Ecclesia Agrigenti. Note di storia e archeologia urbana

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ecclesia agrigenti. note di storia e archeologia urbana

giuseppina schiro`


Dipartimento Culture e Società - Università degli studi di Palermo Quaderni Digitali di Archeologia Postclassica diretti da Rosa Maria Carra Volume realizzato con il contributo dei fondi Ricerca Scientifica ex 60% - Prof. R.M. Carra Dipartimento Culture e Società - Università degli studi di Palermo

Ringrazio il Dott. Arch. Pietro Meli, già Direttore del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi e Soprintendente per i Beni Culturali di Agrigento, sotto la cui giurisdizione ricadeva la tutela delle aree oggetto della ricerca (Lettera di autorizzazione Prot. n. 4247/VIII del 26 Aprile 2011). “Calati juncu ca passa la china” (Pitrè 1880) A mio padre, che ha sempre tenuto duro ma ci ha lasciato troppo presto.

In copertina: Agrigento, panoramica tra gli ipogei M e P sulla “via dei sepolcri” In quarta di copertina: Agrigento, Latomia Mirabile. Ipogeo II: arcosolio II.A2

Copyright © 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Antipodes s.a.s. via Toscana 2 90144 Palermo www.antipodes.it E mail: info@antipodes.it

ISBN 978-88-96926-50-5

Giuseppina Schirò, Ecclesia Agrigenti. Note di storia e archeologia urbana, Antipodes, Palermo 2014.


ABSTRACT KEYWORDS: Ecclesia Agrigenti, bishop’s series, ecclesiastic limits, Triocala, christian topography.

The study aims to outline the role of the diocese of Agrigento and to appreciate the potential of the different expressions of Christianization. The Ecclesia Agrigenti, by number of archaeological evidence and monuments in Christian Sicily, only follows the Diocese of Syracuse. It is mentioned for the first time in the Registrum of Gregory the Great (late VI cent.), but the archaeological data coming from the burial areas, between the end of the III and the half of the IV cent., prove the presence of a supervising authority, the episcopus, and of a large community. The problems relating the birth of the first Christian community of Agrigento, in some respects controversial, are examined starting from the term ecclesia both in the meaning of a community of believers who adhere to the principles of the new faith that in the sense of a hierarchical organization led by a Bishop. Another major issue is the hypothesis on the definition of the territorial boundaries which also concerns, diachronically, the diocese of Triocala. Trough the criss crossed re-reading of hagiographical sources and archaeological evidence it is possible to present new considerations on the bishop’s series and its characters, Libertino, Pellegrino and Gregory. The analysis of the Christian presence in the topography of Agrigentum is also extended to the Emporion in order to seize the aspects of continuity or change with respect to the greek-roman period. The more representative sensor of the Christian space are the burials with the sub divo nucleus, the Fragapane catacomb, the “ipogei minori” and the so called byzantine arcosolia along the ancient southern walls. The only visible witness of religious building is the greek temple called “della Concordia”, turned at the end of the sixth century into the Basilica of SS. Peter and Paul.


Fig. 1. Carta delle diocesi siciliane sotto il pontificato di Gregorio Magno, 590-604 (elaborata dall’autrice)

Giuseppina Schirò

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Premessa

Il lavoro si pone in prosecuzione con gli studi sulle vicende dell’Ecclesia Agrigenti1, all’interno di un’ampia diacronia che dalle origini arriva all’epoca della rifondazione normanna, sul cui sfondo interagiscono la realtà insediativa e funeraria in stretto rapporto con la viabilità tardo antica e medievale della Sicilia centro-meridionale. La scelta di un così esteso arco cronologico ha trovato giustificazione nell’intento di offrire un quadro informativo generale, che catalizzasse lo stimolo ad approfondimenti successivi sulla strutturazione del fenomeno cristiano in questa area. Una sorta di status quo da cui prendere le mosse2. Con questo studio si intende invece circoscrivere il limite temporale fra le prime testimonianze cristiane ed il pontificato di Gregorio Magno, fra il VI ed il VII secolo. Quest’ultimo periodo, infatti, è ritenuto convenzionalmente il termine cronologico durante il quale muovono i primi passi le tendenze generali di un cambiamento “epocale” fra la tarda antichità e l’alto medioevo3. Nello specifico caso agrigentino, come per altre realtà ecclesiastiche siciliane, l’età gregoriana rappresenta un momento centrale della parabola evolutiva le cui peculiarità di certo sono state alla base del sistema amministrativo ed ecclesiastico almeno fino all’istituzione del thema bizantino (692/695)4. È proprio alla fine del VII sec. che si individua il periodo di rottura della koinè mediterranea con il processo di militarizzazione dell’Isola e il diverso assetto dei possedimenti fondiari5. La situazione geo-politica dell’isola muta sensibilmente, e al momento poco chiare risultano le dinamiche che hanno interessato la nostra area. La conquista araba prima e l’arrivo dei Normanni poi, fra IX ed XI sec.,

