Studi in memoria di Fabiola Ardizzone. 3. Ceramica

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Quaderni Digitali di Archeologia Postclassica diretti da Rosa Maria Carra

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Studi in memoria di Fabiola Ardizzone 3 Ceramica a cura di Rosa Maria Carra Bonacasa - Emma Vitale

Palermo 2018


Dipartimento Culture e Società - Università degli Studi di Palermo Quaderni Digitali di Archeologia Postclassica diretti da Rosa Maria Carra Volume realizzato con il contributo dei fondi dell’Università degli Studi di Palermo

Si tratta del terzo dei quattro QDAP (nn. 10-13) dedicati alla memoria di Fabiola Ardizzone da un folto gruppo di colleghi e allievi. Gli argomenti trattati sono stati suddivisi per tematiche: 1.Epigrafia e Storia; 2. Scavi, Topografia e Archeologia del paesaggio; 3.Ceramica; 4.Varie. Comitato Promotore: Rosa Maria Carra, Elisabetta De Minicis, Sauro Gelichi, Maria Chiara Lambert, Simonetta Minguzzi, Marcello Rotili, Emma Vitale.

Comitato Scientifico: Fabrizio Bisconti, Carlo Ebanista, Vincenzo Fiocchi Nicolai, Chiara Maria Lambert, Rossana Martorelli, Danilo Mazzoleni, Philippe Pergola, Giuseppe Roma, Marcello Rotili. CoLLANA CoN REFEREE

In copertina: New York, The Metropolitan Museum of Art, Nr. di ingresso 57.51.21. Particolare della miniatura con anfore allineate in una farmacia. Foglio da un manoscritto disperso di una traduzione in arabo del De materia medica di Dioscoride. Calligrafo Abdullah ibn al-Fadl, Bagdad 621 H. / 1224 d.C. In quarta di copertina: Anfora con decorazione dipinta in rosso, dal Castello di Maredolce, Palermo. XII secolo. Profilo dell’anfora con iscrizione “1 mudd” dal relitto di Lido Signorino (Marsala), produzione palermitana. XI- XII secolo. Copyright © 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Antipodes s.a.s. via Toscana 2 90144 Palermo www.antipodes.it E mail: info@antipodes.it

ISBN 978-88-99751-44-9

Studi in memoria di Fabiola Ardizzone. 3. Ceramica, R. M. Carra Bonacasa - E. Vitale (a cura di), Antipodes, Palermo 2018.


INDICE

Ceramica islamica a Palermo. La formazione di un orizzonte produttivo di Lucia Arcifa, Alessandra Bagnera

observations archéologiques et archéométriques sur les amphores globulaires de l’Afrique byzantine di Michel Bonifay, Claudio Capelli

Fabiola Ardizzone: due saggi inediti di Maria Vittoria Fontana

Ceramiche venete nelle Marche nei secoli XIII e XIV di Sauro Gelichi, Sergio Nepoti

Ceramiche da mensa dal monastero benedettino di Monreale di Marco Manenti Nuovi dati sulle anfore di fine X-XI secolo dal relitto “A” di Lido Signorino (Marsala) di Filippo Pisciotta, Nicolas Garnier

Le matrici culturali della ceramica comune medievale dallo scavo dell’Ipogeo P di Agrigento di Daniela Raia

Le anfore prodotte a Palermo in eta’ islamica: mercato urbano ed esportazioni di Viva Sacco

Cefalù: testimonianze di cultura materiale dall’Alto Medioevo al XII secolo di Amedeo Tullio

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Ceramica islamica a Palermo. La formazione di un orizzonte produttivo

Lucia Arcifa*, Alessandra Bagnera**

ABSTRACT KEYWoRDS: Islamic Palermo pottery productions, pottery kilns typologies, painted wares, glazed wares, Byzantin, Fatimid, Abbasid, East Mediterranean, IfrÄŤqiya, Iraq, Iran This paper aims to a preliminary analysis of the Palermo ceramics productions, which, not attested in the late IX-early X century contexts recently reviewed, can be dated from the immediately following period, namely during the tenth century. In continuity with the approach we used to examine the Islamization processes underlying the first productions (Arcifa Bagnera 2018), useful elements are analyzed to allow the different registers and cultural influences composing the productive horizon of the capital of the Sicilian emirate to be highlighted. By focusing on some key arguments related both with the morphological and decorative repertoires and the manifacturing techniques as indicators of wider processes, new research paths emerge towards three main directions: a) measuring the maintenance and / or changes of the previous, preislamic components within the new production framework, as well as the possible intervention of new inputs; b) to identify the main articulation features of the Palermo productions and workshops; c) to assess how and to what extent the productive reality of Palermo fits whithin the networks, circuits and relationships dynamics defining the main ceramic horizons of the 9th-10th century Islamic world. *UniversitĂ degli studi di Catania - l.arcifa@unict.it **bagnera.alessandra@gmail.com

