Le cinque dita

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{Poesia} FRANCESCA PRIORI

LE CINQUE DITA


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Copyright Š 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it Immagine di copertina: ISBN: 978-88-99751-67-8

Francesca Priori, Le cinque dita, Antipodes, Palermo 2018


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I miei versi non hanno un titolo perchĂŠ non mi piacciono le etichette e non so catalogare le emozioni, mi basta viverle


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Prefazione Le cinque dita: un titolo non proprio da silloge poetica ma rappresentativo di Francesca Priori. Dare il cinque è il gesto con cui due persone si scambiano un saluto amichevole facendo sonoramente combaciare i palmi delle mani. Palmi aperti, a cinque dita, appunto. Con questo titolo Federica lancia un segnale di offerta e richiesta di amicizia ai lettori, un’apertura che è parte integrante della sua visione della vita come confermano le migliaia di followers che la seguono attraverso i social. Ma le cinque dita hanno anche un altro significato: indicano i cinque pilastri esistenziali di Francesca che nella silloge diventano i capitoli dell’opera: empatia, ricordi, introspezione, amore, passione. Cinque importanti bacini di emozioni che alimentano le liriche della raccolta e che vanno dalla spiritualità di una profonda introspezione della poetessa alla carnalità della passione sessuale vissuta o solo immaginata. Le cinque dita sono l’opera prima di Francesca, punta dell’iceberg di una vasta produzione di versi e prosa accumulata nel corso degli anni, che trova questo primo sbocco editoriale a seguito della maturazione, da parte dell’autrice, della convinzione che le emozioni vadano condivise. Si tratta di versi che rispondono all’urgenza di mettere nero su bianco il proprio sentire, i sentimenti, i sogni, le bellezze e le lacerazioni della vita. Versi che si occupano dei valori che guidano ciascuno di noi, delle speranze e delle paure che chiunque si porta dentro, scritti con la consapevolezza che il significato di ogni lirica pubblicata verrà dato dal lettore e non da 5


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chi l’ha scritta. Versi ed emozioni che Francesca intende condividere con chiunque vorrà venire a trovarla in questa casa nella quale può entrare senza preannunciarsi perché è anche casa sua. Francesca è una donna che scrive poesie ed è essa stessa una poesia tormentata, una donna fatta di opposti e contrasti, impegnativa e difficile, dalle mille ferite e dalle forti passioni, un insieme di donne diverse, da quella più luminosa a quella più buia, da quella più dolce e conosciuta a quella più aspra e imprevedibile, da quella più casta a quella più spregiudicata capace di scatenare tempeste di sentimenti e passioni incontrollate. Le liriche di Francesca non hanno un titolo. Il perché è nelle sue parole: “I miei versi non hanno un titolo perché non mi piacciono le etichette e non so catalogare le emozioni, mi basta viverle”. Ma le consuetudini della letteratura… La poesia non è un genere letterario per Francesca, è l’esperienza a più alta densità spirituale della vita. E le emozioni non hanno bisogno di essere etichettate, non sono prodotti da scaffale di supermercato, sembra dirci. Francesca Priori è una poetessa di rara sensibilità. È una donna fragile come una preziosa porcellana e forte come un ulivo secolare, capace di ricostruirsi nonostante la vita l’abbia duramente colpita. Ha lottato in tutta la sua vita. L’ha fatto con le lacrime agli occhi e la spada al fianco. È una guerriera, un carattere ostinato e ribelle. Una donna che ha saputo ritrovarsi diverse volte, rinascere dalle macerie di distruzioni, cogliere occasioni di felicità vincendo paure paralizzanti. Vive e lavora a Milano, dove è nata. È particolare il lavoro di Francesca: attraverso la sua impresa di pulizie tiene puliti gli ambienti affidati alle sue cure. Un lavoro che svolge anche in prima persona, con partecipazione, con la stessa dedizione con cui scrive versi che le consentono di mantenere pulita la propria mente e con 6