Schirò 2007, pp. 1940-1949; 2012a, pp. 377-382. Desidero in particolare esprimere la mia gratitudine alla prof.ssa Rosa Maria Carra per l’incoraggiamento e gli spunti offerti nella stesura del lavoro; alla prof.ssa MariaVittoria Strazzeri e al prof. Horst Enzensberger per le loro stimolanti conversazioni storiche; al prof. Philippe Pergola e alla prof.ssa Lucrezia Spera per i suggerimenti in merito all’analisi dei dati topografici. Ringrazio, infine, gli amici agrigentini Marco Falzone, Anna Montana Lampo, Marialuisa Zegretti per la generosa disponibilità, e tutti coloro che a vario titolo mi sono stati accanto. Sono grata soprattutto alla mia famiglia per la forza trasmessami. 2 Per questo quadro preliminare si rimanda alle pagine degli Atti del IX ACNAC tenutosi ad Agrigento nel novembre del 2004: Carra et alii 2007, pp. 1925-1967. 3 All’interno dell’ampia bibliografia sull’argomento si vedano: Mazza 1986, pp. 66-84; Cracco Ruggini 1993, pp. XXXIII-XLV; 1997-1998, pp. 243-269; 2004, pp. 15-24; 2008, pp. 320-326; Vera 1997-1998, pp. 52-60; Burgarella 1999, pp. 9-32; Giardina 1999, pp. 157-180; 2004, pp. 41-46; Vera-Cracco Ruggini 2002, pp. 349-379; Bowersock 2004, pp. 7-14; Marcone 2004, pp. 25-36; 2012, pp. 263-277. 4 Borsari 1954, pp. 133-158; Fasoli 1958, pp. 156-159; Oikonomidès 1964, pp. 121-130; Mazza 1986, pp. 45-46, 83-84; Nichanian-Prigent 2003, pp. 97-241; Burgarella 2004, pp. 67-74. 5 Cracco Ruggini 1980, pp. 38-40; Nef-Prigent 2006, pp. 9-64. Una posizione diversa è in Agnello 2002, pp. 17-29, che individua il punto di svolta nell’arrivo degli Arabi. 1

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porranno in essere nuove istanze storico-politiche e religiose con ulteriori conseguenze sull’assetto urbano e territoriale6. L’obiettivo principale di questa ricerca è la comprensione delle origini dell’Ecclesia agrigentina, intesa nelle diverse accezioni di aggregazione di fedeli aderenti ai principi del nuovo credo, di organizzazione strutturata gerarchicamente sotto la guida spirituale e materiale dell’episcopus, ed anche nelle sue espressioni architettonico-monumentali7. Nella consapevolezza che il costituirsi dell’una non corrisponde automaticamente all’istituzione dell’altra8, poiché nelle fasi iniziali non ci sono presupposti comuni, ci si è posti nella prospettiva di interpretare il modo in cui il processo di cristianizzazione dalla sede diocesana, urbana, si sia tradotto in termini concreti in un programma di “proiezione territoriale”. In tal senso è stato dato spazio all’analisi delle questioni connesse all’estensione dell’area sottoposta alla competenza giuridico-amministrativa e liturgica del vescovo agrigentino, e quindi al complesso ambito della geografia politico-ecclesiastica dai parametri interni molto fluidi e difficilmente definibili. Nonostante ciò, la circoscrizione agrigentina è stata riconosciuta, con le debite precauzioni, fra il corso del Platani ad Ovest e quello del Salso ad Est, e a Nord nella zona di Castronovo di Sicilia. Un breve accenno è dedicato anche alla finitima diocesi rurale di Triocala9. La ricerca si è avvalsa in modo proficuo della correlazione incrociata di dati storici, agiografici, archivistici, topografici ed archeologico-monumentali, sfruttando al meglio il potenziale di informazioni disponibili. Ed è a questo continuo dialogo che è stato chiesto di superare le carenze presenti nelle diverse linee di indagine, lamentate da tempo, e di individuare quei marcatori dello spazio cristiano urbano che ne segnano la progressiva definizione come paesaggio antropico e religioso10. All’interno di queste categorie dalla forte incidenza morfogenetica, fra cui distinguiamo in generale edifici di culto, battisteri, monasteri, ad Agrigento le aree destinate ai defunti sono il sensore più rappresentativo delle trasformazioni dell’antico assetto urbano, come le recenti indagini archeologiche hanno dimostrato11. Alla luce di queste linee programmatiche sono state affrontate le problematiche inerenti la nascita della prima comunità cristiana agrigentina nei termini in cui abbiamo inteso il concetto di ecclesia, tentando di sviscerarne i punti nodali senza tuttavia arrivare a conclusioni risolutive. Qualche nuovo spunto di riflessione si avanza a proposito della cronotassi episcopale attraverso la rilettura delle fonti agiografiche i cui protagonisti: Libertino, Pellegrino e Gregorio sono stati per lungo tempo pedine silenziose di ricostruzioni non sempre rispettose dei dati interni ai documenti scritti e delle evidenze archeologiche. Queste ultime, sebbene non numerose, correlate criticamente alla documentazione scritta riescono ad

