Inserto sulla Mostra di Giovanni Boldini

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G. Boldini, ÂŤRitratto di Mademoiselle de GillespieÂť, 1912

Supplemento al numero odierno - Direttore responsabile Giorgio Gandola - A cura di Vera Fisogni con Barbara Faverio - Progetto grafico e realizzazione: Antonella Corengia


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Formidabili quegli anni che segnarono un’epoca G. Boldini, «Ritratto di signora», 1885.

La voglia di nuovo e il divertimento, il dinamismo, l’energia, ma anche un’implicita aria di decadenza. Raccontano un mondo scintillante e fatuo, proiettato verso il futuro e il progresso, ma profondamente innervato da un sentore di crisi, i dipinti che la mostra «Boldini, la Belle Époque e gli italiani di Parigi» propone a Villa Olmo. È la radiografia di un’epoca indimenticabile ma dai toni fortemente contrastati, giocata tra luci e ombre che ne sbalzano le contraddizioni e di cui questo inserto vuole rendere uno spaccato. Non un catalogo delle opere in mostra, dunque, la mera illustrazione di quanto i visitatori potranno ammirare a Villa Olmo: questo lavoro si propone invece di fornire, con il contributo di esperti di primo piano, la chiave di lettura di un’epoca. La mostra illustra, soprattutto attraverso i ritratti e della ricca borghesia italo-francese, il periodo di tempo compreso tra l’ultimo ventennio del 1800 e il primo del 1900. Un’epoca carica di ottimismo e ricchezza, prodotto delle nuove tecnologie e della rivoluzione industriale, di cui beneficia soprattutto la borghesia, che assurge allo status di nuova nobiltà. La Lombardia - e anche Como, soprattutto nel comparto tessile - consolida la propria vocazione industriale e inaugura un nuovo stile di vita, mondano e dall’intensa vita sociale. Tutto questo viene raccontato in queste pagine in tre sezioni tematiche: la prima riguarda i pittori (con spazio significativo dedicato a Giovanni Boldini, autore della maggior parte delle opere esposte), la seconda i grandi temi che emergono dalle opere, la terza infine rinvia agli aspetti più comasco-lariani della Belle Époque.

Barbara Faverio

GLI SPECIALISTI

Valeria Palumbo scrittrice

Elena di Raddo critica d’arte

Gabriella Pescucci Giusy Ferrè costumista storica da Oscar della moda

Serena Brivio giornalista di moda

Alfredo Canavero Flavio Caroli storico critico d’arte

Carla Di Martino filosofa a Parigi

Giuseppe Scaraffia francesista


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Il mito della Belle Époque si intreccia con il genio di Giovanni Boldini, l'energia creativa e la fiducia ottimistica che rivoluzionano la storia tra Ottocento e Novecento vengono esaltate dalla velocità guizzante di una pennellata inconfondibile, che esprime la bellezza e la gioia di vivere. Letteratura e moda, musica e lusso, arte e bistrot si confondono nel ritmo sensuale del can can e producono una straordinaria rinascita sociale e civile. Parigi è il teatro privilegiato delle esperienze culturali internazionali, ma allo stesso modo il fenomeno si allarga alle capitali europee e negli eleganti ambienti delle città italiane, con Milano, Venezia, Napoli e Firenze in primo piano. Sono gli anni nei quali lo sviluppo della tecnologia rivoluziona i modi di vivere, creando una prosperità e un benessere individuale prima sconosciuti. Cambiano i costumi e si impone la forza di attrazione sensuale della donna, consapevole di un fascino non più solo domestico che cresce di pari passo al suo ruolo sociale. In questo contesto irripetibile di euforia irrompe il ferrarese Giovanni Boldini, che lascia la sua città nel 1864 per Firenze, quindi per Londra ed infine per Parigi, dove viene celebrato come una star, capace di inventare meravigliosi ritratti delle personalità più in voga dell'epoca. La sua immensa popolarità arriva fino in America, ed i suoi modi aristocratici, la vocazione per la mondanità, il numero altissimo di liason galanti e la frequentazione dei migliori ambienti borghesi ne fanno un punto di riferimento di un significativo gruppo di artisti. La mostra di Villa Olmo, oltre a presentare una ricca selezione di capolavori di Boldini, che assume un ruolo centrale anche per la nascita dell'avanguardia dei macchiaioli, analizza anche i

G. Boldini, «Femme au gants», 1888.

tica e n g a m e t r ’a n u C’è o m l O a l l i V i d e l tra le sa

suoi rapporti con altri straordinari artisti italiani, da Giuseppe De Nittis, sublime interprete di un'eleganza raffinata e metropolitana, a Federico Zandomeneghi, le cui tensioni introspettive sono vicine all'impressionismo francese, a Vittorio Corcos, che porta sulla tela il magnetismo senza tempo dell'universo femminile. Sergio Gaddi (Assessore alla cultura del Comune di Como, curatore della mostra)

LE MOSTRE PRECEDENTI

1) «JOAN MIRÒ - ALCHIMISTA DEL SEGNO» dal 13 marzo al 6 giugno 2004;; 2) «PICASSO - LA SEDUZIONE DEL CLASSICO» dal 18 marzo al 17 luglio 2005;; 3) «MAGRITTE - L’IMPERO DELLE LUCI» dal 25 marzo al 16 luglio 2006;; 4) «GLI IMPRESSIONISTI, I SIMBOLISTI E LE AVANGUARDIE. 120 CAPOLAVORI DEL MUSEO NAZIONALE DI BELGRADO» dal 24 marzo al 15 luglio 2007;; 5) «L'ABBRACCIO DI VIENNA - KLIMT, SCHIELE E I CAPOLAVORI DEL BELVEDERE» dal 15 marzo al 20 luglio 2008;; 6) «CHAGALL KANDINSKY MALEVIC MAESTRI DELL'AVANGUARDIA RUSSA» dal 4 aprile al 26 luglio 2009;; 7) «RUBENS E I FIAMMINGHI» dal 27 marzo al 25 luglio 2010..


Testimone alla moda dello spirito salottiero

Boldini è stato definito il vero interprete del glamour della Belle Époque, periodo compreso tra il 1900 e i 1914 nel quale la cultura del piacere e dello svago ha raggiunto l’apice e l’esigenza dell’apparire si è estesa a gran parte della società borghese. A Parigi, dove il pittore si trasferisce nel 1871, confluiscono le nuove classi arricchite, che prendono il posto della vecchia aristocrazia invadendo i teatri, i caffè alla moda e i salotti. Questi nuovi protagonisti della vita sociale e politica, oltre che commerciale, hanno bisogno di un interprete che li renda degni delle vecchie classi nobiliari. Boldini descrive appunto nelle sue opere i luoghi di ritrovo e di divertimento, e ritrae in pose altisonanti i protagonisti di quel mondo. La mostra restituisce quel clima attraverso scene di vita nella capitale francese in dipinti quali «Omnibus in place Pigalle» o «Ufficiali al caffè», ma soprattutto i ritratti di donne moderne, vestite dai sarti all’ultima moda, quali «Mademoiselle de Nemidoff» (1908) o «Mme Veil Picard» (1897). Nonostante questo sia il momento culminante della carriera di Boldini, la sua pittura attraversa periodi e stili diversi, in concomitanza con i viaggi e le frequentazioni artistiche. Nei dipinti eseguiti in Toscana, accanto ai macchiaioli, Boldini dimostra di essere già pienamente allineato con le novità della pittura europea. A Londra studia nei musei e in collezioni private, frequenta i salotti delle famiglie alla moda, oltre a osservare e ammirare la pittura ritrattistica inglese del Settecento - da Thomas Gainsbourought a Joshua Reynolds - che filtra attraverso dipinti quali «Berthe che legge la dedica su un ventaglio in piedi nel salotto». Nelle opere degli anni Sessanta e Settanta il pittore descrive interni riccamente decorati nelle tappezzerie e nei tappeti orientali, secondo il gusto dell’Aestetic Mouvement e dei preraffaelliti. Nel modo in cui la pittura di Boldini dagli anni Settanta agli Ottanta e Novanta muta la tipologia dell’ambiente, passando da una descrizione minuziosa della ricchezza ornamentale degli interni a una più essenziale ambientazione del ritratto, è possibile anche individuare il suo approdo al moderno stile Liberty, come appare negli svolazzanti e fiammeggianti ritratti di «Lady Michelham» (1917) o della «Ballerina» del Butterfly Institute of Modern Art. Elena Di Raddo

G. Boldini, «Berthe che legge la dedica su un ventaglio in piedi nel salotto», 1877-1878.

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G. Boldini, «Autoritratto».

L’a na lis id iB uz «Quante gelosie za ti

al maschile per un artista di fascino» «Il suo mondo (quello di Giovanni Boldini, ndr) degli ultimi anni potrebbe fornire al ricercatore scoperte anche esaltanti di dinamismo, di energia della pennellata, di definizione per linee di forza, di volumi, di incastri compositivi e di un gusto cromatico nelle variazioni su un colore unico di sconcertante attualità. Mi meraviglierei infine se, soprattutto in vita, attraverso i suoi quadri che raccontavano come egli avesse conosciuto, anche biblicamente, battaglioni interi di stupende, giovani ed elegantissime creature, Boldini non suscitasse negli uomini una reazione di fastidio, di inconsapevole gelosia. Poche cose disturbano il maschio, nel mondo latino, quanto l'assistere ai successi amorosi di un altro, specialmente quando costui è celebre, ricco e fortunato. È una considerazione del tutto cronistica, non estetica, ma chissà, potrebbe avere un suo piccolo peso». Dino Buzzati («Corriere della sera», 26 novembre 1967)


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Con un magico tratto animava volti e luoghi

