Thesan

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Roberto Castiglione

THESAN


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Copyright Š 2018 - Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi Casa Editrice Antipodes Via Toscana, 2 90144 Palermo www.antipodes.it info@antipodes.it

Immagine di copertina di Bellotto Roberta - Robyroy 2018 Mail robyroy83@libero.it; Instagram: robyroy831

ISBN:978-88-99751-46-3

Roberto Castiglione, Thesan, Antipodes, Palermo, 2018


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Al piccolo spartano


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I

L

Etruria meridionale, 18 giugno del 358 a.C. a notte era limpida e la Luna illuminava il cammino ai due cavalieri vestiti con corte tuniche nere. Galoppavano da alcune ore verso Sud, dirigendosi verso le rovine di Vei, la grande città dei Rasna espugnata ormai da quasi quaranta anni. Corte spade riposavano nei foderi allacciati strettamente alle robuste spalle. Guadarono diversi torrenti e superarono molte colline senza incontrare nessuno. Persino gli animali che popolavano quelle serene notti d'inizio estate parevano essersi ritirati nelle loro tane per facilitare il viaggio dei due cavalieri. Un’ora prima dell’alba arrivarono al grande tempio della Dea Uni, ridotto a poche muraglie dirute. Il magnifico frontone dinanzi al quale si erano inchinate generazioni di Rasna era caduto sulla gradinata esterna e i cavalli modellati dal genio di Vulca erano in frantumi sugli scalini di marmo. La grande quadriga trionfale della Dea, che per secoli aveva rivaleggiato con la sua gemella di Tarchna, era stata polverizzata dalla furia dei nemici, mentre l’effigie della divinità era stata trasportata a Ruma dall’empio Marco Furio Camillo. Soltanto le colonne del peristilio erano al proprio posto, sfidando quasi il volere del tempo. I cavalieri si fermarono dinanzi alla grande scalinata e legarono gli animali madidi di sudore. 5


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Estrassero le corte spade, salirono cautamente fino al colonnato e dall’ombra uscì una figura vestita di bianco per accogliere i nuovi venuti. Avanzò fino a mostrarsi alla pallida luce della Luna, oltre l’oscurità del tempio. Era un anziano sacerdote e indossava lacere e luride vesti che in un tempo molto lontano erano state di gran valore: «Alla fine siete arrivati, figli miei! Iniziavo a disperare poiché l’alba è ormai prossima!» disse in fretta, guardandosi intorno temendo che qualcuno lo udisse. La sua folta barba e i capelli scarmigliati ondeggiavano al tiepido vento della notte ormai trascorsa. Ogni tanto pareva tendere l’orecchio verso il nulla come se ascoltasse voci che probabilmente erano soltanto nella sua mente. «Non temere, vecchio!» lo rassicurò il primo dei cavalieri, un giovane alto con i capelli neri tagliati corti «Non c’è nessuno nel raggio di diverse miglia!» «Allora, dicci quello che sai sull’esercito uscito da Ruma due giorni orsono! E’ diretto verso Nepet o Suthrium? Chi lo comanda? Si tratta dell’esercito consolare o soltanto di una piccola forza di esplorazione?» chiese pressante l’altro senza lasciare il tempo di rispondere. «Velthur, stai calmo!» lo rimproverò bonariamente il primo «Il gran sacerdote di Uni ci dirà tutto ciò che vogliamo sapere!» Il giovane scosse la testa e i folti capelli castani ondeggiarono sulle larghe spalle: «Come vuoi, Cneve, ma questo vecchio, che vive in un tempio distrutto da quaranta e più anni, ci ha convocati in fretta e furia in pieno territorio dei Rumacher! Tuo padre ci ha inviati fin qui di notte per saperne di più e non mi piace pensare che ci potrebbero essere un paio di centurie nemiche nei dintorni, pronte a prenderci come topi in trappola!» «Velthur Tulumnes, figlio di Laris e nipote di Larth, non par6


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larmi in questo modo!» esclamò l’anziano sacerdote, raddrizzandosi in tutta la sua statura «Io sono Vel, fratello di tuo nonno, ed ero veramente il grande sacerdote di Uni al tempo dell’assedio di Vei! Migliaia di persone si genuflettevano di fronte alla magnificenza della Dea e Vei era ricca e potente, più della vostra Tarchna!» «Ora non resta nulla di quell’antica potenza, soltanto rovine che le volpi e i gufi hanno eletto come loro tane!» rispose Velthur indicando la città deserta. «Mio padre non ti ha mai menzionato, ma non perdiamo altro tempo! L’alba è sempre più vicina e tu non hai ancora detto nulla d'interessante a parte ricordare il passato glorioso della tua città!» continuò il giovane dai capelli castani, incurante di aver ritrovato un lontano antenato. «So ben poco, nipote mio! Quei rari seguaci e fedeli che frequentano ancora queste rovine mi hanno riferito come molti uomini siano usciti da Ruma due giorni orsono e siano diretti verso Nord!» replicò Vel, continuando a girare il collo da una parte all’altra. «Questo lo sapevamo già, vecchio pazzo!» sbottò Velthur, voltandosi per scendere la scalinata e andarsene. «Ti prego di scusarlo, Vel! Il mio amico è intrattabile dall’inizio della guerra contro Ruma!» cercò di spiegare Cneve, allargando le braccia. Il sacerdote sorrise amaramente e rispose sottovoce: «E’ giusto che lo sia, poiché si tratta di una guerra empia e sacrilega. La Dea Uni me lo ha sussurrato nella mente da gran tempo!» Velthur si girò di scatto e dall’ultimo gradino gridò: «Uni non si trova più tra queste rovine. I Rumacher l’hanno portata nella loro città e ora protegge i nostri nemici!» 7


