Catacomba di Villagrazia di Carini. Il cubicolo X20. Ricerche 2008-2013
Emma Vitale
Dipartimento Culture e Società - Università degli studi di Palermo Quaderni Digitali di Archeologia Postclassica diretti da Rosa Maria Carra Volume realizzato con il contributo dei fondi dell’Università degli studi di Palermo Gli apparati iconografici - ove non diversamente specificato - sono della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra Desidero ringraziare la Professoressa Rosa Maria Carra per la fiducia che ha voluto accordarmi, in questi anni, affidandomi la responsabilità dell’indagine stratigrafica del cubicolo X20. La ringrazio di cuore per avermi incaricata dello studio di questo importante spazio funerario della catacomba di Villagrazia di Carini, e per la pazienza con cui ha seguito le fasi di questo lavoro. La mia gratitudine va, altresì, alla Casa Editrice Antipodes, che ha accolto la mia ricerca con la competenza e la professionalità di sempre.
In copertina: Catacomba di Villagrazia di Carini, veduta generale del cubicolo X20. In quarta di copertina: il monogramma costantiniano dell’arcosolio A6.
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ISBN 978-88-96926-43-7
Emma Vitale, Catacomba di Villagrazia di Carini. Il cubicolo X20. Ricerche 2008-2013, Antipodes, Palermo 2014.
ABSTRACT KEYWORDS: Villagrazia di Carini, catacomb, archaeological investigation, structural date, cubicle X20.
The X20 is one of the most considerable cubicles in the catacomb. It consists of a quadrangular funerary chamber (mt 8 x 5) preceded by a square dromos of 1,80 mt, and derived by an earlier arcosolium with two graves. The tombs are twenty-nine: twelve arcosolia both for adults and for children, a niche for a child, two lithic sarcophagi and fourteen formae. The archaeological investigations and the structural date indicate that the cubicle is the result of four different phases of development. In the first phase (IV.a) X20 is a square chamber of 3,56 mt. with arcosolia for children along the dromos and the north side of the room, entirely frescoed with flowers and leafs, symbolizing the Heaven. Later (phase IV.b) the chamber is enlarged westward, and in front of the entrance the adult burials are arranged scenically. Finally (phases IV.c-d) the floor is entirely occupied by formae. The cubicle was used by a numerous and wealthy family group for several generations, by the end of the fourth/beginning of the fifth to the seventh/eighth century, as it seems also indicated by the pottery finds. After their abandonment, most of the burials were violated, and during the Middle Age the chamber was several times reused for agricultural and pastoral activities.
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Fig. 1. Planimetria del settore nord della catacomba di Villagrazia di Carini, indagato alla fine del XIX secolo (da Salinas 1899)
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Introduzione
La ricerca archeologica nella catacomba paleocristiana di Carini, avviata a partire dall’anno 2000 dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra con la collaborazione della Cattedra di Archeologia Cristiana dell’Università di Palermo, ha segnato la ripresa delle indagini sistematiche nell’unico cimitero ipogeo tardoantico di questo lembo della Sicilia occidentale, a cento anni dagli scavi condotti da Antonio Salinas, su indicazione del barone Starrabba, nel mese di agosto 1899 nel settore della catacomba che si sviluppa a Nord dell’attuale Strada Statale 1131 (Figg. 1-3). Da quattordici anni, regolari campagne di scavo con cadenza annuale, concentrandosi nel settore sud mai indagato dal Salinas, stanno riportando alla luce quello che è ormai considerato con certezza il più vasto cimitero paleocristiano della Sicilia occidentale, emanazione di una comunità cristiana forte e numerosa, in continua crescita, caratterizzata, al suo interno, da nuclei economicamente abbienti e aggiornati rispetto al dibattito teologico e dottrinale coevo, e che si servì del cimitero per molte generazioni, dal pieno IV secolo fino alle soglie dell’invasione islamica della Sicilia2. A partire dagli inizi dell’età bizantina, l’ipogeo carinense venne a coincidere con la catacomba di una sede diocesana, l’ecclesia carinensis, citata per ben due volte nell’epistolario gregoriano e attestata fino al pieno VIII secolo, fulcro di un comprensorio territoriale che, dall’antichità fino ad almeno gli inizi dell’età moderna, fu rinomato per la sua fertilità, per la ricca produzione agricola e per le attività silvo-pastorali (Fig. 4)3. Fra i settori del cimitero riportati alla luce negli anni più recenti si annovera il cubicolo X20 (Figg. 5-7), un imponente spazio funerario privato che, con i suoi caratteri di prestigiosa monumentalità, va ad aggiungersi agli esempi già editi, costituiti dagli ambienti VIII19, X10 e X154. Nel corso della campagna 20002001, con l’avvio dell’esplorazione della galleria X e la rimozione dei riempimenti alluvionali che la ostruivano fino a cinquanta centimetri dalla volta, sul lato occidentale dell’ambulacro X era stato rimesso in luce il profilo curvilineo del varco di accesso, a metri 2,50 di distanza dal lucernario P6, che segna la confluenza fra la direttrice VII-X – l’arteria matrice Nord-Sud intorno a cui di organizza il settore meridionale del cimitero – e i corridoi VIII-IX, che la intersecano in senso Est-Ovest. Completamente interrato e, pertanto, non distinguibile rispetto alla sequenza dei polisomi per adulti che scandisce le pareti del corridoio X, il cubicolo è stato indagato nell’arco di cinque campagne di scavo, dal 2008 al 2013. Le unità stratigrafiche dei riempimenti indagate e rimosse sono riconducibili, in sintesi, a tre
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Salinas 1899. Carra et alii 2007; Carra et alii 2008; Carra et alii 2010; Carra 2013. Vitale 2011; Materiali ceramici. Carra et alii 2008; Cipriano 2014.