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L. Arcifa, A. Bagnera - Ceramica islamica a Palermo. La formazione di un orizzonte produttivo

In anni recenti gli studi avviati in occasione del convegno palermitano Les dynamiques de l’islamisation coordinato da Annliese Nef e Fabiola Ardizzone hanno rappresentato un importante aggiornamento delle ipotesi di ricerca ed hanno fornito nuove modalità di approccio allo studio della cultura materiale islamica in Sicilia1. La revisione dei contesti islamici precoci ritrovati a Palermo consente di disporre di nuove griglie cronologiche nonché di cogliere l’ampiezza delle problematiche connesse alla islamizzazione della cultura materiale palermitana ed isolana2, tra cui il riconoscimento e la definizione di un linguaggio specifico nell’ambito del più vasto quadro produttivo di area mediterranea. A questa prospettiva di studio si lega, in particolare, l’esigenza di un approccio che, accanto ad una sempre più puntuale definizione crono-tipologica, approfondisca i temi della produzione: gli aspetti tecnologici, la trasmissione dei saperi artigianali, l’organizzazione dei processi produttivi e i riflessi sociali e culturali3. Si tratta di argomenti che cominciano a coinvolgere con analisi specifiche non solo le produzioni invetriate, dove il grado di novità tecnologica è da sempre evidente, ma anche le ceramiche ‘comuni’ e le produzioni da fuoco. Un secondo punto, strettamente correlato al precedente, riguarda la necessità di un’analisi meno settoriale in cui l’approccio integrato alle produzioni medio bizantine e proto islamiche siciliane possa utilmente convergere verso una migliore definizione della cultura materiale, contribuendo ad illustrare la formazione di un orizzonte produttivo che, pur appartenendo ad una più ampia koinè mediterranea, si caratterizza in modo specifico, raggiungendo nel tempo un grado di riconoscibilità, sul piano morfologico e decorativo, che andrà meglio definita. In questo contributo ci proponiamo pertanto di proseguire le riflessioni già avanzate in occasione del convegno del 2014 proponendo alcuni approfondimenti e piste di ricerca che tengono in conto gli interessi scientifici perseguiti da Fabiola Ardizzone, le cui ricerche sugli aspetti tecnologici della produzione, condotte a partire dallo studio dei materiali della fornace della Valle dei Templi ad Agrigento e delle anfore da trasporto palermitane, hanno contribuito alla valorizzazione delle tematiche dell’archeologia della produzione di età islamica e normanna4. La nostra analisi prende dunque l’avvio dalle ultime acquisizioni relative ai contesti palermitani di pieno/fine IX - inizi X recentemente editi, e afferenti all’area urbana di Palermo5. Il processo di islamizzazione delle produzioni ceramiche di Palermo, appare già ampiamente avviato nel corso del IX secolo; l’analisi dei contesti relativi all’insediamento urbano nell’area prospiciente il porto della città evidenzia l’avvenuta islamizzazione delle Nef, Ardizzone 2014. Arcifa, Bagnera 2014; Ardizzone, Pezzini, Sacco 2014. 3 Cfr., in particolare su quest’ultima tematica, Arcifa, Bagnera 2018. 4 Bonacasa Carra, Ardizzone 2007; Arcifa, Ardizzone 2009; Ardizzone 2010; Ardizzone c.d.s. 5 Arcifa, Bagnera 2014; Ardizzone, Pezzini, Sacco 2014; Arcifa, Bagnera 2018; Ardizzone, Pezzini, Sacco 2018. 1 2

