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Mercato Italia volume
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mente saliti, fino ad arrivare a 24.300 euro. “Qui sono poi intervenuti altri fattori,” ha spiegato Del Viscovo. “Innanzitutto, la diminuzione, se non l’eliminazione, degli sconti, che ha portato il prezzo netto molto vicino a quello di listino. Poi, dal mix sono sparite le vetture destinate al noleggio, settore che aveva forniture scontatissime; infine, l’altra grande scomparsa di questi anni sono stati i cosiddetti ‘km 0’, ovvero auto già immatricolate dai concessionari”. Da notare che nel periodo segnato dalla pandemia ci sono stati meccanismi di incentivazione, per cui parte degli aumenti è stata pagata dallo Stato, quindi da tutti i cittadini. Tra il 2019 e il 2020 l’aumento medio è stato di 1.800 euro, ma con 600 milioni di incentivi erogati, la crescita effettiva per l’acquirente è stata mediamente di 1.400 euro. La cosa si è ripetuta l’anno dopo, quando crescita del prezzo (+2.600 euro) e incentivi (1,05 miliardi di euro) hanno lasciato a carico della collettività mediamente 700 euro a vettura.
Del Viscovo ha poi analizzato i cambiamenti registrati nei segmenti delle vetture ibride plug-in e delle elettriche. Nel primo caso, nel 2016 l’offerta era composta da soli sei modelli con prezzi compresi tra 30 mila e 50 mila euro, mentre gli altri venti erano più costosi. Oggi il mercato ha visto crescere la quota delle vetture meno costose dal 23% al 40%, andando verso un’espansione della classe dei mezzi medi e compatti.
All’opposto, le elettriche pure sono passate da 5 modelli su 18 sopra la soglia dei 50 mila euro (28%) a 26 su 62 (40% del totale): nate con l‘idea che fossero veicoli prettamente cittadini e con percorrenze massime modeste, le elettriche sono invece andate nella direzione del lusso.
Ad attirare l’attenzione del settore dei veicoli ricreazionali è stata però l’annunciata volontà, da parte di alcune case automobilistiche, di cambiare il sistema distributivo, passando dal contratto di concessione a quello di agenzia. “Questo progetto viene da lontano,” ha detto Del Viscovo, “perché l’industria aveva bisogno di recuperare dei punti di margine, che in quel momento vedeva assorbiti dalla distribuzione del prodotto. Al momento nessuno sa davvero chi passerà a un mandato di agenzia e quando, l’unica cosa certa è che lo farà Mercedes, e c’è una curiosità nell’industria, mai vista prima, di vedere che succederà quando la casa tedesca cambierà questi contratti, non solo in Italia ma anche a livello europeo”.
Il passaggio non sarà indolore. La gran parte dei concessionari rappresenta più marchi, ed è ipotizzabile che all’interno della stessa struttura qualche brand manterrà un accordo di concessione e qualcun altro passerà al rapporto di agenzia. “Questo significa per il concessionario avere un minore stock, abbassare gli ammortamenti in strutture e ridurre le dimensioni dello showroom,” ha puntualizzato Del Viscovo. “L’altra grande novità associata è che chi vende la vettura è direttamente il costruttore”. E poi tra essere concessionario o agente ci sono mol tissime differenze organizzative, procedurali nella formazione del personale, nell’allocazione degli spazi… “Come si può immaginare, banalizzando, che quella stessa struttura che oggi muove centinaia di milioni, possa funzionare la mattina come un agente e il pomeriggio come concessionario? Questo cambiamento deve ancora entrare nella vita reale per far emergere le vere implicazioni, le difficoltà. Stiamo parlando di una trasformazione epocale”. Per cominciare con i cambiamenti sostanziali, bisogna affrontare il tema delle vendite online. Oggi il 30% dei veicoli venduti non passa dal concessionario, perché si tratta di mezzi gestiti dai fleet manager aziendali, che fanno scegliere l’auto all’utente finale da una banale lista di prodotti. Ma a questo si aggiungono le vendite online “mascherate”, in cui il cliente si reca dal concessionario ed è il venditore a configurare per lui su Internet il veicolo. Lì si parte da prezzi sostanzialmente fissi, dove avere uno sconto è quasi impossibile. E in questo modo il concessionario recupera qualche punto di margine, a spese del cliente.
Ma perché i concessionari non si preoccupano del fatto che questa tendenza possa uscire dal loro controllo? Secondo Del Viscovo, fondamentalmente perché si fidano delle case: sono stati abituati per anni a farlo. E i concessionari oggi esistenti, più grandi di dimensioni e sopravvissuti agli anni delle peggiori crisi, sono mediamente in salute. Secondo un’indagine realizzata da Dekra, nel 2012 si era arrivati ad avere solo il 41% delle strutture che chiudevano bilanci in utile, mentre dal 2015 in poi questa percentuale è stabilmente sopra l’80 per cento (con l’unica eccezione del 2020, quando si è fermata al 76%). Certo, si è passati da duemila operatori a circa mille e duecento. Ma questi sono per lo più molto soddisfatti.
Cosa cambia nella distribuzione auto
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