Wynck L’Unno Antonio Pignatiello
Wynck L’Unno Romanzo
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Wynck L’Unno
Prima edizione, 2008 Ultima edizione, 2011 Proprietà letteraria di Antonio Pignatiello La copertina Wynck l’Unno è di Antonello Venditti È vietata qualsiasi riproduzione l’autorizzazione dell’autore.
anche
parziale
dell’opera
senza
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Wynck L’Unno PROLOGO
A est del Palazzo di Giona, su un monte, da dove si poteva vedere il luogo sacro, considerato il Sepolcro del Nazareno, detto il Santo Sepolcro, e dove sostavano i Cavalieri di Clairvaux e degli Ospedalieri, degli Ordini del Tempio; su quel monte tre uomini discutevano di quel che accadeva in quegli anni. Erano un Cavaliere di Clairvaux, Bertrando di Nicea, un Crociato valoroso, monaco e guerriero, amico di Goffredo, considerato santo e puro, chiamato di Nicea per il valore espresso in battaglia molti anni prima nella guerra del ’99 e così oramai vecchio ma riverito e osannato, saggio e giusto; e c’erano anche Francesco da Lione, Ospedaliero, ancora giovane e forte, e un guerriero silenzioso, venuto dall’est, dal nord dell’est dell’Europa, dalla Magyaria, tale Ulrich di Kyrckitz, nobile di famiglia e stirpe nella sua terra devastata e conquistata dai Franchi anni prima, e così poi al comando di un’armata per Gerusalemme, cristianizzato ma non troppo, ma valoroso e capace e dunque gli diedero da comandare una guarnigione: ancora legato alle sue pianure del Danubio ma fedele a Corrado, il Terzo, Re delle terre che furono dei suoi avi, di Attila, l’Alemannia, sei secoli prima, dopo aver unito dal Danubio alla Loira al Mincio intere popolazioni, prima di ritirarsi e morire di febbre nella sua terra magiara. Era fedele, anche se un po’ meno per gli accoliti, così li chiamava, che lo circondavano, così li vide lui, era fedele a Eugenio III, Santo Padre di Roma conosciuto qualche mese prima in un lungo e affascinante viaggio in Italia in un incontro silenzioso e raggelante, fatto di sguardi incompresi dai due che non si amarono, ma si rispettarono. I Crociati avevano esagerato. In tutto e per tutto. Crociati: al massimo tali erano da definirsi in pochi, il resto si rivelò una mandria sanguinaria di bifolchi e maleodoranti esegeti in armi, oltre che violenti e rozzi, saccheggiatori e oppressori prepotenti. Lo dicevano tutti e tre e Bisanzio lo declamava a gran voce tanto che era oramai più amica di Zinki che degli Europei. “Dissero di noi che eravamo barbari.” disse Ulrich di Kyrckitz “Ma questi son davvero degli spaventosi animali. Non è più consentito che questo avvenga prima che un’altra guerra ritorni. Ed io non voglio difendere gente così, giammai.” “Non è loro che difendiamo, fratello Ulrich, ma il Sepolcro Santo di Nostro Signore Gesù Cristo, lo sai.”
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Wynck L’Unno “Certo che no ma alla fine del Sepolcro difeso, che è simbolo di giustizia, venerabile Bertrando, ricordalo, se ne appropria l’ingiustizia? Non mi sembra giusto.” disse Ulrich con devozione ma anche fermezza. “Non credo possiamo occuparci noi di loro, Ulrich – disse Francesco da Lione – però hai anche ragione: tutto questo dovrà finire, la gente oramai ci odia.” “Non ci odia, ci ama, semmai voi ci odiate, non tu per carità, Francesco – intervenne Bertrando – ma ho sentito che tra i nostri al comando non scorre gentilezza d’animo e non dovrebbe essere così, non credi?”. “Sembra che siamo perduti. Siamo qui venuti a liberare dall’infamia occupante dei Siriani il Sepolcro eppure ora ci ritroviamo a doverlo liberare da noi stessi, o meglio dai nostri che hanno lo stesso stendardo.” intervenne Ulrich che si allontanò da solo verso lo spiazzo che permetteva dal monte di guardare oltre il deserto. “Dimmi se vuoi continuare ancora a darmi il dubbio che vuoi andartene come dicevi l’altra sera, Ulrich. Francesco ed io se vorrai farlo ti aiuteremo. Francesco ed io: tu non sei di un ordine, sei solo un Cavaliere, per giunta nemmeno romano, sei libero e per l’amicizia e l’amore e la stima che ci legano a te, noi dell’Ordine, di ordini diversi ma amici