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forme della ceramica non rivestita attraverso l’introduzione di una serie di oggetti - dunque di nuovi usi e pratiche quotidiane - che per forma e funzione condividono la koinè culturale che anima il Mediterraneo islamico. È evidente l’apparizione di un nuovo repertorio nella ceramica comune da mensa, in prevalenza schiarita, con una diversificazione di forme sia aperte che chiuse; ma anche nella ceramica da fuoco, con una prevalenza di olle con ampio orlo a mandorla, bracieri e coperchi. Contestualmente, la presenza nella ceramica comune di alcuni tratti morfologici riconducibili alla locale tradizione produttiva pre-islamica, così come l’importanza quantitativa della ceramica dipinta, definiscono la cifra peculiare di questo orizzonte ceramico che tra fine IX e primi del X secolo vede un’ulteriore innovazione con l’introduzione delle tecniche dell’invetriatura. Già in queste prime produzioni invetriate, le differenze apprezzabili in termini di forme, decorazioni e processi tecnologici consentono di rintracciare l’esistenza di influenze diversificate, di cui è possibile cogliere la persistenza anche in ambiti produttivi riferibili al pieno X secolo. In linea generale, proprio la complessità del know-how che sottende all’introduzione dell’invetriatura, determina una organizzazione produttiva indirizzata verso forme di specializzazione degli ateliers che suggerisce l’importanza di una classificazione tecnologica dei manufatti -ancor più che la distinzione per classi funzionali. La stretta connessione che possiamo intravedere tra specializzazione produttiva e tradizioni tecnologiche consente, come vedremo, di comprendere meglio il radicamento e la coerenza interna di certe produzioni nel tempo. (L.A. e A.B.) Tipologie di forni e specializzazione produttiva La compresenza di strutture produttive differenziate caratterizza molti dei contesti islamici fin qui noti, nei quali convivono forni di chiara matrice romana e tardoantica, con piano di separazione forato, e fornaci a barre6. Le diverse tipologie delle strutture produttive che fanno capo a modelli e tradizioni tecnologiche differenti rispondono alle esigenze di una diversificazione funzionale coerente in questa fase con un cospicuo incremento della produzione. Il forno a barre, in particolare, il cui più antico esempio è noto in area orientale7, si diffonde in ambito mediterraneo a partire dalla fine del IX secolo e introduce nell’organizzazione del lavoro una più marcata specializzazione con particolare riferimento alla produzione delle ceramiche da mensa invetriate. A questo proposito è utile sottolineare che la revisione dei dati relativi al Medio oriente, ha ridimensionato tale nesso a favore dell’idea di un impiego più ampio di questi forni utilizzati anche per la cottura di ceramiche ‘senza rivestimento, dipinte o con rivestimento, ma di dimensioni non molto grandi e non troppo pesanti, essendo senza dubbio questo il massimo limite di questo tipo di forno’8. Di contro, le fornaci tradizionali con piano forato sono utilizzate sia per la produzione di materiale da costruzione (mattoni, laterizi) che per oggetti di più grandi dimensioni, come anfore e grandi contenitori. Per un’ampia panoramica in Al-Andalus si veda il contributo di Coll Conesa, García Porras 2010. La compresenza di strutture produttive diversificate comprese fornaci a barre, introdotte tra X e XI scolo, accomuna anche il territorio greco come dimostra la recente rassegna a cura di Hasaki, Raptis 2016. 7 Come è noto gli esempi più antichi risalgono già al IX secolo e sono stati individuati a Samarcanda: cfr. Thiriot 1997, p. 366. 8 Thiriot 1997, p. 365; Coll Conesa, García Porras 2010, p. 31. 6

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Fig. 1. Attestazioni in Sicilia di fornaci a piano forato e fornaci a barre e/o scarichi relativi

La diffusione e la compresenza dei due diversi tipi di fornace (a barre e a camera con piano forato) è stata ben studiata nel caso di al-Andalus9. Tra i casi noti, quello di Cordova presenta elementi di grande interesse documentando l’esistenza, all’interno dei sobborghi sorti attorno alla madina, di aree topograficamente ben differenziate dove si istallano officine produttive specializzate: da età califfale e fino ad epoca almohade i forni a barre sono disposti nell’area intorno all’avenida de las Ollerías10; nel sobborgo di al-yanib al-garbi ad ovest della madina sono invece presenti forni del tipo a pianta quadrata e piano forato, funzionanti in epoca califfale11. Nel primo caso la produzione è collegata all’ambito domestico, con materiale di piccola dimensione: lucerne, anforette, kanūn, boccali, arcaduz12; mentre nel caso dei forni tradizionali la produzione è orientata ai contenitori di grandi dimensioni, anfore da dispensa, nonché ai materiali da costruzione. Per quel che riguarda la Sicilia, a fronte di una serie di ritrovamenti relativi a fornaci o scarti di produzione13 (Fig. 1), manca ancora un approccio sistematico all’archeologia della produzione con riguardo all’organizzazione e alla specializzazione produttiva delle botteghe, quale sembra configurarsi a partire dal tardo IX secolo in connessione con l’introduColl Conesa, García Porras 2010. Molina, Salinas 2010; Molina, Salinas 2013. 11 Pastor, Dortez, Salinas 2010. 12 Molina, Salinas 2010, p. 46. 13 I dati riguardano in massima parte fornaci attribuite ad età tardo islamica e normanna il cui inquadramento andrà comunque rivisto anche alla luce delle nuove datazioni e acquisizioni storiografiche. Per le fornaci di contrada Santa Lucia ad Agrigento cfr. Ragona 1966; D’Angelo 1972; Fiorilla 1990; Cilia Platamone, Fiorilla 2004; Cilia Platamone, Fiorilla 2009; per quelle rinvenute nell’area della necropoli paleocristiana nella Valle dei Templi cfr. Bonacasa Carra, Ardizzone, Macaluso 1991; Bonacasa Carra, Ardizzone 2007; Ardizzone 2010; per Siracusa Fiorilla 1992; Fiorilla 2009; per Piazza Armerina, da ultimo Pensabene, Alfano, Carloni, Ventura 2014; Alfano, Carloni Pensabene 2016; per Mazara Molinari 1995; Molinari 2012; per Paternò Messina 2016. 9