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«La consorte di Tinia è qui con me dove deve essere, dove è sempre stata e dove sempre sarà!» replicò Vel, alzando le mani al cielo. «Quindi gli Dei non sono contenti di quanto sta accadendo?» chiese Cneve incuriosito. «Dopo molti secoli il loro sguardo benevolo non è più rivolto verso la nazione dei Rasna e questo potrà solo portare disastri e rovina al nostro popolo! Una seconda e ben più terribile guerra si sta consumando nei cieli e non è detto che i nostri Dei la vincano. Dopo settecento anni di tregua gli Antichi hanno osato nuovamente sferrare un potente attacco!» rispose Vel sottovoce «In ogni caso molti, forse troppi, sono gli atti che mio fratello Larth ha compiuto insieme a tuo nonno!» «Ora andate, figli miei! L’alba non è più molto lontana e conosco bene la vostra devozione verso la piccola dea!» li congedò poi il vecchio sacerdote, rientrando nelle ombre del tempio in rovina. Perplesso Cneve raggiunse Velthur, ma durante la difficile discesa della scalinata ingombra di detriti e pezzi del frontone vide la grande statua di Aplu giacere a testa in giù. Chiamò Velthur con un fischio modulato e si fece aiutare dall’amico. Presero l’effigie del Dio e la trasportarono a fatica di nuovo all’interno del tempio. «Dannati Rumacher, nemmeno delle loro divinità hanno avuto rispetto!» borbottò Velthur, mentre sistemavano alla meglio quello che rimaneva della grande statua in terracotta policroma. «E neanche dei propri antichi re!» replicò Cneve, rimettendo in piedi un grande vaso votivo, donato da Avile Vipienas. Vel riapparve dalle profondità oscure del tempio: «Questo è un gesto di pietà che gli Dei luminosi gradiranno molto!» disse, cercando poi di pulire il viso di Aplu con uno straccio. 8


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«Non credi che sarebbe meglio dare una lavata a quel lurido pezzo di stoffa, prima di usarlo sul volto del Dio? Non vorrei che suo padre Tinia ti fulminasse per l’offesa. Poi già che siamo in argomento, ti consiglierei un buon e soprattutto lunghissimo bagno. Ci sono molti torrenti con acqua fresca e pulita qui intorno!» lo consigliò avvedutamente Velthur. Salutarono nuovamente il vecchio e lo videro andare alla ricerca di un poco d’acqua. Risalirono sui destrieri e galopparono in silenzio per un paio di miglia verso Sud, addentrandosi sempre più in territorio nemico. Pochi minuti prima del sorgere del sole scorsero i fuochi dell’accampamento nemico balenare in lontananza. Scesero da cavallo e si avvicinarono silenziosi e inafferrabili come ombre, superando una prima linea di sentinelle. Arrivarono in vista della città di tende, montate in fretta al calar del sole, e da una piccola altura videro che si trattava dell’intero esercito consolare. «Per Turms! Sono due legioni rinforzate e persino i socii sono più del solito!» disse in un sibilo Velthur. «Vogliono terminare la guerra in un solo scontro campale e hanno mobilitato almeno ventimila uomini! Mio padre teme molto il loro nuovo schieramento in triplice fila con gli Hastati, i Principes e i Triarii. Lo hanno ideato da poco per affrontare i Celti che calano in massa da Nord!» replicò sussurrando Cneve. «Proviamo ad andare più vicino! Voglio vedere chi le comanda!» propose Velthur, cercando un nuovo riparo da dove osservare meglio. «Se abbiamo fortuna è Gaio Fabio Ambusto!» rispose Cneve. «Per cui potremmo trovare anche… » concluse l’altro. Strisciarono sul terreno della collina cosparso di cespugli e 9


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giunsero a meno di cento passi dalle prime tende, protette da deboli fortificazioni. In quel momento tre uomini uscirono dalla palizzata, salutarono le sentinelle di fazione e si avviarono verso Est. «Ecco la risposta!» disse Cneve indicandoli. «Riconosco Quinto e quello sciagurato di Gaio, ma chi sarà mai quel gigante con quella grossa ascia bipenne in mano che li accompagna?» chiese Velthur, aguzzando la vista nella pallida luce del mattino ormai prossimo. «Non lo riconosci? È il piccolo Lucio, il fratellino minore di Quinto!» rispose Cneve, sorridendo nell’oscurità sempre meno profonda. «Lucio? Non è possibile!» «In fondo sono almeno quattro anni che non lo vediamo!» «Adesso i Rumacher arruolano anche i ragazzi? Quanti anni può avere? Quattordici o quindici?» «Ne ha diciotto, amico mio, cinque meno di noi e pare che sia una furia in battaglia. Si narra nelle taverne di Tarchna che abbia ucciso già una ventina di nostri soldati, facendoli a pezzi!» «Io non ascolto certo queste storie quando sono in compagnia di un buon boccale di vino e ho una bella ragazza sulle mie ginocchia!» rispose Velthur, alzando le spalle. Nella piana sottostante i tre uomini si erano fermati e pareva attendessero l’arrivo di qualcuno. Il loro sguardo era sempre rivolto verso Oriente, verso le lontane montagne da dove il sole sarebbe sorto entro pochi minuti. Cneve colse un movimento veloce con la coda dell’occhio e il lampeggiare di una bianca veste. Gli sembrò di scorgere persino lunghe ciocche di capelli albini andare a nascondersi nel folto del boschetto della collina. «Lei è qui, fratello!» sussurrò Cneve all’orecchio di Velthur. «Non ci abbandonerà certo in questo momento, quando gli altri 10


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