anche se pur forse non scorre buon sangue tra i nostri pari, ti aiuteremo ad andare alle tue terre lontane da qua. Mi hai sempre detto che non hai mai saputo perché sei qui, perché hai lottato per noi, per il Sepolcro, anche se credi con fede, lo so.” disse dopo un po’ Bertrando vedendo pensieroso Ulrich che guardava verso nord. “Sì, non lo so perché accettai, anzi, perché partii per qua, però son sicuro di aver fatto la cosa più giusta. E ora voglio fare quello che penso ancora sia più giusto. Sì, voglio andar via. Non mi appartiene tutto questo. Sono fedele a Cristo ma non a queste bassezze sanguinarie degli europei chiamati in queste terre da non so più cosa”. “Ti aiuteremo – disse Francesco – ma non potremo più vederci dopo.” “E nemmeno da ora che l’abbiamo deciso.” disse Bertrando. “Grazie fratelli e sicuramente amici.” disse Ulrich con un sorriso voltandosi verso di loro e andò ad abbracciare Bertrando da Nicea e Francesco da Lione con forza e sincera amicizia. Poi sparì dietro il monte e Francesco e Bertrando lo guardarono in silenzio mentre non era, e non sarebbe stato, più con loro. Ulrich sellò il suo cavallo e prima di muovere le briglie a est rimase fermo sulla monta. Aveva rifoderato la spada dopo averla pulita con panno di pecora lavorata e con una pezza di seta rossa, si era munito dei mezzi del viaggio, acqua innanzitutto perché doveva andare prima a sud di Edessa, per evitare i Turchi, e poi girare dietro quella Contea per rientrare nella sua terra 4
Wynck L’Unno da est e da nord. Il viaggio sarebbe stato lungo, tra monti e deserto. Forse non sarebbe arrivato mai. Pensò allora di fare un’ultima cosa prima di andare. Pensò di andare al Sepolcro. Cos’era il Sepolcro per lui? Non lo sapeva, sapeva che era là per quello, lottò, partì dalla sua terra per quel Sepolcro. Ci andò senza spronare, vide le guardie amiche e moltitudini di Siriani e Germani, Anglicani e Italici, Turchi e Palestinesi, nessuno si curava di lui se non per sguardi soffusi e in qualcuno anche carichi anche d’odio. Smontò dal cavallo, entrò. Lumi, candele, roccia, Cavalieri, gente a pregare, prelati, frati, donne pie e devote a chi non sapeva. Non si fermò a notarli, li conosceva e di molti non ne aveva stima. Lo fermarono e lui guardò il Cavaliere che levò lo sguardo e lo fece passare. Si fermò al Sepolcro. Si chiese perché era là, perché era venuto e perché aveva guerreggiato. Cosa vide? Nulla, solo lumi e roccia. Cosa sentì? Nulla se non una pace interiore. Cosa notò di particolare? Nient’altro che un’aria rarefatta, calda, pesante nonostante le rocce, la frescura. Si guardò attorno, prese una cosa dalla tasca: una croce di legno con ferro e oro. I suoi avi furono, con gli Sciti, i migliori gioiellieri e Cavalieri del tempo passato. Ricordò a sé le gesta di Beda e Attila, dei suoi Unni e delle guerre fino alla città di Metz. Ricordò quel che il padre gli raccontò di Roma e dell’Europa, ricordò che lui era là, nella terra di un Dio lontano dalle sue origini, un Dio unico e incomprensibile: un Dio che aveva fatto morire un Figlio, l’unico, addirittura abiurato dalla gente che amava. Si spaventò. Un Dio che parlava a suo figlio di amore e giustizia e di amore e giustizia lui, Ulrich, in quelle terre non ne aveva viste quasi mai. Né in Corrado, il Terzo, né negli occhi di Eugenio, vide giustizia e amore, né poteva vederla in Luigi, il Settimo, colui che veniva da quel Carlo che si prese tutto il tesoro dei suoi avi, tesoro trasportato dai paladini con dodici carri trainati da dodici buoi e cavalli per dodici settimane, così narrava la leggenda. Che ci faceva là? Perché la sua terra era così lontana da lui e perché lui, così lontano da quella gente, lottò per loro. Alzò gli occhi al Sepolcro e chiese a colui che era stato là sepolto il perché di tutto questo. Perché lo uccisero? Perché chi portava la sua testimonianza, uccideva? Perché chi lottava contro di lui, uccideva? Perché chi aveva attorno uccideva? Ulrich si ricordò della sua gente lasciata da giovane per seguire un Dio in cui credeva, non per la gente che lo adorava. Si sentì lontano da loro, ripose la croce di ferro e oro nella sacca, notò un Cavaliere che lo squadrava, pensò in maniera sospettosa, una donna siriana che a occhi bassi gli passava dietro mentre si girò per andarsene da là, vide movimenti lenti di altra gente, prelati, monaci a occhi bassi e ogni tanto alzavano la testa furtivi e notava una luce tetra, d’odio, sospetto e inganno: ebbe paura, sentì che era in pericolo, che doveva fare presto, prima della notte, prima che fosse tardi. 5