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zione delle produzioni invetriate. Nel caso di Palermo (Fig. 2), l’unica fornace nota del tipo a barre è stata individuata presso il Teatro S. Cecilia, dove le indagini archeologiche hanno permesso di localizzare una bottega di vasaio specializzata nella produzione di vasellame invetriato da mensa, di lucerne e di albarelli. La struttura produttiva della bottega prevedeva l’uso di almeno due forni (Fig. 3), l’uno per la produzione del biscotto (fornace circolare, priva del piano di cottura con i manufatti esposti direttamente al fuoco) e l’altro, appunto del tipo a barre, per la seconda cottura a vetrato14. La specializzazione della bottega messa in luce al Teatro S. Cecilia è ulteriormente comprovata da una serie di scarichi di fornace rinvenuti nel tempo a Palermo (Fig. 2.3) che coprono un ampio arco di tempo dal X al XII secolo e che, guardati nel loro insieme, forniscono elementi utili per delineare la sua articolazione produttiva quale sembra strutturarsi nel corso del X secolo a Palermo15. Un primo problematico contesto è costituito dal rinvenimento degli scarti di produzione nell’area del Castello a Mare (Fig. 2.4). Le modalità del recupero, privo di dati archeologici, non rendono certi della completezza delle informazioni: il gruppo di ceramiche presentate attesta la produzione di catini carenati, ciotole con coperchio, rinvenuti sia allo stato di bi-

Fig. 2. Palermo, attestazioni di fornaci a barre o scarichi relativi. 1. Ex Monastero dei Benedettini Bianchi; 2. Via Lungarini; 3. Teatro S. Cecilia; 4. Castello a mare; 5. Arco dei cartari 6. Via Vetriera

Spatafora, Canzonieri, Di Leonardo 2012. Si veda il quadro complessivo proposto in Aleo Nero c.d.s. e Battaglia, Canzonieri c.d.s. rispettivamente per le attestazioni di attività produttive nel centro storico e nell’area della stazione. 14

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scotti che già invetriati16. Nel caso dello scarico dei Benedettini Bianchi (Fig. 2.1), databile tra fine XI e inizi XII secolo, per quanto le modalità del rinvenimento non siano note, lo studio del contesto nella sua totalità mostra con evidenza una produzione specializzata in ceramica da mensa invetriata e schiarita, con forme aperte (catini carenati ed emisferici, ciotole con coperchio, tazze) e chiuse (albarelli, micro vasetti, anforette e brocchette con filtro e beccuccio versatoio), lucerne e cosiddetti “scaldavivande”17. La specializzazione produttiva della bottega del Monastero dei Bianchi sembra confermata anche nel caso del rinvenimento di via Lungarini (Fig. 2.2), cronologicamente poco più tardo, datandosi tra la fine dell’XI e la prima metà del XII secolo. L’analisi tipologica dello scarico di fornace attesta, pur in assenza di un quadro quantitativo, la produzione di ceramiche da mensa, rappresentate da catini emisferici e scampanati e da brocche 18. In entrambi i casi non siamo a conoscenza di dati relativi alle strutture per la cottura, ma la presenza di barre da forno consente di avvalorare anche in questi casi lo stretto rapporto tra produzioni da mensa invetriate e schiarite e tecnologia del forno a barre. Al di fuori del contesto palermitano (Fig. 1), almeno un altro rinvenimento, quello di Mazara, in via T.G. Romano, attesta chiaramente la medesima articolazione produttiva per una fase databile tra la seconda metà del X e l’XI secolo: l’analisi degli scarti rinvenuti, in connessione a barre da forno e distanziatori mostra una precisa articolazione della produzione orientata a soddisfare le richieste di ceramica da mensa schiarita e invetriata (catini carenati e del tipo emisferico, tazze, tazzoni, fiasche e brocche con filtro), e oggetti destinati all’illuminazione19.

