Quando la vita ti sorprende

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{Romanzo}

Lorenza Negri

QUANDO LA VITA TI SORPRENDE


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Copyright © 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it In copertina foto di Letizia Milighetti “Tramonto a Zara” ISBN: 978-88-99751-60-9

Lorenza Negri, Quando la vita ti sorprende, Antipodes, Palermo 2018


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Ai miei figli e nipoti perchĂŠ senza di loro questo libro non avrebbe senso.

La causa di ogni cosa è nel suo fine (Anassagora V sec a.c.)


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È

Capitolo I una morbida sera di settembre sulla punta estrema della penisola Salentina. Il sole si dissolve rosseggiando ombre e colori sulle mura affrescate della sala d’armi nel castello di Acaja. La sala gremita accoglie con luci soffuse il brusio dell’attesa. Mi guardano e aspettano che io dica qualcosa, ma la mente è bloccata e non riesco a comporre alcun pensiero. Il mio sguardo è agganciato ai suoi occhi. È in prima fila, nella poltrona riservata alle persone importanti; e non potrebbe essere diversamente. Mi attrae soprattutto la luce che c’è nei suoi occhi. Un riflesso così intenso da non poter essere eluso. Ed è stato per quell’attimo, quel battito ciglia come freccia nel futuro, che io ho potuto dare un senso alla mia vita, e che sono qui adesso. Un momento magico che ha reso la mia vita degna di essere vissuta. Ora guarda verso di me. Il bagliore incandescente nei suoi occhi profondi è come un faro che illumina i miei pensieri e proietta nella mente l’immagine della prima volta che il nostro sguardo si è scontrato. Quel giorno, l’intenso colore verdemare si rispecchiava identico nei nostri occhi. Gli sguardi s’incrociarono come sfidanti in duello. Il corridoio del secondo piano del palazzotto, che la facciata rifatta di recente non privava dell’aria antiquata, rimbombava di urla e richiami di bambini. Le finestre riflettevano come specchi il grigio plumbeo della giornata invernale. E così mi sentivo anch’io. Percepivo di essere osservata, giudicata, soppesata come merce da 5


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quegli occhi indagatori, diffidenti, penetranti come spilli. Non mi sottrassi alla sfida. Nascosi la mia dolcezza in uno sguardo affilato che rispose: perché mi guardi così? Che cosa vuoi da me? La falsa arroganza serviva a celare quanto ero sospettosa, turbata, spaventata. Pensavo che tutti potessero farmi del male. Troppa sofferenza avevo visto, troppa ne avevo subita. Inimmaginabile che qualcuno mi guardasse solo per cercare di capirmi, conoscermi, e farsi comprendere. Quali grandi barriere sono paura e dolore: sono come lenti d’ingrandimento difettose, deformano e confondono le emozioni, anche quelle sincere che vogliono costruire e non distruggere. E come potevo io avere ancora fiducia dopo le orribili esperienze che avevo vissuto? Seppure fossi molto giovane, erano state innumerevoli e dolorose più di quante in una vita intera ne potesse sostenere una sola persona. A volte mi sentivo come una vecchia con troppi anni sulle spalle. Nella sala il mormorio ha alzato il tono e sta serpeggiando fra la gente. Il relatore ha avvertito la mia titubanza nel parlare e ha concesso la parola a un uomo dai folti capelli bianchi trattenuti da un cappello nero, nonostante il caldo. Suppongo sia un giornalista o qualcosa del genere. Parla lentamente, nello stesso tempo si arrotola i baffi, come seguendo un pensiero lontano nel tempo.

«La guerra elude l’ipocrisia, crollano le maschere, non c’è più tempo per mentire. Questo diario è, se così si può definire, l’espressione di una visione della guerra che trasforma l’inchiostro in sofferenza, ricordi, sogni sconfitti. Perché chi sperimenta la guerra ha solo un grande desiderio: arrivare al termine della nottata. La guerra la fanno gli Stati ma sono le persone che pagano il prezzo della sofferenza e del sangue versato. La guerra distrugge ogni legge, ogni limite. Tutto diventa possibile quando il futuro non promette niente, se non guerra e tragedie ambientali. L’ine6


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luttabilità del male che ne consegue induce al pensiero che il nucleo della malvagità sia contenuto all’interno dell’essere umano, e ciò lo rende capace di commettere le peggiori efferatezze. Quando si avverte la morte molto vicina, è fin troppo facile perdere se stessi e il buon senso e diventare avidi di ogni genere di droga, sesso, alcol, armi. Ciò che ne consegue è che in guerra, in qualche modo, si è tutti perdenti.»

