Notiziario ANUSCA 2014 - 05 Maggio

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NOTIZIARIO ANUSCA Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e Anagrafe

Viale Terme, 1056 • 40024 Castel San Pietro Terme (BO) • tel. + 39 051/944641 • www.anusca.it • e-mail: segreteria@anusca.it • sped. in abb. post. AP 45% art. 2. comma 20/b legge 662/96 - DCI Umbria - Reg. Trib. BO n. 5270 il 10/06/1985 • Dir. Resp. Primo Mingozzi - Vice Dir. Paride Gullini

Anno XXVIII, n. 5 • Maggio 2014

Copia € 3,50 (stampato da Maggioli Editore - Santarcangelo RN)

DALL’ANAGRAFE COMUNALE ALL’ANPR: IL FUTURO DEI SERVIZI DEMOGRAFICI di Alessandro Francioni e Liliana Palmieri

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a Pubblica Amministrazione italiana sta cambiando volto, lo abbiamo detto tante volte; e i Servizi Demografici in questa fase di grandi mutamenti assumono, ancora una volta, un ruolo primario. Il progetto dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, introdotto dall’art. 2, comma 1 del decreto-legge n. 179/2012 (convertito con modifiche nella Legge n. 221/2012) è uno dei pilastri dell’Agenda Digitale Italiana e sta avanzando piuttosto rapidamente nel suo iter di approfondimento tecnico-giuridico, iter che ha subìto una certa accelerazione dopo la pubblicazione del primo dei decreti attuativi (il DPCM n. 109/2013). Presso la Direzione Centrale dei Servizi Demografici del Ministero (continua a pag. 10)

TRASCRIZIONE DI MATRIMONIO OMOSESSUALE: UNA RECENTE SENTENZA

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E ALL’INTERNO

di Renzo Calvigioni

l Tribunale di Grosseto ha ordinato all’ufficiale dello stato civile di trascrivere un matrimonio tra persone dello stesso sesso, relativo a due cittadini italiani, celebrato all’estero: la notizia, diffusa dall’Ansa nella tarda serata di mercoledì 9 aprile, ha avuto grande risalto nei vari TG delle diverse reti e nei quotidiani del giorno successivo. Il percorso giudiziario che ha portato alla decisione del Tribunale era iniziato dal rifiuto dell’ufficiale dello stato civile – atto legittimo e dovuto, come sottolineato pure dal Sindaco di Grosseto nelle interviste rilasciate ai media – che aveva respinto la richiesta

di trascrizione del matrimonio: il ricorso degli interessati veniva accolto dal Tribunale che disponeva, appunto, la trascrizione del matrimonio. In sostanza, con tale sentenza, i due cittadini italiani maschi che si sono sposati all’estero, vedranno, a tutti gli effetti, il loro matrimonio riconosciuto come pienamente valido anche in Italia: tutto questo non avrebbe avuto grande risonanza, se non perché riapre una problematica che, da un punto di vista giudiziario, sembrava già chiusa, ponendosi in aperto contrasto ed in (continua a pag. 18)

Inquadramento professionale degli ufficiali delegati..................................... pag. 3 Residenza e povertà, un binomio difficile...................................................... pag. 5 Correzione o rettifica?......................... pag. 6 Circolare MIACEL10/2014.................. pag. 11 Neocittadino italiano e annotazioni............................................. pag. 12 Collegi professionali e imposta di bollo........................................................... pag. 13


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INQUADRAMENTO PROFESSIONALE DEGLI UFFICIALI DELEGATI: LA STRADA DEI RICORSI GIURISDIZIONALI RESTA IMPERVIA