Fig. 3. Palermo, Teatro S. Cecilia, planimetria delle due fornaci (da Spatafora et alii 2012, p. 25 fig. 2) D’Angelo 1986. Arcifa 1996; all’interno del contesto sono poi presenti alcuni frammenti di ceramica sovra dipinta in bianco inizialmente attribuiti alla produzione della medesima bottega (ibid., p. 470). La scarsa percentuale di attestazione (3,8%) unitamente alla diversa valutazione della specializzazione produttiva degli ateliers, oggetto di questo contributo, induce a rivedere l’interpretazione allora avanzata e a ritenere tali esemplari corredo della bottega. 18 D’Angelo 2005; D’Angelo 2012. 19 Molinari, Valente 1995; Molinari 2012. 16 17

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Fig. 4. Agrigento, Rabato. Planimetria delle fornaci (da D’Angelo 1972, p. 136)

Più complessa risulta l’analisi delle fornaci di Agrigento e per le quali si è parlato di produzione non specializzata. Nel caso di quelle rinvenute nell’area del Rabato, contrada S. Lucia (Fig. 4), sembra trattarsi del tipo a barre, due affrontate e una ubicata poco più a Nord. In apparenza l’analisi degli scarti rinvenuti pare documentare una larga varietà di produzioni da anfore e contenitori di grandi dimensioni, acromi o schiariti, a prodotti invetriati, ceramiche da mensa a schiarimento superficiale, lucerne20. In realtà, almeno nel caso della terza fornace, le indicazioni provenienti dal giornale di scavo permettono di ac14

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Fiorilla 1990 ; Cilia Platamone, Fiorilla 2009.


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certare che il fondo della fornace era «colmo di cenere mista a terra e conteneva vasellame non passato alla seconda cottura benché già decorato e ricoperto di vetrina»21: si tratta verosimilmente dell’ultimo carico della fornace non completato che ancora una volta indirizza rispetto ad una produzione di ceramica da mensa come nei casi fin qui esaminati. La presenza nei livelli soprastanti di grandi quantità di vasellame acromo in frammenti di grandi dimensioni sembra piuttosto prospettare l’esistenza di un riempimento secondario dopo la dismissione della fornace. Si tratta anche in questo caso di scarti riferibili ad una produzione di anfore e grandi contenitori che potrebbero anche fare riferimento a fornaci di tipologie differenti, magari attestate nella stessa area, la cui estensione doveva essere ben più vasta rispetto a quella messa in luce nel corso dei rinvenimenti degli anni ’60 del secolo scorso22. Il quadro delle produzioni agrigentine va poi ampliato considerando le fornaci ubicate nella Valle dei Templi che attestano per la prima volta fornaci a piano forato per la produzione di ceramica comune (Fig. 5). L’atelier della Valle dei Templi ubicato nell’area della necropoli paleocristiana, lungo la via dei sepolcri, infatti, mostra una produzione piuttosto ampia riferibile a prodotti da cucina e da mensa non invetriati, ma soprattutto anfore acrome e dipinte e propone la stretta associazione tra fornaci a piano forato e produzioni di anfore23. L’ubicazione dell’atelier in un’area divenuta nel tempo a forte vocazione agricola è in questo senso interessante perché permette di ipotizzare una connessione stringente tra fornaci di anfore e luoghi di immagazzinamento24 e contribuisce indirettamente a porre in evidenza la questione della dislocazione delle aree produttive in ambito urbano e con riferimento alla stessa Palermo.

Fig. 5. Agrigento, Valle dei Templi, fornaci presso la catacomba Fragapane (da Bonacasa Carra 1991, p. 311 fig. 57) 21 D’Angelo 1972. 22 Ringrazio Salvina Fiorilla, che ha in corso di studio i manufatti, per le informazioni in proposito. 23 Bonacasa Carra 1991; Bonacasa Carra, Ardizzone 2007; Ardizzone 2009; Bonacasa Carra 2013, in particolare pp. 235-254; da ultimi Falzone, Schirò 2018. Per la fornace scoperta presso il Ginnasio si veda Fiorentini 1996, ma appartiene ad un altro atelier. 24 Ardizzone c.d.s.

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Fig. 6. Giordania, Pella (Tabaqat Fahl), ceramica dipinta dall’abitato di età islamica (VIII-inizi IX secolo) (da Walmsley 1995, p. 663, fig.6.1-9; p. 665, fig. 7.8-10)

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I dati disponibili per la Sicilia orientale sembrano confermare una analoga specializzazione della produzione: per quel che riguarda Siracusa, il complesso rinvenuto presso l’Apollonion e interpretato come scarico di fornace mostra interessanti percentuali tra le classi ceramiche rinvenute; pur con la necessaria prudenza dovuta alle modalità del rinvenimento e del recupero, l’analisi preliminare del contesto evidenzia una preponderante presenza di ceramiche da mensa invetriate (catini, tazze, boccali, brocchette, lucerne) (95% di cui 10% di ipercotti); 3% ceramiche prive di rivestimento (catini, anfore, boccali, broc-


