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La riscoperta di un’arte “di famiglia” Quando si dice “fiamminghi”, si pensa quasi subito a Van Eyck e a Rubens: ad imporsi, di norma, sono le immagini di due picchi raggiunti dalla pittura dei Paesi Bassi, tra Umanesimo e Barocco. Più difficile che la mente riconduca a quell’età di mezzo, tra la metà del Cinquecento e il pieno Seicento, in cui i Brueghel s’imposero nel gusto della solida borghesia nordica o nelle corti dell’Europa più mondana, nonché nella coltissima curia del cardinale Federico Borromeo. “I” Brueghel, appunto. Risulta difficile, ai non specialisti, identificare di primo acchito il capostipite Pieter il Vecchio, distinguendolo dal figlio, detto il Giovane o da Jan Brueghel, anzi dagli Jan. Perché il groviglio di scene contadine, di feste popolari, di paesaggi brumosi che progressivamente conquistano il primo piano e poi, via via, diventano fiori recisi e svelano insetti degni delle vetrine di un entomologo seicentesco, si intrecciano e si completano, in un gioco di rimandi che fece dei Brueghel (e della loro famiglia “allargata” ai Van Kessel e ai Teniers) un marchio di fabbrica, pardon, di bottega. E rappresentò il contrassegno di una dinastia di artisti che riuscì a imporre uno stile, diventato poi inevitabilmente maniera. Grande è quindi l’opportunità di avvicinarsi – nella mostra di Como, prima tappa di un tour internazionale - a questi artisti del Nord Europa, per scorgerne la compattezza tematica e insieme, la particolarità dei principali esponenti del clan. Se al precursore Pieter si deve l’avvio a uno stile c h e riprendeva, rielabora-
va, sdrammatizzava, le inquietudini di Hieronymus Bosch, ai figli e ai nipoti va ascritto il merito di averne divulgato l’opera, diversamente declinata a seconda delle committenze e dell’esprit du temps. La ditta pittorica che idealmente viene ricomposta tra le stanze di Villa Olmo, a molti anni dalle ultime retrospettive europee, oltre a indurre alla rilettura critica l’opera di maestri ora popolarissimi, ora dimenticati o snobbati dalle collezioni dei musei novecenteschi, ne suggerisce l’attualizzazione. Una sfida più che mai doverosa quando ci si volge al passato – nel solco della “notitia vetustatis” auspicata da Francesco Petrarca – che questo inserto raccoglie, accompagnando il lettore in tre sezioni. Tre aree tematiche contraddistinte da colori-chiave, nella testata della pagina, desunti dalla tavolozza dei Brueghel. All’analisi degli autori e delle opere esposte (marcata in nero, tono dei chiaroscuri delle incisioni e delle inquietudini narrative), segue il profilo dei temi più rilevanti della pittura della famiglia fiamminga (sezione segnata dal rosso della gioia di vivere come contrappunto alla precarietà di quei tempi bui), per cogliere – infine – i rimandi alla cultura lombarda del Cinque-Seicento e al rapporto con il Lario (blu come i corsi d’acqua che separavano e idealmente univano le Fiandre con il resto dell’Europa). Il percorso dell’inserto de “La Provincia”, nel riprendere il mondo espressivo dei Brueghel, si offre ricco di sorprese. Viene tessuto, ad esempio, l’ordito di una trama che collega l’industria tessile comasca agli stilisti delle Fiandre (da Margiela a Van Noten), gli artisti fiamminghi dei nostri giorni. Ma, soprattutto, lo sguardo retrospettivo interpella l’arte contemporanea, consegnando al lettore e al visitatore della mostra di Villa Olmo una suggestiva ipotesi interpretativa – qui presentata e discussa per la prima volta –: che il lariano Giancarlo Vitali sia in qualche misura un Brueghel di oggi, per come sa ricreare il mondo piccolo dei paesi e delle osterie, afferrando l’inquietudine della carne, contraltare alla sapidità festosa delle sue tavole. Vera Fisogni
GLI ESPERTI Giuliano Collina CRITICO CO TE D’ARTE
Elena Di Raddo CRITICA D’ARTE Università Cattolica
Philippe Daverio CRITICO D’ARTE
Bonito Oliva
CRITICO D’ARTE
Alessandra Coppa CRITICA D’ARTE Politecn nic i o Politecnico
Franco Buzzi
PREFETTO P PREFET REFETTO TO DEL DELLA DELL’AMBROSIANA LAMBR MBROSI OSIANA ANA
Serena Brivio
GIORNALISTA GIO GI ORNA NALI ALI LIS STA DI M MOD MODA ODA OD A
Moreno Gentili
ARTISTA E SCRITTORE
Pieter Brueghel il Giovane, “Festa di matrimonio all’aperto”, particolare, 1610 ca.
Franco Cardini
STORICO DEL MEDIOEVO
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A Como i capolavori di una dinastia La mostra è un grande progetto internazionale mai realizzato prima d'ora in Italia, che presenta in modo organico e strutturato le relazioni e il percorso pittorico di quattro generazioni di artisti attraverso cento opere straordinarie. La vita a tratti misteriosa e la scarsità di notizie certe sulla biografia del capostipite Pieter Brueghel il Vecchio, che cambia la grafia del cognome cancellando la "h" forse per nascondere la relazione con la cittadina di provenienza, sono i presupposti narrativi della mostra. Ma non si può cogliere nel dettaglio il percorso artistico del maestro senza partire da Hieronymus Bosch, del quale la mostra di Como presenta in assoluta anteprima il capolavoro "I sette peccati capitali". La relazione tra i due artisti è fondamentale, tanto che il Guicciardini arriva a definire Pieter Brueghel come il «secondo Girolamo Bosco» evidenziando come sia un «grande imitatore delle fantasie» del maestro di ‘s-Hertongenbosh. Ed è proprio questo un altro presupposto storico della mostra, che presenta le visioni allegoriche, moralistiche e fantastiche prima d'ora inimmaginabili, ma paradossalmente diventate concrete anche grazie alle conquiste della pittura del Cinquecento. Brueghel sente molto l'influenza di Bosch e ne incarna la capacità di osservazione e di rappresentazione, non limitandosi all'insegnamento morale, ma riuscendo a tratteggiare un vasto universo di tipologie umane. I registri del comico
e del grottesco assumono una valenza educativa che Pieter riesce a trasmettere ai due figli maschi, Pieter il Giovane e Jan il Vecchio. La dinastia, quindi, comincia ad articolarsi e la mostra ne trasmette fedelmente la corrispondenza tra le vicende familiari, - nel frattempo secondo numerosi studiosi i figli di Pieter rimettono la "h" nel cognome - e l'evoluzione pittorica dei protagonisti. La genealogia prosegue e si ramifica con i figli dei figli del capostipite, in una complicata rete di relazioni che la mostra presenta con precisione e rigore, fino agli undici figli di Jan, cinque dei quali anch'essi pittori. Il percorso espositivo si focalizza attorno alle vicende di ciascun artista ma si sviluppa secondo una logica a rete, abbracciando i riferimenti internazionali e i fatti storici del periodo di riferimento, come l'esperienza di Jan van Kessel I, figlio di Paschasia, sorella di Jan Brueghel e di Ambrosius Brueghel, artista di grandissima qualità ma poco conosciuto e studiato. Tra le opere celeberrime di Pieter Brueghel il Giovane spiccano la "Festa di matrimonio all'aperto" e due straordinarie versioni del "Paesaggio invernale con cacciatori sulla neve". Il percorso si chiude idealmente con David Teniers il Giovane, legato alla dinastia dei Brueghel per aver sposato Anna, figlia di Ambrosius. Sergio Gaddi (Assessore alla Cultura del Comune di Como e curatore della mostra)
“Joan Mirò alchimista del segno”, 2004
“Picasso, la seduzione del classico”, 2005
“Magritte, l’impero delle luci”, 2006
“Gli Impressionisti, i simbolisti e le avanguardie”, 2007
“L’abbraccio di Vienna”, 2008
“Chagall, Kandinsky, Malevic. Maestri dell’avanguardia russa”, 2009
“Rubens e i Fiamminghi”, 2010
Ambrosius Brueghel “Coppia di nature morte floreali”, particolare, XVII sec.