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6 Lanzoni 1927; Carra 1999, pp. 167-180; 2002, pp. 105-117; Maurici 2000, pp. 69-88; Nef 2003, pp. 177-196; Arcifa 2013, pp. 161-181. 7 Voelkl 1954, pp. 113-114; van den Bosch 1959, pp. 66-67; Mohrmann 1977, pp. 217-220. 8 Otranto 1991a, pp. 45-79; 2007, p. 12. 9 Lanzoni 1927, pp. 642-644; De Fino 2009, pp. 31-55. 10 Per il concetto di spazio cristiano si rimanda a Testini 1985, pp. 31-48. 11 Agrigento 2007; SdA3.


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offrire validi elementi per delineare una proposta più coerente della storia del primo cristianesimo siciliano, capace di superare la lunga e reiterata posizione delle origini apostoliche12. Il passo successivo è stato quello di rintracciare in modo graduale e progressivo il materializzarsi della presenza cristiana nella topografia di Agrigentum, cogliendone, ove possibile, quei fenomeni di continuità ovvero di cambiamento nella struttura urbana tardo antica rispetto all’impianto greco-romano.

I - La prima comunità cristiana I.1 - L’Ecclesia: i termini di un problema L’interesse per la storia della diocesi agrigentina è maturato abbastanza tardivamente, nonostante per il numero di testimonianze archeologiche e monumentali sia seconda alla chiesa di Siracusa e rivesta un ruolo di primaria importanza nel quadro più generale del cristianesimo siciliano13. Soltanto negli anni ’40 del XX sec., infatti, ha visto la luce lo studio monografico di C. Mercurelli dedicato ad “Agrigento paleocristiana”, pubblicato nell’VIII volume delle Memorie della Pontificia Accademia Romana di Archeologia14. Prima, come affermato dallo stesso autore, non è stata mai scritta «un’opera particolare, che studi in tutte le sue manifestazioni il primitivo cristianesimo agrigentino», ma i diversi ambiti dell’argomento sono stati affrontati in trattazioni specifiche relative all’agiografia, alla storia ecclesiastica e in minima parte alle evidenze archeologiche15. Rispetto a tali studi parziali, gravati anche da istanze apologetiche e campanilistiche, il lavoro del Mercurelli ha ampliato la prospettiva facendo dialogare con spiccato senso critico le fonti testuali e le testimonianze archeologiche. I risultati di tale impostazione metodologica per molti aspetti si mantengono tuttora validi. Lo studioso si è avvalso da un lato della documentazione materiale relativa alle testimonianze funerarie, seppur incompleta, acquisita fra ‘800 e ‘900 dal Vigo, dal Cavallari, dal Salinas e soprattutto dal tedesco J. Führer, e dall’altro ha superato i limiti dell’opera di F. Lanzoni strettamente ancorata ad una visione storicoagiografica, erede della passata tradizione ecclesiastica16. In tal modo ha segnato un punto di partenza imprescindibile per le successive ricerche agrigentine. Quest’approccio pluridirezionale ed innovativo è stato proseguito gradualmente nei decenni successivi, anche se per altri lavori di sintesi si dovranno aspettare le pubblicazioni degli anni ’80 di “Agrigento paleocristiana e bizantina” e di “Agrigento paleocristiana”, curate rispettivamente da E. De Miro e da R. M. Carra17.