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chette, lucerne). Scarsamente attestate le ceramiche da fuoco (1%) e anfore o grandi contenitori25. Come si vede dunque una produzione specializzata in ceramica schiarita o invetriata da mensa, probabilmente ubicata in un contesto urbano, in prossimità del porto26. Anche i rinvenimenti della Villa del Casale presso Piazza Armerina attribuiti ad uno scarico di fornace, databile tra fine X - primi XI secolo, prospettano, attraverso la presenza congiunta di barre da forno e prodotti invetriati locali, l’esistenza di fornaci specializzate per la produzione invetriata; la compresenza di fornaci tradizionali, nell’ambito dello stesso sito, è poi suggerita dal ritrovamento della fornace a piano forato ricavata presso le rovine del calidarium nelle Terme Meridionali, anche se databile ad una fase di poco posteriore (XI secolo)27. Il panorama dei dati al di fuori della capitale mostra, come si vede con una certa costanza, fornaci a barre specializzate per la produzione invetriata o schiarita (come nel caso di Mazara, del Rabato ad Agrigento, di Siracusa) e fornaci tradizionali (Valle dei Templi), con una produzione piuttosto variegata per categorie funzionali e tecnologiche (ceramica da fuoco, ceramica da mensa, anfore da dispensa schiarite e dipinte) ma priva di rivestimenti vetrosi. Il caso di Palermo, pur in assenza di dati relativi alle produzioni acrome o dipinte, avvalora la suddivisione delle produzioni in almeno due o tre ambiti produttivi: la ceramica prodotta nei forni a barre si ascrive in massima parte alle produzioni da mensa schiarite, invetriate, alle forme per illuminazione e si registra la totale assenza di ceramiche da fuoco, anfore dipinte e acrome da dispensa e da trasporto evidentemente prodotte da settori specializzati della filiera produttiva28. Tale specializzazione è certamente ben comprensibile in ragione dell’importanza economica e commerciale del centro con produzioni orientate verso il consumo locale e verso le esportazioni; ma accomuna, comunque, i centri urbani e località rurali anche in contesti produttivi rivolti essenzialmente al soddisfacimento del mercato locale. Essa sembra piuttosto riflettere la complessità delle tradizioni tecnologiche compresenti nel panorama produttivo isolano dove si integrano il know how tecnologico legato al mondo islamico e le competenze pregresse connesse alle tradizioni locali. A questo proposito è interessante osservare che, anche sul piano semantico, la stessa terminologia utilizzata dalle fonti islamiche utilizza termini differenti per indicare i diversi mestieri connessi alla produzione di giare e a quella dei piatti29. Mestieri per i quali sembra possibile ipotizzare anche una diversa localizzazione degli impianti produttivi all’interno dei centri urbani: nel caso delle fornaci a barre la stretta connessione con il nucleo urbano sembra un dato ricorrente a partire dai ritrovamenti di Palermo (forni o scarichi di fornace ubicati nei quartieri sorti intorno al qaṣr)30, Siracusa (forni a barre all’interno di ortigia), Agrigento (quartiere artigianale del Rabato). Ben poco sappiamo invece delle altre produzioni che costituiscono una percentuale importante dei contesti archeologici (ceramica dipinta, ceramica da fuoco, produzioni specializzate come anfore da trasporto) e che a Fiorilla 2009. Per la discussione sul problematico rapporto tra contesto archeologico e ambito urbano Fiorilla 2009, p. 204. 27 Pensabene, Alfano, Carloni, Ventura 2014; Alfano, Carloni Pensabene 2016. 28 Per le produzioni di ceramica da fuoco si veda da ultimo Pezzini, Sacco c.d.s. in cui si ipotizza, sulla base dell’analisi petrografica, almeno due diverse produzioni specializzate per le ceramiche da fuoco. 29 M. Messina, Per una storia della frontiera arabo-bizantina nella Sicilia orientale: la madīna di Paternò nel taġr siciliano, Tesi di laurea Magistrale in Archeologia, AA. 2015/2016. 30 Si veda l’ubicazione dei ritrovamenti in D’Angelo 2012, p. 40, fig.5. 25 26

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giudicare dai dati disponibili (sia pure ex silentio) vanno probabilmente connesse a fornaci tradizionali del tipo a piano forato, localizzate probabilmente in aree prossime ai luoghi di produzione e immagazzinamento, come sembra suggerire il caso delle fornaci rinvenute nella Valle dei Templi lungo la “via dei sepolcri”, ad Est della catacomba Fragapane31.