Wynck L’Unno Diede un ultimo sguardo al Sepolcro, sembrò salutasse con un cenno, si fermò con il pensiero e credé che l’immagine si spostasse come se ci fosse fumo, poi come se il gran caldo distorcesse le immagini, ma era umido e fresco lì dentro. Poi fiero, deciso e diritto uscì senza curarsi d’altro che vedere la luce del cielo, oramai flebile. Saltò sul cavallo, si vide seguito dallo sguardo, puntò verso il Palazzo d’Erode, dove stava la sua postazione, poi sicuro che nessuno lo seguisse, svoltò a ovest, quindi tra i mercanti svoltò a nord, arrivò piano alla soglia della città senza curarsi dei Cavalieri e dei monaci che vi sostavano, dei mendicanti e delle donne povere, dei bambini lasciati soli da non si sa chi, dagli storpi e dai ciechi che giravano attorno alle mura, da chi urlava e da chi predicava e si allontanò piano, con occhi sbarrati, attenti, sentendo un fruscio d’aria alle spalle, non si girava però, per paura. Guidò il cavallo dove c’era una sorgente, così avrebbero pensato che andava a rifornirsi d’acqua. Sentì freddo, poi sudò, poi le mani strinsero le briglie del cavallo che non amava quella guida insicura: se ne accorse e si fermò. Gli s’inumidirono gli occhi, pensò troppe cose per fermare uno solo dei pensieri che si accalcavano nella mente. Poi d’un tratto, non vide nessuno davanti, nessuno dietro, nessuno ai lati: c’era una roccia, un colle, degli alberi, l’acqua della sorgente era dietro. Sentì un’energia, un calore immenso che gli salì dallo stomaco, fino al viso, agli occhi, si sentì sicuro, si sentì guerriero, si sentì forte. Spronò, quasi in lacrime spronò e stavolta deciso si diresse col suo cavallo verso est, sempre più a est. Corse, galoppò, temette lo inseguissero, ma era oramai un fantasma, ed era un Cavaliere, armato e vestito regalmente, spronò senza fine finché dietro un’altura si fermò tremante e teso. Si girò e vide Gerusalemme: gli apparve lontana, piccola, distante da sé e dalle sue cose, di prima e di dopo. Guardò a sud, conosceva la strada, la pensò in un attimo. Spronò e scomparve all’orizzonte con l’urlo di guerra della sua gente, del suo popolo, un urlo che non aveva dimenticato. Nessuno l’aveva seguito. Nessuno a Gerusalemme l’aveva pensato più. Era là, da solo, a cavallo verso sud per andare a est e poi a nord una volta aggirata Edessa e poi sarebbe andato a sud. A casa sua. Si addentrò tra i Selgiuchidi. Deserto, sabbia, terra rocciosa, sabbia. Non era possibile forse, pensò, superare quel territorio senza morire. Doveva rasentare sempre il deserto e la Siria, non poteva pretendere troppo dalla sua forza e dalla sua vita. Andava per una strada strana, si diceva in cammino, ma sembrava l’avesse fatta, anche se ne conosceva l’orientamento, non l’aveva invece mai percorsa per intero. 6
Wynck L’Unno Com’era arrivato là? Il cammino a cavallo tra il deserto siriano gli fece ricordare quando da giovane, dal freddo delle sue pianure attraversò il Danubio riversandosi verso la Germania, da solo, da giovane, a cercare le terre conquistate, diceva, dai suoi avi che non erano più padroni quasi di niente. Forse rivoleva il tesoro preso da Carlo di Francia, forse voleva fare la strada di Attila, non lo sapeva. Ricordò a sé però che quel viaggio, benché duro e lungo, era nulla al confronto di quello che stava facendo. Ora si avviava verso il nemico e si accorse che non poteva andare così a Bagdad, non poteva arrivarci vestito da Cavaliere, non poteva presentarsi. Avrebbero pensato a un messaggero, nel migliore dei modi, e a Gerusalemme e a Roma e ad Aquisgrana e a Tolosa si sarebbe poi saputo. E che avrebbe detto? Che era un messaggero di Corrado? No, e nemmeno di Eugenio e nemmeno di Clairvaux. Era chiusa quella parentesi, ora