanciulle” 10, offrono la propria anima al diavolo non per bramosia di ricchezza o per cercare piaceri carnali, ma, semplicemente per assecondare il proprio desiderio di conoscenza. Difatti, è il sapere la freccia con cui il diavolo Moenen colpisce il cuore di Mariken: “Sì, bella bambina, per farla breve: se vuoi venire con me e seguire con lealtà il mio consiglio ogni cosa che puoi desiderare o immaginare io t‟insegnerò …”. “Io t‟insegnerò tutte le lingue del mondo… … e le sette arti liberali…”11. D‟altro canto proprio l‟ambizione e la curiositas intellettuale spingono Jutta alla sottomissione al principe del Male e, dunque, al travestitismo e alla partenza dall‟Inghilterra: Sathanas. […] Ihr sollet werden klug vnd weise/… […] Ihr sollet komen zu grossen ehren/12. In entrambe le opere è centrale il problema della salvezza e chiara è la tesi che si vuole dimostrare: non esiste peccato tanto grande che non possa essere perdonato dalla misericordia divina. In entrambi i casi poi il rimorso delle due peccatrici si rivolge a Maria, ed è Maria a dar loro la forza di pentirsi e chiedere perdono13.

10

Jutta è chiamata dai diavoli “schỏn Jungfrawe o hůbsch Jungfrawe”. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., pp. 32 e 34, vv. 69 e 129. Mariken è chiamata più volte da Moenen “bella bambina”. Cfr. Mariken di Nimega, p. 21. 11 Cfr. Ibidem, pp. 24 e 26. 12 Trad. it. mia: […]Diventerete intelligente e saggia/ […]Conquisterete grandi onori/. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 35, vv. 156-159.

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Nella Mariken di Nimega, l‟intervento salvifico della Vergine si concretizza nell‟episodio della “rappresentazione itinerante di Masscheroen”, un episodio di teatro nel teatro, d‟importanza fondamentale nell‟opera perchè è assistendo a questo spettacolo che la protagonista viene colta dal rimorso per i suoi peccati e dalla speranza nel perdono divino14. In questa rappresentazione, e nel testo in generale, si ripropone la struttura narrativa posta alla base dello Juttenspiel, ossia la storia di peccato, pentimento, espiazione e salvezza. In essa, Masscheroen, l‟avvocato dell‟Inferno, cerca a più riprese, di convincere Cristo a condannare i peccatori con la stessa durezza e severità con la quale egli ha condannato gli angeli caduti. Cristo in un primo momento sembra accondiscendere alle argomentazioni dell‟avvocato del diavolo, almeno fino all‟intervento della Madre che, appellandosi più volte alla sua infinita misericordia, fa promettere al Figlio la possibilità di redenzione a chiunque si penta di cuore dei propri peccati: Nostra Signora: Figlio, non infliggere con troppa fretta la tua punizione. Pensa a quei seni da cui hai succhiato, pensa alla passione che hai sofferto, non fu tutto questo per amore degli uomini? 13

Ciò la dice lunga sulla devozione medievale per la Madonna e l‟importanza del suo ruolo nella salvezza individuale. Il culto mariano ha inizio nell‟alto Medioevo, ma si afferma con sempre maggior vigore nel tardo Medioevo. Non è un caso, infatti, che i tre grandi santuari che prosperano nel „400 siano tutti dei santuari mariani: Nostra Signora di Walshingham in Inghilterra, Nostra Signora di Guadalupe in Spagna e Nostra Signora di Alltötting in Baviera. Cfr. Burton R. J., Il diavolo nel Medioevo, Roma 1987, p. 98. 14 Questa rappresentazione non è frutto della fantasia dell‟autore (o degli autori) di Mariken. Infatti, un Wagenspiel – un dramma itinerante messo in scena su dei carri – con questo titolo è stato rappresentato a Petegem nel 1475 e ad Anversa nel 1518. L‟autore ha probabilmente fatto uso di un dramma noto al suo pubblico - che peraltro, si ricollega ad una tradizione antica di “processi” intentati a Dio ed al genere umano dal diavolo -, rielaborandolo e inserendolo come parte vitale della sua opera. Cfr. Ferrari Fulvio, op. cit., p. 105.