4. rose», 190 Vaso con « , i n i d l o B G. Filippo De Pisis lo riteneva «un indiavolato talento, disegnatore di una

felicità, di un brio, di una sicurezza spesso di una grazia sorprendente»; Ardengo Soffici ricorda che «vi è un lampo di vita fuggevole da acchiapparsi al volo ed egli l'esprime con uno svolazzo, un fiocco; lo fa tremare in un ricciolo di capelli ribelli su una nuca di donna. E lo fa bene». Genio naturale, interprete inimitabile della Belle Époque, Giovanni Boldini grazie alla sua originalità compositiva, all'attenta capacità di introspezione psicologica, alla sensualità delle sue figure rese dal dinamismo delle linee è stato assoluto innovatore del genere del ritratto. Ma anche un artista completo in grado di confrontarsi con vedute di città, paesaggi, interni d'atelier, scene di genere. La sua considerazione per la critica ha avuto fortune alterne, pur non venendo mai meno l'indiscutibile popolarità. Lui stesso alimentava la propria leggenda, passando da un rigoroso riserbo alla sovraesposizione mondana (celebri le cene e i ricevimenti al Ritz di Parigi con gli amici Marcel Proust e Paul César Helleu). Proprio a Parigi, crocevia internazionale dell'arte dove vive tra il 1871 e il 1886, lavora su commissione diventando tra i più contesi ritrattisti dalla ricca borghesia europea e americana. Sono gli anni in cui si misura prima con Manet, poi con Sargent e Whistler. Per i dipinti di genere e di costume di gusto neosettecentesco si ispira a De Nittis, Meissonier e Fortuny, e con il suo stile elegante e la tecnica pittorica raffinata, diventa da subito il più brillante interprete di quella pittura ricercata. Boldini lavora anche a paesaggi con figure e vedute caratterizzate da una straordinaria sensibilità per la luce e il dato atmosferico. Queste tele, che dipinge lungo la Senna o sulla Manica, lo rendono per la critica dell'epoca uno tra i più «eminenti rappresentanti della pittura di paesaggio in Francia». Si dedica anche a scene urbane, con le quali regala una sua interpretazione della realtà della vita moderna. Lo studio attento e ostinato dal vero, lo fa essere cantore della piazze e delle vie di Parigi. Come l'amico Degas, è catturato dalla seduzione del teatro (fin da giovane è appassionato melomane) e dei caffè-concerto. Dipinge musicisti e direttori d'orchestra, spettatori, ballerine, uomini e donne nei locali e cantanti negli eleganti salotti musicali, creando così uno straordinario racconto della vita notturna della Ville Lumière. Emma Gravagnuolo

Giovanni Boldini è un pittore dotatissimo che nella Belle Époque ha ritratto le più belle donne di Parigi in modo anche molto seducente, ma per niente profondo. È l’esempio di un artista che pur essendo molto abile sa come catturare le forme però non riesce più di tanto a catturare le anime dei personaggi immortalati sulla tela. Ecco il punto. Questa è la differenza tra la grande arte moderna e la dotata arte moderna. A proposito di Giovanni Boldini e dei cosiddetti italiani di Parigi si può parlare di un’estetica del disimpegno, un po’ teorizzata, un po’ recepita dal bel mondo, ma un po’ anche dovuta al fatto che questi pittori non ce la facevano creativamente. Per rendersi conto della differenza tra la grande arte moderna e la dotata arte moderna basta pensare alla bellissima eleganza e superficialità del «Ritratto di Robert de Montesquieu» (1897, Parigi, Musée d’Orsay), realizzato da Giovanni Boldini, rispetto alla profondissima descrizione che Marcel Proust dedica al corrispondente barone di Charlus nelle pagine della «Recherche». (Testo raccolto da Stefania Briccola) Flavio Caroli

G. Boldini, «Il bimbo col cerchio», 1876.

«Talento seducente, incapace di profondità»


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G. Boldini, «Lady Michelham», 1917.

«Fascino inimitabile mai così di attualità...»

Pittura che fa notizia, a Milano e Rovigo L’arte di Giovanni Boldini, e più in generale la pittura elegante della Belle Époque, fa la parte del leone nel cartellone delle mostre di primavera. Se Como offre una ricca retrospettiva boldiniana, letta in dialogo con autori coevi, la galleria milanese Bottegantica di via Manzoni 45, propone «Giovanni Boldini. Capolavori e opere inedite», fino al 30 aprile. A Rovigo, fino al 12 giugno, a Palazzo Roverella, si può visitare l’esposizione «Ottocento elegante e folcloristico». Oltre a proporre anche tele di Giuseppe De Nittis, Domenico Morelli e Giacomo Favretto, viene dato spazio alla pittura di Mariano Fortuny, artista spagnolo in voga nei primi anni dell’Unità d’Italia. Oltre a confrontare il verismo dei macchiaioli con le frivolezze parigine, la mostra di Rovigo intende raccontare - attraverso le immagini - il clima salottiero della "nuova" Italia. Espressione di un’aristocrazia sull’orlo della decadenza e di una nuova classe, la potente borghesia industriale, che voleva assumerne

Il maggiore esperto delle opere boldiniane è a due passi da casa nostra; ebbene sì, nella tranquilla cittadella di confine, Chiasso, ha sede la «Butterfly», un Istituto privato di art consulting, che si occupa, fra le arte cose, di autentificare le opere d’arte. A dirigerla Tiziano Panconi, colui che ha curato, per intenderci, il catalogo generale di Giovanni Boldini pubblicato nel 2002 da Edifir (attualmente fuori edizione) ed è co-curatore della mostra di Villa Olmo. È questo storico dell’arte, studioso appassionato dell’opera boldiniana, a guidarci in una quête sorprendente, che svela aspetti sconosciuti delle Belle Époque. «Tutti credono che la data di nascita di questa nuova epoca della borghesia sia il 1880 – spiega Panconi - Con la mostra di Villa Olmo proponiamo una retrodatazione. Il 1871. L’anno in cui nacque Marcel Proust e l’anno in cui Boldini arrivò a Parigi. In effetti, la Belle Époque si svi- Tiziano Panconi luppò in Francia, ma le sue basi concettuali nacquero in Italia, nelle città come Milano e Firenze, dove agiva un tessuto borghese forte e colto». Lo studioso mette in luce anche aspetti particolari di questo artista, uno dei grandi geni dell’umanità, a suo avviso. «Era un tombeur de femmes, nonostante la statura non troppo alta. Riusciva sempre a rendere i suoi soggetti migliori rispetto alla realtà; per questo le dame facevano a gara a farsi ritrarre da lui. Boldini ascoltava tutte le loro storie, i loro tormenti. Faceva loro da psicologo. Questa era forse, la sua arma seduttiva più potente». Ma passiamo alle questioni scientifiche. Come distinguere un Boldini autentico da un falso? «Non è facile imitarlo» tranquillizza Panconi. «La sua era una pittura molto dinamica, gestuale. L’unico che è riuscito ad avvicinarsi ad essa - anche se con risultati imperfetti - è Antonio Barchi, attivo nel Novecento». Continuando ad ascoltare il racconto di questo straordinario conoscitore dell’opera boldiniana scopriamo che i falsi abbondano, e riguardano soprattutto il periodo cosiddetto Goupil (dal nome di un affermatissimo mercante d’arte ottocentesco), caratterizzato da uno stile laccato e accurato, seguito anche da altri artisti, le cui opere, di valore nettamente inferiore, furono spacciate per boldiniane con l’ausilio di una firma apocrifa. Si fa presto a capire che la mano non è quella del genio pittorico – soprattutto, se, appunto, ci si occupa di queste cose da una vita. Laura Di Corcia

i fasti, in una chiave tanto ottimista quanto frivola. La pittura di Boldini & Co esprimeva bene questo slancio verso la riconoscibilità sociale, che il genere del ritratto conferiva alla perfezione. Carla Di Martino


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Luce sulla quotidianità grazie al Degas italiano

F. Zandomeneghi, «Fanciulla con un fascio di fiori», 1909.

Decisamente burbero e poco socievole Federico Zandomeneghi deve la sua notorietà alla frequentazione e alla partecipazione alle mostre degli impressionisti francesi, con cui condivideva l’interesse per i soggetti tratti dalla vita bohémienne parigina. Più che verso le scene di svago della borghesia, tipiche di Monet e Renoir, egli si orienta però verso soggetti di tipo popolare e intimista. Del resto Zandomeneghi si unisce agli impressionisti solo alcuni anni dopo essersi trasferito a Parigi nel 1874, e nelle lettere all’amico Diego Martelli, con cui aveva condiviso in Toscana l’esperienza macchiaiola, non nasconde le sue perplessità nei confronti di questi pittori moderni. Ritrae ad esempio, per citare un’opera presente in mostra, una giovanissima «Fioraia» mentre sotto il peso di un fascio di fiori gialli si accinge a percorrere i vicoli della città con la speranza di qualche guadagno. Questa sua inclinazione lo porta a prediligere tra i pittori francesi quelli meno mondani, quali Pisarro, Toulouse Lautrec e soprattutto Degas, con cui trova non poche affinità sia nella scelta dei soggetti, di stampo più realistico, sia nella condivisione della tecnica del pastello. Come Degas, alle consuete scene all’aperto degli impressionisti, Zandomeneghi preferisce la descrizione di episodi quotidiani e scene intime ambientate in interni poco appariscenti: giovani donne ritratte in pose particolari e talvolta ardite mentre si vestono («Davanti allo specchio»), si pettinano («Il Ricciolo», o «La toilette», 1900) o si preparano per uscire in un’occasione mondana («Serata di gala», 1889-1893). Le opere eseguite dopo il 1888 mostrano inoltre un’affinità con il post-impressionismo di Seurat, non nell’applicazione rigorosa del suo pointillisme, ma nell’interpretazione del "puntino" in una linea filante di colore cui unisce un tonalismo che rivela le sue origini veneziane. Di questo stile è un chiaro esempio in mostra l’opera che ritrae la «Fanciulla con un fascio di fiori», dove si nota la sfilacciatura del colore in linee che conferiscono all’opera un certo movimento ritmico. La presenza in mostra di alcune nature morte documenta un soggetto particolarmente felice per il pittore nel quale riesce a unire la precisione per i dettagli, ad esempio delle diverse tipologie di fiori, con una felice e vivace armonia tonale dei colori.

a lat In campo con i Mille o c ri pe s “folgorato” da Garibaldi ta Vi Sostenitore del patriottismo fin da giovanissimo, nel 1859 il veneziano Federico Zandomeneghi, a soli diciotto anni, fugge dalla Laguna a Milano, e viene dichiarato disertore. È questo l’inizio di un percorso che lo porterà a combattere per ben due volte al fianco di Giuseppe Garibaldi: nel 1860, infatti, si iscrive all’Accademia di Milano e pochi mesi dopo, insieme ad altri studenti, parte per la Sicilia per partecipare alla famosa spedizione dei Mille. Negli anni successivi, l’insofferenza nei confronti della politica restrittiva austro-ungarica influenzerà, e non poco, la sua spiccata vena artistica: Zandomeneghi, infatti, non torna a Venezia, ma si stabilisce a Firenze, dove entra in contatto con la corrente dei "macchiaioli", capeggiata all’epoca da Telemaco Signorini. I cinque anni vissuti in riva all’Arno, comunque, non freneranno il suo spirito militante: nel 1866, infatti, il pittore si arruola per la seconda volta nell’esercito di Garibaldi per combattere la Terza Guerra di Indipendenza. Marco Castelli

Elena Di Raddo


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G. De Nittis, «La traversata degli Appennini», 1867.