era di nuovo libero e andava dove non sapeva ma verso casa per una via inesplorata e incomprensibile a lui anche se certa di essere percorsa. Bagdad era sul cammino: avrebbe dovuto comunque entrarci per proseguire a est. Aveva sentito parlare da giovane di Bagdad, della pista dei commerci. Avrebbe potuto anche seguirla da giovane e invece anni prima aveva pensato di prendere la strada opposta, una strada gloriosa per i suoi pensieri e che invece gli portò delusioni e lotte e guerre, inganni e amarezze. Si ricordò dei suoi avi, delle strane cose che la sua gente diceva di Roma e degli europei, dello strano modo di gestire la giustizia, o meglio l’ingiustizia. E di un Dio, del suo Figlio e della loro religione che invece, anche se imperava ovunque nella bocca di quei popoli, nella loro vita quasi non c’era mai. Avrebbe potuto fare quella strada verso Bagdad prima, diversamente e non dopo anni e anni di amarezze e battaglie per cosa non si sapeva più. Però era fatta oramai, la vita era sua e ora era là verso oriente per tornare quando per tornare avrebbe potuto essere la strada verso occidente. Cavalcò piano per giorni, tra sabbia, roccia, sabbia sempre più a sud, sempre verso sud e spostandosi a ovest e poi di nuovo a sud. Chi poteva fare quel viaggio se non uno spinto da una forza non umana, se non di là, se non berbero, se non volpe del deserto, se non mercante? Non un guerriero del freddo poteva farla e lui era un guerriero di terre fredde. Però quella strada la faceva e senza una volta sola pensare di tornare indietro. Bagdad non doveva essere lontana dopo giorni e giorni. Ulrich pensò che Bagdad fosse vicina e che fosse venuto il momento di spogliarsi di quel poco di vesti romane e tedesche portate per vivere tra loro e di rimanere ora, stanco ed esausto con le sue vesti da giovane: la collana di ferro e d’argento, lavorata dalla madre, che cadeva sul petto dal collo, con delle steli che andavano verso l’esterno, poggiate sul petto, a forma delle costole e una stele in mezzo di bronzo dove erano avvolti dei fili d’argento e 7
Wynck L’Unno sotto nulla, il petto nudo. Al braccio destro, in alto, due serpenti di ferro che si guardavano e al polso una catena d’oro, ricamata di rame e ferro, con delle pietre, sette, di smeraldo e all’orecchio sinistro un anello di ferro e d’oro e, al collo, attorno, circolare, una collana di turchese e argento e un metallo verde che macchiava la pelle ma gli dava forza, gli disse la madre. Al polso che usava per la battaglia, il destro, aveva collane arrotolate e alle mani, alla sinistra un anello d’oro e alla destra due anelli, uno all’indice, di ferro, e uno all’anulare, d’oro, con un disegno fatto dalla madre del padre, un disegno che era una lettera, la sua, e sopra il segno della sua famiglia a forma di una barra con una stele che la tagliava sopra e sormontata da un’asta che simboleggiava un Regno, un Regno che non c’era più. Nella sacca aveva la croce di ferro e oro. Fu mentre stava per pensare di essere tornato libero che vide degli uomini a cavallo dietro la duna. Pensò che ora cominciassero i problemi. Era stato un Crociato per i Siriani e per quella gente dunque un nemico giurato lui per loro e loro per lui. Ma non aveva più nemici pensò, non loro comunque. L’avrebbero, quelli, capito? Si avvicinò con il cavallo al passo, in groppa con spalle dritte e fiere, occhi aperti e non accigliato. Conoscevano la sua lingua o lui avrebbe dovuto parlare la loro che aveva imparato in quegli anni? Scelse di parlare la loro. “Che Iddio vi protegga!”disse. Quelli, dieci Cavalieri mori risposero al saluto ridendo coperti dalle loro tuniche e turbanti per il sole e si misero attorno a lui a cerchio. “Voi siete siriani?” chiese Ulrich. “Noi siamo” rispose uno di loro. “Giusto, voi siete.” affermò Ulrich. Così dicendo restò al centro dello schieramento. “Dove andate? La vostra terra non è questa?” chiese uno di loro. “Io torno a casa mia.” rispose Ulrich. “Questa è casa nostra. È la terra nostra. Voi siete venuti a levarcela, a macchiarla di sangue. Non pensi che ora noi possiamo levarti la tua casa?”. “Sì, penso che potete farlo, ma io non vi sono più nemico.” “Però lo sei stato!” disse uno di loro. “È la legge della guerra.”disse Ulrich. “La legge della guerra? Una guerra ha dei motivi: tesori, difese del popolo, la vita. I vostri motivi quali sono stati?” chiese sempre lo stesso guerriero moro, colui che sembrava comandare quel gruppo. “I miei motivi erano la difesa del Sepolcro di Nostro Signore Gesù Cristo.” rispose Ulrich. 8
