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Jessica Servidio
Respiri
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Ad Asia, che con la sua innocenza non ha mai smesso di sorridermi. A chi ho amato, e in un giorno di neve, mi ha detto di scrivere di noi. A chi non ha mai smesso di stringere la mia mano, pur di non perdermi. E a te, lettore, indissolubili nell’anima non ci perderemo in quest’inchiostro, promesso.
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Copyright Š 2014 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes www.antipodes.it info@antipodes.it ISBN: 978-88-96926-44-4
Jessica Servidio, Respiri, Antipodes, Palermo 2014
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I
Giulia fluttuava, annegava nel suo dolce mare, assaggiava e riscopriva la dimensione sospesa di un mondo parallelo, dei sogni che lo costituiscono. Si ritrovò catapultata su di un prato sconfinato. Il cielo terso, il verde dell’erba e l’accecante bagliore del sole che riscaldava la sua pelle, fecero brillare quell’immagine di luce propria. Solo l’apparizione di un vecchio e stanco salice all’orizzonte seppe rompere la staticità di quel sogno. Fra le sue fronde riuscì a scorgere un’ombra, una figura umana. Alta e snella, non riuscì a dargli un nome. Giulia cominciò ad avanzare: voleva avvicinarsi, riconoscerla, parlargli per mettere a tacere quella sensazione di vuoto e solitudine data dall’infinita vastità surreale di quel luogo. Continuò a camminare, ma ad ogni passo il peso della sua ansia la bloccava facendola sprofondare. Il verde la stava risucchiando. Cominciò a correre: l’ombra era diventata la sua unica salvezza. Vinse la gara. Ora le sembianze erano quelle di un uomo. Era ad un passo da lui e solo in quel momento si accorse che in tutto quel tempo quell’uomo non aveva mosso nemmeno un dito, uno solo, per vedere chi fosse la donna che 5
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lo stava raggiungendo a così grande velocità. All’improvviso si arrestò, come inchiodata dai suoi stessi passi, entrambi immobili ora. Una folata di vento gli bastò, si voltò. Lo riconobbe. La sveglia urlò. Si alzò, scrollandosi di dosso il tipico torpore soporifero della notte, aprì l’armadio e si vestì prendendo le prime cose che le capitarono fra le mani: era inquieta, triste. Trangugiò una brioche alla ciliegia, il suo stomaco lo richiedeva. Lei gli rispose solamente, masticò senza gusto. Tanto vale mangiarsi una mela in questi casi, ma era troppo tardi. Cappotto, sciarpa, guanti e cappello. Dicembre non aveva intenzione di scherzare quel giorno. Era in ritardo, il suo lavoro la stava aspettando. Salì in macchina, la mise in moto e partì. Il cielo pullulava di nuvole gonfie e grigie, trattenenti lacrime. La nebbia ricopriva il tutto, quasi volesse nasconderle qualcosa, quasi volesse proteggerla. Un bambino correva per la strada, stava inseguendo lo scuolabus, oramai perso. Una signora stava camminando con una busta della spesa stretta fra le dita, un cane abbaiava. Cominciò a piovere. Era quasi arrivata quando fu costretta a rallentare: la strada era bloccata. Davanti a lei un ingorgo di automobilisti imprecanti: non fecero altro che aumentare la sua tensione. «Sapete qual è il nome maschile considerato come il più erotico per le donne?». Spense la radio. Sarebbe stato meglio avvisare Giacomo, il suo titolare, dicendogli che sarebbe arrivata in ritardo quella mattina. Fece per prendere il cellulare quando cominciò a sentire le sirene di un’ambulanza. Nel frattempo era riuscita ad avanzare di qualche metro, giusto lo spazio necessario per capire che il traffico era stato causato da un terribile 6
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incidente. Una Nissan nera e un camion. Il camionista produceva parole soffocate dal pianto sul ciglio della strada, componeva, a raffica, numeri su numeri sulla tastiera del suo cellulare. Imprudenza, paura e panico respirava. Solo adesso ci pensò: “una Nissan nera… smettila Giulia, smettila”. Passati quei primi dieci minuti di rivelazione velata arrivò la scoperta vera e propria. In quell’interminabile lasso di tempo aveva avuto modo di avvicinarsi sempre più all’auto misteriosa; nessuna situazione del genere le aveva mai suscitato una simile curiosità mista a impazienza. In lontananza un fulmine. Solo in quel momento l’uomo fu estratto dalla macchina e adagiato su di una barella. A pochi metri dalla scena Giulia capì: il sogno, le sue sensazioni e persino le condizioni meteorologiche l’avevano condotta a lui. Luca, e il suo cuore probabilmente avrebbe smesso di battere all’arrivo dell’imminente tuono. Scese dalla macchina, tremando, iniziò a correre. Cadde, le gambe non riuscivano a muoversi, improvvisamente inermi, come sospinte fra le sue stesse emozioni, che paralizzavano. La voce era l’unica risorsa che le rimaneva. Urlò il suo nome, fra le lacrime era di nuovo lì, con lui. Per lui. Infine anche il fiato finì per esaurirsi, la pioggia lo stava soffocando. La testa iniziò a girare, e il mondo attorno a lei cominciò a offuscarsi. Non che le dispiacesse. Se solo fosse stato un altro sogno, se al risveglio si fosse ritrovata al caldo, di nuovo in mezzo alle coperte, era un’idea che di certo non avrebbe disdegnato. Due ombre si avvicinarono, e come un figlio che vede il proprio genitore aiutarlo dopo una caduta da bicicletta si lasciò andare, permettendo che il vuoto prendesse il sopravvento. 7