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talenti da esportazione

Dominique Morel, conservatore del Museo del Petit Palais di Parigi e organizzatore della mostra «De Nittis, la modernité élégante» (conclusasi lo scorso gennaio nella capitale francese) ci spiega chi era Giuseppe De Nittis, autore di alcune opere presenti alla mostra di Villa Olmo (tra cui «La traversata degli Appennini», 1867 e «Tra le spighe del grano»), ma considerato di gran lunga più interessante dello stesso Boldini, nella colonia di artisti italiani di passaggio o radicati sulle rive della Senna. De Nittis come influenzò l’arte francese? De Nittis si considerava francese e all’esposizione universale del 1878, apogeo della sua carriera, ci si stupì che esponesse nella sezione italiana. Ma quando De Nittis arrivò fu proprio la sua italianità a colpire. Nella «Strada da Napoli a Brindisi» (1869) la polvere, la terra bruciata dal sole, e nel calore schiacciante, minuscole figure umane - la critica scopriva un’Italia diversa e lontana, e celebrava quel talento di paesaggista, che nella sua opera matura diventerà precisione "fotografica", da reporter. Inoltre, De Nittis fu uno dei primissimi, insieme a Degas, a rilanciare l’uso del pastello per le grandi tele e non solo per gli schizzi. «Il pittore reporter», «il pittore dell’eleganza». Quale definizione è più adatta a De Nittis? De Nittis restituisce la sua epoca come in una cronaca. Guardate: «Lungo la Senna», conservato oggi alla Pinacoteca di Milano, o «La pattinatrice». Il movimento soffice dei tessuti, i particolari della toilette e gli accessori: De Nittis presta la più grande attenzione ai dettagli tipici della moda dell’epoca, e che interessavano appunto le dame dell’epoca, fedeli "spettatrici" della sua arte. Un giornalista mondano dunque? I contemporanei, gli impressionisti parigini, rimproverarono a De Nittis di essere troppo commerciale. Ma non è vero: guardate «Le rovine delle Tuileries». Tutti gli strati della popolazione sono finemente rappresentati: un gruppo di eleganti signore sulla sinistra, il popolo sulla destra. Dietro, intercapedini e cantieri per la ricostruzione delle Tuileries dopo l’insurrezione della Comune nel 1871. De Nittis descrive quello che vede senza censure e concessioni. Carla Di Martino

i" Scorci di Parigi e della sua vita mondana or in m i" (sa. fal.) Nelle sale di Villa Olmo si potrà ammirare anche «Champ Elysèes» (1891), un bell’eist n sempio dell’opera di Jean Beraud, impressionista francese che divenne celebre per le scene della o g a vita quotidiana di Parigi durante la Belle Époque. In mostra anche un quadro («Nudo di donna») di ot Pr Vito D’Ancona, artista pesarese che dopo aver raggiunto il successo in patria, frequentando il gruppo dei Macchiaioli che con Telemaco Signorini si riunivano al Caffè Michelangiolo a Firenze, si trasferì a Parigi, dove si unì alla comunità artisitca sulla Senna, della quale facevano parte Boldini, De Nittis e i francese Corot e Courbet. A Villa Olmo ci sarà Ettore Tito (1859-1941), fortemente influenzato dai canoni boldiniani (si veda «Fanciulla sul molo di Venezia»). Molto amato dalla clientela francese anche Antonio Mancini (1852-1930), di cui si ammira «Dopo il duello» (1872). Verista, a Parigi lavorò per il mercante Goupil, intessendo amicizie con Degas e Manet, nonché con John Singer Sargent, suo massimo estimatore. Lavorò a Parigi anche Edoardo Tofano (1838-1920), che nella capitale francese, come Boldini, si affermò come ritrattista della ricca borghesia. In mostra possiamo ammirare il suo «Ragazza con cappello» del 1885.

J. Beraud, «Champ Elysèe», 1891.


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L’artista del bel mondo con un tocco moderno

V.M. Corcos, «L’inglesina», 1882.

Vittorio Matteo Corcos (Livorno 1859Firenze1933) si fa conoscere dal grande pubblico con i suoi ritratti del bel mondo tra Ottocento e Novecento. Colse la fisionomia di uomini famosi, nobildonne e regine sublimandoli in un’aura senza tempo non priva di mistero. Il pittore si forma all’Accademia di Belle Arti di Firenze, soggiorna a Napoli da Domenico Morelli e nel 1880 si trasferisce a Parigi dove lavora per il mercante Goupil e saltuariamente frequenta l’atelier di Lèon Bonnat che lo introduce in un ambiente artistico d’élite. Al suo rientro in Italia si sposa con Emma Ciabatti e si stabilisce a Firenze dove entra in contatto con letterati e aristocratiche dame che immortala nei suoi ritratti, tra cui la contessa Nerina Volpi di Misurata, Giosuè Carducci e Giacomo Puccini. Nel 1896 Vittorio Matteo Corcos espone alla Festa dell’arte e dei fiori di Firenze l’ormai celebre dipinto «I sogni» che per la disinvoltura della posa del soggetto destò scalpore, ma portò anche ad un successo inaspettato. Il ritratto di Elena Vecchi su una panchina fu considerato modernissimo per quel periodo e traghettava per gusto e sensibilità nella cultura novecentesca. Tra i personaggi celebri immortalati dal pittore ci sono Jack La Bolina e le sue figlie, la regina Margherita e l’imperatore Guglielmo II. Il salotto di casa Corcos è frequentato da letterati e artisti dell’epoca e si sposta in estate da Firenze a Castiglioncello. Stefania Briccola

Telemaco Signorini Temi macchiaioli con una luce parigina

V.M. Corcos, «G

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interno», 1882.

Lo stesso genius loci della Toscana ispirò Telemaco Signorini (Firenze, 18351901) che può essere considerato il portabandiera dei macchiaioli per i numerosi scritti e viaggi in Italia, a Parigi e a Londra. La sua pittura è in continuo divenire e spazia dagli anni pionieristici della macchia con dipinti come il «Ghetto di Venezia» (1861) che fu «il più sovversivo per eccesso di chiaroscuro», ad un vero più riflessivo ed interiore fino ai paesaggi influenzati nei tagli delle vedute da Edgard Degas, Edouard Manet e Giuseppe De Nittis. Poi il Signorini di «Piazzetta di Settignano» diventa interprete della vie moderne in opere come «La toilette del mattino». A destra: «Strada di Parigi», in mostra a Como. St. Br.


19 E. Rizzi, «La tazza dorata», 1911.

tà e i c o s a v o u n a n U so s u l l e d a t s i u q n alla co Walter Benjamin in uno dei suoi «Passages» coniò un’osservazione che fa capire bene il clima pressoché onirico della Belle Époque: «La borghesia fece un sogno quindici anni prima che la storia la svegliasse minacciosamente». Si sa come andò. La causa del brusco risveglio fu la Prima guerra mondiale, la borghesia fece la parte di una bella addormentata che godette ad occhi chiusi di un benessere diffuso ai piani alti e all’ammezzato dell’edificio europeo, mentre a pianterreno e nello scantinato i meno abbienti faticavano a sbarcare il lunario. Uscendo dall’immagine metaforica, va ricordato che gli anni a cavallo fra i due secoli furono quelli della crescita industriale ma anche dello sfruttamento di minori nel lavoro, dell’esaltazione della bellezza femminile però anche della lotta per conquistare il diritto di voto alle donne. Contraddizioni raramente riscontrabili nei dipinti d’epoca, che mostrano invece diffusamente eleganti signori in smoking uscenti da teatri e night club accompagnati da sorridenti dame fasciate da serici abiti non più appesantiti da volant e crinoline, dame che chiacchierano al bar, dame che montano di sbieco a cavallo, dame a passeggio con il cagnolino, dame sui landau…. Un gioioso spettacolo, all’insegna di lusso e voluttà. Lo incupisce soltanto qualche sprazzo di realtà dietro le quinte, come le visioni mondane riflesse in uno specchio deformante dal ferrarese Aroldo Bonzagni, o le "fanciulle in fiore" dipinte dal livornese Vittorio Matteo Corcos in deliquio per l’abuso di droga. Ma sono soltanto cenni, piccole ombre che non intaccano nelle visioni d’arte il panorama beatificante di una stagione d’oro per la high society dell’epoca. Vissuta negli interni foderati di raso, nei morbidi salotti, nei giardini, nei viali. E se per l’Italia una folla elegante e spensierata si vede passeggiare da Firenze a Roma, a Milano, a Bologna, a Napoli, a Venezia, alle spiagge di Viareggio Bordighera Castiglioncello, dalle Cascine al Pincio, da San Siro a piazza San Marco, i pittori italiani a Parigi

(Boldini e gli altri) quando smettono per un istante di ritrarre sinuose signore nei loro atelier sostano a place de la Concorde, a Montmartre, al Bois de Boulogne per esaltare la più grandiosa, metropolitana festa collettiva. Che ha movenze da balletto, esala idealmente profumo di cipria e una musica sottile.