“Boldini e la Belle Époque”, 2011
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Si deve all'editore ed incisore di Anversa Hieronymus Cock il contatto di Brueghel con la pittura del grande pittore fiammingo Hieronymus Bosch. Lo studio dell'incisore di Anversa era del resto un vero e proprio centro di cultura umanistica in cui si incontravano pittori e letterati e si discuteva di filosofia, arte e alchimia. La pittura fantastica di Bosch dedicata a temi tratti da antichi proverbi, episodi biblici, testi mistici medievali e credenze NE astrologiche e alchimistiche, incontrava con favore LA CtIrToABZIrOueghel di Breda, grande «Pie il gusto del pubblico ed era quindi ben accolta dal imitatore della scienza co, olamo Bos mercato. e fantasie di Gir istato il u q c a a h ’ n Il giovane Brueghel, incaricato da Cock di riprodur- onde rolamo e di secondo Gi re una serie di disegni del grande pittore fiammingo soprcaon»o.m s da preparare per gli incisori, subì quindi subito il Bo fascino misterioso della sua pittura oscura, intrisa di Francesco Guicciatridi iPnai esi Bassi", t simboli alchemici, astrologia, psicologismi e alluci- "Descrizion5e67di tu 1 nazioni. Aspetti che traslarono ampiamente nel suo Anversa, linguaggio artistico dal momento che fin dal 1572, con il titolo di «Pictorum aliquot celebrium Germaniae inferior effigies», l'umanista Dominicus Lampsonius avvicinava Brueghel alla pittura del maestro fiammingo, mentre Ludovico Giucciardini parlava di lui come di un «secondo Girolamo Bosco». La prima opera di Brueghel che testimonia l'attrazione per il fervido immaginario pittorico di Bosch è l'incisione derivata da un disegno dedicata al soggetto de "I pesci grandi mangiano i pesci piccoli" (1556), una visione quasi apocalittica delle leggi spietate della natura in cui dal ventre di un enorme pesce sgorgano numerosi pesci più piccoli. Anche in seguito Brueghel prende a piene mani dal mondo di Bosch ordinando però il caos cosmico presente nella sua pittura in una consapevolezza spaziale più moderna, in linea con le scoperte della pittura rinascimentale. I personaggi e le figure immaginarie presenti nella pittura di Bosch, come ad esempio i "grilli", figure mostruose di origine medievale che hanno significati apotropaici o di portafortuna, sono inserite in modo più razionale nel paesaggio e poste in relazione alle altre figure presenti nelle opere. I simboli nascosti nel repertorio figurativo di Brueghel sono tutti elementi tratti da una natura dominata da legge alchemiche e spirituali desunte dalla tradizione fiamminga. La conoscenza dell'alchimia, la scienza che consente la trasformazione dei metalli vili in metalli preziosi, fa quindi da sfondo a una visione del mondo, popolata, si, dagli stessi mostri di Bosch, ma destinato, grazie alla ricerca scientifica e spirituale umanistica, al miglioramento e alla purificazione. A Villa Olmo si potrà ammirare “I sette peccati capitali” (1500-1525), olio su tavola, opera esposta per la prima volta in Italia. Elena Di Raddo
Hieronymus Bosch, “I sette peccati capitali”, 1500-1525
Tra le fantasie inquiete del mondo di Bosch
Esorcizzava nell'arte le paure del suo tempo Nei quadri di Bosch non troviamo solo inquietudine, ma qualcosa di più. Possiamo affermare che si tratta di una sorta di terrore che, per certi versi, diviene quasi un delirio: ritroviamo infatti nei suoi dipinti figure che sono familiari alle persone che per qualche motivo perdono il rapporto con la realtà. Penso ad
esempio a un alcolista, oppure a uno psicotico che vede una sorta di metamorfosi kafkiana nelle trasformazioni animalesche o in quelle, ancora più comuni, di mostri. Sono ritratti di persone affascinate per quello che oggi noi chiamiamo "freak": possiamo affermare, con un po' d'ironia, che Bosch era "un fricchettone della storia dell'arte". Si tratta di aspetti tipici di quell'epoca: il Quattro-Cinquecento era un periodo in cui vi erano numerose
pestilenze, molte morti. Era un momento storico molto duro, non era ancora arrivata la voce del Rinascimento e quindi mancava anche la possibilità di salvarsi, mentre si aveva la percezione di venire consegnati al destino più brutale. La visione dell'epoca era molto laica: in tutto questo non c'era una presenza divina, ma forse solo diabolica. (Testo raccolto di Manuela Moretti) Paolo Crepet (Psichiatra e scrittore)
Pieter Brueghel il Vecchio, “La Risurrezione”, 1563/4
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Nello sguardo geniale di uno schivo maestro
«Chi è questo ch che con grande maeHieronymus Bos e pennello, è in grado di stria, con matita anti visioni del maestro, imitare le esuberperandolo? Possa tu, talvolta quasi su nello spirito come nella Pieter, crescere nel genere comico del tua arte, perché l tuo vecchio maestro, disegno, tuo e desima considerazione». sei tenuto in altis psonius Dominicus Lam i celebrati artisti dei n u c l a i d i t t "Ritra 72 Paesi Bassi", 15
L’analisi dello storico
L'ombra della carestia nell'inverno delle Fiandre L’età dei Brueghel è tempo di grande incertezza. Le Fiandre sono sconvolte dalla Riforma protestante che l’hanno investite in pieno e, pur essendo dotate di buoni porti e di importanti opifici tessili, risentono della crisi europea. Questa regione non solo è indebolita dalle continue guerre, ma altri due importanti fattori contribuiscono al suo grave peggioramento: da un lato le avverse condizioni climatiche - iniziate già all’inizio del Trecento e che proseguiranno fino al Sei-Settecento, con conseguenze di carestie ed epidemie a catena -, dall’altra la
cosiddetta "rivoluzione dei prezzi", che infierisce soprattutto nei Paesi soggetti alla Spagna e colpiti dall’inflazione in seguito al deprezzamento dei metalli nobili. Esplode infine durante il XVI secolo la caccia alle streghe, espressione del disagio e della paura diffusi. Ciò si riflette nella pittura dei Brueghel: inverni freddi, carestie e quindi fame, paura, incertezza del vivere, sogni ed incubi. Ma anche tradizioni rurali radicate e senso della festa come momento di gioia in una quotidianità dura e di allentamento dei freni morali. (Testo raccolto da Manuela Moretti) Franco Cardini (Storico del Medio Evo e saggista)
Per il biografo Karel Van Mander, Pieter Brueghel detto il Vecchio, per distinguerlo dal figlio che aveva lo stesso nome, «era persona tranquilla e savia, di poche parole; ma in compagnia era divertente e gli piaceva spaventare la gente e i propri garzoni con storie di fantasmi e mille altre diavolerie». Già ai suoi tempi era un pittore molto stimato, dai protettori e committenti illustri, apprezzato da tanti amici umanisti e letterati. Eppure di lui ci restano poche notizie. S'ignora la data e il luogo di nascita, presumibilmente tra il 1520 e il 1525, come anche la causa della sua scomparsa prematura, sui 45 anni, nel settembre del 1569. Mancano notizie sulla sua vita di ogni giorno, sulla bottega - se realmente ne ha avuta una - e per tracciare una biografia bisogna affidarsi anche all'opera grafica e dipinta, che spesso ha una datazione certa. La prima informazione assodata risale al 1551, quando il nome di Pieter Brueghel compare nei registri della corporazione di San Luca ad Anversa. Suo maestro era Pieter Coecke van Aelst (1502-1550), pittore di decorazioni, architetto, traduttore di Vitruvio e Serio. È accertato anche un suo viaggio in Italia (tra il 1551 e il 1553) e come dimostrano disegni e stampe, il transito per la Calabria, Reggio, per lo Stretto di Messina, e sulla via del ritorno per Napoli e Roma. Sulla base dei disegni si può ricostruire l'itinerario alpino verso casa, ovvero un passaggio per la valle del Ticino e il San Gottardo, di lì nei Grigioni e forse nel Tirolo. Sempre il Van Mander ricorda come: «Si diceva di lui che viaggiando attraverso le Alpi avesse inghiottito montagne e rocce per poi risputarle al suo ritorno su tele e tavole». Di nuovo ad Anversa, Brueghel entrava in stretti rapporti con Hieronymus Cock (1510-1570), attivissimo editore, libraio e commerciante di stampe. Il pittore si fermò in città per una decina di anni, se non forse per un breve viaggio ad Amsterdam nel 1662, ancora una volta attestato dai disegni. Nel 1563 sposava la figlia del suo maestro, Mayken Coeck, e si trasferiva a Bruxelles. Sono anni di vita ritirata e straordinariamente attiva, in quel periodo infatti dipingeva i suoi capolavori. In mostra viene presentato l'olio su tavola "La Risurrezione" (cm 107x73,8) prestito di una collezione privata belga. La composizione è stata eseguita sulla base di un'incisione attribuita a Philips Galle e pubblicata da Cock. Evidenzia chiaramente il disegno preparatorio, tipico della pratica di bottega adottata ad Anversa nel Cinquecento. Il dipinto è tra le opere a soggetto biblico più suggestive di Brueghel. Probabilmente l'originale è stato dipinto per il cardinale Granvelle, il suo più grande benefattore, per il quale l'artista eseguì altre scene bibliche quando si trasferì a Bruxelles. Emma Gravagnuolo
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Un’arte da appendere in salotto trasmessa di padre in figlio Brueghel il Vecchio non decorò chiese o luoghi pubblici, ma la sua arte fu soprattutto apprezzata da una copiosa cerchia di amici e collezionisti, per lo più borghesi e mercanti. A partire dal Cinquecento, nelle Fiandre meridionali e in Olanda, si verifica una significativa diffusione di quadri cosiddetti di "genere" con l'inserimento allegorie religiose o simbologie classiche. La borghesia ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo di questo processo. La ricchezza di questa emergente classe sociale introduce la natura morta come soggetto pittorico alternativo al nudo e al soggetto religioso e molti commercianti vogliono quadri con riferimenti alla loro attività commerciale. Questa committenza borghese richiede dipinti dalle piccole dimensioni che ben si adattano agli interni, ma che anticipano anche l'idea dell'opera d'arte da far circolare come oggetto di consumo. Si sviluppa una sorta di "pittura da salotto", caratterizzata da soggetti non più di religiosi. Cambiano i temi rappresentati, inseriti in uno spazio consapevolmente moderno, in cui pae-
durante il viaggio in Italia, tappa prediletta dagli artisti fiamminghi. Un'altra chiave di lettura della sua opera, sottolinea sempre Allegretti, è poi «quella alchemica, la pseudo-scienza dell'epoca con cui si cercava di arricchirsi producendo oro, di curare le malattie e prolungare la vita. Oggetti sparsi nascondono simboli precisi, riconoscibili solo dalle élite, calati e camuffati però nell'umanità scanzonata e sgangherata del popolino». Alessandra Coppa
saggio e figure si spartiscono razionalmente la superficie (anche minima) a disposizione. Brueghel si interroga sul tema dell'umanità contadina ritratta nei vizi del quotidiano. Si veda per esempio in mostra Pieter Brueghel iI Vecchio "Villaggio con contadini e animali" del 1609, un olio su rame di 11,2 x 16,8 cm. A differenza degli italiaJan ni del Rinascimento, scrive Pietro Allegretti, autore di una monografia su Brueghel il Vecchio (Rizzoli-Skira 2003), «l'uomo per Brueghel e per i nordici in generale non gode della fiducia datagli dalla filosofia e dalla protezione divina, ma è sopraffatto dalla Natura e rimpicciolito nella sua impotenza e nell'indifferenza generale. Per questo i suoi soggetti non hanno niente di ideale, ma sono piuttosto scrutati nella loro forma reale, per certi versi iper-reale». Un altro tema fondamentale è dunque quello della Natura, che si legge nelle vaste aperture paesistiche, spesso ispirate alle vedute colte
Giovane Pieter il
il Vecchio
A destra: P. Brueghel il Vecchio, “Riposo durante la fuga in Egitto”, 1959 ca. A sinistra: Pieter il Giovane, “La predicazione di S. Gio vanni Battista”.
Quella "h" scomparsa senza sapere perché Tra i misteri di Pieter il precursore ce n'è uno che ha suscitato molti interrogativi tra gli storici dell'arte e riguarda il suo nome. Si scrive con la "h" o senza? A confondere le acque è proprio il capostipite della dinastia di pittori fiamminghi, che fino al 1559 si firmò come "Brueghel", per poi optare per la forma semplificata "Bruegel" (grafia scelta dai curatori della mostra di Como dedicata alla dinastia di artisti). C'entra qualcosa il viaggio in Italia? Molto più probabilmente quella "h" non era quasi pronunciata o avvertita, nel linguaggio parlato. Quindi, finì per cadere anche nella versione scritta. Ad ogni buon conto, nel quadro "Le due scimmie incatenate" un olio su tavola del 1562 (20x23 cm), conservato nella Gemäldegalerie di Berlino, della consonante aspirata non c'è più traccia. P. Brueghel il Vecchio, “I discepoli di Emmaus”, incisione, particolare, XVI sec.
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«Comico e dissacrante» L'analisi di Bonito Oliva Soprannominato "Pietro il Faceto" per i soggetti goffi e viziosi, bistrattato, confuso con Bosch e poi dimenticato, "pittore dei contadini" erroneamente ritenuto tale. Così la critica ha visto per secoli il maestro Brueghel, «osservatore comico della realtà popolare fiamminga del ‘500». Solo col venir meno dei canoni classici che perdurano fino all'impressionismo, cadono i condizionamenti che ne limitano la comprensione. L'uomo di Brueghel non ha niente di ideale, è indagato nella sua forma reale, a volte iper-reale, moltiplicato e rimpicciolito nell'indifferenza generale, sopraffatto da una natura che non domina. Sull'avventura critica di Brueghel interviene uno dei più importanti critici italiani, Achille Bonito Oliva, teorico della Transavanguardia Italiana: il mediatico, provocatorio ABO, che a casa sua non tiene un quadro, perché «l'importante non è possedere l'arte ma l'avventura creativa dell'arte». La critica ha fatto tacere Brueghel per tre secoli.Viene in mente una sua frase: «il critico è un angelo sterminatore o un portatore di immortalità». Il critico ha sempre avuto un enorme potere di condizionamento, dare visibilità o valorizzazione artistica. Oggi invece è complementare all'artista. Con la Transavanguardia teorizzo che agisce con tre scritture: saggistica nei libri, espositiva nelle mostre e comportamentale, quando usa la sua autorità attraverso i media per dare una tendenza. Nel disegno "Il pittore e il critico", Brueghel rappresenta l'artista (un autoritratto) nel tormento visionario e il critico che scruta curioso dietro le spalle, mano alla bisaccia, un gretto a cui la visione sarà sempre preclusa. È
ancora così? Oggi il rapporto critico-artista non è più un rapporto di gerarchia. Il critico non è più un passo dietro all'artista ma sono artefici entrambi dell'avventura creativa. L'arte contemporanea è come una catena di S. Antonio che fa capo a soggetti ognuno portatore di una propria identità professionale, il cui sodalizio produce un plus valore: il passaggio dall'arte a super arte. L'artista crea, il critico riflette, il pubblico contempla, il gallerista espone, il collezionista tesaurizza, i media celebrano gli eventi. Un sistema capillare e talvolta silenzioso. Il critico non è sottomesso al palcoscenico dell'artista ma protagonista esso stesso. È quello che faccio io col mio narcisismo. Cosa dice Brueghel ai contemporanei? Il gioco e l'erotismo. La laicità. Quel tratto comico inteso come rapporto erotico con la vita. Brueghel dà spazio al corpo, alla materia, ha una visione corporale non sublimale. L'opera non si priva del piacere della rappresentazione e della narrazione. Proprio il tratto comico che lo svalutava agli occhi dai contemporanei. Perché attuale? Il comico instaura un rapporto facilitato con la nostra che è la società dell'irrilevanza e della spettacolarità. Il comico dissolve, destruttura, frammenta il sublime, l'infinito, le certezze con le maiuscole. Il comico è la perdita dell'assolutezza e l'avvento del relativo, la distruzione del tragico e l'affermazione dell'effimero, dell'illusorio. Il comico è l'unica chiave che riesce a smascherare la spettacolarità. Anna Bernasconi
Pieter Brueghel il Vecchio, “Festa di contadini”, incisione, particolare, XVI sec.