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l’auspicio che producano lo stesso effetto su chi la gratificherà con la lettura. C’è generosità e fiducia nei tuoi versi, Francesca, vere connessioni di pensiero e sentimento, inni d’amore di grande musicalità interna. Alcune liriche, affascinanti e delicate, sono scritte con un linguaggio ricco di parole più dolci di un bacio. Altri versi, sofferti e tristi, che toccano il cuore, comunicano alla perfezione il dramma di sopravvivere alle nostre gioie e alle nostre sofferenze: trasmettono il dolore dell’esistenza, ma allo stesso tempo gridano il bisogno e la speranza di un mondo migliore. Fortunati coloro che si riconosceranno in questi versi che arrivano dritto all’anima. Mario Grasso

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Qualcosa su di me Pur avendo una mia razionalità, ho sempre cercato i perché della mia esistenza nei sentimenti, nonostante gli schiaffi presi dalla vita e nonostante la squassante evidenza che non appena mostro senza infingimenti e devianti abbellimenti la persona che sono quelli in cui credo si allontanano da me. Forse è il mio modo di amare a respingerli, come se fosse un modo impossibile da capire. Ma io non mi arrendo e continuerò ad amare: ho amato, amo e continuerò a farlo. A modo mio, naturalmente. E lontano da me chi pensa di potermi cambiare. Non mi arrendo ma non canto vittoria. Le bandiere da innalzare capita spesso siano il tentativo insensato e inutile per non alzare bandiera bianca di fronte alle ingiustizie della vita: ingiustizie spesso perpetrate da chi gioca con la vita di chi la perde, senza alcun motivo né colpa. No, non canto vittoria ma continuerò a lavorare su me stessa con l’obiettivo di non arrendermi. E continuerò a farlo con realismo, anche se il mio realismo è spesso scambiato per cinismo. Non credo sia di fragole il sapore del vivere. Il sapore del vivere ha un gusto forte, agre come il limone. Acidulo sì, ma purificante, dissetante. Aspro senza dubbio ma unito allo zucchero rende ancor più saporite le fragole. Ecco il mio obiettivo: coniugare l’asprezza della vita con la dolcezza dell’amore. Per non sentirmi sola. Le ore di solitudine che conobbi da bambina, mi regalarono una pratica che ricordo con commozione. Una volta accumulata una buona dose di sofferenze, mancanze, frustrazioni e nostalgia di mia madre, a cui non potevo rivolgermi. 9


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In alcune sere, dopo essermi accertata che tutti fossero a dormire o assorti in altro da me, mi recavo in bagno. Chiudevo la porta e accendevo la flebile luce del piccolo specchio pensile, che illuminava caldamente i contorni del mio viso. Mi mettevo lì di fronte all’immagine di me riflessa e mi guardavo negli occhi. Pronunciavo alcune parole, lamenti di disperazione che mai avrei pronunciato davanti a nessuno al mondo e mi commuovevo. Si, provavo compassione per quella bambina. Si scioglieva cosi, in pianto il groppo in gola. Il magone per le risposte mancate, per i bisogni disattesi, le paure non confortate, l’assenza d’attenzioni. Cose per cui sarebbe stato inaccettabile lamentarsi, dato il contesto drammatico in cui crescevo. Mi fissavo nello specchio piangere e mi consolavo. Come fossi la madre di quell’immagine di dolore. Solo cosi riuscivo finalmente a piangere. Per piangere, non un pianto isterico ma liberatorio. Per poter dare spazio a lacrime di dolori profondi, è necessario, indispensabile essere ascoltati, accolti e questo mi fu chiaro già in tenera età. Ricordo quei momenti decisi, voluti con matematico calcolo. Come si fosse accesa una spia che indicasse l’insufficienza di capienza. E invece di comprimere, ingoiare altra sofferenza, avessi trovato in quella pratica la valvola di sfogo, un canale di spurgo. Ripenso a quei momenti con profonda tenerezza, oggi. È cosi che ho iniziato ad amarmi, amando le mie fragilità, che tenni nascoste nello specchio per interi decenni a tutti, tanto da farmi credere immune al dolore. Una sorta di pulsione all’autocompassione: autoerotismo dell’anima. Questo mi porta a nutrire compassione verso gli altri, sperando che il termine non venga equivocato: amo tutti finché questo amore non viene deluso. Cerco sempre di evitare di farmi condizionare dal luogo di partenza, dal mezzo di un individuo e perfino 10