«E il ritratto diventò ico tor il nuovo status symbol» s Lo Si parla di Belle Époque, anche se questo periodo era bello per coloro che erano ricchi, molto meno per i poveri, che erano la maggioranza. È il momento in cui si afferma un po’ in tutti i Paesi europei - ma soprattutto in Francia, dove Boldini opera, e in parte anche in Italia - una borghesia ricca, che si è arricchita attraverso l’industria e i commerci e che quindi cerca un po’ di imitare lo stile di vita della nobiltà: da qui anche l’idea dei ritratti che un tempo erano riservati solo agli esponenti delle famiglie nobili e che adesso invece diventano uno status symbol. Questo è anche il perio-

Alberto Longatti . a», 1893 interrott ra u tt e i, «L menegh F. Zando

do in cui si creano anche a livello internazionale le grandi alleanze che poi porteranno allo scontro della prima guerra mondiale, epoca in cui c’è un’affermazione del socialismo, del sindacalismo, e in cui, con alcuni scioperi importanti, le condizioni di vita dei lavoratori migliorano. In questo periodo anche il movimento cattolico in Italia, così come nel resto dell’Europa, incomincia a scoprire e ad affinare la questione sociale. ( Testo raccolto da Manuela Moretti) Alfredo Canavero (Docente di Storia Contemporanea all’Università Statale di Milano)


21 G. Boldini, «Il pastello bianco», 1888. (Opera non in mostra)

o t a t l a s e o p r o Il c i m a c i r e e l l u tra t La moda della Belle Époque è racchiusa nei ritratti di Giovanni Boldini che immortala le donne più eleganti del suo tempo, da Franca Florio alla principessa Marthe-Lucile Bibesco. I tessuti leggeri e fruscianti degli abiti, in tulle, seta e taffetas, sembrano uscire dalla tela per mostrare la loro trasparenza e lucentezza. Dello stile delle affascinanti dame di Boldini abbiamo parlato con la costumista Gabriella Pescucci, premio Oscar per «L’età dell’innocenza» di M. Scorsese (1994). Che ruolo ha l’abbigliamento delle signore nei ritratti di Boldini? L’abbigliamento è fondamentale nei ritratti di Boldini che riprende gli abiti indossati dalle signore, che aderiscono alla moda del momento, anche con delle libertà nelle pennellate. Queste si notano ad esempio in fondo alle gonne e sembrano quasi prove di astrattismo. Che tipo di abiti erano? Boldini ritraeva le donne della nobiltà della Belle Époque e i loro vestiti sono la massima espressione dell’eleganza di quel periodo. La rappresentazione molto realistica degli abiti ce li mostra nei dettagli; a partire dalla scollatura per continuare con i tessuti come il tulle fino ai ricami in cannottiglie e in paillettes. Quale era lo stile dell’abbigliamento femminile della Belle Époque? Basta guardare i quadri di Boldini e la moda del tempo è lì davanti agli occhi. C’è l’esaltazione del corpo con la vita sottile e il petto importante. Le gonne cosiddette a giglio sono lunghe e svasate in fondo. Quali tessuti si riconoscono negli abiti delle signore di Boldini? Ci sono dei tessuti leggeri e traspaUna vita all’Opera negli atelier di lusso renti come dei tulle che ancora oggi vengono riproposti, ma in modo Chi meglio dei testimoni di quel periodo può descriverci l’eleganza diverso, come del resto i ricami, ad Belle Époque? «È impellicciata di kitsch e di lusso - riferisce un croniesempio quelli in cannottiglie. sta del mensile Les Modes, evidenziando la grande passione per i prezioQuali colori dominano nell’elegansi mantelli di pelo - Il teatro, dove la sala resta illuminata durante tutto lo za femminile? spettacolo, è fra i massimi palcoscenici dell’apparire. Le dames consumano Nell’Ottocento il colore da sera più le loro giornate negli atelier, dove possono contare su un esercito di tagliatorappresentativo è sempre il nero ri, ricamatrici e modiste». Nessuna signora mette due volte lo stesso vestito e con dei grandi tocchi di colore, il suo guardaroba prevede mises per tutte le occasioni: la passeggiata, le come i fiocchi rosa fucsia. Invece di commissioni, le visite, le corse dei cavalli, i concerti, l’opera e i balli. Uno giorno, a seconda della stagione, sfarzo che oggi rifulge solo sul red carpet (lo citano Versace, Vionnet, dominavano i colori chiari e le stofDior, Chanel, tra gli altri). Momenti di gloria attorno ai quali gli fe bianche e leggere. attuali sarti costruiscono i loro capolavori. Mai come questa staQuali accessori erano di rigore? gione alcuni rievocano la ricercatezza d’inizio ’900 in un turbiIl ventaglio e il cappello sono nio di gonne french can can, piume, pizzi, ruches e tralci floaccessori elegantissimi oggi reali che si moltiplicano e si sovrappongono. Nei tessuti scomparsi dal guardaroba rivincita di laminati e jacquard, rasi, sete e ricami, delle signore anche per i sparsi ovunque in un rinato eccesso decorativo. (A cambiamenti dello stile di sinistra Drew Barrymore in Versace: impressiovita. na l’analogia con il quadro di Boldini). Stefania Briccola Serena Brivio


23

G. Boldini, «Mademoiselle De Nemidoff», 1908.

Quegli anni folli a teatro con Proust

La

Lettera d

a ric o t s

i Proust

a Boldin

i

Le donne di Boldini e degli italiani di Parigi cristallizzate in pose teatrali e salottiere rivelano sotto un velo di malinconia la fragilità di una bellezza fuggevole. Abbiamo chiesto a Giuseppe Scaraffia chi erano realmente le signore della Belle Époque; donne fatali, mogli felici o semplici comparse sul palcoscenico di un nuovo mondo borghese destinato a finire presto. Il francesista e scrittore risponde che nella capitale del XIX secolo, come W. Benjamin definiva Parigi, quelle donne hanno goduto per un lungo periodo, interrotto bruscamente dalla Prima guerra mondiale, di un’inedita libertà. Non a caso una femme fatale come Mata-Hari viene fucilata durante quella difficile guerra. Ma sia Boldini sia Proust hanno saputo percepire e tradurre in pennellate o in parola la tristezza segreta di quante incarnando l’ideale del secolo, una bellezza ammaliante al punto da diventare pericolosa, ne percepivano la transitorietà. Professor Scaraffia, le eleganti dame ritratte da Boldini e dagli italiani di Parigi trovano una corrispondenza nella letteratura francese della Belle Époque? Tutta la letteratura francese fin-de-siècle è intessuta di irresistibili personaggi femminili. La donna dei romanzi dell’epoca diventa una femme fatale pronta a minacciare doppiamente l’uomo per la sua capacità di suscitare travolgenti passioni e per la sua inarrestabile corsa verso l’emancipazione. Quali personaggi reali dell’epoca ritroviamo nelle opere di Proust? I personaggi di Proust sono, con qualche rara eccezione, composti dalla fusione di più persone reali. Sicuramente, sotto le spoglie di Rachel, c’è la fascinosa Sarah Bernhardt, che aveva colpito anche Freud. C’è la bellissima contessa de Greffulhe che insieme alla contessa di Chevigné dà corpo alla duchessa de Guermantes. C’è il dandy Robert de Monte- Marcel Proust squieu che dà molti tratti del barone Doasan. Ci sono una serie di grandi cortigiane, rifuse in Odette. Per non parlare della serie di seducenti ragazze in nero di Boldini, così simili alla descrizione che Proust fa dell’amata Albertine. Che rapporto c’era tra Boldini e Proust? I due frequentavano gli stessi ambienti e si conoscevano bene. Abbiamo anche un biglietto di Proust a Boldini: "Caro Signore siate così gentile da farvi trovare già in abito da sera, verrò verso le 9 a prendervi da Wafer e andremo insieme alla prima dell’Opéra Comique per la quale ho prenotato due poltrone. Il vostro devoto ammiratore Marcel Proust". C’è un ritratto di Boldini di una donna-simbolo della Belle Époque? Sicuramente è il ritratto di Mademoiselle Lanthelme, per la cronaca una cortigiana bisessuale destinata a una morte misteriosa e precoce. È lei l’archetipo piccante della parigina misteriosa, elegante e seducente. Stefania Briccola

Con veloci passi di danza, oltre l’«Antico Regime»

La Belle Époque è stata veramente "un’epoca bella" per l’eccezionalità dello sviluppo civile, economico e culturale. Numerosi furono i cambiamenti di carattere "epocale" che contribuirono a creare un tipo di società nuova, modellata su parametri completamente diversi da quella propria dell’Antico Regime. Prima fra tutte si affermò l’idea che l’economia fosse una risorsa decisiva tanto nei rapporti fra le nazioni, quanto per la vita politica sociale. Durante la Belle Époque la tecnologia liberò tutte le sue potenzialità, esercitando una straordinaria forza di attrazione culturale e psicologica. Parigi, più di altre, fu la città-vetrina di quel nuovo mondo, divenen-

do la capitale europea del turismo e dei consumi, degli spettacoli e dell’arte, della cultura e della scienza, dello sport e della moda. Per questo fu anche la capitale della Belle Époque, con tutta la variegata gamma delle sue espressioni, dai fenomeni di costume sociale (i caffè concerto, le gare sportive, le corse automobilistiche, i voli in aeroplano, i grandi magazzini) a quelli dell’espressione artistica dal teatro, al cinema dei fratelli Lumière. (Testo raccolto da Manuela Moretti) Elena Riva (Docente di Storia moderna e contemporanea all’Università Cattolica di Milano)


VILLA OLMO

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Sede della mostra dedicata all’opera di Giovanni Bol dini e alla Belle Époque, Villa Olmo è proprietà del Comune di Como. Progettata nei primi anni Ottanta del Settecento dall’architetto ticinese Simone Cantoni, la dimora neoclassica era intesa come residenza estiva per i marchesi Odescalchi, in una posizione di favore, affacciata sullo specchio del lago. Successivi passag gi di proprietà portarono la villa in mano ai marchesi Raimondi, prima, e alla famiglia Visconti di Modrone in s e g u i t o : og n u n o h a a p p o r t a t o c a m b i a m e n t i c h e h a n n o consolidato l’immagine odierna della villa che è stata acquisita dal Comune nel 1927.