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Fig. 2. Villagrazia di Carini. Relazione topografica fra le gallerie del settore sud del cimitero e le strutture del sopratterra (rilievo strumentale e restituzione grafica arch. F. Scirè 2013 per la PCAS)
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Fig. 3. I moderni varchi di ingresso alla catacomba, nel cortile del Baglio Pilo
principali tipi di eventi: 1) depositi alluvionali post-antichi, filtrati all’interno del cubicolo sia dai settori limitrofi del cimitero, sia dal sopratterra attraverso il lucernario P10, coevo all’impianto del vano; 2) strati di pietrame informe, riconducibili sia a una fase di riuso post-antico dell’ambiente, sia alla violazione intenzionale delle sepolture parietali; 3) livelli di calcarenite sfarinata, esiti del progressivo degrado del banco roccioso conseguente alla fine dell’utilizzo a scopo funerario. La sequenza stratigrafica è risultata, nel complesso, coerente con la periodizzazione riconosciuta, nel corso delle precedenti campagne di scavo negli altri settori della catacomba 5; tuttavia, le indagini condotte sia nella camera X20, sia nella limitrofa X15, i cui esiti sono stati di recente editi6, hanno consentito di pervenire a una più puntuale defini-
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Fig. 4. Il sito della catacomba (n. 42) in rapporto con il torrente della Grazia e con l’insediamento tardoantico (n. 51) di San Nicola (da Vitale 2011)
Carra et alii 2007, pp. 1857-1859 ; Carra et alii 2008, tabelle 1-2 a p. 122. Cipriano 2011-2012; Cipriano 2014.
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Fig. 5. Villagrazia di Carini. Planimetria generale della catacomba, con indicazione del cubicolo X20 (rilievo strumentale e restituzione grafica arch. F. Scirè 2013)
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Fig. 123 a-b Brocca V.10.1121.5
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8) Inv. V.10.1121.5. (Fig. 123a-b). Brocca. Dalla pulizia della sezione stratigrafica fra A11 e 12. Frammento dell’orlo e del collo. H 7,6; largh. 5,4; spessore orlo 0,8; spessore parete 0,5; diametro orlo 8. Argilla marrone rosato (7.5YR7/6) FA1; incrostazioni all’esterno, all’interno e in frattura. Alto collo cilindrico con orlo arrotondato e leggermente estroflesso, segnato esternamente da tre cordonature. Ricorda le morfologie delle brocche con orlo estroflesso dalla necropoli della basilica di Sofiana: Lauricella 2002, p. 176, n. 25 e fig. 6 (VI sec. d.C.), ma senza la nervatura centrale. Richiama anche n. 1 brocca da Madonna dell’Alemanna (Gela): Panvini 2002, pp. 60-61, n. 2 e fig. 1a (V-VI sec. d.C.). Produzione regionale (?). V-VI secolo. Inedita. 9) Inv. V.10.1121.7 (Fig. 124). Brocca di tipo non definibile. Frammento del collo, della spalla e della parete. H 13; largh 12; spessore parete 0,7/04 in prossimità del collo. Argilla giallo rosato (5YR7/6) FA1. Evidenti segni del tornio all’interno. Incrostazioni terrose su entrambe le superfici e tracce di annerimento da combustione (?) all’esterno. Largo collo a sezione cilindrica, che si unisce alla spalla senza soluzione di continuità, e che reca un segno simile ad un rho seguito da uno iota in maiuscola corsiva, impresso nell’argilla fresca. Corpo globulare cordonato Cfr. per la forma: n. 1 dalla necropoli di Mimiani: Panvini 2002, pp. 260-261, n. 4 e fig. 1 (VI-VII sec. d.C.); n. 1 dalla villa romana di Patti: Puglisi Sardella 1998, p. 778 e p. 791, fig. 2 (quinto profilo dall’alto. VI-VII sec. d.C.). Produzione regionale (?). VI-VII secolo. Inedita.