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dalla strada percorsa. Solo così, a volte, riesco a intuire dove trovarlo o dove è diretto. Per questo mi disturba enormemente il pettegolezzo, distoglie la mia attenzione dall’osservare quel che mi attrae, evidenziando le brutture di chi le vede, mentre io sono in cerca del bello che c’è in ognuno. Delle persone, mi affascina l’istinto intuitivo, mi seduce quando è governato da un’intelligenza emotiva, che lo trasforma in talento anche quando non consapevole. Sono disposta a credere sia maturità emotiva pur di non rinunciare a scoprirne la natura. Il coraggio, questa, tra le virtù dell’essere umano, stimo in assoluto. Il coraggio d’essere se stessi fino in fondo, anche quando non sarebbe conveniente. Agenesia dell’essere moderno? Tecnicismi esistenziali, illusorie invulnerabilità, nichilismo evolutivo. L’empatia ha una funzione importante nella mia vita, e io la riverso nei miei versi. Il ricordo dell’amore negatomi in tenera età mi ha accompagnata per tutta la vita e ancora mi accompagna anche se in forma elaborata nel tempo. Sono importanti i ricordi ed è per questo che anch’essi sono presenti nei miei versi. I ricordi sono presenti nei miei pensieri e mi fanno compagnia. A volte sono due fratelli. Si inseguono, si strattonano, si spingono, si menano. Il piccolo incassa, ma ogni tanto reagisce e ha la meglio sul grande. Giocano, ridono, si prendono gioco di me. A volte sono un piatto caldo, una bolletta del gas, a volte un sogno. Altre volte, sono un treno che sfreccia da dietro le spalle all’improvviso. Mi scosto i capelli dal viso, inebetita, mentre lo perdo all’orizzonte. Pare li perda io i treni che scompigliano i capelli. A volte capita, ahimè è capitato, fossero dolore, paura, morte. Mi fanno più che compagnia, sono la mia salvezza. Anche quando sono morte, lo sono. Perché ancora non so dargli un ordine, ma capita, è capitato che dopo morte, fossero amore. 11


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Dei miei ricordi sono persino curiosa, un’instancabile curiosa, ma di vita, d’intelletto, non di pettegolezzo, né per vezzo. I ricordi vanno rivisitati perché hanno sempre qualcosa di nuovo da raccontarci. E ci aiutano a capire chi siamo. Ho lavorato molto su me stessa e oggi posso affermare di conoscermi perché in me vedo difetti che altri non vedono e nemmeno immaginano. Ho perfettamente presente ogni mia imperfezione. É il mio concetto di libertà, in cui i sogni non temono delusione. É il mio concetto di bellezza, con cui l’armonia seduce l’intelletto. É il mio concetto di pace, per cui il sentire non ha frontiere. Continuerò a scavare, per quanto faticoso, perché i giacimenti, come sappiamo, non sono mai in superficie. La grossa fatica non è riconoscere tutte le parti di sé, ma tenerle insieme tutte, senza soffocarne una in nome dell’altra. La fatica di scavare è avvenuta in una ricercata, sofferta, costruita solitudine che tuttavia è sfociata nella libertà di relazionarmi a chiunque, sapendo sempre cosa e quanto abbia da offrire e cosa e quanto da condividere. Libertà preziosa al fine di vivere emozioni irraggiungibili solitariamente. Così da avere il duplice privilegio di non rinunciare, mai e più, a me stessa pur donando e ricevendo. Tutto merito di una capacità d’introspezione che disegna anche i miei versi. Oggi, mi fido ciecamente del mio istinto, ma so che contiene anche degli inganni, perciò osservo molto prima di agire. Se l’istinto mi arriva puro, pulito, con sensazioni nette, senza velo d’ambiguità, allora agisco. Non senza pensare, ma senza bisogno di pensare. D’altra parte a volte dietro un velo di ambiguità (fascino iniziale) c’è sempre una potenziale dualità, ambivalenza senza dubbio più affascinante e interessante della mera ambiguità. O almeno, questo vale per me che non conosco il fascino del proibito, ma solo quello di ciò che mi sorprende, quanto da scoprire. 12