Com’è noto il problema ruota attorno alla breve sosta siracusana dell’apostolo Paolo, durante il viaggio verso Roma (Atti degli Apostoli 28, 11–12). In merito alla questione cfr. Lancia di Brolo 1884, I, pp. 32-50; Rizzo 2005-2006, I, pp. 103-105. Più in generale, sulle problematiche del primo cristianesimo siciliano: Pincherle 1964-1965; Rizzo 1986; 1988-1989; 2005-2006 (con ampia bibliografia di riferimento). 13 Carra 2007a, p. 1925. 14 Mercurelli 1948. 15 Mercurelli 1948, pp. 4-5. 16 Lanzoni 1927, pp. 639-641. Per una revisione dell’opera dello studioso faentino cfr. Ferrua 1970, p. 216; Otranto 2007, pp. 7-9. Sulla personalità e l’opera di F. Lanzoni cfr. Ferrini 2009. 17 De Miro 1980; Carra 1987. 12

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I risultati delle diverse campagne di scavo e di restauro condotte fino ad anni recenti nell’area della Valle dei Templi e presso l’Emporion hanno arricchito il quadro complessivo delle testimonianze dell’ecclesia agrigentina, dimostrandone tutto il potenziale18. Partendo da queste feconde ricerche storico-archeologiche la presente indagine si prefigge un passo in avanti, tentando di approfondire l’imput lanciato da Mercurelli sul composito e scomodo problema della geografia ecclesiastica in rapporto alle vicende organizzative della diocesi19. *** Ẻκκλησία è un termine polisemico che interessa trasversalmente sia la sfera materiale, nel senso di edificio cultuale20, che quella metaforica legata alla dimensione comunitaria dell’aggregazione dei fedeli che condividono i principi cristiani, di ascendenza vetero e neo testamentaria21. In questo secondo caso rientra anche il carattere istituzionale e gerarchico della diocesi. Sintesi completa di entrambe le accezioni è l’ecclesia episcopalis, sede del capo spirituale della comunità che qui assolve i compiti primari del suo ministero: la liturgia ebdomadaria, la catechesi battesimale ed ordinaria, il governo amministrativo e pastorale della circoscrizione a lui sottoposta22. Nelle uniche testimonianze scritte attendibili che riguardano Agrigento - lettere del Registrum di Gregorio Magno - è interessante rilevare che il pontefice nel riferirsi esplicitamente al vescovo e/o alla diocesi, accanto all’espressione in genitivo Agrigentinae ecclesiae23, impiega in modo equivalente quella di Agrigentinae civitatis24. L’uso cristiano di quest’ultimo lemma sottolinea, sulla scorta di quanto già documentato da Gregorio di Tours per la Gallia poco tempo prima, l’intimo legame identificativo fra il centro urbano e la sede episcopale25. Inoltre, com’è noto, alla fine del VI sec. la documentazione testuale impiega la voce ecclesia anche per indicare l’ambito di competenza di un vescovato26. Tale approccio implica prima di tutto l’analisi del rapporto fra la città e la struttura ecclesiastica gerarchizzata. È necessario distinguere fra l’adesione più o meno convinta ai nuovi principi del cristianesimo, cioè la conversione, che è alla base della formazione della prima comunità dei fedeli, e la nascita dell’istituzione diocesana27. Entrambi i fenomeni, in ogni caso, vanno letti in riferimento al