L’erotismo
Il grottesco
Grottesca, erotica e a tratti comica: ha questi profili l’arte dei Brueghel, a partire dal capostipite Pieter il Vecchio (sopra e sotto opere non in mostra). In alto: Pieter Brueghel il Giovane “Festa di matrimonio”, particolare 1610 ca.
o Mistero buff
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Il marchio di famiglia in diavolerie di successo Si può quindi affermare che la sua vicenda artistica coincida con quella del clan familiare e con una pratica molto diffusa ad Anversa in quegli anni. In ogni famiglia, infatti, i vari membri coprivano tutti i ruoli di pittore-mercante e collezionista (oltre ai Brueghel si posso ricordare i Goetkint, i De Wael e i Van der
Pieter Brueghel
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ca .
Diversamente dal fratello Jan Brueghel il Vecchio, che lasciò la sua città natale per cercare fortuna in Italia, Pieter Brueghel il Giovane (1564-1637/8) trascorse tutta la sua vita ad Anversa dedicandosi alla tradizione pittorica avviata dal padre e facendosi quindi nume tutelare del "marchio" di famiglia anche grazie alla sua spiccata abilità nell'uso delle tecniche pittoriche.
Eynden) ed erano implicati in una fittissima rete di parentele. Gli scambi commerciali, gli acquisti e le vendite avvenivano quindi quasi sempre tra cugini, cognati, zii e nipoti e anche le donne, mogli o sorelle, partecipavano a questa fervente attività artistico commerciale. I contatti avviati dal fratello in Italia e in altre corti europee divengono quindi anche per il più stanziale Brueghel il Giovane un'ottima occasione per far fiorire l'attività paterna. Egli si fece depositario non solo della tradizione pittorica, ma anche dello "stile Brueghel" stesso avviato dal padre, specializzandosi in temi molto simili dalle figure, ai paesaggi, alle scene di genere - e talvolta eseguendo delle vere e proprie copie. Nonostante il soprannome di "Brueghel degli Inferni", con cui è passato alla storia, attribuitogli da Descamps nel XVIII secolo in quanto sarebbe stato autore soprattutto di "diaboleries", piccole tavole rappresentanti incendi e scene infernali, in realtà Brueghel il Giovane non ha probabilmente mai realizzato quadri con scene infernali, che furono invece una particolarità dell'attività giovanile del fratello. Il suo tema prediletto fu invece quello dei banchetti e delle feste, ben rappresentato in mostra da "Festa di matrimonio all'aperto" (1610), descritto da Gorge Mallier come «uno di soggetti più polari della pittura fiamminga all'inizio del XVII secolo». Partendo dal "Banchetto nuziale" del Kunsthistorisches Museum di Vienna dipinto dal padre, Pieter ripercorre la stessa spensieratezza e animazione della scena festosa attraverso però uno stile che enfatizza l'aspetto grottesco e sarcastico dei singoli personaggi. Tra le sue tele in mostra si ammira "Gli adulatori". Elena Di Raddo
L'analisi dell’artista Nicola Salvatore
Padri e figli in società: «Quell’epoca è finita» A proposito del conflitto o della collaborazione tra padri e figli artisti Nicola Salvatore, docente all'Accademia di Brera, sostiene che è una questione di epoca. È finita l'era delle grandi dinastie europee di pittori che avevano tutto l'interesse a tramandare l'arte. «La storia ci dice che i Brueghel - osserva Nicola Salvatore - hanno collaborato molto in una grande famiglia simile ad una fabbrica dal marchio riconosciuto. Gli artisti oggi non possono essere paragonati alla categoria dei notai, farmacisti e avvocati». In casa Salvatore convivono personalità ed espressioni
differenti con una medesima sensibilità che riconosce l'importanza del fare artistico. «Mio figlio Michelangelo ha seguito le mie orme - spiega Nicola Salvatore - ma non ha mai fatto il mio assistente. Io e lui abbiamo obiettivi e percorsi diversi. Le sue opere sono lontane anni luce dalla mio universo espressivo, ma raccontano cose sorprendenti, cariche di stupore e verità. Mi commuove mio padre Angelomichele, scultore, quando chiede consiglio riconoscendomi un'autorità». Stefania Briccola
Ritratto di Pieter Brueghel il Giovane, eseguito da van Dyck.
Unico nel rendere le tele morbide come velluti "Il Brueghel dei Velluti", secondo la definizione con cui venne associato Jan Brueghel il Vecchio (Bruxelles 1568-Anversa 1625), figlio di Pieter Brueghel, si distingue dagli altri membri della famiglia per una personalità spiccata, ben distinta da quella del padre, che sviluppa soprattutto nel periodo più maturo. Attirato dall'Italia per la ricchezza della sua cultura, dall'essere il luogo in cui avevano operato Raffaello e Michelangelo, ma anche dalla speranza di guadagnarsi da vivere, Brueghel intraprese fin dal 1589 una serie di viaggi in Italia. La sua presenza assidua a Napoli, Roma e Milano, ma soprattutto la sua capacità di mantenere i contatti con i mecenati italiani anche dopo il suo ritorno ad Anversa ha fatto si che diverse sue opere siano presenti in collezioni italiane in misura forse anche maggiore rispetto ad esempio a quelle del connazionale e amico Paul Brill, che visse a Roma ininterrottamente per quasi quarantacinque anni. E si deve proprio alla frequentazione di uno di questi grandi mecenati, il cardinale Federico Borromeo, conosciuto dapprima a Roma e poi a Milano in un breve soggiorno nel 1596, la commissione di alcuni disegni e piccoli dipinti presenti nella collezione della Pinacoteca Ambrosiana. Nella sua maturità Jan Brueghel, dopo un iniziale periodo in cui si dedica come il fratello a soggetti alla moda di incendi e scene infernali, si specializza in dipinti di fiori e soprattutto in paesaggi in cui scene biblicheallegoriche sono inserite in un contesto naturalistico di grande accuratezza ed effetto visivo. Brueghel era particolarmente attento alla verità del soggetto rappresentato. Questo spiccato interesse per la dimensione naturalistica, che poteva in qualche modo deviare la lettura allegorica della scena religiosa rappresentata, non preoccupava il cardinale di Milano che, pur dichiarandosi contrario nei suoi scritti ufficiali ai quadri religiosi in cui il soggetto diveniva un accessorio relegato in un angolo, ammirava e apprezzava questo genere di pittura ampiamente presente nella sua collezione personale. Brueghel raggiunge uno dei vertici della natura morta nel ciclo dei “Cinque sensi”, dipinti insieme all'amico Rubens per il re di Spagna: un tripudio di frutti, carni, pollami e cacciagione, insieme a quadri e oggetti preziosi che decretano il successo di un tipo di pittura che nel Seicento diventa un genere autonomo e molto apprezzato dai collezionisti. Elena Di Raddo Autoritratto di Peter Paul Rubens (1577-1640).
Jan Brueghel il Vecchio & P. P. Rubens, “Madonna con Bambino in una ghirlanda di fiori”, 1616-1618 ca.
17 ima, alle pr ni fare tssaturo: g i o s e i bo ri b «Gli fio desseigni oo in quatra oisensa iori vengon encioni besan tutti i f et sense inu ime coin gr mesi, ngere in se gni giu tcion». ecchio discre hel il Verico Borro g e u r Jan B dinale Fed al car meo
Lavoro di squadra
«Rubens faceva il ritratto, i Brueghel lo infioravano» Esiste una stretta relazione tra Rubens e le grandi ditte pittoriche come quella dei Brueghel, finalizzata a due tipi di operazione: da un lato un vero e proprio mercato dell'arte, e dall'altro lato la presenza di una collaborazione. In genere, Rubens o uno della sua scuola realizzavano l'immagine e poi i Brueghel completavano l'opera con una corona di fiori: nasceva così un dipinto di devozione realizzato a due mani. Esistono poi tutta una serie di collaborazioni di altro tipo in quelli che sono i grandi dipinti di allegorie degli elementi: in questi casi la compartecipazione la troviamo nell'infinita
quantità di dettagli che vengono realizzati. Il tipo di collaborazione tra le due ditte prosegue per qualche decennio e sono soprattutto i Brueghel ad avere questo ruolo. Un altro punto importante, che spesso è sottaciuto, è la compresenza sul mercato milanese: questo è particolarmente interessante perché sia Rubens, sia poi i Brueghel - e in particolare Jan "dei Velluti"- hanno un rapporto forte con l'ambiente del cardinale Federico Borromeo. (Testo raccolto da Manuela Moretti) Andrea Spiriti (Docente all'Università degli Studi dell'Insubria)
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Pieter Brueghel il Vecchio (Breda 1525/1530 - Bruxelles 1569) ebbe due figli: Pieter II detto il Giovane (Bruxelles 1564Anversa 1637/38) e Jan, detto Brueghel dei Velluti (Bruxelles 1568 - Anversa 1625), detto il Vecchio, padre di Jan II il Giovane (Anversa 1601-1678). Mentre Pieter II si adeguò ai motivi pittorici del padre, Jan il Vecchio, amico di Rubens, ebbe un ruolo originale e di primo piano. Pieter III, figlio di Pieter II, proseguì l'insegnamento del padre, ma non ebbe eredi.I figli di Pieter che continuarono l'attività paterna non poterono godere del suo insegnamento perché alla sua morte erano bambini. Pieter Brueghel il Giovane detto Brueghel degli Inferni (Bruxelles 1564- Anversa 1638) fu allievo di G. van Coninxloo, ma si specializzò nella replica di opere del padre, così che alcuni originali perduti del capostipite della bottega sono in qualche misura risarciti dal lavoro del figlio. Negli anni giovanili manifestò maggiore indipendenza e freschezza inventiva raffigurando scene dove il fuoco è l'elemento
dominante, sia in fantastiche e ossessive immagini infernali, sia in più realistiche scene d'incendio che gli valsero il soprannome "degli Inferni". La maggior parte della sua produzione si volse alla ripresa con varianti dei fortunati soggetti paterni. La committenza apprezzava la vena descrittiva e popolaresca di quel genere che il pittore alimentava con dettagli della vita contadina (opere ad Anversa, Bruxelles, Budapest, Graz, Firenze-Uffizi). Dipinse i personaggi nei paesaggi del collega Joos de Momper (Anversa 15641635). Jan Brueghel detto il Vecchio o Brueghel dei Velluti (Bruxelles 1568- Anversa 1625) fu il secondogenito di Pieter il Vecchio, morto il quale si trasferì con la madre e il fratello ad Anversa, presso la nonna Marie Bessemers, pittrice di acquarelli e miniature, che gli impartì i primi insegnamenti dell'arte pittorica. Jan proseguì la formazione nella bottega del pittore Pieter Goetkint, che collezionava e commerciava in oggetti d'arte. Anche Jan appena si affrancò dai vincoli dell'apprendistato,
come il fratello maggiore Pieter sulle tracce del padre, ma con piglio personale, affrontò su piccolo formato il tema del fuoco in scene d' incendio e ambientazioni infernali. L'attività di Jan fu proseguita dal figlio Jan il Giovane (Anversa 16011678). Dei cinque nipoti di Jan il Vecchio il più noto fu Abraham (Anversa 1631 Napoli 1697) detto il Napoletano; dal 1569 fu a Roma dove studiò le nature morte di Mario dei Fiori e dal 1675 a Napoli dove, proseguendo nel genere della natura morta, influenzò pittori italiani come G. B. Ruoppolo e Giuseppe Recco. La mostra di Villa Olmo conta anche opere di Abraham Brueghel (1631-1697) e Ambrosius Brueghel (1617-1675). Alberto Rovi Jan Brueghel il Giovane, “Madonna con bambino e angeli in un paesaggio”, 1620 ca.
