Le terre di sirio anteprima

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Gianmarco Dosselli

Le Terre di Sirio


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“Da un male non può mai derivare qualcosa di buono.” (Seneca)


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Copyright Š 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-53-6

Gianmarco Dosselli, Le Terre di Sirio, Antipodes, Palermo 2014


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Prefazione

“Le Terre di Sirio” come opera di science fiction è descritta nei minimi particolari, anche se l’incredibile topografia e l’avvincente storia di questo paese non sono mai esistite fuori dei confini della mente di Dosselli. Il romanzo è ambientato ai nostri giorni: un giovane teologo di nome Michele (comune essere terrestre) è stato scelto dal “Regno di Danizia” per una missione difficile in uno scenario stupendo ma stravolto. Il suo viaggio verso un’altra civiltà è fatto di pericoli, aggressioni, imboscate, catture e cruente battaglie contro il Male incarnato da re Admoz che vive e regna nei monti degli Dei Venerati, con la scorta di abominevoli uomini, di terribili volatili e di micidiali velivoli che estendono il loro raggio d’azione su tutto il territorio. Nell’impari lotta, Michele avrà compagni validi alleati. La loro eccezionale avventura è la storia di questo romanzo “fantasy”, in una scenografia quasi somigliante alle mitologie nordiche medievali, un viaggio per la vittoria del Bene. Una trama 5


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fitta di suspense e aspirazioni, sorretta da intrepidi personaggi e dall’intelligenza. Un capolavoro d’avventura mozzafiato, di dialoghi accattivanti e scorrevoli di cui soddisfa pienamente il gusto dell’evasione e la gioia di trovare, nel fantastico, le impronte di universali problemi dell’esistenza. Cristian Martina

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Prologo

1631. La “Verona-Brescia-Cremona” era il tragitto di chi volesse salire sulla unica esistente diligenza. Un giorno autunnale, sul mezzo di trasporto pubblico ove stava in sosta nei pressi di Peschiera, salì un forestiero. Questi indossava il tabarro e portava calato sul viso un cappello a cencio per esporsi meno ai passeggeri. Il forestiero aveva un’espressione oscura e un tarpano atteggiamento; i “colleghi” di viaggio osarono appena sbirciarlo di sottecchi, agitati da quell’atteggiamento che aveva qualcosa di macabro, di rivoltante. Tra i viaggiatori, seduto accovacciato sui calcagni, un nano acondroplasico dalla faccia perfetta e liscia come un braccialetto d’oro senza fronzoli; alle spalle portava una curiosa sacca da viaggio. Egli, con la paura quasi di respirare, scrutava il forestiero. Il fantomatico passeggero non fiatava; solo quando il vetturino doveva fermarsi per far riposare i cavalli che faticavano trainare la vettura, emanò un rosario di imprecazioni irripetibili. Il vetturino avrebbe donato un anno della sua esistenza per 7


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capire la ragione di tale inconveniente: la prima volta che i suoi cavalli, appena due chilometri dalla partenza, arrancavano e non erano in grado di trainare. Dispiaciuto, pregava i passeggeri ad una nuova e forzata sosta. I quadrupedi avevano le narici sformate dalla stanchezza e gli occhi infiammati. Il fantomatico passeggero se la prendeva coi cavalli senza apparente motivo, col vetturino e col nome di Dio, della Madonna e di tutti i Santi. Lenti passavano i minuti, ma di più lento era il viaggio come se sulla diligenza fosse celata la maledizione. Fu notte fonda a Desenzano quando il vetturino fermò di nuovo il trasporto pubblico. Per la prima volta i sei cavalli non proseguirono il percorso ordinario. I loro polmoni soffiavano come mantici, e i loro fianchi pulsavano febbrilmente. Nel forestiero si ripeté l’incresciosa scena delle incandescenze, delle imprecazioni più insensate. Poi avvenne l’irreparabile: il fantomatico passeggero scese e si allontanò come un indignato. I cavalli ripresero forza e vivacità, tanto vero che i passeggeri si sentirono rallegrati del fatto. Appena passato un paio di minuti, il vetturino fu il primo a segnalare l’arcano in lui. I passeggeri imitarono il suo atteggiamento: notarono dietro la loro diligenza, occhi enormi e accesi come braci ardenti nell’oscurità alla cui guida di uno strano carro equiparabile al landò e trainato da due quadrupedi ibridi, era lo stesso diabolico passeggero. Il “piccolo” passeggero della diligenza si levò la sacca e la strinse a sé come coccolare un pargoletto. La diligenza rallentava daccapo, mentre l’altro strano carro s’accostava con destrezza. Il vetturino non perse d’animo. Sferzò agitatamente i forsennati quadrupedi che s’immersero dentro ad una coltre spessa di nebbia. Dopo la faggeta, c’era una curva alta su di un ciglio e, più avanti, la palude fumante. I cavalli tirarono diritti mettendo a rischio l’equilibrio della diligenza. Un’altra rapida corsa e il mezzo pubblico si rovesciò, si sfasciò. Due dei sette 8


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