Eh sì, belle parole. Spero che il suo discorso duri a lungo così ho un buon alibi per procrastinare ancora un po’ il mio intervento. I ricordi affollano impazienti la mia mente. Io, incapace di allontanarli, indolente, mi lascio sommergere. Essi, appena trovano un piccolo varco escono come un fiume che tracima, inaspettato e non voluto. Mi isolo dal brusio che ho intorno come dentro a un bozzolo e, con gli occhi rivolti a un nascosto pensiero, ritrovo tutte le sensazioni sospese nel tempo. Mi sento funambola cercando l’equilibrio fra esse. L’assurda guerra con lo sfacelo che aveva causato alla mia vita, ha inciso in me un solco incolmabile, sia nel corpo sia nella mente. Con ingenua incredulità la mia tanto amata Croazia aveva visto scoppiare l’insensato e inammissibile conflitto, seppur prevedibile, dato i continui scontri fra le varie etnie. Bastava veramente poco per scatenare l’oltraggio che infiammava gli animi e fare esplodere tafferugli fino alla comparsa di armi sempre più pericolose e assassine. L’unico fine era di distruggersi a vicenda. La gente spaventata pensava solo ad accumulare provviste, credendo che da un momento all’altro potesse venire a mancare il necessario per sfamarsi. Era già successo in altri tempi, ma per motivi contingenti l’aspetto politico del momento. La povertà non era certo sconosciuta nel mio paese. A questo 7


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proposito si raccontava una storiella: c’è un Croato che piange sul bordo della strada, di lì passa il Signore e gli dice: “Uomo confidami la tua pena, saprò consolarti”. E lui: “Signore, sono Croato.” Il Signore rispose “Ah, beh! Allora non c’è niente da fare.” Sì, è vero, non siamo un popolo di cuor contento, ma orgogliosi di essere croati questo sì. E anch’io sono orgogliosa di esserlo seppure con un sottofondo amaro, a causa di tutti i tormenti subiti. Rivedo con gli occhi del cuore i monti ricoperti di pino di Aleppo, così fitti da celare luci e suoni. Nelle città, prima del conflitto, c’era di tutto: negozi raffinati, pub irlandesi, caffè simili a quelli delle grandi città europee. Ah! Com’era bello il mio paese in tempo di pace. La dolcezza mi pervade l’animo al ricordo e contrasta con il brulichio inquieto di persone e il loro andirivieni continuo nella sala, con punte di assoluto silenzio se la persona che parla è un personaggio celebre. I relatori si alternano sul piccolo palco allestito per l’occasione. Bene, è un buon pretesto per evitare ancora una volta di parlare. Non sono ancora pronta. Infatti, nella mia mente, il fiume dei ricordi non trova il percorso per il mare dell’oblio e s’insinua in piccole diramazioni facendo affiorare continue immagini come cerchi concentrici indotti da un sasso gettato in uno stagno. In questo momento rivivo, con la stessa intensità di allora, il giorno che ha dato la svolta rilevante alla mia vita.

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Capitolo II

C

ome al solito, anche quella notte prima di addormentarmi avevo scritto per alcune ore, disseppellendo ricordi ed emozioni che credevo di avere rimosso. La luna piena mi aveva agitata. Il sonno convulso, con il fluire di sogni mascherati ai quali non riuscivo a dare un significato chiaro, mi aveva lasciato in una sensazione di percezioni alterate. Il mattino mi trovò inquieta, sentivo che stava per accadere qualche evento. Presentivo di essere in attesa di qualcosa, ma non ero preoccupata. Anch’io, come mia nonna materna, ho il dono della premonizione, e in genere, nel tempo, quello che avverto risulta vero. In altre epoche sarei stata messa al rogo, perché conosco bene piante, fiori, erbe officinali e con esse mi diverto a creare strani miscugli con cui curo diversi malesseri; sono contenta di vivere in tempi meno oscuri e rischiosi di falò. Quel mattino aveva l’incipit di una bella giornata. I raggi di sole filtravano nell’aria vaporosa la rugiada, gli odori della notte e i profumi dei fiori dormienti. Fu facile trovare il buonumore. Mi recai a scuola come al solito. A un certo punto della mattinata non mi stupii più di tanto sentendo urlare i bambini della terza C, la classe della signora Aida; lo facevano spesso, ma stavolta sembravano impazienti; capii che non stavano giocando. Entrai in classe con un po’ di apprensione: la signora Aida era seduta sulla sua seggiola con il capo riverso sulla cattedra. La soccorsi immediatamente, non era nulla di grave, solo un leggero mancamento. 9