Fig. 124 Forma chiusa V.10.1121.7
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Fig. 125 a-c Forma chiusa V.10.1121.7
10) Inv. V.11.1135.4 + V.11.1135.6. (Fig. 125a-c). Olla ansata. Due frammenti dell’orlo e della parete. Lungh max orlo 15; dimensioni max parete 13 x 8; spessore parete 1,1; lungh. ansa 12; largh. ansa 2,5; spessore orlo 1,6; diametro a orlo 20. Argilla marrone rosato (5YR6/6) FC4. Incrostazioni all’esterno e all’interno. Orlo a sezione triangolare, sotto il quale si imposta un’ansa orizzontale a sezione ellittica, leggermente inclinata verso l’alto. Spalla decorata con due linee a zig-zag impresse nell’argilla fresca, al di sopra e al di sotto dell’ansa. Cfr. per la forma: Fulford-Peacock 1994, p. 72, n. 38, fig. 4.13 (IV-V sec. b d.C.). Regione di HammametNabeul. VI-VII secolo. Inedita.
c
Fig. 126 Forma chiusa V.11.1135.5
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11) Inv. V.11.1135.5. (Fig. 126). Forma chiusa non definibile. Quattro frammenti, di cui tre contigui e solidali, relativi alla parte inferiore del corpo ed all’innesto del fondo piano. Dimensioni max 9,9 x 5,5; 6,5 x 3,4; 5,6 x 2,5; 5,1 x 2,5. Spessore parete: 0,5. Argilla marrone rosato (5YR6/6) FA1. Incrostazioni ed estese tracce di esposizione al
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fuoco su entrambe le superfici. Tre solcature segnano la superficie fra l’area di massima espansione e il fondo. Produzione regionale (?). V-VI secolo. Inedita. La ceramica da cucina (Cat. nn. 12-19; Figg. 127-134) Le stratigrafie dei riempimenti dei Periodi II e III del vano X20 hanno restituito, fra l’altro, anche otto esemplari di ceramiche da fuoco, per i quali, anche in assenza di indagini archeometriche, sembra da escludere una provenienza nordafricana. Tanto le caratteristiche degli impasti, quanto le morfologie ne suggeriscono, infatti, una collocazione nel quadro di quelle produzioni da cucina a circolazione regionale, che recenti linee di ricerca sulla cultura materiale siciliana stanno iniziando a delineare in modo sempre più definito, soprattutto in rapporto ai secoli della dominazione bizantina e della prima età islamica213. Più nello specifico, le forme funzionali sono riconducibili a sei casseruole e a due olle214; partecipi, sul piano morfo-tipologico, dalla diffusa tendenza al conservatorismo che caratterizza questo genere di manufatti, si articolano in tre differenti categorie di impasti che, per quanto distinti esclusivamente su base autoptica, consentono di proporne, tuttavia, un primo inquadramento crono-tipologico. Casseruole con fabric CCu3: metà V-VII/VIII secolo (cat. nn. 12-13). Il repertorio morfologico più antico è documentato dall’esemplare V.11.1135.3 (cat. n. 12; Fig. 127a-c), un orlo di casseruola emisferica foggiata al tornio lento, con piccola presa a orecchia collocata in corrispondenza dell’orlo ingrossato; per l’impianto generale, trova confronto nel tipo di contenitore più caratteristico di una produzione locale di area etnea o iblea riconosciuta di recente fra i contesti archeologici compresi fra la seconda metà del V e la fine del VI secolo nella cuspide sud-orientale della Sicilia; tale produzione si caratterizza per l’impasto compatto di colore bruno, con inclusi di dimensioni molto piccole, bianchi o appena brillanti e, comunque, di natura vulcanica215. Un esemplare analogo, sia per la forma che per il tipo di impasto, è documentato pure fra i materiali relativi all’ultima fase di frequentazione dell’insediamento tardoantico di contrada Carabollace presso Sciacca (fine del VI secolo)216. Allo stato attuale delle conoscenze, e in vista di future precisazioni su base archeometrica, questa produzione è stata interpretata come un ulteriore tassello nel più ampio panorama delle casseruole emisferiche con orlo ingrossato e variamente orientato, foggiate a mano o al tornio lento, che si diffondono in Italia meridionale e nel Mediterraneo fra il V e il VII secolo, a latere dei coevi manufatti