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Questo il motivo per cui a volte mi lascio sedurre anche dall’ambiguo, (non faccio riferimento solo alle persone ma anche a contesti, luoghi, situazioni). Concedendomi del tempo per scoprire quel velo cosa realmente celi, spesso nulla. Altre volte è una momentanea fragilità a permettere all’istinto d’ingannarmi. Dunque sì, sono un’istintiva che riflette sempre, spesso prima e a volte poi. È questo istinto che mi avvicina o mi allontana dall’amore. Quando ho creduto all’amore, non ho mai ritenuto fosse eterno. Ma eterno è divenuto tutto quanto abbia amato. E io ho amato tanto, amo con tutta me stessa e continuerò ad amare. Amo con amore, i miei figli e i miei cari; amo con stima e devozione chi merita il mio rispetto e la mia riconoscenza; amo con passione chi passione vera mi dedica. Amo tanto e tanti ma a modo mio, non sempre compreso tanto da essere definita cinica. Non voglio difendermi da questa accusa che forse è figlia della mia convinzione che ho un’idea così elevata dell’amore da non esserne all’altezza. Amo con passione ma non confondo l’amore con la passione che va vissuta come tale, per prendersi cura della carne così come l’amore si prende cura dell’anima. Non è così deplorevole desiderare un corpo, di cui della persona si stimi poco da condividere, per condividerne quel poco nel piacere. Trovo invece avvilente desiderare il corpo della persona di cui non si abbia stima alcuna. Impedendo ad ambedue le ragioni il piacere di scoprirsi e a entrambi i corpi di amarsi. E amarsi altro non è che il piacere di donarsi nella fiducia d’essere accolti nudi e crudi, per ciò che si è. Tutto il resto è funzione e finzione. Fondamentale è “sentire” ciò che si sta facendo poiché ciò che è profondamente sentito è molto simile al vero, non inteso come verità o sapienza ma come esistenza. Il sentire libera l’essere da ogni rigidità del sapere e del credere. La passione va colta nell’attimo: è buona cosa saper perdere la 13


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cognizione del tempo, vivendo ogni istante. Ho l’indecenza di saper entrare sempre in un letto, il buon senso di sapere sempre di uscirne e il buon gusto di capire, sempre solo poi, quando non fosse il mio. Ma la mia non è una passione da quattro soldi, buona per chiunque. Non lo è di certo per gli uomini tanto prevedibili che a stupirmi è solo la loro inconsapevolezza. E talmente inaffidabili, da rendere ciò l’unica certezza. Non lo è per gli uomini prepotenti. Il bisogno di prevalsa maschile, nelle relazioni con le donne, che per lo più è necessario agli uomini per sentirsi uomini, ancora mi sconvolge. La maggior parte ha l’incapacità di relazionarsi all’universo femminile in una relazione intellettualmente paritaria. Deve inevitabilmente mettere in atto, strategie di predominio di ruolo, senza il quale sentirebbe di perdere virilità. Lo trovo cosi infantile, per cui ai miei occhi, perde definitivamente virilità. E ogni volta mi sconforta, constatare quanto l’essere umano non resista a strumentalizzare la fragilità di un altro essere umano, messo a nudo. Spesso, è persino disposto a vestirlo di panni sporchi per non rischiare di venir spogliato, pur di non perdere l’esercizio del potere. Mentre quei pochi capaci di mantenere una comunicazione priva di giochi competitivi, dinamiche di aggressività, anche solo verbale espresse attraverso strategie di svalutazione finalizzate a far sentire inferiore la donna in quanto tale e sottometterla, la complicità che si crea con questi ultimi, per me, li rende affascinanti, un fascino a cui non so restare indifferente. Solo un uomo molto sicuro della propria virilità, può permettersi il lusso di non doversi affermare come uomo. É importante capire alla svelta se si viene fraintesi, per non perdere tempo inutilmente. Chi non comprende a volte è limitato dal pregiudizio, a volte 14