Wynck L’Unno “Vostro Signore Gesù Cristo?… Difenderlo da cosa, da noi? Sulla nostra terra? Dite: che ci fate qua? E siate sincero almeno una volta, cristiano.” “Ripeto, torno a casa mia: adesso non combatto più per difendere il Sepolcro e né contro di voi.” L’uomo moro a cavallo lo guardò tirando giù la felpa dal viso e facendo vedere il suo volto olivastro, duro e deciso ma leale e fiero nello sguardo. “Volete dire che se noi ti attaccassimo ora non ti difenderesti?”. “Se voi mi attaccate ora, mi difenderò ma in nome mio e della mia vita, non del Papa né di Corrado.” rispose Ulrich. “La vostra spada.” disse perentorio il Moro. Ulrich sospirò. Anche se avesse lottato sarebbe stato ucciso, pensò. Sfilò la spada e la diede al Moro. “Quanti fratelli avete ucciso con questa spada, Crociato?”. “Non sono un Crociato.” disse Ulrich. “Ah no?”. “Non più, l’ho già detto.” “E perché non più?”. Ulrich stette un attimo in silenzio, poi rispose: “Oggi molti di loro sono assassini, ma ho visto cose non giuste, non quelle per cui si difende il Sepolcro.” “Dov’è la vostra casa Cavaliere?” chiese il Moro. “Molto lontana da qua ma molto lontana anche da Roma. Io sono di un popolo che non esiste più come tale. Sono un Unno.” “Mai sentito parlare del vostro popolo. Sapete che di là c’è Bagdad, vero? Come pensavate di passare inosservato?”. “Volevo aggirare il deserto a sud e poi risalire a nord per ritornare a casa verso ovest da là.” “Un viaggio lungo. Sareste morto di sete e di fame o di sole prima ancora di scendere a sud.” “Voi conoscete la pista? Ditemela. Non ho nulla contro di voi.” Il Moro scese dal cavallo dando la spada di Ulrich a uno dei suoi Cavalieri. “Scendete! Vi devo parlare.” disse il Moro a Ulrich che scese dal cavallo. Il Moro disse il suo nome: “Il mio nome è Adjuef El Fatmah, voi come vi chiamate, Cavaliere pentito dei Crociati?”. “Il mio nome è Ulrich, Ulrich di Kyrchitz, nobile di Magyaria, Cavaliere, cristiano.”
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Wynck L’Unno “Noi non siamo in guerra con i Crociati ma nemmeno in pace con loro. Ma se ti prendono ti squartano. Davvero sei qui per tornare a casa? Perché non hai fatto la strada opposta?”. “Se facessi la strada per Roma mi brucerebbero come traditore ed eretico.” “Ho capito Ulrich, hai detto la verità. Ti indicheremo la via ma dovrai andare da solo, noi ti porteremo a sud. Mi sei simpatico e ti credo, Ulrich.” “Posso chiederti perché non lotti contro i Crociati?”. “Noi viviamo liberi. Non lottiamo per qualcosa che non c’è.” “Cosa non c’è?” chiese Ulrich. “Quello che voi difendete, Cavaliere.” disse con un sorriso sornione Adjuef. “Non capisco cosa vuoi dire, Adjuef El Fatmah.” “Il Sepolcro, Cavaliere Crociato.” disse Adjuef allontanandosi con Ulrich. “C’è. L’ho visto poco prima di partire, non credo che il sole mi abbia già divorato la testa.” “Non c’è, non esiste, difendevi qualcosa che non c’è. E quelli del mio popolo difendono se stessi da voi. Una guerra stupida insomma.” “Fammi capire: tu stai dicendo che quello non è il Sepolcro di Nostro Signore?”. “Esattamente!” disse Adjuef guardandolo negli occhi. “La tua è un’eresia.” “Una cosa?”. “Un’eresia: una bestemmia, affermi qualcosa contro Dio e anche contro il tuo Allah e il tuo Profeta Maomet Alì”. Adjuef afferrò per il braccio Ulrich e puntandogli gli occhi addosso gli disse: “Non ho detto nulla né contro Allah né contro Maometto né contro il tuo Signore o il tuo Dio. Ho detto che il Sepolcro non è là.” e lasciò sprezzante Ulrich allontanandosi da lui. Andò verso il suo Cavaliere che aveva la spada di Ulrich, la prese e la gettò ai suoi piedi poi risalì a cavallo dicendo: “Tieni la tua spada, per quello che ti potrà servire. La pista da seguire è a sud, se vivrai. Che Allah e il tuo Dio ti proteggano Cavaliere Crociato. Non sei mio nemico. Anzi mi fai pena, io volevo aiutarti ma sei un testardo orgoglioso: hai lottato per qualcosa che non c’è, questo è ridicolo e ci penserà il deserto a te, non io. Ma non andare troppo a sud: gira verso il tramonto del sole ad ogni mezza giornata. Più ti allontani da Bagdad e meglio sarà per te.” Dicendo così spronò il suo cavallo e se ne andò verso sud. Ulrich restò sorpreso e gli corse dietro urlando: “Avevi detto che mi avresti accompagnato alla pista! Non andartene. Non hai mantenuto la parola! 10
