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Jari Lanzoni
Rebellium
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Copyright © 2016 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it
ISBN: 978-88-99751-02-9 Vincitore del Concorso letterario per romanzi brevi di generi vari Samhain-Prima Edizione In copertina foto del gruppo storico “I Difensori della Rocca” Jari Lanzoni, Rebellium, Antipodes, Palermo 2016
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a Riccardo Valla, un Saggio
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1 Le due parti di un mondo Provincia di Bruges. - Cani. - Luigi II di Male, conte di Fiandra, pronunciò quelle parole a denti stretti. La sua bocca piegata in una smorfia di disgusto era circondata da una barba nera, corta e ben curata. Tutt’attorno si udiva un coro disarmonico composto da rumori di corazze, imprecazioni o nitriti. Alle sue spalle oscillavano vessilli. - Cani senza Dio. Nulla di più. - Respirò a fondo, riempiendo del tutto i polmoni e cercando di raddrizzare il più possibile la schiena dolente. Il peso della corazza non gli era del tutto nuovo ma gli eccessi della nottata appena trascorsa lo avevano affaticato più di quando si rendesse conto. Compartecipi di quel leggero stordimento erano anche le due ali di cavalieri in sella che lo circondavano in una sorta di ovale schiacciata composta dai bellatores: il ceto combattente. Un pezzo di mondo che correva il rischio di estinguersi. Paggetti dalle vesti vivaci passavano tra gli aristocratici portando grandi piatti d’argento o brocche di vino ghiacciato. Mani inguantate si servivano dai dischi ricolmi di cibo, portando alle bocche carni fredde di pernice, lepre, capriolo, pezzi di formaggio o uva passa. Gli scudieri erano immobili 5
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al fianco dei destrieri, sorreggendo elmi o lance. Più defilati stavano due oratores, un attendente del vescovo di Bruges e un diacono. Luigi di Fiandra era un sostenitore di papa Urbano VIII anziché dell’avignonese Clemente VII, ma l’appoggio a chiunque si opponesse a un qualsiasi moto della canaglia era una connotazione imprescindibile per il clero. Attorno al folto gruppo di nobili minori stavano due divisioni delle milizie mercenarie del Condottiero Paul Ghassen, le uniche truppe che riuscivano a mantenere un’approssimativa forma di disciplina. Fungevano da retroguardia per il corpo principale dell’armata del conte, circa undicimila uomini arruolati nella più infima milizia. Molti di questi provenivano direttamente dal ceto inferiore e si erano improvvisati mercenari sperando in un lauto bottino, oltre al soldo per la giornata. Quelli nelle prime fila si lanciavano insulti e battute triviali, ognuno annunciava che avrebbe preso lui la testa di Artevelde, il capo ribelle, per portarla ai piedi del conte. Le notizie sulla netta inferiorità numerica dei maillotins rendevano prodi anche i popolani meno avvezzi alla battaglia. L’alba nascente battezzava una mattinata che appariva sorprendentemente fresca, a dispetto di un maggio contraddistinto da un caldo soffocante. Un buon auspicio. La grande spianata destinata allo scontro era circondata da macchie boscose che si addensavano un poco su di una collina a ovest, dove andavano radunandosi file e file di uomini dagli abiti disuguali. Alcuni indossavano cotte di maglia e camagli, altri si limitavano a gambeson imbottiti o corpetti di cuoio. Pochi portavano elmi, gorgiere e pancere, forse rubati negli scontri dei mesi precedenti. 6
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Anche le armi che stringevano erano un misto di residuati della sempiterna lotta contro gli inglesi, prede di guerra o strumenti improvvisati. Spade corte, grossi coltelli gallesi, squarcine, mazze, asce da guerra o da lavoro, alcune mannaie, scudi già sbrecciati o brocchieri rugginosi. Diversi insorti portavano pesanti maillet dalla testa cilindrica in piombo, prelevati all’inizio delle sollevazioni dall’hotel in cui erano stati conservati in caso di attacchi inglesi. Era l’arma che aveva dato il nome alla seconda grande rivolta del XIV secolo. Su quel seno di terra pietrosa, spruzzato solo a tratti da macchie verdi, il sole mattutino riluceva sulle superfici metalliche d’ogni sorta. I maillotins erano immobili, inquadrati in una disciplina insospettabile per la loro bassa estrazione. La hart au col! La hart au col! Iniziarono a gridare i miliziani di Bruges, allungando mani armate contro la massa umana che andava compattandosi. Erano i primi soffi sulle braci della battaglia. Haro! Haro! Vive Gand! Risposero gli altri, alcuni dei quali erano stati presenti alla Harelle in Normandia. Vive Gand! Vive Gand! - Sentite come latrano! - Commentò il conte, dando un violento manrovescio ad un paggetto che gli si era accostato con un boccale di peltro. Il giovane incassò il ceffone in silenzio, ignorando cosa avesse fatto per meritare un tale guiderdone. Raccolse la coppa sporca di vino e fango, dileguandosi tra lezzi e sputi di alcuni giovani prevosti che fino a quel momento lo avevano del tutto ignorato. - Non curatevi delle grida dei popolani, mio signore. - Il patrizio Alessandro di Rethel gli si accostò con il cavallo al 7