Da Pieter ad Ambrosius due secoli da protagonisti
L'esperto delle perizie
«Ma la loro “maniera” li ha un po' penalizzati» I Brueghel sono stati degli antesignani, sia per la storia dell'arte che per le dinamiche del mercato. Nessuno come loro ha approfondito le scene di genere - si pensi soltanto alle feste popolari -: ciò consentito loro di essere riconosciuti dai compratori. Ripetere sempre se stessi ha significato essere ben identificabili sotto il profilo commerciale. Naturalmente esiste anche l'altra faccia della medaglia. Perché nel tempo, proprio per questa "maniera" e per la riproduzione delle opere di Pieter il Vecchio, si sono verificati pro-
blemi attributivi, almeno nei primi anni del Novecento. Perché poi, col tempo, con la maggiore attenzione critica verso la dinastia fiamminga e gli studi che ne sono seguiti, queste perplessità sono state superate. Un grande merito va anche alle perizie tecniche, sempre più specifiche, svolte nel corso degli ultimi decenni. (Testo raccolto da Laura Di Corcia). Tiziano Panconi (Direttore del "Butterfly Institute fine art consulting" di Chiasso)
Jan Van Kessel il Giovane, “Ghirlanda di fiori con uccelli al centro”, XVII sec.
David Teniers il Giovane (Anversa, 1 dicembre 1610-Bruxelles, 25 aprile 1690) è stato un pittore e incisore fiammingo, noto per le sue rappresentazioni della vita contadina nelle Fiandre. Tra le sue opere si trovano numerosi dipinti di genere con scene rustiche, di taverna, di osteria, di stregoneria, feste paesane, laboratori di alchimisti e interni di gallerie. L’artista era figlio di David Teniers il Vecchio (1582-1649), mercante d’arte e pittore, e marito di Anna Brueghel (16201656), figlia di Jan Brueghel dei Velluti e nipote di Pieter Brueghel il Vecchio, che sposò nel 1687 in prime nozze. Così i rami fondanti delle due famiglie si unirono e collegarono poi con i Van Kessel e Quellinus. Ad influenzare David Teniers il Giovane furono Adriaen Brouwer con il genere d’ispirazione popolare ricco di simbolismo morale, i libri di emblemi di Jacob Cats e i dipinti di Hieronymus Bosch per le figure di demoni e streghe. La sua opera risente anche dell’influenza di Frans Francken II, di Pieter Brueghel e di Pieter Paul Rubens, che seppe unire carriera artistica, affari e attività diplomatica. David Teniers il Giovane nel 1645 divenne decano della Gilda di San Luca ad Anversa e nel 1651 si trasferì a Bruxelles dove fu nominato pittore di corte e conservatore delle collezioni dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo, governatore dei Paesi Bassi spagnoli. Poi ebbe altri incarichi prestigiosi nelle corti europee prima di morire a Bruxelles il 25 aprile 1690. Jan Van Kessel il Vecchio (Anversa 1626-Anversa 1679), nipote di Jan Brueghel il
Vecchio e allievo di Simone de Vos, divenne celebre per i suoi dipinti floreali e naturalistici. Era interessato al realismo delle forme di vita e si avvaleva di illustrazioni di testi scientifici per meglio rappresentarle. Nelle sue opere compaiono farfalle, ragni, lucertole, scarafaggi, formiche e insetti resi con estrema accuratezza. I suoi quadri sembrano schede tecniche di storia naturale. Invece Jan Van Kessel il Giovane (Anversa 1654Madrid 1708) oltre a dipingere fiori e animali nello stile del padre si specializzò nel ritratto. In Spagna fu nominato pittore di corte nel 1686 dal re Carlo II. Stefania Briccola
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E l'arte scopre la scienza da museo
David Teniers, “Contadini in una taverna”, XVII sec.
Teniers e Van Kessel Il talento spicca il volo
Van Kessel il Vecchio, “Studi di farfalle ed altri insetti”, 1671
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(v.fis.) Farfalle disegnate con cura da entomologo, minuscoli gechi, scarabei e insetti d'ogni foggia resero molto popolare Jan Van Kessel il Vecchio (1626-1679). Nelle sue tele si riflette sia il gusto di un'epoca - il Seicento - che guardava alla natura con occhi nuovi, con curiosità scientifica, sia l'affermazione di una pittura funzionale a illustrare i testi naturalistici. Il Nord Europa era particolarmente sensibile a questo progresso di conoscenze: basti pensare agli studi di Keplero, nativo di Stoccarda (1571-1630) o a quelli dell'astronomo Tycho Brache (1546-
1601). È anche il momento del boom degli studi anatomici e, più in generale, dell'interesse per le "mirabilia" da collezione. Siamo quindi agli esordi dei musei scientifici, quando ammiriamo quadri come quelli di Van Kessel. Il passo successivo fu la riproduzione in resina o gesso di piante, animali, dettagli anatomici: una fase molto ben rappresentata a Como dal Museo Casartelli, voluto a inizio '900 da Enrico Musa, dove si ammirano i pezzi unici realizzati dalla maison Deyrolle in Rue du Bac. (Nella foto di Carlo Pozzoni uno di questi preziosi oggetti)
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Collina: «Arte e mercato nella vita di bottega» «Dal secondo Medioevo, l'artista ha sempre lavorato per una specifica committenza. Dipinge in bottega - situata al piano della strada - riceve i committenti, istruisce gli allievi. Solo dalla metà dell'Ottocento, i pittori prima dipingono e poi vendono le loro opere»: a spiegarlo è Giuliano Collina, che ci racconta delle botteghe
d'arte nel Cinquecento. Le notizie biografiche su Pieter Brueghel il Vecchio sono lacunose: in un documento di Van Mander, gli vengono attribuiti dei "propri garzoni". Ma non si sa nulla di preciso della sua bottega. «Certo, non abbiamo notizie documentate, ma ciò non vuol dire che non ne gestisse una. Pieter Brueghel aveva sicuramente un luogo di lavoro, anche se può darsi che non si facesse aiutare più di tanto». Com'era la struttura delle botteghe rinascimentali? A capo c'era il maestro, garante della qualità dell'opera - spiega ancora l’artista -. I compiti venivano distribuiti in base all'anzianità e alle competenze. La bottega comprendeva i collaboratori anziani, gli apprendisti e i garzoni. La bottega produceva le opere, spesso replicate dal maestro, e le copie per mano degli assistenti. Che età avevano gli apprendisti? Entravano in bottega giovanissimi e ricevevano vitto e alloggio. Erano soprattutto
figli di chi già esercitava la professione o giovani dotati per le arti figurative. Quanti anni durava l'apprendistato? Fino a quando l'apprendista si sentiva in grado di aprire bottega per conto proprio, cosa che poteva anche non succedere mai, come per qualsiasi altra attività artigianale. I più bravi ereditavano la bottega del maestro…. Qualche volta è successo: Lorenzo di Credi ereditò la bottega del Verrocchio, ma è più facile che la bottega venisse ereditata dai figli o dai parenti del maestro. Potevano associarsi più maestri per far fronte a una committenza lunga e laboriosa? Non credo. Le botteghe erano spesso in competizione, non ricordo sinergia a questo proposito. Più facile invece che subentrasse un nuovo maestro a concludere un lavoro già iniziato da altri. Che genere di manufatti si producevano? La bottega doveva essere in grado di lavorare con tutte le tecniche: affresco, tempera su tavola e olio su tela (dal Quattrocento). I soggetti erano i più vari: da quelli sacri ai ritratti, dalle nature morte fino ai dipinti celebrativi. Emma Gravagnuolo
La pittura, business "di famiglia"
«Dinastia calvinista, con l'estetica degli affari» La nascita di una dinastia di pittori nei Paesi Bassi del Cinquecento e Seicento non è casuale, ma frutto di una convergenza di fattori. La vita di bottega, infatti, in quell'epoca, dal punto di vista economico era abbastanza fruttuosa, ma soprattutto consentiva di avvicinarsi in maniera considerevole al mondo degli affari. I pittori fiamminghi, infatti, appartenendo ad un ambiente calvinista, per primi hanno abbandonato l'iconografia religiosa tradizionale - tipica della cultura cattolica -, per abbracciare una pittura laica. Un cambia-
mento obbligato dal proliferare delle professioni mercantili, che trattavano la pittura non soltanto come espressione artistica, ma come arte funzionale allo sviluppo economico. Quello fiammingo, in altre parole, era un territorio produttore di merci e la professione del pittore diventava la testimonianza diretta di questo mondo. Una concezione unica e moderna che rendeva la vita di bottega particolarmente gettonata. (Testo raccolto da Marco Castelli) Franco Cardini (Storico del Medio Evo e scrittore)
Nella foto grande: Jan Brueghel il Giovane e Lucas Van Valkenburch, “Panorama di città costiera con contadini che attraver sano il punte”, 1630 c.a.; sopra: Abraham Brueghel, “Frutta su tela in un paesaggio”, XVII sec.