LE DAME «Berthe che legge la dedica su un ventaglio in piedi nel salotto» «Mademoiselle De Nemidoff» «La Dame De Biarritz» «Signora con l’ombrellino» «Ritratto di Emiliana Concha de Ossa» «Miss Rita Philip Lydig» «Berthe si specchia» (The beauty before the mirror) «Ritratto della contessa Gabrielle de Rasty in piedi» «M.me De Joss»

25 FEDERICO ZANDOMENEGHI «Davanti allo specchio» «Il ricciolo (La toilette)» «Fanciulla con un fascio di fiori» «Vaso di fiori con guanto» «Bambina con il mazzo di fiori» «La grande danseuse» «Nudo coricato» «Lettura interrotta» «Jeune femme a l’eventail (Il ventaglio rosso)» «Serata di gala»

GIUSEPPE DE NITTIS «La traversata degli Appennini» «Tra le spighe del grano» «Ascoltando il piano» «Sulla neve» «La discesa del Vesuvio» «Flirtation» «Signora in giardino» «Ondina» «Signora con gattino nero» «Il salotto della principessa Matilde» «Studio per “dans le monde”» «Nel salotto»

GLI ARTISTI «Ritratto di ballerina» «Il pianista Rey Colaco» «La pittrice Ruth Sterling» «Scuola di ballo» «Ritratto dell’attrice Reichemberg» «Il violoncellista» «Il mastro Emanuele Muzio sul podio» «Ritratto della danzatrice spagnola Anita De La Feria» «La cantante mondana»

LA VITA QUOTIDIANA «Ufficiali al caffè» «L’amazzone» (Alice Regnault a cavallo) «A teatro» «Omnibus in Place Pigalle» «Strillone parigino» «La visita» «L’uscita dal ballo» «Il marchesino» «Signora davanti alla stufa» «Vaso con rose» «Venezia» «Giovani donne sedute» «Berthe in campagna» «Dopo il ballo» «La tenda rossa» «Il bar delle Folies Bergére» «Il bimbo col cerchio»

(Ulteriori aggiornamenti sulle opere, sul sito www.grandimostrecomo.it)

I RITRATTI «Ritratto di fronte» «Ritratto del pittore Jean Baptiste Edouard Detaille» «Ritratto di M.me Veil Picard» «La Principessa Bibesco» «Ritratto del Marchese Antonio di Rudinì» «Alaide Banti con ombrellino» «Autoritratto in fronte» «Signora dagli occhi color pervinca» «Ritratto di Gabrielle de Rasty» «Ritratto di Signora» «Autoritratto a Montorsoli» «Ritratto di M.me Seligman» «Treccia bionda» «Profilo di giovane bruna con capelli raccolti»

VITTORIO MATTEO CORCOS

&

MODA DONNE FATALI «La camicetta di voile» «Femme au gants» «Il cappellino azzurro» «Guanti gialli» «La contessa de Rasty coricata» «Nudo di giovane su cuscini rosa» «Toilette» «Ragazza sdraiata con abito scozzese» «Busto di giovane sdraiata» «Nudo di donna semisdraiata»

«Gentiluomo in un interno» «L’inglesina» «La Parigina» «Castiglioncello» «Sogni» «Ritratto della figlia di Jack la Bolina» «Istitutrici ai Campi Elisi» «La ragazza dall’orecchino di perla» «L’elegante» «Le due colombe»

GLI ALTRI PITTORI IN MOSTRA JEAN BERAUD «Champ Elysee» VITO D’ANCONA «Nudo di donna» GUSTAVE DE JONGHEE «Il gioco del gatto» FEDERICO ROSSANO «A passegg io sulla Senna» TELEMACO SIGNORINI «Strada di Parigi» «Rendez vous nel bosco» EDOARDO TOFANO «La ragazza con cappello» GAETANO ESPOSITO «L’arpista»

GIUSEPPE GIANI «Signora sul sofà» ETTORE TITO «Fanciulla sul molo di Venezia» EMILIO RIZZI «La tazza dorata» TORELLO ANCILLOTTI «Reverie» FRANCESCO VINEA «Visita allo studio» ANTONIO MANCINI «Dopo il duello» LUCIUS ROSSI «Interno parigino»


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bus in Place Piga G. Boldini, «Omni

Nella Parigi spensierata, fiduciosa e tutta nuova dopo la grande rivoluzione urbana di Haussmann - creatore, fra l’altro, degli Champs Elysées - si installa nell’ "epoca bella", periodo di grazia fra la drammatica depressione economica degli anni 1870 e il grande trauma della Guerra, un gruppo di pittori italiani che farà storia: Boldini, De Nittis, Zandomeneghi, Signorini. Marion Lagrange, dell’Università di Bordeaux, storica dell’arte specialista dell’epoca, ci accompagna sui luoghi da loro più amati. «Per una prima ricognizione - spiega a "La Provincia" - basta passeggiare nel IX arrondissement: botteghe di mastri pittori, cornici e mercanti di colori esponevano per strada le tele degli artisti più amati, come al numero 9 della rue Chaptal, atélier di Goupil, amico e agente di De Nittis, o nei Boulevard Rochechouart e Clichy. Loro quartier generale poi, dove vissero e dipinsero, la Place Pigalle a Montmartre, in piena immersione nella vita artistica e intellettuale parigina: il caffè La Nouvelle Athène, dove incontravano Degas; di fianco, al numero 11, la dimora atélier di Boldini, e al numero 7, l’atélier di Zandomeneghi. Molti di questi artisti conservarono il loro atélier a Pigalle anche quando decisero di radicarsi altrove: rue Berthier, nel XVII arrondissement (verso Nord, ndr), dove sono ancora visibili le belle dimore rosso fiammante coronate, all’ultimo piano, da un grande e luminoso atélier, o in, campagna, a Fontainbleu o ai Bois de Boulogne, le cui luci e ombre sono magistralmente ritratte in pieno spirito impressionistico. Fra gli italiani, De Nittis, grande amico dello scrittore Zola, fu quello che meglio si integrò nella società parigina, nonostante le critiche dei "colleghi" impressionisti che gli rimproveravano una vena un po’ troppo mondana». Spiega Dominique Morel, conservatore del Petit Palais: «De Nittis svolse in pittura il lavoro di un vero e proprio reporter. Nei suoi quadri - precisa lo studioso - Parigi tutta è rappresentata con cura fotografica: non solo l’eleganza delle sue dame che fecero il suo successo immediato, ma la Parigi della ricostruzione, i cantieri dopo i disordini della Comune nel 1871. Il lavoro di un giornalista appassionato che amava la vita, Parigi e i parigini». Carla Di Martino

lle», 1882.

Come esuli aristocratici nella Ville Lumière

fel r alla Eif u o T n a r G ton ie di Vuit con valig Fiera protagonista della rinascita artistica e scientifica della Belle Époque è la borghesia francese, ricca, ardita, viaggiatrice: emblematica la Tour Eiffel e le valigie di Louis Vuitton, omaggio alla Parigi del progresso e ai nuovi cittadini del mondo. Viaggiatori attratti in particolare dalla torre alta 324 metri e realizzata nel 1889 dall'ingegner Gustave Eiffel: un edificio straordinario, che inizialmente doveva restare in piedi solo per 20 anni, ma presto divenne il simbolo della Francia nel mondo. Fra gli italiani che conquistarono in questi anni la capitale francese, Boldini è forse quello che più intimamente si legò a un'epoca. «Il ritrattista Boldini - ci spiega Marion Lagrange, dell'Università di Bordeaux ottenne subito un grande successo, soprattutto presso le ricche dame della borghesia che furono sue modelle e accese ammiratrici. La critica parigina fu più tiepida davanti al suo gusto "decadente". In realtà, lo stile di Boldini é profondamente legato alla moda del ritratto mondano, molto in voga alla fine del XIX secolo ma ormai desueta alla vigilia della Prima Guerra mondiale». C. D. M.


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L’Expo delle meraviglie Così Parigi copiò Como Allestendo l'Expo del 1900 Parigi cercò di dare il benvenuto al secolo nuovo con lo sfarzo dovuto alle mirabolanti speranze di un inarrestabile progresso tecnologico. La fiera si presentò come un colossale paese delle meraviglie, fin troppo espanso con ben 76.000 espositori, di cui 36.000 francesi, distribuiti in un'area compresa fra i giardini dei Champs Elysées prospicienti Place de la Concorde, i giardini del Trocadero, il Champ de Mars e l'Esplanade des Invalides. Dal 15 aprile al 12 novembre l'afflusso di quaranta milioni di visitatori (tanti furono i biglietti venduti, per un incasso di 130 milioni di franchi) premiarono gli sforzi degli allestitori, che non lesinarono gli addobbi stile liberty, le iridescenze, i trafori e gli intagli arricciolati dei padiglioni, tutti più di legno che di ferro. In una posizione centrale del Champ de Mars troneggiava lo spettacolare Palais de l'Electricité, illuminato nelle ore notturne da cinquemila lampade multicolori che costellavano tutti gli elementi architettonici e davano a imponenti giochi d'acqua, antistanti l'ingresso, un fulgore accecante. L'avvento della luce elettrica, già celebrato nell'edizione 1889 dell'Expo parigina, qui assunse il valore rappresentativo del trionfo di una salvifica era nuova, Il progresso arriva sul Lario come affermò ottimisticamente il ministro dell'industria e l’industria spicca il volo Millerand nel discorso inaugurale: «Le forze della natura furono domate, il vapore e l'elettricità divennero servi docili, la macchina fu incoronata regina del mondo» L’industria serica rappresenta il settore cardiconcludendo con l'esaltare una scienza capace di «molne dell’economia comasca. Grazie ad una rapida tiplicare i suoi servigi e di vincere l'ignoranza, la misemeccanizzazione e sostenuta industrializzazione, in queria, la fame». Se l'energia elettrica non poteva sostisto arco di tempo, Como diventa centro principale a livello tuirsi alla biologia e alla medicina certo costituiva nazionale per la tessitura e per la tintoria. La Tintoria Comense una componente essenziale dell'apparecchiatura scientifica: e poi dava luce alle città, muoveva i (Ticosa), al di là del Cosia, fondata nel 1872, diventa presto la più treni e i tram, accendeva gli schermi del cinegrande industria della città. Nell’area intorno al Cosia si insediano ma. Ad esaltarne i pregi, ci altre industrie di notevole spessore, quali la Tintoria Castagna, la Tinavevano già pensato i comatoria Ambrogio Pessina, la Tessitura Taroni (già dal 1868), la Tessitura schi un anno prima, con l'ETerragni; sempre in città trova sede la Tessitura Rosasco. Altre aziende sposizione Voltiana del 1899 seriche di rilievo le troviamo ad Albate (la Tessitura Frey & C.), a che aveva inserito in città le Camerlata (la Fisac) e a Cernobbio, con la Tessitura Bernasconi e la prime lampadine ad incanTintoria Fratelli Allamel. Un’altra importante industria è la Lechler descenza fra i lampioni a vernici e smalti di Ponte Chiasso, diventata "italiana" nel 1910 allorgas. Anche lei, costruita chè G. Brizzolara e altri due soci acquistano dalla proprietà tedesca tutta in legno e distrutta da un incendio ma prontamenla filiale, per l’appunto, di Ponte Chiasso, i diritti e il marchio Lechte rinata dalle sue ceneri, ler. Qui è presente anche la Società-Fabbrica di Cemento Portland riuscendo a proiettare la Montadon & C. e, poco distante, a Maslianico, si trova la cartiegrande immagine di Alesra. Spicca, invece, nel comparto siderurgico meccanico che sandro Volta fin lassù, alla ha il suo centro soprattutto nel lecchese, la ferriera di sommità del fulgido palazDongo che fa parte del gruppo Acciaierie e ferriere zone dell'Expo parigina lombarde Falck. del 1900. Elena D’Ambrosio Alberto Longatti