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L‟hai detto tu stesso, se anche un uomo avesse commesso lui solo tutti i peccati del mondo e s‟appellasse di cuore alla tua pietà egli verrebbe accolto a braccia aperte15.

Nelle parole di Nostra Signora riecheggiano certamente quelle della Vergine che intercede per Teofilo presso il Figlio (come abbiamo già sottolineato nel paragrafo precedente). Nello Juttenspiel l‟intervento salvifico della Vergine si concretizza, invece, nel mondo ultraterreno, nel Paradiso, all‟insaputa di Jutta (che invocherà, per la prima volta, la Vergine solo sul punto di morte). Cristo, in Cielo, saputo dell‟inganno della papessa e dei suoi terribili peccati, decide che è arrivato il momento per lei di pagare con la morte e con l‟Inferno il male commesso, ma la Vergine si oppone: […] Nein mein lieber Sohn/ Du solt das vmb meinet willen lahn. So las die arme Seele nicht sein verlorn/ Vnd las deine gnade sein zu jhr gewandt/ […]16. La Vergine, anzi, continuerà ad intercedere per Jutta anche quando l‟anima di quest‟ultima sarà torturata dai diavoli nell‟Inferno, affinchè Cristo la liberi perfino da lì dalla sua sofferenza e l‟accolga al suo cospetto: […] Vnd las mich helffen nu/ Der armen Sůnderin die in peinen ligt/ Vnd so grosse bitte zu mir pfligt/[..] Las dein gnad den armen Sůndern sein bereit/[…]17 15

Cfr. Mariken di Nimega, pp. 60-61. Trad. it. mia: […] No figlio mio caro/ non farlo, per amor mio/ Non lasciare che quell‟anima si perda/ concedi la tua misericordia/ […]. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 58, vv. 797-801. 16

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Entrambe le opere, inoltre, raccolgono idee e frammenti narrativi presenti nel mondo delle leggende, degli exempla, dei miracoli medievali, ricomponendoli ciascuna secondo l‟intento della propria narrazione. Alla maniera di Schernberg, che riutilizza il materiale letterario e teatrale a lui noto per inglobarlo in un‟unica e nuova opera, così anche l‟autore (o gli autori) della Mariken di Nimega fa (o fanno) uso di scene e leggende riprese da opere diverse. L‟episodio, per esempio, in cui il diavolo Moenen afferra Mariken e la porta con sé in alto per scaraventarla a terra ed ucciderla prima che il pentimento possa compiersi, ricorda la storia del converso di Cesare Heisterbach 18. Il viaggio a Roma della protagonista per ottenere dal papa l‟assoluzione ricorda, invece, i Miracles de Nôtre-Dame19 di Gualtiero di Coincy, monaco francese vissuto tra il 1177 e il 1236. Un elemento distingue, invece, nettamente Mariken di Nimega dallo Juttenspiel: la collocazione storica della sua vicenda. All‟interno del testo olandese ritroviamo, infatti, chiare indicazioni temporali. Il 1471 costituisce uno dei primi riferimenti cronologici: la data coincide con il suicidio della zia di Mariken, la donna che l‟aveva cacciata di casa, da

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Trad. it. mia: Lascia che aiuti/ la povera peccatrice che si trova nel dolore/ e invoca il mio intervento/[..] offri la tua misericordia ai peccatori. Cfr. Dietrich Schernberg, op. cit., p. 81, vv. 1514-1518. 18 Il converso viene sollevato in cielo e poi gettato a terra da un diavolo che, in forma femminile, non è riuscito a sedurlo. Cfr. Ferrari Fulvio, op. cit., pp. 94-95. 19 I Miracles de Nôtre-Dame presentano il pontefice esitante di fronte ad un caso insolito: un giovane, che i genitori hanno ceduto al demonio, desidera essere liberato da questo accordo, peraltro non stretto da lui. Incapace di prendere una decisione, il papa rimanda il ragazzo al consiglio del patriarca di Gerusalemme e questi, a sua volta, da un eremita. Grazie alle preghiere di quest‟ultimo e soprattutto all‟intervento della Vergine, il diavolo viene infine sconfitto. Cfr. Ferrari Fulvio, op. cit., p. 95.