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IL FASCINO DI VILLA OLMO
Pieter Brueghel il Vecchio (1525/30 – 1569) Incisioni “S. Gerolamo nel deserto” “I discepoli di Emmaus” “Festa di contadini” Dipinti “La Risurrezione” Pieter Brueghel il Giovane (1564-1638) Disegni “Paesaggio collinare con contadini su una strada di campagna” Dipinti “Festa di matrimonio all’aperto” “Gli adulatori” “Trappola per uccelli” “Il censimento di Betlemme” “Paesaggio invernale con trappola per uccelli” “La predicazione di San Giovanni Battista” Jan Brueghel il Vecchio (1568-1625) Disegni “Villaggio con castello vicino a un fiume” “Paesaggio fluviale invernale con pattinatori” (verso) e “Trappola per uccelli” (fronte) “Barche da pesca nel porto e paesaggio fluviale” “Villaggio con villici su un carro” “Il castello di Tervueren” “Barche su una costa montuosa” “Disegno preparatorio per cavalli e carri” “Il castello di Oudeker” Dipinti “Villaggio con contadini e animali” “Paesaggio fluviale con bagnanti” “Riposo durante la fuga in Egitto” “Paesaggio boscoso con la tentazione di S. Antonio” “Il riposo durante la fuga in Egitto” Jan Brueghel il Giovane (1601-1678) Disegni “Villaggio con contadini vicino a un fiume con barca a vela” “Strada di villaggio con viandanti” “Verso il mercato in inverno” “Strada verso il mercato” “Paesaggio fluviale con mulino a vento e chiesa” “Paesaggio fluviale con veduta panoramica di Anversa” (verso) e “Paesaggio fluviale boschivo” (recto, eseguito da altra mano) “Incontro tra viaggiatori” “Paesaggio collinare con chiesa e viandanti” Dipinti “Madonna con Bambino e angeli in un paesaggio” “Bouquet imperiale in vaso dipinto con maniglie” “Animali che si abbeverano lungo una strada di campagna” “Natura morta con fiori in un vaso di vetro” “Vertumno e Pomona” “Allegoria dell’olfatto” “Allegoria dell’udito” “Allegoria della pace” “Allegoria della guerra” “Allegoria dell’amore” “Grande natura morta di fiori in un vaso intagliato” “La visione di Sant’Uberto” “Natura morta di fiori in un vaso d’argilla” “Fiori in un cesto e in un vaso d’argilla” “Paesaggio boschivo con la Vergine Maria e il Bambino, San Giovanni e l’Angelo” “Paradiso terrestre” Abraham Brueghel (1631-1697) “Natura morta con frutta, fiori ed uccellino” “Natura morta con cacciagione” “Frutta su tela in un paesaggio” “Natura morta con frutta e uccello esotico” “Fiori e frutta” Ambrosius Brueghel (1617-1675) “Coppia di nature morte floreali” “Allegoria degli elementi” “Terra” “Fuoco” “Acqua” “Aria” “Mazzo di fiori in un vaso di vetro” “Vaso di tulipani” “Natura morta con fiori in un vaso d’argilla” Jan Pieter Brueghel (1628-1664) “Natura morta con fiori” Studio di Jan Brueghel il Giovane “Adorazione dei Magi”
Sede della mostra dedicata alla dinastia dei Brueghel, Villa Olmo è proprietà del Comune di Como. Progettata nei primi anni Ottanta del Settecento dall’architetto ticinese Simone Cantoni, la dimora neoclassica era intesa come residenza estiva per i marchesi Odescalchi, in una posizione di favore, affacciata sullo specchio del lago. Successivi passaggi di proprietà portarono la villa in mano ai marchesi Raimondi, prima, e alla famiglia Visconti di Modrone in seguito: ognuno ha apportato cambiamenti che hanno consolidato l’immagine odierna della villa che è stata acquisita dal Comune nel 1927.
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Hieronymus Bosch (1450/60-1516) “I sette peccati capitali”
Jan Brueghel il Giovane & Lucas Van Valkenborch (1530-1597) “Panorama della città costiera con contadini che attraversano il ponte” Jan Brueghel il Giovane & Bartolomeo Cavarozzi (1585-1625) “La Sacra Famiglia in una ghirlanda di fiori” Jan Brueghel il Giovane & Hendrick van Balen (1575-1632) “Allegoria dei quattro elementi” (2 tele) “Allegoria della Terra” “Contadini di ritorno dal mercato” “Allegoria dell’acqua” “Allegoria di fuoco e aria” (coppia di dipinti) “Paesaggio boscoso con Madonna e Bambino” Jan Brueghel il Giovane & Pieter Van Avont (1600-1652) “Flora e Putys in un parco” Jan Brueghel il Giovane & Joost De Momper (1564-1635) “Paesaggio collinare con viandanti” Jan Brueghel il Giovane & Frans Francken il Giovane (1581-1634) “I quattro elementi” “La Vergine e il Bambino con angeli in una ghirlanda di fiori” Jan Brueghel il Vecchio & Peter Paul Rubens (1577-1640) “Madonna con Bambino in una ghirlanda di fiori” Jan Brueghel il Vecchio e Jan Brueghel il Giovane “Natura morta con tulipani e rose in un vaso di vetro, appoggiato su un tavolo” Otto Van Veen & Jan Brueghel dei Velluti (1556/58 - 1629) “Golgotha”
Bartolomeus Spranger (1546-1611) “Ritratto di Peter Brueghel” Marten Van Cleve (1527-1581) “Danza nuziale” Jan Van Kessel il Vecchio (1626-1679) “Studi di farfalle e altri insetti” (2 opere) “Paesaggio con il riposo dalla fuga in Egitto” “Studio di fiori primaverili con farfalle e insetti” “Ampio studio di farfalle, insetti e conchiglie” David Teniers il Giovane (1610-1696) “Paesaggio con pastori” “Contadini in una taverna” “Corpo di guardia con soldati che giocano a carte” “La raccolta delle mele” Ferdinand Van Kessel (1648-1696) “Cesto di frutta su un davanzale” Jan Van Kessel II (1654-1708) “Natura morta con frutta e tulipani” “Natura morta con fiori, frutta e selvaggina” “Allegoria delle quattro stagioni” “Ghirlanda di fiori con farfalle e insetti nel centro” Josef Van Bredael (1688-1739) “Contadini di ritorno dal mercato” (Alla maniera di J. Brueghel) “Paesaggio fluviale “(Alla maniera di J. Brueghel) Pieter Coecke Van Aelst (1502-1550) “La lamentazione” Pieter Coecke Van Aelst & Studio (1502-1550) “Madonna con Bambino. Trittico”
*(Elenco delle opere in mostra fornito dal Comune di Como e aggiornato al 19 marzo)
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«Il mondo dei Brueghel dialoga costantemente con la realtà popolare». Il critico Philippe Daverio spiega con queste parole il rapporto molto stretto tra l'opera della grande dinastia di pittori, avviata da Pieter Brueghel il Vecchio, e la vita contadina del XVI e XVII secolo. Una quotidianità che viene spesso fotografata da un lato goliardico, grottesco, ai limiti del "naif", ma che rispecchia la realtà dell'epoca. E il legame forte esistente tra l'uomo e il ciclo della natura. Daverio, la rappresentazione dei contadini è un tema forte e ricorrente nei quadri di Brueghel il Vecchio e dei suoi discendenti... Si tratta semplicemente di una rappresentazione realistica dell'epoca. La cultura popolare fiamminga coinvolgeva tutto il territorio dei Paesi Bassi e la pittura, in quel periodo, si divise in due filoni diversi:
il primo, che sorse intorno dalla metà del Quattrocento, era incentrato sulla vita di corte, il secondo, appunto, sulla vita contadina. Brueghel il Vecchio aprì un dialogo costante proprio con questa realtà popolare: i suoi sono contadini veri, non i contadini che piacevano ai ricchi. La quotidianità contadina, però, si esprime anche e soprattutto attraverso il suo lato più goliardico e grottesco…. I contadini erano così. Il loro modo di vivere, testimoniato proprio da questi quadri, era talmente coinvolgente che i balli delle feste popolari colpiranno perfino gli spagnoli. Il flamenco, non a caso, come dice l'etimologia della parola, deriva proprio dalle danze fiamminghe. Anche i discendenti riprenderanno, nelle loro opere, la vita contadina? Sì e non solo. Questa visione della vita contadina si evolverà con il passare degli
anni, assumendo una direzione diversa, con una presenza maggiore del lusso. D'altra parte, da un secolo all'altro, il cocktail culturale vivrà diversi cambiamenti. Quanto conta nell'opera dei Brueghel il rapporto tra l'uomo e la natura? È un legame automatico, più che consapevole, che fa parte non solo dei Brueghel, ma delle radici della pittura fiamminga. La natura c'è e, in quanto tale, va rappresentata. Marco Castelli
Pieter Brueghel il Giovane, “Il censimento di Betlemme”, 1605-1610
«Quel rustico mondo naif con gran voglia di vivere»
«Con i Brueghel è nata la scienza del clima» Le tavole dei mesi di Pieter Brueghel il Vecchio e le successive opere di altri pittori fiamminghi hanno di fatto segnato la nascita di una branca ben precisa della climatologia, ovvero la climatologia storica. L'analisi di questi famosi quadri, che presentano in maniera realistica il rapporto tra la civiltà contadina e il ciclo della natura, è stata avviata nei primi anni
del Novecento, quando ci si è posti la seguente domanda: «É mai esistito un periodo più freddo di quello attuale?». La risposta affermativa è arrivata proprio dallo studio approfondito delle tele del XVI secolo, che ritraggono i canali ghiacciati i rigidi inverni che caratterizzavano all'epoca i Paesi Bassi. Da queste considerazioni, è nata la climatologia storica e i quadri sono diventati un ulteriore testimonianza, che oggi si aggiunge, ovviamente, allo studio dei sedimenti fossili e di altri
preziosi reperti che da quel periodo sono arrivati intatti fino ai giorni nostri. (Testo raccolto da Marco Castelli) Luca Mercalli (Meteorologo e climatologo)
Pieter Brueghel il Giovane, “Festa di matrimonio all’aperto”, 1610 ca.
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Chi vuol esser lieto sia! La vita vuol fare festa Le cronache del Cinquecento e del Seicento sono piene di resoconti di feste in cui il momento culminante consiste nella distribuzione gratuita di cibo alla popolazione. Per molti quella della festa era un'occasione rara per mangiare a sazietà. Ed era una specie di specchietto per le allodole usato dai potenti che cercavano di far dimenticare, con la generosità di un giorno, la fame vera che durava tutto il resto dell'anno. Una festa caratterizzata da eccezionali distribuzioni di cibo, in Italia, era quella della porchetta che si celebrava a Bologna il 24 di agosto. Dall'alto di un balcone o di una torre si lanciava al popolo che
aspettava in piazza una gran quantità di polli, di altri cibi, monete e, per finire in bellezza, la porchetta, che la folla cercava di agguantare al volo, tra grida, spinte e zuffe piuttosto accese. A Napoli, nel Seicento, si organizzava invece il gioco della cuccagna. I contadini e gli strati più poveri della città, vittime delle carestie, delle guerre, delle tasse, dell'aumento dei prezzi, si consolavano immaginando l'esistenza di un luogo, il paese di cuccagna appunto, dove tutto era a portata di mano, per di più senza doverlo pagare. Certamente un contributo alla conoscenza della cucina popolare, in Italia (va segnalato che il nostro Paese mantenne fino agli inizi del 1600
il primato dell'arte della cucina in Europa che poi passò alla Francia), è stato dato dalla letteratura. E citiamo, su tutti, un classico di recente riscoperto il "Baldus" di Teofilo Folengo, che ci racconta come nel Mantovano nella prima metà del Cinquecento la gente cucinava polente di farina di castagne e zuppe di pane, di fagioli, di ceci e di piselli; nei giorni di festa usava fin da allora la mariconda, un impasto di pan grattato, uova e formaggio cotto nel brodo a cucchiaiate. Erano popolari lasagne e pappardelle, taglierini, gnocchi e maccheroni. Cibi semplici, nel com-
plesso nutrienti, tra i quali però non compare la carne, presente con tanta monotona dovizia solo sulle mense signorili. La scoperta dell'America, nel 1492, aveva già fatto all'Europa i suoi doni, in fatto di nuove coltivazioni, ma dovrà passare ancora molto tempo prima che a trarne vantaggio sia la gente del popolo. Fulvio Panzeri Il maestro di Varallo si è ispirato alla “Strage degli innocenti” di Brueghel il Vecchio (a sinistra) per questa scena.