31 «Donne coi nervi a pezzi, affaticate da questo secolo tormentato», così il caricaturista Sem, Georges Goursat (1863-1934), descriveva le sue contemporanee. È la sintesi quasi perfetta delle dame dipinte dal suo collega Giovanni Boldini. Lo stacco, con le eleganti signore di Giuseppe De Nittis, Federerico Zandomeneghi e Vittorio Matteo Corcos, è netto: in Boldini le donne hanno preso a correre. Sono diventate furiose, irriverenti femmes fatales. Non è una licenza poetica del pittore ferrarese: Boldini dipingeva ciò che vedeva. Era un donnaiolo, in una città, Parigi, in cui lo si poteva essere senza troppo danno per sé e per le proprie compagne. Come la modella Berthe, con cui visse per un po’. E la contessa Gabrielle de Rasty, sua amante nel 1878. Non donne qualsiasi: la Belle Époque è affollata di donne bizzarre, colte, imprevedibili, trasgressive. Chiamarle femministe è spesso sbagliato. Volevano dominare. Ma prima di tutto la loro vita sentimentale e sessuale. Boldini, come sarebbe accaduto sempre più spesso agli uomini, si fece trascinare. La spregiudicata Gabrielle segnò la svolta: da lei in poi ritrasse solo dame dall’aria dominatrice e inquieta. Fanno pensare alle protagoniste del romanzo «La Donna bianca» di Wilkie Collins, un noir del 1859-60: imprendibili e barocche, provocanti e dolenti. Come Luisa Casati, la donna che fece della sua vita un capolavoro decadente e che fu adorata dagli artisti. Scriveva il misogino Guy de Maupassant: «Quando s’è destata la curiosità impaziente d’una donna, ella commetterà ogni pazzia, ogni imprudenza, ogni atto temerario, non indietreggerà di fronte a niente. Naturalmente parlo delle donne Vittorio Matteo Corcos, «Sogni», 1896. che sono veramente tali, dotate di quello spirito... che possiede tre scomparti segreti ricolmi: l’uno dell’inquietudine... l’altro di o furberia... e finalmente l’ultimo di iun a R seducente galanteria senza scrui Pession: «L’eleganza aveva un animo ribelle» poli (...) insomma di tutte quelle nd o i perverse qualità che spingono al ict f Affascinante ed emancipata: questa è l'immagine della donna della «Belle suicidio gli amanti imbecilli e creLa Époque», che emerge dai dipinti degli artisti dell'epoca. Un'immagine che duloni, mentre fanno beati tutti anche la fiction televisiva ha riportato in auge, grazie a «Rossella», serie andata gli altri». La "piccola sadica" era in onda su Raiuno e interpretata da Gabriella Pession. La sdoganata. Lo stesso Vittorio Matteo Corcos, pittore ben più cauto stessa attrice, descrivendo il suo personaggio, offre un di Boldini, fu definito "chasteritratto dell'universo femminile negli anni a cavallo tra ment impur". Il manifesto della la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. "castità impura" è forse «Sogni», il «Rossella - ha sottolineato la Pession - è una ritratto di Elena Vecchi del 1896: donna forte e ribelle, che arriva ad una grande Corcos ritrae la giovane donna consapevolezza e decide di scegliere il suo futuamata, piegata in avanti, con il ro, spinta da grande dignità e rispetto per se stespugno chiuso sotto il mento, lo sa». In altre parole, l'eleganza del gentil sesso, in sguardo diretto e sicuro, le gambe quegli anni, è accompagnata da un forte desideaccavallate. Una ragazza che ha rio di libertà, oltre che dall'immutato valore della scelto il proprio posto nel mondo: famiglia. Quello che emerge, come ha aggiunto molto più avanzato di quelle delle l'attrice in una recente intervista al settimanale sue antenate. Il ritratto fece scan«Gente», è «una femminilità pulita, piena di dalo: per la posa "audace", dissepudori, ma non per questo poco erotica e ro. In realtà proprio perché quelseduttrice». l’espressione fiera incuteva paura. Marco Castelli

Audace e trasgressiva, ecco la femme fatale

Valeria Palumbo


33

«Nulla fu più come prima». Sarebbe un bell'epitaffio per tramandare la memoria di uno dei periodi storici più controversi dell'era moderna, quale fu la Belle Époque. Già, perché davvero nulla fu più come prima. Non lo fu la storia che, nel breve volgere di trent'anni si trovò catapultata negli orrori e nelle tragedie di due guerre mondiali. E non lo fu la cultura costretta a guardarsi dentro, e tornare a porre l'uomo al centro della propria speculazione, sia a livello filosofico, letterario e artistico. Eppure la cosiddetta Belle Époque, che cronologicamente si può inquadrare tra la fine della guerra franco-prussiana del 1870 e l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914, fu uno dei momenti più ricchi, più entusiasmanti, più elettrizzanti che la storia recente abbia conosciuto. La società aveva, a livello inconscio - termine quanto mai appropriato, visto il parallelo e contemporaneo sviluppo della psicanalisi freudiana - elaborato il timore di un'imminente catastrofe. Si sentì quasi obbligata a farsi trascinare da un'insana gioia di vivere, di apprendere, di sperimentare, prima che la Storia - con la esse maiuscola - le avesse impedito di farlo, forse per sempre. Parallelamente alla fine della Belle Époque, volgeva al termine la temperie culturale positivista che aveva pervaso ogni aspetto delle varie manifestazioni culturali. Fu un'era di grande ottimismo; sulla scia della rivoluzione industriale, si generò un progresso sociale e umano senza precedenti. In quegli anni, si assistette all'espansione coloniale in Africa e in Asia, la medicina trovò nuovi e risolutivi rimedi contro le malattie infettive, i traffici godettero dell'apertura del canale di Suez, le conquiste tecnologiche e architettoniche elessero

eta ui q in tà e i c So

V. M. Corcos, «Istitutrici ai Campi Elisi», 1982.

o m s i m i t t o ll’ Dietro a a catastrofe l a l i f o r p i s

la Tour Eiffel come loro simbolo. Un'idea, che potremmo definire post-illuminista, pose la scienza in una posizione di primato.Ma in lontananza già si sentivano tuonare i cannoni e sibilare i proiettili dei fucili che il progresso scientifico aveva così tanto contribuito ad perfezionare, e il loro rumore poneva la sordina sulle musiche di can can. Addio dame agghindate all'ultima moda; addio uomini in frac; addio cocotte dai belletti colorati. Nulla sarebbe stato più come prima. Carlo Ghielmetti

Svolta verso la modernità, con un delirio di onnipotenza La Belle Époque vede una diffusione del progresso scientifico e tecnico senza precedenti, che arriva davvero a cambiare la vita delle masse, per lo meno nelle città; basti pensare all’elettricità. A questo progresso corrisponde però un mondo disorientato dal punto di vista morale. Dalle aule universitarie illuminate a luce elettrica, si diffonde sui giornali a larga diffusione, nei caffè affollati, nelle strade rischiarate a giorno, sui treni che sfrecciano attraverso le

G. Boldini, «Strillone parigino», 1878.

Alpi, un’idea. L’idea che l’uomo può fare tutto quello che vuole, che può cambiare davvero il suo mondo, che è padrone del suo destino. Dio non è più il creatore che ha dato all’uomo la legge eterna. In quel periodo, solo la Chiesa ha cercato di contrastare questa decadenza, con il richiamo alle idee di San Tommaso d’Aquino. Per cui buono è l’uomo, buone sono le conquiste del progresso, quando si inseriscono nell’ordine che Dio ha stabilito per la sua creazione, quando si orientano al bene vero che va oltre il bene momentaneo e relativo. (Testo raccolto da Manuela Moretti) Mario Conetti (Docente di Storia medievale e moderna presso l’Università degli Studi dell’Insubria)