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ualcuno forse ricorderà la nascita dell’Associazione “Antigene” (Associazione Nazionale Dipendenti e Utenti dei Servizi Pubblici Locali) che, almeno a quanto risulta dalle pagine di Internet, pare abbia operato per non più di due anni e precisamente nel 2009 e 2010. Tra le finalità di questa Associazione, tanto vaste quanto nebulose, ad Anusca interessava il tentativo dichiarato di ottenere l’inquadramento in cat. D degli ufficiali d’anagrafe, di stato civile ed elettorale, attraverso il ricorso al Giudice del lavoro, passando per il necessario tentativo di conciliazione con l’Ente di appartenenza. Dichiarammo fin dall’inizio che saremmo stati, per così dire, “alla finestra”, dal momento che la questione si sarebbe decisa in una sede, quella giurisdizionale, sulla quale Anusca non poteva incidere se non facendo “il tifo” per un esito favorevole ai dipendenti dei servizi demografici. Se le cose fossero andate per il verso desiderato, Anusca si sarebbe attivata immediatamente al fine di ottenere l’estensione di eventuali decisioni favorevoli, a tutti gli ufficiali delegati aventi diritto. Purtroppo, come si temeva, la strada dei ricorsi giurisdizionali non ha dato alcun risultato. Le sentenze dei Tribunali civili, in funzione di Giudice del Lavoro, sono numerose e, purtroppo, negative per la categoria. Si può osservare, in linea generale, che la Giurisprudenza si è sempre dimostrata piuttosto restia ad assumersi la responsabilità di decidere in favore dei lavoratori del pubblico impiego su materie di natura contrattuale, preferendo piuttosto limitarsi ad una più prudente affermazione di principi generali applicabili ad una materia così delicata, soprattutto nel settore del pubblico impiego privatizzato. Né si può dire che i principi affermati e le norme richiamate siano sempre univoci e tali da costituire un orientamento sicuro e consolidato. Si citano, in proposito, alcune pronunce della Giurisprudenza.

di Romano Minardi

- La giurisprudenza di questa Corte ha deciso la questione con varie sentenze (tra le tante Cass. Sez. Un. 25837 del 11/12/2007) con cui si è affermato che “In materia di pubblico impiego contrattualizzato - come si evince anche dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, nel testo, sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25, e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15, ora riprodotto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 32, l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei

casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost.; detto principio deve trovare integrale applicazione senza sbarramenti temporali di alcun genere - pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza”. - La disciplina posta dall’art. 52, d.lgs. 165 del 2001 in materia di svolgimento di mansioni superiori stabilisce il principio secondo cui lo svolgimento di fatto di mansioni diverse da quelle di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore. In ogni caso, spetta, ai sensi dell’art. 36 Cost., la retribuzione prevista per le mansioni superiori, che non può essere esclusa da alcuna norma, né di legge, né di contrattazione. (Cass. 23/2/2009 n. 4367). Per la verità, sull’applicabilità al

pubblico impiego del disposto di cui all’art. 36 Cost. non mancano posizioni contrarie, ancorchè non prevalenti, espresse, seppure in tempi meno recenti, dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 2001 n. 1073 - Sez VI, dicembre 2000 n. 6466 - Sez. VI, 29 settembre 1999 n. 1291). In un quadro giurisprudenziale così incerto e che abbraccia tutto il pubblico impiego, non ha fatto eccezione nemmeno una recente sentenza, la n. 906 del 25 luglio 2013, con la quale il Tribunale di Genova, Sezione Lavoro, ha respinto i ricorsi di 16 colleghi, tutti con delega del Sindaco e tutti inquadrati in cat. C, i quali rivendicavano l’inquadramento nella categoria superiore. Anche con questa sentenza, che ci è stata segnalata dalla collega Erminia Leveratto, in pratica, il Giudice decide di “non decidere” e sembra quasi respingere le domande dei ricorrenti per una specie di “insufficienza di prove”. In sostanza, infatti, il Giudice respinge il ricorso con la seguente motivazione: “Non è possibile valutare ex art. 52 d.lgs. 165/2001 se le mansioni proprie di questo inquadramento abbiano il carattere della prevalenza sotto il profilo qualitativo e temporale rispetto a quelle legittimamente svolte”. Ci preme, tuttavia, sottolineare alcune affermazioni contenute nella sentenza e che ci appaiono quanto meno discutibili, se non decisamente errate, frutto anche della scarsa conoscenza che le autorità giudiziarie hanno potuto acquisire, senza loro colpa, nel corso del loro ordinario percorso formativo (come è noto, le norme che disciplinano l’anagrafe e lo stato civile non fanno parte delle materie del corso di studi delle facoltà di Giurisprudenza). 1. Il Tribunale di Genova cita il CCNL 1.4.1999, art. 17, in particolare la lett. i) che prevede un compenso per le specifiche responsabilità degli (continua a pag. 4)