Agrigento 1995; Agrigento 2007; SdA3. Proprio di recente M. De Fino ha defintio l’argomento «scomodo»: De Fino 2012, p. 203. Una rassegna bibliografica sui distretti ecclesiastici si legge in Cosentino 2008, pp. 411-414. 20 Glossarium IV, cc. 2220-2238; Voelkl 1954, pp. 113-114; van den Bosch 1959, pp. 66-67; Mohrmann 1977, pp. 217-220; Iogna Prat 2006; 2010, pp. 192-194. Si veda anche Falzone in questo stesso volume. 21 Van den Bosch 1959, pp. 65-67; Mohrmann 1977, pp. 212-220, 230; Duval 1991, pp. 50-69; Cantino Wataghin 1995, p. 202. Le due accezioni emergono sia nelle fonti letterarie che in quelle epigrafiche, come dimostrano i recenti lavori di De Santis 2010, pp. 160-164; Falzone 2011, pp. 20-37. 22 Pani Ermini 1989, pp. 58-87. 23 Greg. I, Ep. V, 12. 24 Greg. I, Epp. III, 12; IV, 36. Per alcuni confronti per tale significato del termine nel Registrum cfr. Epp. II, 6,7 (Messina); 11,6 (Rimini). 25 Battisti 1959, pp. 655, 665. 26 Cosentino 2008, p. 31, pp. 30-31. 27 Cracco Ruggini 2002, pp. 99-100. Per il concetto di conversione cfr. Lewis-RamboCharles- Farhadian 20052, III, coll. 1969-1974, 1969. 18 19

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II.2b - Le aree cimiteriali comunitarie sub divo Il cimitero a cielo aperto di Agrigento occupa un’ampia fascia racchiusa all’interno dell’antico circuito murario, la cui estensione era limitata ad Ovest dal tempio di Ercole e ad Est da quello della Concordia (Fig. 37). Rispetto al più ampio quadro siciliano di testimonianze funerarie di questo tipo, la nostra realtà rappresenta una felice eccezione per lo stato di conservazione, l’estensione e lo studio sistematico. L’intera area si articola in tre nuclei distinti topograficamente e cronologicamente, con una progressione che si può seguire da Ovest verso Est e in direzione Sud al limite del costone roccioso497. Il primo nucleo, più antico e consistente, è costituito da due parti distribuite rispettivamente ad Ovest e a N-NE della c.d. Grotta di Fragapane, indagato in parte dal Griffo negli anni ’50 in occasione degli interventi per la realizzazione della Via Sacra498. I lavori ripresero a partire dal 1985 con le campagne di scavo nell’area a NE dell’ipogeo comunitario, dove si concentrano ben 95 tombe lungo i lati del corridoio di accesso (Figg. 40-41-42). E soprattutto è stato indagato l’intero settore occidentale, esteso lungo il banco calcarenitico lievemente digradante verso N-NO, composto di 35 tombe, a circa 8 metri dall’ambulacro499. Il limite del nucleo cimiteriale, servito dalla “via dei sepolcri”, corre a Nord lungo una fila di tombe a cassa dalle pareti lisce, definite sarcofagi, poste su un basso basamento ed orientate in senso E-O. Al momento dello scavo le stesse erano già violate e strutturalmente distrutte (in rosso nella Fig. 41)500. La più diffusa fra le tipologie tombali è la forma, a sezione trapezoidale e orientata in senso S-N, che segue la pendenza naturale del banco roccioso501.

Fig. 42. Agrigento, necropoli sub divo: settore ovest (Archivio fotografico Dip. Culture e Società)

Carra 1990, pp. 391- 412. Griffo 1952, pp. 191-199. 499 Carra 1995a, pp. 5-6, 38-39. 500 Carra 1995a, p. 33. 501 Da tale disposizione derivava che il capo degli inumati veniva a trovarsi nel punto a quota maggiore e cioè a Sud o ad Ovest, cfr. Carra 1995a, p. 33. 497 498

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Fig. 43. Agrigento, necropoli sub divo: tomba T21 “a cupa” (Archivio fotografico Dip. Culture e Società)

Rispetto al gruppo limitaneo le tombe sul piano di roccia erano per la maggior parte sigillate da lastre di calcarenite locale, legate con malta e rivestite uniformemente da uno spesso strato di intonaco di colore bianco502. L’apertura di alcune formae ha consentito di assumere informazioni sul loro “uso”, ed è emerso che in più casi sono presenti deposizioni plurime503. Un piccolo numero di tombe si dispone, in senso E-O, all’interno dello spazio di risulta lasciato libero fra i sarcofagi e le altre formae S-N (in verde nella Fig. 41)504. L’assetto distributivo e la tipologia trovano stringenti confronti con la necropoli africana di Salsa a Tipasa505, oltre che con diversi cimiteri a cielo aperto della cuspide sud-orientale della Sicilia506. All’interno dell’indistinta serie di formae si trovano alcune tombe con peculiari sistemi di copertura: una tomba a cupa (E-O) -T21- ancora chiusa, realizzata su uno zoccolo risparmiato direttamente sulla roccia con conci ben squadrati, su cui si imposta la particolare copertura semicircolare (in blu nella Fig. 41). A Sud di essa si trova una piccola nicchia (Fig. 43). Questa tipologia richiama, come è noto, diversi contesti funerari dell’area mediterranea, dalle coste nordafricane, alla Spagna, alla Sardegna e alla stessa Sicilia507. La T28 ad Est è monumentalizzata da un segnacolo di pietre a forma troncoconica, legato con malta e cocciopesto; un altro tumulo di pietrame alto circa m 0,40 evidenzia la T12508.