35 G. Boldini, «Dopo il ballo», 1884ca.

Ultimi giri di valzer prima della tragedia Fra gli arredi più ammirati dei padiglioni all'Expo 1900 di Parigi c'erano mobili, pareti, disegni e sculture di Joseph Hoffmann e Joseph Maria Olbrich, architetti austriaci. In particolare, nella sezione dell'Austria al piazzale degli Invalidi catturò l'attenzione di molti visitatori l'interno della Kunstgewerbeschule di Hoffmann, con tavoli e sedie tinti di rosso sui quali fioriva come un ricamo un'ornamentazione lieve, piena di grazia: linee ondulate, che s'ispiravano ad una natura arborea con il segno fluttuante dell'Art Nouveau. Era il tributo della "felix Vienna" alla Belle Époque, che aveva alle spalle una solida scuola chiamata sbrigativamente "decorazione" ma era ben di più, spaziava dai piani urbanistici di Otto Wagner alle nitide costruzioni di architetti sempre più convinti a rinunciare alle incrostazioni ornamentali per privilegiare la purezza delle linee di struttura, moderne ma senza troncare i legami con la tradizione. Gli angoli più intimi delle abitazioni e gli spazi celebrativi degli edifici pubblici potevano prestarsi alle fantasie dei pittori, classicheggianti nei temi e sensualmente intriganti nell'avvolgere con una pioggia d'oro figure di baccanti in estasi, genialmente tratteg-

giate da Klimt. Ma anche in questi deliri erotici s'insinuava a tratti un brivido raggelante, un presagio funesto. Lì, in quelle pause tombali, si celava l'umor nero di una prossima fine del carnevale viennese, previsto con tutta evidenza dai laceranti grovigli di corpi dipinti, con pennellate violente come colpi di frusta, da Egon Schiele e Oskar Kokoschka; o dagli amari aforismi di scrittori come Karl Kraus. Nessuno di loro s'illudeva che potesse durare a lungo l'impero asburgico retto da governanti troppo anziani, malgrado il suono ammaliante dei valzer di Strauss nelle scintillanti feste da ballo ed i ritrovi mondani ai caffè sul Ring. Sono le prime, sotterranee scosse del terremoto bellico che fanno barcollare il sogno di benessere di una società ad una svolta nella storia europea. Contemporaneamente a Parigi sembra che nessuno abbia avuto le stesse avvisaglie del disastro. La gente ricca, come la si vede nei dipinti d'epoca, si diverte ed è capace di ridere anche di se stessa, guardandosi allo specchio nelle feroci pochades di Feydeau. Oggi lo sappiamo: si avviavano verso la catastrofe ad occhi chiusi, storditi come l'orchestrina che suonò fino all'ultimo sul transatlantico «Titanic» colato a picco dopo la collisione con un iceberg. Era la primavera del 1912, ma la Belle Époque non aveva più futuro. Alberto Longatti

Luci e danze tra due guerre

Il progresso va a picco La fine della Belle Époque ha il suo emblema nell’affondamento del transatlantico «Titanic». Massima espressione della tecnologia dell’epoca, colò a picco dopo la collisione con un iceberg. Era la primavera del 1912.

L’età celebrata dalla mostra di Villa Olmo si può inquadrare cronologicamente tra la fine della guerra franco-prussiana del 1870 e l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914. Un’età di pace sospesa tra i conflitti.


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C'è un'immagine che, forse più di tante altre, rappresenta la Como della Belle Époque, tutta protesa alla conquista di un mondo nuovo, tutta in attesa di un futuro che promette meraviglie: la funicolare. Quella lunga linea che dal 1894 taglia la pendice del monte fino a Brunate non è soltanto un'opera pubblica grandiosa per i tempi, è anche e soprattutto una sfida al passato e un'ingenua ma appassionata adesione a una promessa che è nell'aria: quella dell'abbandono di una tradizione polverosa per fare posto al trionfo della tecnica, alla vitalità di una nuova energia che si incarna nella potenza della macchina. Improvvisamente, il percorso che porta dalla città a Brunate appare insopportabilmente lungo e tortuoso, la costruzione di una funicolare indispensabile. A volerla è un gruppetto di esponenti della nuova borghesia, imprenditori tessili che nelle proprie fabbriche sperimentano soluzioni produttive e organizzative mai escogitate prima, che guardano a nuovi mercati, che soprattutto immaginano una città diversa da quella sonnolenta nella quale sono nati, convinti che l'etica del lavoro nella quale credono ciecamente sia la medicina giusta per aprire una prospettiva di successo e di felicità per tutti. Una grande speranza non ancora tradita imprime il suo segno, con il benessere economico, su una borghesia che desidera stampare un'orma di ottimismo e di bellezza anche sul territorio che abita. Nasce così il liberty, che modellerà in modo indelebile la città e il lago all'insegna di una fantasia sfrenata, con una fioritura di forme nuove che producono inedite tipologie di case e alberghi, contenitori splendidi del tempo libero sottratto alla fabbrica, che si vogliono anch'essi messaggeri di un modo nuovo di intendere la vita e la bellezza. È una stagione piena di entusiasmi e di promesse che sembrano destinate tutte ad avverarsi, ma dietro l'angolo c'è la guerra, lo spaventoso appuntamento della prima guerra mondiale, che presto la seppellirà sotto un cumulo di macerie e di morti.

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Antonio Marino

I protagonisti Il successo si fa ritratto nei volti dei benefattori (a.m.) È forse lo stesso ottimismo speranzoso in un progresso illimitato e salvifico, tipico della borghesia della Belle Époque, che ne produce la disposizione a prendere parte alle vicende della città e a farsene carico in larga misura ricorrendo largamente a fortune private. A Como questa attitudine è testimoniata da una lunga serie di opere e di interventi che portano il nome di chi li ha voluti. Non c'è però traccia più imponente né più significativa di quella lasciata nella quadreria dei benefattori dell'ospedale Sant'An«Francesco Somaini», quadreria del S.Anna

na: una lunga teoria di ritratti che mostrano severi volti di agiati borghesi che, pur tutti presi dalla costruzione della propria fortuna, intendono tramandare ai posteri la propria generosità, si direbbe più come esempio da imitare che come dote da onorare. È - in sostanza - la trasposizione sul piano della vita pubblica di ciò che gli imprenditori comaschi (un solo nome: Francesco Somaini, nel quadro qui accanto) fanno nelle loro fabbriche con largo sfoggio di benefico paternalismo a favore di chi vi lavora.


comaschi Donna Carla, regina di stile nelle stanze di Villa Erba

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tori, Anna e Luigi, che fecero costruire per lei Villa Erba a Cernobbio. Il suo futuro sposo Giuseppe viveva a Villa Olmo e lei, che ha origini milanesi, non aveva una casa sul lago di Como. Ed ecco che nasce, la casa più moderna dell'epoca, con un ascensore, e chi sapeva mai cosa fosse un ascensore. E poi la turbina per avere una propria elettricità senza usare quella del paese. E quel giardino al piano del lago, costruito con terra di riporto. Lei amava il suo paradiso pieno di piante rare che veniva annaffiato da un grandissimo reticolo di canali». Carla Erba aprì anche diverse scuole di ricamo. Fu una delle fondatrici della scuola della Città Del Sole (situata al parco Trotter). Le regalarono un castello a Grazzano Visconti. «Lei e Giuseppe Visconti si sono inventati tutto il paese - conclude il nipote -, disegnando le case assegnate ai contadini. In cambio, la domenica, dovevano vestirsi con i costumi disegnati da loro e vendere i prodotti artigianali. Un commercio che ha fatto diventare Grazzano famosa in tutta Italia».

Archivio Ta

Il marito era così geloso che durante la "prima" alla Scala teneva la porta del palco chiusa per impedire che gli altri entrassero a salutarla. Donna Carla Erba voleva solo il meglio per sè, per le sue tenute e per i suoi abiti, Sartoria Ventura (Fornitore di Casa Reale) o l'atelier H. Haardt et Fils. Tutti fatti su misura. E aveva un profumo, «Contessa Azzurra», dedicatole dal marito, Giuseppe Visconti di Modrone. Il nipote Guido Taroni, che ha riscoperto i suoi abiti nei vecchi bauli e ha dato loro nuova vita fotografandoli, la ricorda così: «Era una donna che adorava la musica, aveva uno stile unico, un gusto inconfondibile, amava l'arte. Era un'icona e tutte le donne volevano assomigliare a lei. Verdi le aveva regalato un ventaglio d'avorio, sul quale era scritto un verso su ogni bacchetta». Facevano tutti a gara per essere suoi amici, i grandi dell'epoca, Gio' Ponti, Lancia (i due grandi maestri dell'art Déco) o musicisti come Troubetzkoy, Toscanini, Puccini. «Era una regina delle innovazioni, una vera imprenditrice - racconta ancora Guido - Adorata dai geniGuido Taroni

Anna Savini

Tra i «Sogni sospesi» di un’icona lombarda, lariana nel cuore

(a. sav.) Applaudita a Milano, in via Moscova prima, e alla fiera dei tessuti poi, la mostra «Sogni sospesi» di Guido Taroni potrebbe essere riproposta anche a Villa Olmo a Como. Non c'è ancora una data ma l'assessore Sergio Gaddi ne ha parlato con il pronipote di Luchino Visconti. Si tratta di 21 scatti ad altrettanti abiti indossati da Donna Carla Erba, bisnonna di Guido. Il giovane fotografo li ha trovati in un vecchio baule a Villa Erba, dove la nobile viveva con il marito Giuseppe Visconti, e appendendoli a un muro per catalogarli è rimasto folgorato dalla loro bellezza.

«Un soffio di vento li ha ravvivati - racconta - e mi è sembrato di vederli tornare in vita». Da quel momento Guido ha girato l’Italia alla ricerca di sfondi che si sposassero ai tessuti delle vesti. Il risultato sono gigantografie che hanno avuto un enorme successo a Milano riportando ancora una volta Como al centro dell'attenzione internazionale. La mostra infatti è contesa tra New York e Tokio, ma la tappa comasca sarebbe d’obbligo visto il legame di Carla Erba con il lago.