Quella folla si “rianima” nei Sacri Monti (F. Pan.) Mentre Brueghel rappresentava i suoi grandi scenari popolari, nel
Nord dell'Europa, anche in Italia si stava fondando un diverso modo di intendere l'arte, quella che fa capo alla realizzazione del Sacro Monte di Varallo, descritto da Testori, negli anni, come un autentico e assoluto capolavoro dell'arte popolare. Se la carnalità, la verità così autentica di un popolo, viene rappresentata da Brueghel sulla tela, in Valsesia artisti come Guadenzio Ferrari e Tanzio da Varallo creano una specie di "gran teatro montano", in cui si compenetrano pittura e scultura lignea. E un diretto confronto sullo stesso tema si
viene a porre con Brueghel, il Vecchio che nel 1569 conclude la sua "Strage degli Innocenti", ambientata nel paesaggio invernale di un villaggio fiammingo, con gli aguzzini che giungono a cavallo e, come in un saccheggio, perlustrano le case una ad una. Pochi anni dopo Giacomo Paracca realizza al Sacro Monte di Varallo, nel 158889, la straordinaria "cappella della Strage", riscoperta criticamente nella sua grandezza di lingua "dialettale" assoluta da Giovanni Testori, in un celebre saggio degli anni Sessanta.
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Se vi é una storia da raccontare riguardo alla grande Pittura, questa é certo dietro le pieghe di un periodo del tutto particolare per qualità, perseveranza e ostinazione famigliare: quella della "dinastia" dei Brueghel. A partire da Pieter Brueghel il Vecchio, il capostipite dotato di un talento innovativo eccezionale, quindi Pieter il Giovane e Jan il Vecchio (detto "dei Velluti"), il figlio di quest'ultimo, Jan il Giovane che ebbe a sua volta diversi figli artisti fra cui Abraham, capace di nature morte straordinarie che visse anche a Napoli, possiamo parlare di una visione "dinastica" di un'epoca, vale a dire una immensa fortuna per comprendere oggi le qualità di un paesaggio "umano e naturale", oltre che simbologico, del periodo pittorico detto "fiammingo". Per la verità vi sono ben altri elementi che la lettura di uno stile e di un genere in quanto i Brueghel, dipinsero quello che nel paesaggio potremmo chiamare oggi, soprattutto dopo la rivoluzione pittorica che portò Cézanne, "suggestioni emotive". Se é vero, come afferma la maggioranza dei critici, che l'arte fiamminga é capace di restituzione di grandi dettagli nel complesso di scala di monu-
mentali paesaggi, possiamo dire che riguardo ai Brueghel, soprattutto Pieter e Jan, si rivela quella ostinata qualità dell'anima dell'artista che non si accontenta di "descrivere" il paesaggio, bensì lo vuole definire e imprimere nell'anima di chi lo osserva. E questo é quel valore aggiunto che distingue poi i "maestri" più noti dagli altri emuli per genere o stile. "Imprimere" un messaggio pittorico, o anche musicale o letterario, manifesta di per sé una intenzionalità ulteriore di quegli artisti dotato forse di un dono che potremmo definire "divino" o "naturale" secondo le specifiche credenze e non é cosa da poco questa. Certo è che una cosa sia ritrovare questo "dono" in un artista, un altro in una dinastia, come appunto é per i Brueghel. Scrive Jean-Marc Besse, autore di "Vedere la Terra: sei saggi sul paesaggio e la geografia" (a cura di Piero Zanini, Bruno Mondadori): «I paesaggi di Brueghel parlano del mondo umano nella ricchezza dei suoi dettagli corografici e topografici: città, villaggi, castelli, fiumi, montagne, foreste, campi coltivati, uccelli, ma anche nella diversità dei modi d'uso dello spazio terrestre da parte dell'essere umano: greggi
Metafisica dei luoghi che rimanda a Tiziano (m. gen.) I Brueghel, pur permanendo nel segno iconico che definiamo oggi di "natura fiamminga", rimangono aperti verso lontananze che arrivano fino ai giorni nostri in una forma di modernità/attualità stupefacente. E ne é preziosa prova un'opera quale é il "Paesaggio con pattinatori e trappola per uccelli" di Pieter il Vecchio (1565) dove lo "sguardo dei Brueghel"
afferma un modo di percepire il paesaggio, più che di osservarlo semplicemente. Certo Leonardo avvio già nelle sue prospettive a "volo di uccello" tale sensibilità artistica, ma l'estensione di questo paesaggio carico di simbologia e che potremmo descrivere -secondo alcune più moderne visioni prospettiche nella storia della pittura - come "metafisico", tocca in realtà alcuni temi dell'infinito interiore caro a Tiziano - di cui è in corso a Milano (fino al 20 maggio) la mostra sull'"Invenzione del paesaggio" a Palaz-
sorvegliate da pastori, un seminatore nel suo campo arato, navi di diversa stazza, carri trainati da cavalli, contadini, mercanti, soldati e pellegrini sono distribuiti nella successione rigorosa dei piani del panorama davanti al quale è posto lo spettatore. Dal raccogliersi di questi oggetti sotto lo sguardo, il paesaggio si fa immagine del mondo, esperienza visiva del mondo terrestre». É questa una bella descrizione che definisce la complessità di questa dinastia interessata tanto al paesaggio naturale che a quello umano, così come appunto ci indica Plinio il Giovane - che ci riporta nella luce di un'altra dinastia filosofica, ma questa volta "comasca"- citato da Besse. Moreno Gentili Pieter Brueghel il Giovane, “Trappola per uccelli”, 1605
Tra campagna e città l'immagine del mondo
e si abbeverano ovane, "Animali ch Jan Brueghel il Gi i campagna", sec. XVII. lungo una strada d
zo Reale - e altri grandi della pittura come Paolo Uccello e lo stesso Leonardo. Un "infinito interiore" che certo porterà più tardi altre discipline della nostra esistenza, quali ad esempio la psicoanalisi, ad interessarsi di quella dolce e profonda malinconia che permane si racchiusa nella "memoria" degli esseri umani, ma sempre pronta a scaturire di fronte alle visioni di artisti geniali.
Il soggetto dei fiori, affrontato da tutti i Brueghel, fu portato alla massima qualità da Jan Brueghel dei Velluti. Ai suoi anni romani (1591-1595) densi di contatti e collaborazioni con artisti come il paesaggista Paul Bril e con committenti come il cardinale Federico Borromeo, dobbiamo se Milano nella Pinacoteca Ambrosiana vanta uno stupendo nucleo di dipinti suoi e del Bril, posti in gara con l'insuperata “Canestra di frutta” di Caravaggio. Il cardinale Federico Borromeo nel suo libro “Musaeum” (1625) portava ad esempio l'arte di Jan, dove «puoi a un tempo ammirare la grandezza e la sottigliezza» e dove «piacciono persino i sorci», scriveva il cardinale del dipinto a olio su rame con topolino, boccioli di rosa, bruco e farfalla, mandatogli in dono dal pittore tornato ad Anversa. Sta all'Ambrosiana con allegorie e paesaggi,
sinfonie di toni che vanno scaldandosi dal verde all'avana, mentre le lontananze di rocce, acque, nuvole seguono ricche variazioni fredde di verdi e azzurri. Ma è nei vasi di fiori di svariate specie, forme e colori che meglio si esercita l'attitudine lenticolare del fiammingo erede di una specialità quattrocentesca nella messa a fuoco dei dettagli. L'osservatore è costretto ad avvicinarsi al dipinto quasi potesse annusare i profumi del mughetto o della rosa, tanta è la fragranza pittorica, e mentre contempla quel petalo o quel pistillo ecco apparirgli un insetto non visto prima, ecco l'ape, la farfalla, il moscerino. Fiori rari, alcuni ritratti nel giardino degli arciduchi Alberto e Isabella a Bruxelles. Destinati a sfiorire, monito sulla caducità delle cose mondane, sono anche indice dell'interesse scientifico per gli esemplari botanici, così come
lo sguardo penetrante dell'entomologo somiglia a quello degli scienziati contemporanei che col cannocchiale, scrutando i pianeti, ponevano le basi della scienza moderna. L'attività di Jan fu proseguita dal figlio Jan il Giovane (Anversa 1601-1678), pittore di fiori, paesaggi e temi religiosi. Anch'egli soggiornò in Italia. Di lui sono in mostra diverse opere: i fiori vengono da collezioni private straniere. Alberto Rovi Ambrosius Brueghel, “Tulipani in vaso”, XVII sec.
Quel mazzolin di fiori profuma di giardino
Ambrosius Brueghel, “Natura morta con fiori” XVII sec.
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«Due “grazie” al Cardinale che lo aveva salvato» La Pinacoteca Ambrosiana di Milano custodisce, al suo interno, due magnifici quadri di natura morta: si tratta dei celebri “Grandi mazzi” di Jan Brueghel il Vecchio, dipinti per il Cardinal Federico Borromeo. Il primo dei due dipinti, “Vaso di fiori” è del 1606, e raffigura un gran mazzo di fiori ritratti dal naturale e scelti per la loro bellezza e rarità. Il secondo, “Fiori in un bicchiere”, venne invece inviato a Federico Borromeo da Anversa nel 1608, e ritrae fiori in numero minore, tra cui spiccano i tulipani. Que-
sti due quadri, attualmente esposti nella sala dei pittori fiamminghi della Pinacoteca, sono anche ricchi di aneddoti: il cardinale Federico Borromeo aveva infatti liberato Jan Brueghel dalla prigione quando questi si trovava a Roma, e i due rimasero in seguito sempre in contatto tra di loro, anche epistolare. La Pinacoteca custodisce altri due quadri di Jan Brueghel - “Allegoria dell'acqua” e “Allegoria del fuoco” - e, grazie a una mostra che si terrà ad aprile, avremo altri due quadri del pittore fiam-
mingo provenienti dal Louvre di Parigi, con l'allegoria dei due elementi mancanti, aria e terra. (Testo raccolto da Manuela Moretti) Monsignor Gianfranco Buzzi (Prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano)
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Nel gioco delle allegorie tante idee da interpretare tura umanistica. L'allegoria è ampiamente utilizzata nella pittura e nelle arti figurative dell'epoca. Quali complessi significati nascondono queste rappresentazioni? Si tratta, nella maggior parte dei casi, di concetti simbolici, religiosi, morali o filosofici, talvolta anche storici, con finalità pedagogiche e didascaliche, che vengono così a trovarsi "nascosti" in maniera suggestiva proprio nella raffigurazione artistica. Possiamo affermare che durante il Cinquecento si fissino determinate figure allegoriche, il cui significato assume una dimensione più o meno esplicita anche in relazione allo spettatore: pensiamo ad elementi quali teschi e clessidre che diventano simboli, cosiddetti "iconografici", del tempo che scorre o memento mori, oppure alle personificazioni di vizi e virtù, che vanno a costruire complessi apparati o cicli allegorici. Sul piano dell'iconografia, quali erano le
Jan Brueghel il Giovane, “Allegoria dell’olfatto”, 1645-50 ca.