Wynck L’Unno Dannato infedele! Tutti uguali! Siete tutti uguali, odiosi! Come i Crociati!” ma quelli sparirono dietro la duna non curandosi di lui. Ulrich rimase solo tra la sabbia del deserto. “Dannato infedele – pensò – ed eretico pure. Non c’è! Il Sepolcro non c’è. Anzi, non è là. Ecco che stupidaggini diceva. Che diavolo voleva dire quel selvaggio del deserto? Scempiaggini diceva, bestemmie ignoranti e offensive. Hanno fatto bene a fargli guerra Corrado ed Eugenio. Sì, hanno fatto bene. Ecco cosa sono questi qua, dei selvaggi infedeli e ignoranti, bestemmiatori, eretici, cinici, incuranti di Dio!”. Ulrich era furente, ma sapeva che la sua rabbia era perché aveva sperato che quegli uomini lo aiutassero e non lo fecero. Si sedette sulla sabbia. Pensò che era già stato fortunato perché se al posto di quelli che aveva da poco incontrato avesse trovato dei mori l’avrebbero infilzato sul posto. Ringraziò Dio per la fortuna, come sempre, quando in battaglia rimase vivo alla fine di ogni duello. Se ne era dimenticato di Dio? Sì, ogni tanto se ne dimenticava. Poi però qualcosa glielo faceva ritornare in mente e si accasciava e poi si rallegrava. Che strana vita la tua, Ulrich: venuto da un luogo dove i tuoi avi adoravano altri Dei, conoscesti un Dio nuovo per cui molti facevano la guerra. Poi si ricordò del motivo per cui lasciò Gerusalemme e iniziò ad avere il magone. Era confuso. E quell’Adjuef che voleva dire? Di sicuro era uno che aveva combattuto contro Roma e sicuramente aveva combattuto anche contro Zinki; anzi, forse Zinki lo cercava. Ecco, pensò, è un brigante come in Europa. E che voleva dire che il Sepolcro non era là? Scherzava, ironizzava? Non sembrava, probabilmente non scherzava, anzi di sicuro alla fine sembrava serio e se ne andò perché l’aveva urtato, era suscettibile come tutti i mori. E se avesse detto la verità, appunto, non sarebbe stato ridicolo? Lui avrebbe lottato per difendere qualcosa che non c’era? Come funzionava la questione? Stava ancora pensando queste cose quando allontanò i pensieri e disse a se stesso che sì, Roma non era certo il massimo della verità e della giustizia, l’aveva conosciuta bene ma non sarebbe mai arrivata al punto di mentire sui luoghi Sacri. E che in tutti questi secoli non si sarebbe sparsa forse la voce, se fosse stata vera, che il Sepolcro di Gesù non era a Gerusalemme o altro ancora magari. Non l’avrebbero detto forse i mori in Europa quando scorrazzavano vincenti? Come mai non sarebbe emersa una verità? Allora si rimise a cavallo, stancamente e al passo e si diresse verso sud spostandosi a ovest. Il sole pesava, era giorno, doveva andare piano. A ovest verso sud: non voleva incontrare altra gente sbagliata. 11
Wynck L’Unno “Perché Adjuef disse così?” Ulrich questo urlò fermandosi. Tirò il cavallo, si piantò. Forse era anche stanco e sudato per il sole. Perché d’un tratto gli ritornò in mente quel siriano? Era un siriano? Non sembrava: la pelle olivastra e gli occhi marcati di nero, come gli altri, quasi diversi dai mori: non aveva un corpo simile, sembrava diverso quell’Adjuef, quasi come la sua gente delle terre fredde e placide del suo Danubio: alto, lineamenti gentili anche se induriti. Era forse un nobile siriano caduto in disgrazia? O forse solo un uomo abituato alle durezze del deserto? Ma perché disse che il Sepolcro non era là? Perché una bestemmia del genere? E perché s’arrabbiò tanto quando gli disse che bestemmiava? “Non ho detto nulla né contro Allah, né contro Maometto né contro il tuo Dio.” Aveva detto Adjuef, e sembrava arrabbiato