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Archivio Ratti

Gioielli di sartoria per le signore lariane Escono dai ricchissimi archivi del Must i tessuti e gli abiti in mostra alla Fondazione Antonio Ratti, un’iniziativa destinata a affiancare il percorso di Villa Olmo. Questi capolavori Belle Époque evidenziano l’eclettismo di un periodo caratterizzato dalla compresenza di “stili” diversi nell’abbigliamento, cui corrispondono altrettante tipologie di stoffe. È anche il momento del decoro ricercato, dei cosiddetti agréments in grado di evocare quel senso di lusso e ottimismo che ben si sposa con l’enfasi positivista sul progresso. I pezzi esposti a rotazione introducono i temi delle conferenze a margine dell’evento, illustrandone gli aspetti più significativi. Entrando nel dettaglio del materiale accuratamente scelto da Margherita Rosina e Francina Chiara, si potrà per esempio ammirare un collare-mantellina di taffetas, ricamato con soutache, jais e paillettes e bordato di chiffon plissettato. Elemento imprescindibile del guardaroba femminile tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del XX secolo, la mantellina nasce per enfatizzare creazioni all’ultima moda, caratterizzate da grandi maniche e, come le riviste sottolineano, ispirate ai ritratti di Anna d’Austria o di Maria de Medici. Per

l’occasione usciranno temporaneamente allo scoperto anche abiti della collezione «Tgl», tra cui due testimonianze esemplari del nuovo stile, l’Art Nouveau per l’appunto. L’uno si caratterizza per la presenza di merletti, mentre l’altro propone nei ricami il gusto floreale settecentesco “alla cinese”, riletto però secondo i dettami della sinuosità Art Nouveau. Trafori, broderies, luccichii di paillettes raccontano il gran ritorno dei feticci della seduzione, che non risparmiano nemmeno l’abito da sposa. Un vero gioiello quello creato nel 1912 per Emilia Stoppani - possidente menaggina - realizzato da una sartoria italiana su modello parigino: ricalca l’ultimo trend della capitale francese, la jupe entravée lanciata da un Paul Poiret sedotto dalle atmosfere orientali. Farà coppia con una cappa di Mariano Fortuny, geniale creatore affascinato dalla vita modana e culturale della Ville Lumière, che visita ancora giovinetto proprio con Boldini. Fortuny veste le attrici - icone di riferimento delle dames à la page con i suoi famosi delphos ma anche con mantelli dalla foggia a kimono in velluto stampato d’oro a motivi rinascimentali, interpretazioni originali del japonisme, fenomeno che tanta parte ha avuto nell’arte della Belle Époque. Serena Brivio

a od «Dal giorno alla notte, ottimismo da indossare» m a l l La Belle Époque è un momento di grande di un nuovo modo di proporde a c entusiasmo, fiducia nella scienza, nel progres- si non solo durante il giorno, i r o so e nell’avvenire: è un momento di grande fervo- ma anche durante la sera: St re in tutta Europa in cui compaiono tutte le rivendicazioni da parte dei ceti meno abbienti, ma è anche un periodo di ottimismo e di entusiasmo e questo si riflette chiaramente anche nella moda. Boldini era il tipico, grandioso pittore della nobiltà e della grande borghesia, che è il ceto emergente in tutta la seconda metà dell’Ottocento: questo artista ci riporta a degli abiti molto eleganti e suadenti, che accarezzano le figure e la forma femminile, con grandi cappelli, gioielli e guanti. Si tratta

c’è un crescendo di benessere, come testimonia anche un famoso ballo rappresentativo della Belle Époque, l’Excelsior. Sono tutte caratteristiche di un periodo che in ogni caso era, secondo me, di un certo ottimismo, sia da parte di chi già possedeva un certo benessere, sia da parte di chi pensava di raggiungerlo. (Testo raccolto da Manuela Moretti) Giusy Ferrè


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La vivacità della vita letteraria comasca in quegli anni, soprattutto pensando ai nomi di chi la promuoveva, dev’essere stata decisamente interessante, perché metteva a confronto e in amicizia tre nomi che avrebbero poi assunto, per novità di stili, per originalità anticonformistica delle scelte, un loro preciso statuto nel canone letterario italiano. Così tra fine Ottocento e inizio Novecento si muovevano tra la città e le loro ville in località vicine, con ampi contatti con Milano, l’ormai anziano Carlo Dossi, Gian Pietro Lucini e un giovane Carlo Linati (a destra nella foto) che già frequentava buoni ambienti, visto che nel 1910 (e lui allora ha 32 anni), è proprio Gian Pietro Lucini a chiedere a Linati di tenere una conferenza sull’opera del Dossi, che era diventato assai famoso in città, più che come scrittore, in virtù di quel suo eremo di lusso, un gran castello, che era cresciuto a Cardina, tra i boschi. La conferenza si terrà al Carducci, nei primi mesi del 1911 e testimonia di questo incontro a tre, legato anche dalla stima reciproca, visto che poi Linati scriverà, ad esempio di Dossi, che il suo valore è stato quello dell’innovazione per aver «dato lo scrollo più pericoloso alla supremazia del linguaggio fiorentino innestandovi la sanità lombarda del classico». Così da una parte abbiamo l’autore delle «Note Azzurre» (da poco ripubblicate da Adelphi) che soprattutto nelle ultime pagine, ci possono dare un ritratto decisamente interessante della Belle Époque lombarda e dall’altra Gian Pietro Lucini, cui il Dossi dedica proprio una “nota azzurra”, nel 1902, in cui racconta due aneddoti su certa rissosità del suo carattere. Lucini in una breve “autobiografia” scritta proprio il 1914, per una antologia dice: «Contrasto spesso con tutti… Le mie avventure cerebrali furono enormi e sconosciute: un eco sola ne vibra, a chi sa intenderla, dalle mie pagine». Non sa però trarne vantaggi economici («Eppure non prosperai, né prospero: mi avvisò Carlo Dossi che mi mancava l'arte del Ciarlatano. Non me ne dolgo»). Una Bella Époque tutta puntata sull’innovazione dunque quella comasca, con l’indiscussa volontà di non farsi condizionare né da mode, né dalla troppo stretta tradizione. Fulvio Panzeri

Da, «L’Illustrazione

italiana»

Parole che vibrano oltre il conformismo

La

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Così nacque il mito del lago

(e.d.a.) Nei primi anni del Novecento, nel clima di grande fermento culturale che caratterizza il nuovo secolo ha inizio una straordinaria stagione dell'editoria. A contendersi il primato sono: «La Domenica del Corriere», «La Tribuna Illustrata» e «L'Illustrazione Italiana», rivista fondata nel 1873 a Milano da Emilio Treves, su modello del periodico francese «L'Illustration».Tra alcuni numeri conservati presso la Biblioteca Comunale di Como, spicca la Strenna natalizia del 1903, un fascicolo di 32 pagine interamente dedicato a Como e e al suo lago, testimonianza tangibile della fama di cui ha sempre goduto il Lario. L'apertura ci porta subito nell'atmosfera un po' frivola e mondana dell'epoca: «Il lago di Como - si legge - ha tutte le grazie gentili, le eleganze di una aristocratica dama, dai sorrisi seduttori, dai languori che incantano, dalle civetterie che turbano».

La Mitteleuropa di casa a Pusiano Pochi sanno che Hugo von Hofmannsthal, poeta e scrittore austriaco, trascorse molti mesi a Pusiano, nella villa della sua famiglia, tra la strada provinciale e la riva dell’Eupili. Qui nacque l'idea del Festival di Salisburgo (fondato nel 1917 insieme al regista Max Reinhardt) e si svolsero numerosi incontri con Richard Strauss, per il quale Hofmannsthal scrisse i libretti d'opera. «L'Arianna a Nasso» vide la luce proprio sulla riva dell'Eupili, nel 1912, mentre negli stessi giorni Strauss soggiorna a Erba.


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Festa dell’arte in villa, poi al museo gratis

Alessio Brunialti

Gli orari La mostra è visitabile da martedì a giovedì: 9 20; da venerdì a domenica: 9 -22 (la biglietteria chiude un’ora prima); lunedì chiuso.

didattico (fino a 25 persone): 70 €. Laboratorio didattico (ingresso singolo, senza visita guidata): 2 €. Teatro in mostra (ingresso singolo, con un minimo di 20 iscritti su prenotazione): 3 €.

G. Boldini, «Giovani donne sedute» (sul retrodi «Donna sdraiata»).

È una passeggiata nella Belle Époque attaverso circa 120 opere. Villa Olmo accoglierà fino al 24 luglio sessanta capolavori del pittore ferrarese con un’altra sessantina di tele dei più importanti artisti di fine Ottocento italiano, da De Nittis a Corcos, da Zandomeneghi a Signorini. «Le grandi mostre sono un progetto che porta grande ricchezza alla città - sostiene Sergio Gaddi, assessore alla Cultura del Comune -: in termini culturali, in primo luogo, ma anche in termini economici per l’indotto che esse generano, di gran lunga superiore agli investimenti». Numerosi gli sponsor a sostegno dell’investimento. Secondo quanto comunicato da Palazzo Cernezzi, il piano economico-finanziario prevede un investimento di un milione e 100 mila euro, coperti da quelle sponsorizzazioni private per totali 271mila euro, dal Comune di Como per 57mila euro, e per la parte restante dall’incasso dei biglietti, delle visite guidate, dei laboratori, della vendita del catalogo, realizzato da Silvana Editoriale. Infine, il biglietto della mostra - passato quest’anno dai 9 ai 10 euro permette l’ingresso gratuito illimitato fino al 25 luglio nei seguenti musei cittadini: Museo Archeologico Giovio, piazza Medaglie d’Oro, 1; Museo Storico Garibaldi (piazza Medaglie d’Oro, 1); Per le scuole Museo didattico della Seta (via CastelnuoPer la visita guidata (fino a vo, 9); Pinacoteca Civica (via Diaz, 84); 25 persone): 50 €, mentre la Tempio Voltiano (Lungo Lario visita guidata + il laboratorio Marconi).

In “navetta” alla mostra Collegamento navetta via lago a/r da piazza Cavour, tutti i sabati e festivi. Accesso e servizi per disabili. Ufficio gruppi e informazioni: tel 031 571979; fax 031 3385561. www.grandimostrecomo.it

I biglietti Intero: 10 €; Ridotto: 8 € (visitatori oltre 65 anni e tra 6 e 18 anni, universitari fino a 26 anni, gruppi di almeno 25 persone con ingresso gratuito per l’accompagnatore, categorie convenzionate); Ridotto scuole: 5 € (gruppi scolastici di almeno 25 persone con ingresso gratuito per due accompagnatori); Gratuito: bambini fino a 6 anni, disabili con accompagnatore. (Per tutti gli aggiornamenti, si consulti il sito www.grandimostrecomo.it)

Tour e teatro Tra le attività promosse dal Comune ci sono tour e spettacoli a margine della mostra (si veda a pag. 45). La visita guidata (fino a 25 persone) costa 100 €. Ingresso al «Teatro in mostra» (ingresso singolo, con un minimo 20 iscritti su prenotazione): 5 €.


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