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dalla mancanza di strumenti, gli manca l’esperienza o il coraggio d’andare oltre. In entrambi i casi, se si parla di adulti, spiegare non è solo una perdita di tempo ma peggio: servirà unicamente a fornire altri dettagli a rafforzare le teorie distorte. Non conosco le mezze misure. Perciò sono fedelissima a chi mi è fedele. E non tengo minimamente in considerazione chi, approfittando della mia lealtà, tenta di manipolarmi a suo uso e consumo. A questi, non appena me ne avvedo, riservo il peggior trattamento: ignoro la loro esistenza. Che sollievo quando, per un qualche motivo futile, negli altri viene delusa l’immagine che di noi si erano creati. In un colpo solo ci si libera dal peso di corrispondervi e di coloro che mai saprebbero apprezzarci per ciò che siamo. Il mio amato Fabrizio De André diceva: “Meglio essersi lasciati che non essersi mai incontrati.” Sono una donna complessa, lo so, ma non me ne dolgo. Anzi, ammiro le donne difficili come me perché sono quelle che, come dice Alma Gjini, hanno più amore da dare, ma non lo danno a chiunque. Quelle che parlano quando hanno qualcosa da dire. Quelle che hanno imparato a proteggersi e a proteggere. Quelle che non si accontentano più. Sono le donne difficili, quelle che sanno distinguere i sorrisi della gente, quelli buoni da quelli no. Quelle che ti studiano bene, prima di aprirti il cuore. Quelle che... non si stancano mai di cercare qualcuno che valga la pena. Sono le donne difficili, quelle che sanno sentire il dolore degli altri, quelle con l’anima vicina alla pelle, che vedono con mille occhi nascosti. Quelle che sognano a colori. Sono le donne difficili che sanno riconoscersi tra loro. Sono quelle che, quando la vita non ha alcun sapore, danno sapore alla vita. La mia complessità mi porta, a volte, a desiderare di essere capace di occuparmi delle sole ansie quotidiane. I tormenti ordinari, come le pene d’amore. Vivere nel timore che l’amore, quello che 15


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non ho, un giorno mi abbandoni. Quei piccoli, futili problemi che affliggono il fare della gente: il fare per apparire, unico luogo in cui vedersi. Convincere per convincersi, far credere per credere. Passare ore davanti all’armadio, senza sapere cosa indossare, per poter essere vista, riconosciuta, per riconoscermi. Piuttosto che scrutarmi nello specchio, cercarmi. E cercandomi, non trovare alcuna veste capace di coprire a me stessa quelle nude fragilità che pur nessuno scorge. Vorrei potermi lamentare di non avere ciò che mi manca, che mi manchi ciò che non ho, che ciò che ho non mi basti. Mentre è sempre troppo ciò che posseggo. Troppo! Sempre a spingermi oltre. Oltre me stessa, oltre lo specchio. Oltre il possesso di quell’immagine così eloquente quanto muta. Francesca Priori

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Empatia Ci sono persone che mai hai programmato d’incontrare. Eppure in rare occasioni quanto improbabili luoghi, sono lì. Ogni volta è una gioia rinnovata oltre che insperata. Non puoi che sorridere, abbracciarle, sentirti a casa. Si trovano lì come un segnale: “Sei sulla buona strada”. Sono il segno di un destino complice in cui aver fiducia, quando ogni tuo più ostinato desiderio vuole giungere al bene.


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Questa è la storia di una qualunque. Che al risveglio, sente il suo respiro come fosse il primo. Lo confonde con un segno divino, per ingannare il pensiero dell’ultimo. Questo quanto le basta per fingere una vita, tutta una vita.

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Luoghi affollati straboccano solitudini. Frastuono di parole dal peso specifico, tratteggiano forme inconsistenti. Vorrei sentire solo voci dell’anima. Vorrei tuffarmi nel vuoto, planare su vacue domande e discendere senza risposte.

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