sul serio, urtato, offeso. E sincero. Sì, sembrava sincero. Venne sera: era ora che veniva freddo, bisognava coprirsi. Dov’era? A sud, a sud verso ovest e per quanto tempo sarebbe andato nel deserto a sud verso ovest? Quando doveva svoltare a est e risalire a nord? Era ora? Era sulla pista giusta? E poi: il suo Dio, l’avrebbe aiutato? Ma perché Adjuef disse che il Sepolcro non era là. E dove sarebbe allora? Non era forse la Palestina la terra santificata da Eugenio e da Goffredo anni prima? E Corrado non gli aveva forse chiesto di venire qua per Cristo e il suo Impero? E il Sepolcro ora non c’era? Non c’era mai stato, addirittura. E quello che c’era non era il Sepolcro di Gesù? E di chi allora? Un pazzo? Sì, forse Adjuef era un pazzo, un burlone, incattivito dal deserto, dal sole, tutta questa sabbia incattivisce, snerva, fa perdere pazienza e senno. Non erano forse infedeli e massacratori anche loro in Europa? Maometto: e chi era? Un profeta e una pietra nera e poi? Aveva forse fatto miracoli? Aveva forse parlato d’amore come Gesù? No, aveva parlato di conquistare il mondo e di quello ne hanno sempre parlato tutti: Cesare, Attila, Augusto, Carlo il Magno che venne a prendersi dalla sua terra danubiana i tesori degli avi, dei suoi avi, di Attila e di Beda. Niente di nuovo allora se si parla di conquistare il mondo. E che c’entra il Sepolcro? Non è là e dov’è? Dormì stanco tutta la notte con questi pensieri, anche timoroso. Era la prima volta, dopo che era bambino, forse, che aveva paura così. Una voce, anzi, delle urla, lo svegliarono l’indomani mattina. Strabuzzò gli occhi e sentì urlare lontano. Si alzò, prese la spada e vide una donna, lontana, una donna che urlava e si avvicinava. “Chi è quest’altra pazza? – pensò Ulrich – E cosa sta urlando da sola nel deserto?”. 12
Wynck L’Unno La donna urlava e veniva verso di lui. Ulrich cominciò a sentire ciò che diceva. E pensò: “Guarda cosa s’incontra nel deserto: altro che deserto, qua è una folla di gente, di pazzi, ma sempre per niente deserto.” La donna si avvicinò. Urlando. Si avvicinò e mentre si avvicinava rallentava il passo, poi abbassava la voce, poi, vicinissima, si zittì. Si avvicinò a Ulrich: vestita di stracci colorati, era scura in volto ma non nera di pelle, ammantata di un velo sul capo lasciava vedere il volto. “Non come le siriane – pensò Ulrich – dunque è una pazza.” La donna si fermò davanti a lui e lo guardava da testa a piedi. Poi gli girò attorno. Ulrich stette fermo con la spada in mano, pronto a colpire al primo movimento sbagliato. La seguì con lo sguardo. “Chi sei?” chiese Ulrich. “Cosa vuoi? Cosa urli?”. La donna non rispondeva. Non capiva forse la sua lingua. “Chi sei?” disse allora Ulrich in siriano. La donna si fermò al suo lato, poco lontano da lui, di profilo. “Ti ripeto, chi sei? Cosa vuoi?” chiese ancora Ulrich. La donna ferma di profilo stava zitta. Il sole ancora non c’era. L’aria fresca della notte del deserto c’era invece e quella donna aveva forse vagato durante la notte sfidando scorpioni e serpenti, urlando magari e veniva da chissà dove. “Qual è il nome con cui ti conoscono?” le chiese lui. “Il mio è un nome impronunciabile” rispose lei. “E che ci fai nel deserto?” chiese Ulrich quasi paonazzo. “Questa è la mia terra, tu che ci fai qua?” rispose la donna. “Io me ne voglio andare da qua, conosci la strada?”. “Dammi un figlio, il mio figlio, e te la indicherò.” disse lei decisa. “Qual è il tuo nome donna?”. “Il mio nome è… ”. “E cosa fai qua nel deserto?”. “Io sono Mariamh. La donna guardò fisso negli occhi Ulrich che stava in piedi e con le labbra spaccate dalla sete e stanco seguiva il suo sguardo. "Chi sei? – chiese Ulrich – Da dove vieni? Vivi nel deserto da sola?". La donna guardava sempre Ulrich standogli di traverso e girandogli attorno. 13