Laura Aldovini, docente di Iconologia e iconografia all'Università Cattolica di Milano, spiega l'importanza e il significato dell'allegoria ai tempi di Brueghel. Un tema caro alla dinastia celebrata a Villa Olmo, specie a Jan Brueghel il Giovane di cui si potranno ammirare, tra l'altro, "Allegoria della Terra" (dipinta con Hendrik val Balen), "Allegoria dell'olfatto", "Allegoria dell'udito", insieme a quelle della pace e della guerra. Dottoressa Aldovini, qual è l'importanza dell'allegoria nell'arte del Cinquecento e del Seicento? Come nella letteratura, anche nell'arte l'allegoria è il procedimento retorico per cui, dietro a un'immagine più o meno complessa, si cela un significato diverso da quello che appare. Questo procedimento non fu un'invenzione del Cinquecento, ma è soprattutto nel Rinascimento che l'allegoria diviene un mezzo espressivo largamente utilizzato dagli artisti, probabilmente in diretto rapporto con lo sviluppo della cul-
fonti alle quali gli artisti attingevano per le loro rappresentazioni allegoriche? Molti artisti si affidavano, oltre che alla tradizione pittorica disponibile a fonti antiche, manuali mitografici, e, più tardi, all'Iconologia di Cesare Ripa. Questo testo, pubblicato nel 1593, codifica, in ordine alfabetico, una serie di personificazioni e figure allegoriche che diventano una sorta di repertorio o, anzi, di dizionario iconografico ad uso in primo luogo degli artisti e poi di coloro che vogliono comprendere tali rappresentazioni. Il Ripa non fa che riprendere quella che era oramai una tradizione più o meno consolidata, un linguaggio a tutti gli effetti. Manuela Moretti
Pittura concreta con risvolti “pedagogici” Negli anni Settanta Pinin Carpi, uno dei più importanti scrittori e illustratori per ragazzi, propone a Garzanti una delle collane più innovative per la letteratura infantile, "L’arte per i bambini", libri che attraverso un racconto d’autore spiegavano il mondo dei grandi nomi dell’arte. Molte storie le ha scritte Pinin Carpi, altre lui le chiedeva ai suoi amici, i nomi più interessanti di quella cultura milanese che in quegli anni si distingueva per originalità e creatività. Così nel 1974 per raccontare il mondo di Pieter Brueghel il Vecchio viene chiamato Giovanni Gandini che è stato un indefinibile irregolare della cultura italiana: giornalista, editore, disegnatore, traduttore, inventore di testate, libraio. Un personaggio di
inesauribile creatività che è riuscito, con la fondazione di "Linus" nel 1965, a coniugare la cultura popolare americana con le più raffinate avanguardie artistiche europee della seconda metà del secolo scorso. E lui scrive "La minestra di polenta", per il libro su Brueghel e sarà un long seller, continuamente ristampato, con più di cinque edizioni, che ancora oggi rappresenta un modo per far conoscere ai ragazzi la grande favola dei contadini fiamminghi. Fulvio Panzeri
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Federico e il pittore del Nord Un maestro di «bontà di Dio» Brueghel e Milano sono sinonimo della presenza dei pittori fiamminghi in Lombardia, che ebbero per committente principale il cardinale Federico Borromeo. Il porporato nel 1595, portò a Milano Jan Brueghel il Vecchio, detto anche "dei Velluti". Fu un incontro speciale, che folgorò il cardinale, al punto da arrivare a definire Brueghel il suo artista preferito. In realtà, l'incontro tra i due era avvenuto prima, nel 1593 a Roma (essendo diventato, il cardinale, protettore dell'Accademia di San Luca a Roma); da quel momento, Borromeo tutelò sempre Jan Brueghel. Di questo pittore il Borromeo amava soprattutto i paesaggi e le nature morte, i fiori in particolare, anche se una delle opere da lui preferite, e ancora conservate in Pinacoteca Ambrosiana a Milano, è "La Madonna della ghirlanda". Borromeo fece scorta dei dipinti di Jan Brueghel il Vecchio, “Sorcio con boccioli di rosa ed insetti”, 1605 (opera non in mostra) Jan Brueghel perché nelle sue opere meo avvertendolo che gli avrebbe presto Borromeo e l'Ambrosiana" edito da Vita e vedeva riflesmandato un quadro con un vaso di fiori Pensiero. sa, come dipinto a grandezza naturale, il I quadri di Jan Brueghel dei Velluti arrivati a amava dire, primo sogget- Milano presero poi altre strade, uno è con«la bontà di to floreale da servato ancora all'Ambrosiana, altri due Dio». Nel sono al Louvre e al Prado. Al castello SforzeBrughel. Un "b giugno del per F agattello Borromeo ne sco di Milano sono invece conservate tre e " d erigo 1606, Brueghel fu solo felice opere di Brueghel Jan il Vecchio: "Andata al Jan B scrisse a Fedeanche se, nel mercato", "Paesaggio con la tentazione di r u nella eghel rico Borro1607, volle Cristo", "Paesaggio con figure" e "Putto in Fede prima let scrisse d intervenire nel- volo con uccelli (allegoria dell'Aria?)" di Jan «bag rico (1596 tera al ca a Anversa a indeg ttello (... ) di aver rdinale , l'arte del fiam- Brueghel il Giovane. Ma i Brughel sono segn na», ma r) una cos incluso un mingo: rispedì anche a Brescia: ai Musei Civici di Arte e Stoo e e t d a t a le ten ell’imm lizzata infatti "La Madon- ria - Pinacoteca Tosio Martinengo è conserques go». Sec ortal obb per «dar na della ghirlanda" vato il "Paesaggio con case sulle rive di un bocc to quadre ondo la c ligo che le io a Brueghel chieden- fiume" di Jan Brueghel il Giovane, di BrueBorroioli di ros tto è il "S ritica o a m r e c e dogli di aggiungere ghel Pieter detto il Vecchio è conservata l'od i o o (1625 i n c r i s o c e n o un paesaggio a sfon- pera "Pattinatori davanti alla na, e ) come d rda nel "Mtti", che il «piac logiandol ipinto su p usaeum do delle figure sacre. porta di San Giorgio ad Anverciono o perc ergam " h persi L'episodio è riportato sa" a Chiari (Bs), Pinacoteca no i s é in esso eorci» nel volume di Pamela Repossi. . Carla Colmegna M. Jones "Federico
All'Ambrosiana
La miniatura-gioiello fa luce sulla dinastia (v. fis.) Tra i pezzi conservati all'Ambrosiana di Milano spicca un Brueghel davvero molto particolare, nel quale si fondono la pittura e l'intarsio. Si tratta di una cornice contenente alcune miniature in smalto su avorio, realizzate da Jan Brueghel il Vecchio: un vero e proprio gioiello, acquistato dal cardinale Federico Borromeo nel 1618. Si ammirano vari episodi evangelici o riferiti alla tradizione cattolica ("L'apparizione della Vergine ai naviganti", "Gesù Cristo incontra le pie donne"; "Maria ai piedi della croce"; "Processione del Santissimo sacramento"), collocati attorno alla figurina centrale di una Madonna, sovrastata da un ritratto del Cristo. Oltre alla raffinata fattura, l'opera bruegheliana - dall'aspetto di un medaglione ex voto - presenta
un rilevante interesse critico. Tra gli studiosi degli artisti delle Fiandre, Ernst Gombrich (19092001), celebre critico anglosassone, indicava nell'arte delle miniature la formazione originaria di Pieter il Vecchio, padre di Jan, scorgendo in queste - e non soltanto in Hieronymus Bosch - un modello di riferimento per l'artista (si veda "La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich", Einaudi). Per saperne di più sul capolavoro, ma pure per farsi un'idea delle opere dei Brueghel conservate nei musei lombardi, si può consultare il sito www.lombardiabeniculturali.it, dal quale si possono scaricare le schede delle opere per un'ideale percorso che integri e accompagni la mostra di Villa Olmo.
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Nell'umanità di Vitali l'eco dei fiamminghi
Festa e fame “atavica” acco munano i due quadri: “Il ban chetto nuziale” di Pieter Brueghel il Vecchio (1568, non in mostra) e “I mangiatori di polenta” (1991) di Gian carlo Vitali, lecchese di Bellano.
È fuor di dubbio che se volessimo cercare un corrispettivo dell'arte di Pieter Brueghel il Vecchio nella nostra arte contemporanea, dovremmo fermarci sulla riva lecchese del lago di Como, a Bellano, dove da molti anni lavora Giancarlo Vitali, nutrendosi e attualizzando la lezione del grande pittore fiammingo. Ed effettivamente quell'ironia, a volte spietata, a volte fortemente partecipe, che vibra nei ritratti di quella che è la "gran famiglia" della sua corte lombarda è quella che si legge anche nei mondi fortemente espressi da Brueghel, in quel loro carattere popolare e corale. Da Brueghel Vitali non riporta sulla sua tela la tecnica della lezione pittorica, bensì l'anima di un mondo che si mostra nella sua verità, proprio là dove
viene accentuata la sua ambiguità di carattere, i suoi ghigni, le sue rabbie, le sue tristezze, le sue furbizie e la sua natura simbolica, il carattere anche di forte inquietudine che quel mondo sa mostrare. Che Brueghel sia uno dei punti a cui Giancarlo Vitali ha sempre guardato lo dichiara il pittore stesso in una cartella d'incisioni, "Il mio museo quotidiano", che raccoglie "omaggi" e "rivisitazioni", tra le quali troviamo un'incisione espressamente dedicata a Brueghel in cui riprende, ambientato in un contesto cittadino, il gruppo dei ciechi che il maestro fiammingo ha ritratto nel 1568 nell'omonimo dipinto che si trova a Napoli al Museo di Capodimonte. Questa incisione è datata 1985, ma Vitali continua
anche in altre mostre a dimostrare quanto Brueghel sia fondamentale per rappresentare le figure del suo "mondo di lago". In quella dei "D'Apres" Brueghel risulta uno dei pittori maggiormente presenti con alcuni pezzi straordinari come il "particolare" della "Lotta tra il carnevale e la Quaresima", realizzato da Vitali nel 1992, come le due figure altrettanto intense da "Il banchetto nuziale" e "Il bacio". Vitali fa diventare sue anche le figure del grande antico pittore, in una lezione di fedeltà e di interpretazione, come se leggesse il mondo di Brueghel alla pari dell'umanità forte e intesa della sua gente di lago, una parte della sua stessa anima. Fulvio Panzeri
Citazioni da maestro
PETER PAUL RUBENS La “Danza dei contadini italiani” del genio fiammingo (1577-1640) rinvia al tema bruegheliano delle feste all’aperto gioiose e carnali.
PAUL GAUGIN I personaggi di “Visione dopo il sermone” del pittore francese (1848-1903) ricordano i contadini dipinti da Pieter il Vecchio e da Pieter il Giovane.
JAMES ENSOR Il “Carnevale nelle Fiandre” dell’artista belga (1860-1949) rinfresca il Leitmotiv delle fiere paesane, caro ai Brueghel.
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Jan Brueghel il Vecchio, “Paesaggio fluviale con bagnanti”, 1595-1600 ca.