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La direttrice mi chiese gentilmente di accompagnarla a casa, abitava di fianco al cortile della scuola. Annuii titubante, perplessa, e per nulla disponibile. Camminavo tenendo la signora Aida sottobraccio, per sorreggerla. Il suo corpo minuto si appoggiava al mio, curiosamente fiducioso. Camminavo lenta, non volevo affaticarla: sembrava stanca e un po’ malinconica. A un tratto la signora Aida incespicò su di un sasso sporgente, io la sostenni con fermezza per non farla cadere. In quel momento la donna alzò il viso e mi rivolse uno sguardo, lo stesso che in tutta la mia vita avevo visto solo sul volto di mia madre. Il cuore ebbe un sobbalzo ma il pensiero contenne la sensazione tra l’incredulità, la tenerezza e la nostalgia. Complice l’incantevole primavera che regalava promesse di gioia come petali svolazzanti sfuggiti ai ciliegi in fiore, le presi la mano e gliela strinsi affettuosamente, guardandola negli occhi con simpatia. Era incredibile quanto stava accadendo, pensai con stupore, poiché ricordavo bene il nostro primo incontro nel corridoio della scuola, gli sguardi di sfida in quella gelida giornata invernale; mai dimenticherò l’aria fredda che scese fra noi come un’infrangibile coltre di brina. Un muro che credevo invalicabile. Era quel periodo in cui mi sentivo continuamente osservata da lei e il fatto mi disturbava parecchio. Più di una volta l’avevo sorpresa a fissarmi quando i ricordi mi catturavano e non riuscivo a trattenere il pianto. Mai avevo ricevuto un gesto di compassione da parte sua, soltanto sguardi interrogativi, dubbiosi, imbarazzati. La credevo indifferente, insensibile, inflessibile. Ero certa che mi giudicasse per il mio passato e, pertanto, mi volesse tenere a distanza. Si sarebbe stupita di sapere che passavo apposta davanti al suo giardino, ricolmo di piante e fiori dai mille colori, per ammirarlo. Avrei voluto fermarmi e parlare con lei delle piante che anch’io 10


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amavo tanto, ma non avevo mai avuto il coraggio di farlo, temevo di disturbarla e che mi scacciasse in malo modo. Perciò ero piacevolmente sorpresa dell’atteggiamento gentile nei miei confronti, e mi sentivo un po’ in colpa per aver pensato male; ero contenta di essermi sbagliata. Era strano constatare che ora stavamo camminando insieme come due vecchie amiche. Aspiravo l’aria gravida di brezza odorosa emanata dalle foglie di eucalipto. Cercavo d’individuare le altre essenze odorose inviate dai refoli del vento: ciliegi, rose, un po’ di mimosa sfiorita. Il profumo ha da sempre in me l’effetto di un sognante messaggero, la sua scia è come il suono del pifferaio magico che rapisce i sensi e regala sensualità; a volte ne ritrovo l’influenza anche nei miei sogni. Camminavo con il naso all’aria e la testa fra le nuvole: esse sospinte dal vento brioso si muovevano velocemente creando curiose forme che eccitavano la mia fantasia. Da molto tempo non mi sentivo così bene, stavo sognando a occhi aperti. Ad un tratto mi sentii scuotere, la signora Aida appesa al mio braccio, mi riportò alla realtà tirandomi delicatamente per la manica, parlandomi in tono sommesso: - Sosha, siamo arrivate. Ti ringrazio di avermi accompagnato, sei stata molto gentile. Non so cosa sia stato il malessere che mi ha colpito, ma ora sto molto meglio. Davvero. Entra, se ti fa piacere, ti vorrei offrire un buon tè. A me piace molto, ne ho di vari gusti, potrai scegliere quello che preferisci. - Sì, grazie signora Aida, lo accetto volentieri. È uno dei piaceri della vita sorseggiare una tazza di buon tè in buona compagnia. - Mi dispiace Sosha, purtroppo, non ho nulla di dolce da offrirti. Ho solo della marmellata fatta da me, se ti va. C’è un piccolo frutteto oltre al giardino. - Lo so signora Aida, lo guardo spesso. È veramente bello. Ho visto che ha anche molte piante officinali fra le piante fiorite del 11


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