Wynck L’Unno Ulrich sfilò la spada e urlò: "Non ti avvicinare!". La donna alla vista della spada si fermò. Si avvicinò invece a Ulrich e guardandolo fisso negli occhi ancora rise. Ulrich spaventato si scostò un passo indietro e tenne la spada in attacco. La donna si tolse il velo e apparve un volto bellissimo. Ulrich la guardò e abbassò la guardia. "Chi sei?" chiese flebilmente. La donna si avvicinò di più e guardò la ferita nel braccio di Ulrich, una ferita che sanguinava ancora e mal curata, che Ulrich si era fatto qualche giorno prima. Tolse le bende dal braccio e Ulrich la lasciò fare. Prese qualcosa dal petto che cominciò a passare sulla ferita. Ulrich strinse i denti ma lasciò fare. Poi la donna prese un sacchetto che aveva attorno al collo e prese ancora qualcosa e la passò sulla ferita. "Siete fortunato. – disse – Lo scorpione vi ha ferito ma non con le zampe sennò sareste già morto." "È morto lui." disse Ulrich. La donna sorrise. Ulrich si guardò la ferita e scoprì di trovarne sollievo e riguardò la donna. "Sei una strega? – disse – Una strega del deserto? Non ho mai sentito parlare di te ma di loro sì." La donna allora fulminea estrasse un coltello da sotto la veste e lo puntò sotto la gola di Ulrich che spaventato si ritrasse ma la donna seguì il suo movimento con la lama che gli premeva sotto il collo: "Come ti ho guarito posso finire il lavoro dello scorpione." disse lei. "Cosa vuoi? I miei ori? Non ho molto... " disse Ulrich. "Voi uomini pensate solo all'oro. Che ci fate voi ne l deserto con la vostra pelle bianca? So che siete un Cavaliere e che fuggite da loro. Morirete nel deserto di fame e di sete. Cosa scegliete, venire con me o morire da solo?". "Io voglio tornare a casa. Cerco la strada per Bagdad e risalire a nord." 14
Wynck L’Unno Senza togliere la lama dalla gola di Ulrich la donna disse: "Promettete che ci andremo insieme?". "Dove?". La donna toccò il medaglione che Ulrich teneva al collo, lo guardò e disse: "A casa vostra." Ulrich continuò a guardarla ma aveva la lama alla gola e diss e di sì. "Come vi chiamate?" chiese Ulrich quando lei tolse la lama. "Myriam e voi?". "Ulrich di Kyrchitz." Insieme si incamminarono e si cibarono di vermi, scaglie e azzim. Poi incontrarono una carovana che li condusse alle porte di Bagdad. Lì rimasero alcuni giorni poi ripresero la strada ma verso South. Dopo alcuni mesi Myriam e Ulrich erano a Esfahan, poi a Shiraz e si fermarono a Minab. Lì Myriam comunicò a Ulrich che era in attesa di un figlio. Attraversarono il golfo di Sirik e andarono a Nazwa. Una notte che Myriam stava male, Ulrich parlò del suo desiderio oramai dimenticato di tornare a casa. Myriam lo accarezzò anche se stava male e si toccò il grembo dove viveva suo figlio e il figlio di Ulrich che vedendola fare così poggiò la testa sul grembo d i lei e ascoltò i battiti del piccolo. Ulrich pianse in silenzio mentre Myriam gli carezzava i capelli. Erano ancora a Nazwa e da soli quando nacque il figlio che prese il nome Luca datogli da Ulrich. Myriam lo guardò nascere tra gli stremi del parto e solo assistita da Ariel la figlia del pastore El -Margan di Nazwa. Rimasero tre anni a Nazwa e poi costeggiarono Qmar e Mukalia e passarono a Maydh dove vissero due anni. Intanto che Ulrich viveva di lavori saltuari e Myriam a casa dovettero per una questione di legge andare via da Maydh e andarono a South, ancora a Khebri e poi ancora più a nord a Bahir Dar. Lì Ulrich decise di risalire il fiume e così fecero fino a Luxor quando per evitare che un masso cadesse su Myriam, nel suo gesto di generosità Ulrich rimase sotto la valanga che si fece di pietre e massi 15
Wynck L’Unno e Myriam visse e anche il loro figlio ma lui morì. Fu sepolto lì sulla strada per Luxor, alle sue porte e Myriam fu ospitata da una famiglia di lì. Col suo figlio visse tre anni così che lui ne aveva ora otto e una donna di quindici di nome Marika gli fu amica e consorella e badante del piccolo che crebbe forte e svelto. Poi un giorno Myriam parlò con Marika del desiderio di Ulrich per lui, per lei e per il figlio e dopo un lungo viaggio salparono da Alessandria verso le coste di Camargue dove approdarono e lì dopo due anni presero il viaggio verso East ma incontrarono una guerra e furono divisi alle falde del fiume Blu. Marika fu condotta a West, Myriam morì di malaria e il piccolo fu accolto da chi gli salvò la vita, colei che di nome faceva Ula, e portato lontano da lì.
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