Cacciaguerra 2010; F. Agrò in Ardizzone-Agrò 2014; E. Pezzini in Ardizzone-Pezzini-Sacco 2014, pp. 211-214. 214 Le casseruole corrispondono ai seguenti numeri di inventario: V. 11.1135.3; V. 11.1121.10; V. 10.1162.1; V. 07.1121.6; V. 09.1121.14; V. 09.1133.4 (cat. nn. 12-17). Le olle sono rappresentate dagli esemplari: V. 07.1121.11; V. 11.1191.1 (cat. nn. 18-19). 215 Cacciaguerra 2010, pp. 302, 308 e fig. 4,6 (Periodo IIa). 216 Caminneci-Franco-Galioto 2010, pp. 276, 281 e fig. 2,14. Affine dal punto di vista morfologico generale, ma diverso per la conformazione a nastro dell’ansa appare, invece, il tegame di inizi VII secolo dalla Crypta Balbi di cui in Saguì-Coletti 2004, pp. 263, 265 e Tav. XIV,75. Di rilievo è il fatto che, per l’impasto ricco di inclusi micacei, viene considerato di importazione, ma senza ulteriori indicazioni. 213
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con impasti vulcanici del Golfo di Napoli. La sua comparsa, in Sicilia, rappresenterebbe la risposta alla scomparsa di talune forme della Pantellerian Ware tramite l’introduzione di una pentola che sarà recuperata dalla tradizione artigiana locale più tardi – come appunto sembra dimostrare la casseruola carinense, caratterizzata da un impasto che rimanda al secolo VIII – e alle soglie della conquista islamica, ma con un profilo maggiormente carenato217. Il momento successivo della stessa produzione è stato riconosciuto fra gli inizi del VII e la metà dell’VIII secolo (Periodo IIb); caratterizzato dall’impiego del tornio veloce in un’ottica di manifattura standardizzata e specializzata, esso offre un confronto plausibile per la seconda casseruola dal cubicolo X20 con fabric CCu3, Inv. V.11.1121.10 (cat. n. 13; Fig. 128a-b). Si tratta di una morfologia con orlo verticale e ingrossato, con una risega all’interno in corrispondenza dell’incontro con la parete218. Nel contesto di questa articolata morfologia, la cui circolazione, a differenza della precedente, sembra ancora più circoscritta al solo ambito della Sicilia orientale – con particolare riferimento al territorio megarese -, le varianti con risega interna, presente anche nell’esemplare carinense, appaiono le più tarde in assoluto, giungendo fino alla metà dell’VIII secolo. E allo stesso orizzonte cronologico rimanda pure il confronto, anche se non parimenti stringente, fra la pentola di Carini e la casseruola con orlo ingrossato rientrante K 80/108, edito da Fabiola Ardizzone e relativo a un contesto cefaludese di VIII secolo219. Sulla base dei confronti e delle cronologie sopra riportati, riteniamo, dunque, plausibile poter riferire le due casseruole con impasto CCu3 ancora alle fasi più tarde della frequentazione funeraria del cimitero, già ben oltre le soglie dell’età bizantina. Casseruole con fabric CCu1: VIII secolo (cat. nn. 14-17) Quattro casseruole emisferiche, tutte provenienti da livelli relativi al Periodo II, sono accomunate da un fabric di colore nero con numerosi inclusi calcitici di medie e grandi dimensioni a spigoli vivi e piccoli inclusi quarzosi. I materiali dal vano X20 contribuiscono, dunque, ad arricchire il quadro delle attestazioni di un particolare tipo di ceramica da cucina, attestato in diversi siti del Mediterraneo occidentale a partire dal VII secolo e distinguibile per il colore nero o grigio scuro dell’impasto, dovuto alla cottura in ambiente riducente che, insieme al largo utilizzo di granuli di calcite, determina un’elevata resistenza al calore220. Ad analoghi esemplari da contesti cefaludesi di pieno VIII secolo rimandano entrambe le casseruole V.10.1162.1 (cat. n. 14; Fig. 129a-c) e V.07.1121.6 (cat. n. 15; Fig. 130a-c)221. Il rimando cronologico pare, nello specifico, ulteriormente avvalorato dalle analogie morfologiche generali riscontrabili fra l’esemplare V.07.1121.6 e alcune pentole emisferiche dalla Crypta Balbi databili fra il pieno VII e l’VIII secolo222. Del tutto evidente è, poi, l’affinità tipologica fra le due cas-
Ardizzone 2004, pp. 376-378. Cacciaguerra 2010, pp. 303, 309 e fig. 5,7. 219 Ardizzone 2004, pp. 378-379, fig. 2b. 220 Sull’argomento, Ardizzone 2004 con ampia bibliografia precedente. 221 Ardizzone 2004, pp. 378-379, fig. 2b, Inv. K80/94,2a (cfr. V.10.1162.1); ibidem, pp. 378379, fig. 2b, Inv. K80/94,2b (cfr. V.07.1121.6). 217 218
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