Una produzione specializzata: la ceramica dipinta Il quadro appena esposto va tenuto presente anche ai fini di un migliore inquadramento della produzione di ceramica dipinta che costituisce una cifra specifica di contesti islamici palermitani e isolani. La connessione qui ipotizzata tra ceramica dipinta e fornaci a piano forato, indipendentemente dalla localizzazione dei luoghi di produzione tutta da definire, fornisce, infatti, una utile chiave di lettura per comprendere le sue caratteristiche, alla luce del contesto tecnologico peculiare. Se, da una parte, i prodotti ceramici connessi al forno a barre sono il risultano di una rapida innovazione, cui si connette il profondo rinnovamento, funzionale e tecnologico, delle ceramiche da mensa, nel caso della produzioni dipinta è evidente un linguaggio decorativo e morfologico peculiare e coerente nel tempo, privo di riferimenti immediati con le produzioni coeve di area maghrebina. In linea generale il suo sviluppo sembra potersi inquadrare nell’ambito del più ampio riferimento all’area del Mediterraneo orientale32 dove la tradizione di ceramiche dipinte appare fortemente consolidata nei livelli bizantini di VI-VII secolo e prosegue nelle produzioni della prima età islamica del Vicino oriente (Siria, Giordania, Palestina) dall’VIII secolo in poi, che si muovono ancora nel solco delle tradizioni tecnologiche di età tardo antica33. Si tratta di manifatture locali con tratti distintivi ma che mostrano ampi paralleli nello stile e nei repertori decorativi che spesso, come nel caso siciliano, utilizzano motivi di tipo geometrico (spirali, punti, linee ondulate). Tuttavia la sua comparsa in Sicilia sembrerebbe tardiva, forse nel corso dell’VIII secolo, e si sviluppa in modo più consistente nel corso del IX secolo; questa sfasatura cronologica rende complessa la valutazione delle sue filiazioni rispetto alle tradizioni ben attestate nel Mediterraneo orientale bizantino di Painted Ware, quali l’Anatolia34 e/o alle produzioni di Red Painted Ware riconosciute in siti quali Pella (Fig. 6) o Jerash e distribuite in un’ampia area del Bilād al Shām, per le quali va comunque tenuto presente che in alcuni casi si tratta di dipinte su ingobbio35. La sua complessa articolazione sul piano funzionale e formale non è ancora del tutto nota36: essa abbraccia, nel tempo, anfore acquarie, da dispensa, da trasporto, anforette e brocchette di più piccole dimensioni destinate alla mensa, con una certa analogia rispetto alle classi funzionali interessate nelle aree del Mediterraneo orientale37; la loro attestazione Bonacasa Carra 2013. Arcifa, Bagnera 2014, pp. 170-172. 33 Walmsley 2000; Vroom 2017. 34 Jackson 2016. 35 Walmsley 1995 per Pella; Uscatescu Marot 2016 per Jerash, con bibliografia; Delougaz, Haines 1960, pp. 34-35 per la dipinta di Khirbat al-Karak; Walmsley 2000. 36 Arcifa, Ardizzone 2009, pp. 176-180; per un inquadramento crono-tipologico con particolare riguardo alle anfore da trasporto si veda Sacco 2018; Sacco c.d.s. 37 Si veda a questo proposito il nesso tra produzione dipinta e anfore destinate al trasporto dell’acqua ipotizzato per alcune delle anfore di Pella: Walmsley 1995, p. 664, ware 12. 31 32