Tra le Fiandre e il Lario un legame da riscoprire
L'edizione del "De architectura"
Da Bruges a Como per stampare Vitruvio Fu stampata a Como l'edizione illustrata del "De architectura" di Vitruvio nella traduzione di Cesare Cesariano, edita nel 1521. A parte il "Breviarium patriarchale" del 1523 essa fu l'unica stampa pubblicata a Como dal fiammingo Gotardo da Ponte. E proprio per questo non sembra privo di interesse illuminare meglio che tipo di editore egli fosse, e le linee portanti della sua strategia editoriale, sviluppata con indubbia coerenza per più di mezzo secolo. Del fiammingo Gothard van der Bruggen (Bruges, seconda metà del XV secolo-Mila-
no 1552) si ignora quando esattamente venne in Italia: di buona cultura umanistica, volle essere e divenne "cittadino milanese", come indirettamente prova l'adozione del nome Gotardo da Ponte, traduzione del nome originario che traspone in italiano il significato del toponimo Brugge. Inizialmente libraio (nel 1495 aprì bottega presso la parrocchia milanese di San Satiro), quasi subito anche editore, poco dopo (1498) divenne tipografo, con stamperia alla Dogana, presso Porta Romana. Franco Minonzio
Un filo ideale collega l'arte delle Fiandre al Lario e, sull'onda della mostra dei Brueghel, invita a riscoprirlo. Nella Pinacoteca di Como sono esposti due significativi dipinti fiamminghi: si tratta del "Concerto campestre" di Ambrosius Benson (1495-1550) e del "Ritratto di Vespasiano Gonzaga Colonna" (1559). «Il primo quadro - spiega la conservatrice dei Musei Civici di Como Maria Letizia Casati - venne donato ai musei nel 1966 dal marchese Luigi Rovelli, e fa parte di una serie di tavole uscite dalla bottega del Benson che sviluppano diverse varianti dello stesso soggetto, il cui prototipo sarebbe rappresentato dalla versione conservata al Kunstmuseum di Basilea». Ma il "Concerto campestre" di Benson (nella foto in basso) si trovava nella città di Como molto tempo prima della sua esposizione ai musei, come precisa Casati: «Nel Settecento era collocato nella collezione di don Camillo Ciceri a Como, dove lo ricorda Giovan Battista Giovio. Ad inizio Ottocento, passò al professor Mocchetti, e solo successivamente appartenne al marchese Rovelli, presso il quale lo vide Wilhelm Bode, che ne propose la provenienza dall'area fiamminga». il "Ritratto di Vespasiano Gonzaga Colonna" (nella foto a sinistra), l'altro dipinto fiammingo esposto all'interno della Pinacoteca, ritrae invece il principe di Sabbioneta (1531-1591) all'età di ventotto anni, in armi da parata di ufficiale asburgico. Il dipinto, conservato in una sala interamente dedicata al genere del ritratto venne ritirato in museo alla fine del 1991. Ma come giunse la tela a Como? «L'opera - spiega Casati - faceva parte, come attesta una foto Alinari dell'interno di Villa Olmo degli inizi del Novecento, della collezione Visconti di Modrone, acquisita con la villa dalla cittadinanza comasca nel 1924». L'attribuzione di questo dipinto è incerta: il ritratto fu attribuito da Pierluigi de Vecchi al fiammingo Antonio Moro (Utrecht 1519- Anversa 1575), mentre altri critici propendono per un'attribuzione al cremonese Bernardino Campi.
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La nuova arte di Anversa indossa tessuti comaschi Debuttano a metà degli anni Ottanta gli stilisti conosciuti come i "Sei di Anversa": Ann Demeulemeester, Dries Van Noten, Martin Margiela, Dirk Bikkemgers, Walter van Beirendonck e Josephus Thimister. Diplomatisi alla severissima Accademia Reale di Belle Arti della più importante città delle Fiandre, hanno costituito una corrente così rivoluzionaria da
DRIES VAN
NOTEN
TELA BIANCA I Brueghel ne dipingono molta, nei loro quadri, nel tratteggiare i cappelli delle donne e le sobrie camicie dei popolani.
nali molto sofisticati, patrimonio unico e inimitabile della nostra filiera. Tante assolute novità del designer ombra (mai fotografato, mai intervistato di persona) hanno visto la luce proprio nelle tessiture e nelle tinto-stamperie del distretto. Un lavoro di sintesi tra la poesia concettuale dello stilista belga e la perenne volontà dell'industria tessile lariana di spingersi oltre la sua storia, immagine e cultura. Serena Brivio
modificare il gusto. Un movimento di grande forza e suggestione, come lo fu a suo tempo la scuola di pittura fiamminga celebrata a Como. Certo le chiavi di lettura dei loro look sono completamente diverse, niente a che vedere con l'iper-realismo delle opere dei Brueghel in mostra a Villa Olmo. La loro estetica si base sulla sottrazione. Non a caso dichiarò Margiela «noi siamo i figli del design giapponese, di Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo». Mentori ai quali gli allievi tolsero il testimone dell'avanguardia. Come i quadri però anche le loro collezioni sono pensate e realizzate "capo per capo", per offrire ai clienti/committenti quel senso MARTIN MARGIELA di individualità oggi tornato in gran voga per riaccendere la spinta all'acquisto, spenLo stile dei couturier fiamminghi oscilla tra sobrietà e ta oltre che dalla crisi anche dall'omologainvenzioni tecniche come zione delle proposte. Un apporto sostanzianei quadri dei Brueghel. le a questa ricerca è tutt'oggi fornita dai tessutai comaschi. Dietro all'apparente CONTRASTI semplicità delle tele di Margiela, il più influente e La sobrietà delle contadine iconoclasta, ci sono prodelle Fiandre prevede una sola cessi tecnologici e artigiacivetteria: la sovrapposizione di colori (giacca/gonna) o il loro inserto. I MATERIALI La lana, il cotone, il PUNTO VITA panno appartengono per tradizione al mondo Giacche corte e giustacuori del contado. enfatizzano la silhouette. Sono capi accollati, ma morbidi.
I TESSUTI La tinta unita prevale sugli stampati. Pieter Brueghel il Giovane, “Festa di matrimonio all’aperto”, particolare, 1610 ca.
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«Sette storie peccaminose» L’inquietudine va in scena
Bosch Hieronymus, “Il giardino delle delizie”, 1480-1490
tazioni: 031.571979 e www.grandimostrecomo.it) Signora Negretti, quali invenzioni teatrali proporrete in scena? Non vogliamo effettuare una lettura didascalica della mostra, ma prenderla a spunto, per un percorso originale. In questo caso, abbiamo deciso di partire dal quadro di Hieronymus Bosch "I sette peccati capitali", che si potrà ammirare in mostra a Villa Olmo. Perché Bosch e non un'opera di un Brueghel? Prima di tutto Bosch è considerato il maestro riconosciuto di Brueghel, e poi
Foto Pozzoni
Non può esserci "grande mostra" comasca, senza spettacolo teatrale a corollario. Anche quest'anno, la compagnia "Teatro in mostra" di Como presenterà un lavoro per il palcoscenico dal titolo: “Sette storie - Sette peccati. I vizi capitali da Plauto a Pinocchio”, che riprenda e sviluppi stimoli prodotti dall'esposizione artistica, per ulteriori riflessioni. Curatrice del progetto è Laura Negretti, che illustra le caratteristiche dell'allestimento, che debutterà, salvo cambiamenti dell'ultimo momento, il 13 aprile, alle 21. (Repliche: 28/4, 19/5, 16/6, 7/7, sempre alle 21. Biglietti a 5-3 euro. Info e preno-
il soggetto dell'opera è ricorrente e tipico di tutta l'arte fiamminga. È questo il tema del vostro lavoro? Sì. Il titolo é “Sette storie - Sette peccati. I vizi capitali da Plauto a Pinocchio”. Drammaturgia e regia sono curati da Paolo Giorgio, con scenografie di Armando Vairo. Io sarò in scena con Marco Ballerini. L'idea è quella di riproporre sette storie, per quanti sono i peccati capitali, attingendo alla letteratura italiana e straniera, fino ai nostri giorni. Lo spettacolo verrà proposto sempre per gruppi e scolaresche ma anche in repliche serali? Sì. Quest'anno, la novità sta nella collocazione. Non saremo più nel teatro tenda al di fuori della villa, ma in una sala interna. Per noi è una soluzione entusiasmante perché ci permette di sfruttare in modo diverso e migliore uno spazio importante. In particolare, metteremo lo spettatore al centro di una struttura a più palchi, su cui lo spettacolo si muoverà in modo itinerante. Sara Cerrato
Sullo schermo Rutger Hauer nei panni del capostipite
La vita di Brueghel ha i colori della Passione Un capolavoro dentro l’altro: "I colori della passione" ("The mill and the cross") realizzato l’anno scorso dal polacco Lech Majevski ha reso permeabile fino all’incertezza il confine tra cinema e pittura penetrando nella "Salita al Calvario" (1564) di Pieter Bruegel. Una stupefacente "messa in quadro", un viaggio all’interno del celeberrimo dipinto che rappresenta la Passione di Cristo ambientandola nelle Fiandre del XVI secolo. L’impostazione è la medesima, il paesaggio non dissimile da quello del quadro di Brueghel, l’intento dichiarato di stabilire l’incontro tra lo spettatore e i personaggi così come appaiono
nella pittura del maestro fiammingo. Non l’illustrazione dell’artista o della sua vita, ma il processo creativo di Brueghel costituisce trama e ordito di "I colori della passione" che Majevski ha concluso dopo tre anni dedicati alla combinazione di tecniche disparate con un assiduo lavorio su prospettiva, fenomeni atmosferici, personaggi (interpretati da Rutger Hauer e Charlotte Rampling, tra altri) intessendo un rivoluzionario "arazzo digitale" capace di cambiare il rapporto tra pittura e cinema e schiudere una spettacolare esperienza estetica. Bernardino Marinoni
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Anteprima sul Lario, poi un tour mondiale Si annuncia come un'occasione culturale da non perdere la mostra dedicata ai capolavori della dinastia dei Brueghel che si terrà dal 24 marzo al 29 luglio nelle sale di Villa Olmo (via Cantoni, 1, Como). L’esposizione curata da Sergio Gaddi e Doron J. Lurie, conservatore dei Dipinti Antichi al Tel Aviv Museum of Art, presenta 70 dipinti e 30 tra disegni e grafiche, provenienti da importanti collezioni private e musei italiani e stranieri. L'esposizione lariana è la tappa iniziale di un circuito internazionale che toccherà il Tel Aviv Museum of Art (settembredicembre 2012), la Galleria nazionale di Praga (dicembre 2012 febbraio 2013), prima di volare negli Stati Uniti (Miami, primavera 2013). Dopo Miró, Picasso, Magritte, gli Impressionisti, Chagall, Kandinsky e Malevich, Klimt e Schiele, Rubens, Boldini, e oltre 700.000 visitatori, con questa esposizione si arriva alla vigilia del decennale delle grandi mostre organizzate dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Como. Sono previste anche visite e attività didattiche per le scuole.
GLI ORARI
La mostra si potrà visitare nei seguenti orari: da martedì a giovedì 9-20; da venerdì a domenica 9-22 (la biglietteria chiude un’ora prima) I BIGLIETTI I costi: intero 10 €; ridotto 8 € (visitatori oltre COLORI & POESIA 65 anni e tra 6 e 18 anni, universitari fino a 26 anni, gruppi di Tra gli ammiratori dei almeno 25 persone con ingresso pittori delle Fiandre c’è gratuito per l’accompagnatore, anche un premio Nobel: il poeta categorie convenzionate); ridotto scuole: William Carlos Williams (1883-1963), 5 € (gruppi scolastici di almeno 25 fortemente suggestionato dai temi persone con ingresso gratuito per allegorici e dalle inquietudini sottese due accompagnatori); gratuito: alle opere di Pieter il Vecchio, che bambini fino a 6 anni, disabili ispirarono la sua ultima raccolta, con accompagnatore). intitolata “Quadri da Brueghel”.
IL CATALOGO VADEMECUM Il biglietto della mostra permette l’ingresso gratuito illimitato fino al 29 luglio nei musei cittadini (è a pagamento il Museo della seta).
E curato da Silvana Editoriale. In mostra è disponibile un servizio di audioguide.
Jan Brueghel il Giovane, “Allegoria dell’amore”, 1648-50
Manuela Moretti