Le formae T3, T4, T5, T6, T7, T8, T10, T11, T14, T15, T16, T19, ancora chiuse al momento della scoperta, sono state indagate. È stato effettuato il prelievo osteologico per analisi paleoantropologiche e paleonutrizionali, cfr. Carra 1995a, p. 34, n. 6; Rocco 1995, pp. 328-356. 503 Per esempio T11 e T15, Carra 1995a, pp. 36-37. Per l’impiego del termine “uso” in ambito funerario cfr. Cavada 1998, p. 124, tab. 1. In alcuni casi la presenza di consanguinei in una stessa tomba lascia pensare a sepolture familiari, Carra 1995a, p. 41. 504 Carra 1995a, p. 33, si tratta delle T11, T17, T18, T26. 505 Christern 1968, pp. 193-258; Février 1970, pp. 191-195; Bouchenaki 1975. 506 Carra 1995a, p. 40. 507 La tomba non è stata indagata per preservarne la struttura architettonica, cfr. Carra 1995a, pp. 34, 37. Per le diverse regioni chiamate a confronto si rimanda a Giuntella et alii 1985, pp. 31-33; (Cornus) Bernabò Brea 1988, p. 96 (Lipari, Predio Zagami); Pelagatti-Di Stefano 1999, pp. 25-26, fig. 10a (Kaukana); e di recente Vitale 2012, pp. 91-93 (Sabratha). In generale, per la particolare tipologia, che ad Agrigento trova confronti nella tomba addossata all’edificio funerario absidato sito nella zona del Vallone S. Biagio, si vedano i contributi di Bacchielli 1986, pp. 303319; Baratta 2006, pp. 1669-1681; Romanò 2009, pp. 149-217. 508 Carra 1995a, p. 34. Questo tipo di copertura si ritrova nella necropoli sarda di Cornus, e in Sicilia in quella di c.da S. Agata nel territorio di Piana degli Albanesi (PA): cfr. Giuntella et alii 1985, pp. 17, 25; Greco et alii 1991, pp. 163-165. 502

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Fig. 44. Agrigento, necropoli sub divo: T22 (da Agrigento 1995)

È da segnalare infine la disposizione in gruppo di tre formae - T19, 20, 22 - il cui rivestimento di intonaco delle lastre di copertura circoscrive una superficie omogenea funzionale alla deposizione del corredo rituale per l’espletamento del refrigerium509. La lastra di copertura della T19 presenta un foro di condotta idrica in corrispondenza del petto dell’inumato, funzionale alla libagione510. Lungo il lato orientale vi è un breve muro su cui è posto il segnacolo della T22 che assume il profilo di una piccola nicchia per le offerte (in viola nella Fig. 41; Fig. 44)511. Il settore testé descritto, sulla base dei materiali recuperati nelle campagne di scavo, si è impiantato fra il terzo venticinquennio del III sec. d. C. e l’età costantiniana512. I materiali ceramici e vitrei, rinvenuti all’esterno delle tombe,

Anche in questo caso le tombe non sono state indagate: Carra 1995a, pp. 34, 37.Una situazione analoga è documentata per le tombe 34-35-36 del cimitero tardo antico sub divo di Predio Zagami, a Lipari: Meligunìs Lipára VII, p. 28, tavv. IV, 2; XV, 1. 510 Per la tomba cfr. Carra 1995a, p. 36; per il dispositivo rituale cfr. Stasolla-Marchetti 2010, p. 132. 511 Carra 1995a, pp. 34, 37, fig. 9. 512 Per altri contesti cimiteriali precostantiniani a carattere misto nell’isola si vedano la realtà siracusana (Vigna Cassia, S. Maria del Gesù, primo impianto di S. Lucia): Agnello 1954, pp. 760; 1957, pp. 235-243; 1971, pp. 25-54; Greco 1999; quella lilibetana (Corso Gramsci): Carra 1993-1994, pp. 1457-1464; 2003b, pp. 821-827; Giglio 2007, pp. 1793-1794. 509