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all’interno dei contesti palermitani è piuttosto cospicua e, pur in mancanza di una preciso quadro crono-tipologico, è possibile seguirne lo sviluppo dal IX fino all’inoltrato XII secolo (Fig. 7). Come si è visto, infatti, la sua apparizione caratterizza i contesti islamizzati nel corso del IX secolo, già prima delle comparsa delle produzioni invetriate, costituendo uno degli indicatori più precoci per la fase proto-islamica. La possibilità di confronto delle caratteristiche morfologiche salienti di queste prime produzioni, con particolare riguardo alle anfore da dispensa (fondi umbonati, trattamento degli orli, anse a solcatura mediana, pareti cordonate), con le produzioni locali, ancorché acrome, databili agli inizi del IX secolo, esemplificate dai rinvenimenti di Rocchicella (Mineo)38, evidenzia un panorama di stretta affinità con i contesti medio bizantini di poco anteriori. Il linguaggio decorativo specifico sembra collocarsi all’interno di una più vasta evoluzione della ceramica dipinta nell’isola che comincia ad apparire nei contesti bizantini della Sicilia orientale nel corso dell’VIII secolo39 per diventare poi più consistente tra IX e X secolo40. I rapporti tra le due produzioni non sono ancora chiari, anche per la mancanza di dati relativi a fasi medio bizantine a Palermo o nella Sicilia occidentale ma è evidente ancora nei contesti proto-islamici di quest’area il mantenimento di alcune delle caratteristiche morfologiche appena enunciate. Questa linea evolutiva che comincia ad evidenziarsi attraverso le più recenti acquisizioni unitamente alla stretta relazione con le fornaci a piano forato di tradizione romana e tardo antica, quale si desume dai dati sopra esposti, rafforza l’idea di vedere nella produzione dipinta palermitana il risultato di una evoluzione interna ancorata a tradizioni di matrice bizantina e comunque dall’area del vicino oriente. Se esaminiamo i repertori decorativi, d’altra parte, è evidente già nel corso del IX secolo e più chiaramente nel X secolo una certa diversificazione dei linguaggi tra Est e ovest dell’isola per i quali non è possibile, allo stato attuale, valutare in modo approfondito eventuali primogeniture, influenze reciproche e modalità di circolazioni. Nel caso della dipinta attestata nella Sicilia orientale41, il repertorio è caratterizzato da decori curvilinei, motivi a loop o a macchie (Fig. 8), con significativi paralleli in area tirrenica ed adriatica42, nell’ambito di una più ampia attestazione di Painted Ware che, come si diceva, abbraccia le coste meridionali dell’Anatolia, Cipro, Creta, la Grecia continentale, la Siria, Giordania, Palestina, Egitto43. Ancor meno chiara la valutazione dei motivi decorativi che caratterizzano la dipinta palermitana (motivi a bande verticali e sinusoidali e, in seguito, a tratti obliqui) per i quali non è possibile invocare al momento coevi riferimenti in area mediterranea44. La circolazione in apparenza diversificata sembra rispecchiare per questa fase tra IX-X secolo la forte diversificazione territoriale dell’isola tra area occidentale, ampiamente islamizzata, e area orientale ancora bizantina. Longo 2016, p. 40, tav. VIII. Cfr. il contesto di S. Agata la Vetere a Catania, databile nel corso dell’VIII secolo, dove compare ceramica dipinta sia pure in piccole percentuali Arcifa 2010, p.122. 40 Arcifa, Ardizzone 2009, pp. 172-176. 41 Arcifa, Ardizzone 2009. 42 Vroom 2012, pp. 368-370. 43 Vroom 2012, p. 369 nota 38 per bibliografia. Con particolare riguardo al motivo a loops continui, disposto verticalmente si noti il parallelismo stringente con decorazioni analoghe su anfore di produzione locale di Jerash databili tra VI-metà VII secolo: Uscatescu, Marot 2016, pag. 285 e fig.4.7, fig. 5.1-2. 44 Si veda l’analisi proposta in Arcifa, Bagnera 2014, pp. 171-172. 38 39

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Fig. 7. Palermo, Castello S. Pietro, vano V; principali forme della ceramica dipinta dagli strati di riempimento (UUSS 185, 197, 222) del pozzo 184, utilizzato tra X e prima metĂ XI secolo


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Fig. 8. Attestazioni di ceramica dipinta da contesti della Sicilia orientale (IX-X secolo): 1. Enna, Castello di Lombardia, III cortile; 2-4. Taormina, cisterna Cigala Managò; 5. Taormina, S. Pancrazio; 6. Valguarnera (EN), contrada Marcato; 7. Bronte, contrada Edera

A fronte del quadro attualmente disponibile, d’altra parte, disponiamo di pochi ma significativi contesti ‘precoci’, databili tra IX e inizi X secolo, che lasciano intravedere la maggior complessità del registro decorativo delle produzioni palermitane, in questa fase sperimentale (Fig. 9): negli strati riferibili alla fase proto-islamica di Castello San Pietro e Palazzo Bonagia è infatti possibile verificare la compresenza di anfore decorate a bande sinusoidali (Fig. 9.2,4) e anfore decorate con motivi a loop (Fig. 9.1) o genericamente curvilinei45; i ritrovamenti della Gancia e dall’area del Qasr attestano poi un repertorio vario e poco standardizzato - piccoli punti o motivi a chevron entro archetti (Fig. (9.3,6,7) -, con interessanti punti di contatto nelle produzioni di area siro-palestinese, non più utilizzato nelle fasi successive. Anche gli scarichi della fornace della Valle dei Templi, riferibili alla fase IV di uso della fornace, mostrano una compresenza di decorazione a motivi curvilinei e a macchie con il repertorio tipico della dipinta islamica a bande e tratti obliqui46. Ancora più interessanti i ritrovamenti nei contesti cronologicamente più avanzati di Paternò (seconda metà X-XI scolo)47, e di Merì (ME)48 (XI secolo), dove la compresenza tra decorazioni a motivi curvilinei e anfore dipinte a bande di produzione palermitana sembra potersi meglio inquadrare all’interno del progressivo processo di islamizzazione che interessa a partire dall’avanzato X secolo i territori della Sicilia orientale: contesti culturalmente misti caratterizzati dalla permanenza di un doppio registro produttivo dove è ancora possibile percepire la compresenza tra matrice islamica e tradizioni bizantine. Arcifa, Bagnera 2014. Bonacasa Carra, Ardizzone 2007, pp. 182-183. 47 Messina c.d.s. 48 Arcifa 2002, p. 27. 45 46

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