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ufficiali d’anagrafe, di stato civile ed elettorale. Tale richiamo non appare pertinente, con la richiesta dei dipendenti intesa ad ottenere un inquadramento professionale consono alle loro responsabilità, in quanto la stessa norma contrattuale prescinde totalmente dalla categoria professionale di inquadramento; l’art. 17, infatti, non fa distinzione fra personale di cat. B, C o D. Ciò significa che tale indennità, come del resto quella prevista dalla lett. f) dello stesso CCNL 1.4.1999, è destinata a compensare specifiche “responsabilità” derivanti dalla delega del Sindaco, fermo restando che le “funzioni” esercitate in virtù della delega stessa (funzioni che attengono al riconoscimento dei fondamentali diritti della persona, garantiti dalla Costituzione) non possono essere ascritte ad una categoria professionale inferiore alla Cat. D. Tale assunto deriva, in buona sostanza, dall’analisi delle “declaratorie” che, seppure a titolo esemplificativo, sono state individuate in sede di contrattazione sindacale in allegato al CCNL 31.3.1999 di “Revisione del sistema di classificazione professionale”. Pertanto, si intende riaffermare, con forza, che le funzioni degli ufficiali delegati, se effettivamente esercitate nel loro più alto livello funzionale e di responsabilità, sono ascrivibili alla cat. D e i dipendenti che le esercitano hanno diritto all’inquadramento in tale categoria; mentre le indennità “aggiuntive” previste dall’art. 17 del CCNL 1.4.1999, lettere f) ed i) fanno parte delle “Risorse per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività” e, quindi, rientrano in una previsione contrattuale che non ha nulla a che vedere con i criteri di inquadramento professionale nelle categorie B, C e D, ma che attiene al sistema di incentivazione della produttività. 2. Non è condivisibile, quindi, l’affermazione del Tribunale di Genova

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secondo cui “il compenso per mansioni superiori, come reclamato dai ricorrenti, competa solamente quando le mansioni superiori vengano svolte nell’esercizio di funzioni diverse da quelle di cui all’art. 17 lettera i); diversamente sarebbe difficile comprendere la volontà espressa dalla fonte collettiva”. Tale affermazione ci appare palesemente errata in quanto, come sopra evidenziato, i presupposti per il riconoscimento dell’inquadramento professionale sono di natura diversa da quelli previsti per il

riconoscimento del diritto agli incentivi di produttività; prova ne sia che non è affatto escluso che un dipendente di cat. B possa legittimamente e a buon diritto ottenere un incentivo, riconosciutogli ai sensi dell’art. 17 del CCNL 31.3.1999, di importo economico più elevato rispetto ad altro dipendente di categoria superiore. 3. Appare, invece, condivisibile almeno in linea teorica, l’affermazione del Tribunale secondo cui, ai fini del diritto all’inquadramento professionale in una certa categoria, è necessario che le funzioni effettivamente svolte, proprie di quella categoria, siano prevalenti, per frequenza e natura, rispetto ad altre funzioni ascrivibili ad una professionalità inferiore. Peraltro, i ricorrenti avevano inteso dimostrare (anche se, evidentemente, non hanno convinto il Giudice) che, di fatto, le funzioni da loro esercitate appartengono in prevalenza, senza alcun dubbio, alla categoria superiore, cioè alla cat. D. D’altra parte, risulta

anche comprensibile che il Tribunale osservi come, dal suo punto di vista e per le sue concrete possibilità di analisi, “non sia possibile valutare, ex art. 52 d.lgs. 165/2001, se le mansioni proprie di questo inquadramento abbiano il carattere di prevalenza sotto il profilo quantitativo e temporale rispetto a quelle legittimamente svolte”. In effetti, la valutazione circa la sussistenza e prevalenza delle mansioni superiori, ascrivibili, quindi, alla cat. D, dovrebbe essere più facilmente operata dall’amministrazione di appartenenza e cioè dal Comune di Genova, che, invece, nega l’esistenza di tale condizione. In conclusione, la strada da percorrere per un giusto inquadramento professionale degli ufficiali d’anagrafe, di stato civile ed elettorale è ancora lunga e sembra difficile che possa passare attraverso le decisioni dei Tribunali; siamo sempre più convinti della necessità che tutto il comparto del pubblico impiego debba restare unito e determinato nella richiesta di uno sblocco della contrattazione, in modo che ANUSCA possa riprendere i contatti con le OO.SS. per un sereno confronto su una questione che merita una maggiore equità nel trattamento economico e, soprattutto, un più corretto riconoscimento professionale.