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Fig. 45. Agrigento, necropoli sub divo: orecchino aureo dalla T10 (da Agrigento 1995)

avvalorano l’ipotesi sull’espletamento del rituale del refrigerium513. Fra i vetri è presente vasellame da mensa (bottiglie, bicchieri, coppe), prodotto in vetro soffiato trasparente, dalle pareti molto sottili, nei colori azzurro, verde e giallo-verdognolo, vetri conici, forse lampade sospese dentro un anello metallico e lucerne troncoconiche su base apoda, con minuscole anse verticali al di sotto dell’orlo514. Le forme documentate si attribuiscono al IV-V sec., alcune di importazione dal Vicino Oriente, dalla Gallia e dall’Africa515. La produzione ceramica, presente con diverse classi, rappresenta un importante indicatore delle linee di scambio dei traffici nell’area mediterranea che facevano tappa ad Agrigento attraverso il suo scalo sulla costa516. I reperti numismatici confermano il suddetto arco cronologico, si tratta infatti di esemplari bronzei circolanti fra IV-V sec.: dagli antoniniani di Tetrico I, di modulo ridotto e peso leggero, stile barbaro (III-IV sec. in Sicilia), ai folles di Costantino nei tipi PROVIDENTIAE CAESARUM e GLORIA EXERCITUS, emessi dalle zecche di Roma e Costantinopoli fra il 326-327 d.C. Il gruppo più consistente è quello delle monete di Costanzo II, del tipo FEL TEMP REPARATIO, con l’imperatore che si avventa sul nemico caduto da cavallo517. Il dato temporale più basso è fornito dalla presenza di alcuni AE4 di Teodosio I, di Arcadio ed Onorio, delle serie SALVS REIPVBLICAE (388-395), SPES ROMANORUM (392-394), SALVS REIPVBLICAE (423-425), e dai minimi di V secolo. L’ultimo momento di frequentazione viene posto pertanto nel corso della prima metà del V sec., caratterizzato da una forte discontinuità documentata anche da uno spesso strato di bruciato518. Vige nella necropoli il più assoluto anonimato e la semplicità nelle deposizioni dei defunti, non sono stati rinvenuti infatti titoli epigrafici o simboli riferibili all’orizzonte cristiano519; neanche oggetti appartenenti al corredo personale degli inumati, eccetto l’orecchino a cerchio aureo di forma circolare, con chiusura a gancio e perlina passante di pietra leggera o di osso rivestita in oro, proveniente dalla 520 T10 (Fig. 45) e databile sulla base dei confronti con esemplari rinvenuti in altri contesti cimiteriali siciliani (Sofiana, Salemi) al V secolo521.

Per i materiali cfr. Ardizzone 1995; Carra 1995a, pp. 141-190; 207-235; Lima 1995, pp. 237-292. In generale, sull’argomento si vedano Spera 2005, pp. 26-32; De Santis 2008, p. 4537; Rubio Navarro 2008, pp. 4477-4479 e la relativa bibliografia di riferimento. 514 Esemplari simili a Cornus, databili fra IV-V secolo, cfr. Giuntella et alii 1985; Giuntella 1990; 1999. 515 Ardizzone 1995, pp. 126-140. 516 Cfr. infra III - “L’Ẻμπορῖον”. 517 Macaluso 1995, pp. 303-323; 2007, pp. 310, 316, tabella 17. 518 Carra 1995a, p. 33, n. 1. 519 Carra 2008, pp. 222-223. 520 Ardizzone 1995, pp. 294, 299, nr. 85.602, tav. XVIII, 8. 521 Orsi 1942, p. 146, tav. XI, 6; Bonomi 1964, p. 194, fig. 30; Carra 1984, p. 23, nr. 23. Un esemplare simile al nostro, ma con un vago passante di pasta vitrea, proviene dalla necropoli pugliese della Masseria Basso nel territorio di Canne, cfr. Campese Simone 2003, p. 110, fig. 75. 513

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