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passo. - Se i vermi si combattono tra loro ci fanno risparmiare del buon lavoro di spada, no? Le nostre lame ambirebbero a qualcosa di meglio del sangue di riottosi mangia merda. - Batté la mano sul piatto dell’arma inguainata dentro il fodero. Una spada perfetta, pulita, priva della minima intaccatura. Una spada mai usata. Vive Gand! Vive Gand! I cori d’incitamento durarono appena una mezz’ora, il tempo sufficiente perché il sangue di entrambi i fronti si scaldasse, pulsando grasso e forte nelle vene. Come obbedendo ad un comando invisibile, la massa dei popolani sollevò in alto le armi improvvisate e diverse aste con affissi gli stemmi di Gand, poi si mosse come un sol uomo iniziando a scendere dalla collina. Tuttavia il loro passo era ben più cauto di quello degli uomini del conte, che in quella prudenza lessero paura e indecisione. Questo diede ai miliziani la spinta sufficiente per lanciarsi in un roboante assalto. La hart au col! La hart au col! La manovra lasciò stupiti sia Ghassen che i cavalieri. Certi di una facile vittoria gli uomini di Bruges si scagliavano in avanti d’impulso, senza ordine o criterio. Vive Gand! Vive Gand! Da ambo i lati a urlare e sollevare le armi erano drappieri, macellai, mercenari, piccoli mercanti, stagnini, contadini, tintori, stallieri, speziali, falegnami, fabbri, arrotini, artigiani, servi, miserabili, carpentieri, muratori. Le due parti di uno stesso mondo andavano a dilaniarsi vicendevolmente per il lazzo dei nobili.
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2 La battaglia di Bruges Provincia di Bruges.
I
cavalieri, al trotto, procedettero con calma dietro le sicure file degli uomini di Ghassen. Il conte si sporse in avanti sbilanciandosi un poco, fissando la fascia di terra incolta su cui molto probabilmente sarebbe avvenuto il primo impatto tra le due masse di carne, cuoio e metallo. Le grida dei miliziani lo innervosivano oltre ogni dire, ma non erano solo i postumi dell’intossicazione causata dall’ippocrasso. Qualcosa d'indefinibile gli faceva presagire un esito infausto, ma non riusciva a spiegarsi cosa. La riposta ai suoi dubbi assunse la forma di una sagoma scarlatta che attraversò fulminea il fronte di battaglia. - È lui! - Ringhiò il de Rethel. - Artevelde! Luigi II seguì con lo sguardo il capopopolo che cavalcava trasversalmente dal lato dritto a quello manco della propria formazione, brandendo una spada. Al suo passaggio i maillotins si fermavano di scatto, indifferenti alla rapida avanzata dei miliziani, ormai a meno di cento metri dalla base della collina. - Ma che stanno facendo? - Chiese un Prevosto. - Forse capiscono ormai di essere scon… - Le sue parole si spensero di colpo. Sei, forse sette detonazioni coronarono di sbuffi giallo9
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gnoli la sommità della collina. Avvenne tutto in pochi istanti. D’istinto alcuni miliziani arrestarono il passo, ma furono spinti in avanti dai propri compagni. Un fante venne sbattuto a terra e finì calpestato. I maillotins erano immobili. D’improvviso la terra esplose. L’aria torbida ingoiò ogni cosa. Il conte spalancò la bocca senza riuscire a proferire parola. Le prime file della sua armata erano scomparse in una nube di fumo e detriti. Gli uomini di Bruges furono scossi da ondate di panico. Dita, mascelle e organi irriconoscibili schizzarono sugli elmi. Il viso di un lanciere fu percosso da un groviglio di viscere. Una schiena che reggeva il nulla cadde su di un fante spezzandogli il collo. Il fronte della rozza falange era stato spezzato dal fuoco delle bombarde, altri uomini nelle file arretrate crollarono a terra con i corpi sbrecciati da schegge aguzze. Le palle usate erano di pietra. Ghassen gridò ai soldati di arretrare per serrarsi in formazione, mentre i cavalieri alle sue spalle assistevano alla scena senza proferire parola. Forse nemmeno riuscivano a capire l’entità del danno. Gli uomini del conte non si erano ancora ripresi da quella scarica improvvisa che già i maillotins furono su di loro. Un borgognone li vide emergere di colpo, come se fossero scaturiti dall’ultimo esile velo di fumo delle esplosioni. La rozza lama di un contadino gli calò sul volto quasi spaccandolo in due, poi stivali ruvidi ne calpestarono il corpo ancora caldo. La carica dei maillotins terminò contro una levata di scudi di fiamminghi e mercenari dell’Artois. Asce e mazze percossero gli umboni con una violenza terrificante: reggere 10