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allora passano tre anni prima che Moenen e la fanciulla facciano ritorno a Nimega (arriviamo al 1474). Don Ghijsbrecht vive ancora 24 anni dopo il suo viaggio a Roma con la nipote (siamo nel 1498). Fra il miracolo degli anelli e la morte di Mariken passano altri due anni, per cui giungiamo alla data del 150020. Nessuna indicazione temporale precisa ritroviamo, invece, nell‟opera di Schernberg, dove la storia di Frau Jutta tende a mantenersi nei limiti del racconto edificante valido in ogni tempo. Un‟indicazione temporale, seppur generica, può essere azzardata, in realtà, anche per l‟opera di Schernberg. Sappiamo, infatti, che la leggenda della papessa raccontata nel dramma si ispira chiaramente alla versione tramandataci da Martinus Polonus il quale colloca il pontificato di Giovanna fra l‟855 e l‟857, anni in cui possiamo supporre svolgersi le vicende narrate dall‟autore tedesco. Resta, tuttavia il fatto che il nostro testo è privo di una sua esplicita collocazione temporale. I patti contratti rispettivamente da Mariken con il diavolo Moenen e da Jutta con i diavoli di Lucifero, s‟inseriscono entrambi in una lunga tradizione di contrattazioni e di amori tra gli esseri umani e quelli infernali, una tradizione che proprio nei decenni tra Quattro e Cinquecento comincia ad assumere prospettive nuove e drammatiche.

20

Cfr. Doering Sabine, op. cit., p. 89.

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A partire dalla seconda metà del XV secolo, infatti, il Cristianesimo occidentale intensifica la serrata discussione sulla stregoneria da cui le credenze sulle streghe, i riti di adorazione del demonio, i voli notturni al seguito di antiche divinità pagane demonizzata dalla chiesa, escono ordinate e composte in un coerente complesso di dottrine21. La “caccia alle streghe”22, che proprio in questi anni viene effettuata con sempre più forza e vigore, sembra conferire un significato nuovo, e per molti aspetti anche sinistro, al concetto di patto con le forze del male. Quello che prima, infatti, era stato soprattutto un espediente narrativo per l‟edificazione morale dei cristiani, un simbolo di tradimento e di sfida che concentrava in sé tutti i peccati più terribili per rendere tanto più evidente l‟iniquità umana e la misericordia divina, si trasforma ora in una realtà assolutamente possibile 23: il patto con il diavolo sembra così passare dal piano del mito al piano della realtà e del crimine.

21

Cfr. Ferrari Fulvio, op. cit., pp. 96-97. Nel 1484 papa Innocenzo VIII emana la bolla Summis desiderantes affectibus con cui incarica i domenicani Heinrich Institor e Jakob Sprenger di riorganizzare l‟Inquisizione in alcune regioni della Germania Superiore, come pure nei territori di Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema. In virtù del compito loro assegnato, i due inquisitori danno alle stampe verso il 1486 un trattato demonologico profondamente misogino, il Malleus Maleficarum, il “martello delle malefiche” che fornirà giustificazione morale e teorica a ciò che è passato alla storia come caccia alle streghe. Maleficarum è al femminile perché, nel pensiero dei due autori, chi fa malefici (da male e facere) non può che essere donna, quindi “malefica”. Cfr. Corvino Claudio, Donne sotto il maglio dell‟Inquisizione, in “Medioevo” 8, 2008, pp. 48-50. 23 Cfr. Ferrari Fulvio, op. cit., p. 98. 22

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Moenen tenta Mariken in una stampa della prima metĂ del XVI secolo, realizzata ad Anversa nellâ€&#x;officina di Jan van Doesborch e contenuta nellâ€&#x;edizione in prosa in lingua inglese.

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Cristo misericordioso perdona a Mariken tutti i suoi peccati e mentre giace nel sonno le invia il suo angelo per liberarla dagli anelli, in una stampa della prima metĂ del XVI secolo, realizzata ad Anversa nellâ€&#x;officina di Jan van Doesborch e contenuta nellâ€&#x;edizione in prosa in lingua inglese.

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