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RESIDENZA & POVERTÀ, UN BINOMIO DIFFICILE di Mariangela Remondini

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ra le proposte presentate nel corso dell’anno 2013 a sostegno della tesi che prevede la necessità di introdurre un reddito minimo contro la povertà, ve ne sono alcune che meritano una riflessione e che convergono su temi importanti come l’istituzione di una prestazione a livello nazionale che elevi il reddito alla cosiddetta “soglia della povertà assoluta ISTAT”, diretta a tutti i nuclei familiari e non a categorie raffinate. Concentriamo la nostra attenzione sui lavori di Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ACLI & Caritas e Istituto per la ricerca sociale di Milano. Non si tratta di proposte di erogazioni monetarie sic et simpliciter, ma di inserimento, o reinserimento, sociale, né trattasi di interventi ex novo contro il disvalore della povertà, bensì di proposte di ricomporre e raccogliere le molteplici tipologie di intervento che, nel tempo, si sono rivelate inefficaci e frastagliate. Il lettore anagraficamente formato è colpito dal denominatore comune delle proposte in commento, che indicherebbero la residenza anagrafica come requisito necessario, ma non sufficiente per accedere agli interventi proposti: chi lega il beneficio al superamento dei primi dodici mesi, chi azzarda ad almeno due anni. Il tutto genera quanto meno difficoltà di riorganizzazione degli interventi proposti, come limiti di accesso che si traducono in iniqua selettività tra poveri. È evidente che limitare l’accesso a interventi di natura sociale solo a coloro che hanno maturato un prescritto periodo di residenza nasce da necessità precauzionali che a loro volta trovano origine in osservazione statica di comportamenti scorretti: primo fra tutti, il timore che utenti attenti spostino volutamente la residenza in Comuni che offrono opportunità di inserimento sociale e lavorativo, vere transumanze verso i Comuni che garantiscono di più. Secondo, ma solo in ordine di tempo, timore: lo spauracchio delle famiglie straniere, dove la povertà è

maggiormente diffusa; questo aspetto, tuttavia, va considerato alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale e di norme sovranazionali (che impongono per gli stranieri gli stessi criteri di accesso previsti per gli italiani), nonché con sguardo critico, allo scopo di evitare disparità con immigrati da considerare sulla base di altre norme di natura emergenziale, come i profughi, ai quali non si potrebbe certo richiedere una residenza qualificata nel tempo. Rilevano criticità evidenti: il neonato non potrebbe essere assistito fino all’anno di età, il neo-immigrato,

anziano e/o disabile, nemmeno, così come l’immigrata in gravidanza, anche se inespellibile secondo le norme che regolano l’ingresso e il soggiorno nel nostro Paese. Si tratta di soluzioni poco condivisibili, per diversi ordini di ragioni: con l’anagrafe cosiddetta fast, i meccanismi di iscrizione e transumanze dettate da comportamenti opportunisti sono già realtà; non è dimostrato né facilmente dimostrabile che chi è più “radicato” nel territorio costituisca garanzia di successo nei percorsi di uscita dalla spirale della povertà; le persone povere, più delle altre, conducono una vita poco stanziale proprio perché legata a elementi precari come l’aiuto di parenti o figure di riferimento, il lavoro, le opportunità alloggiative; le famiglie delle persone povere, più delle altre, anagraficamente parlando, si spaccano, si frantumano, cercano fortuna anche sole; infine, il presunto “radicamento” come criterio

di accesso non ha presupposti solidi in una società variegata e multiforme come quella italiana, ove in alcune zone ci si “radica” in pochi mesi, e in altre non ci si “radica” mai. Con l’avvento dell’ANPR, poi, la costruzione progettuale dei filtri di residenza qualificata per singolo Comune dovrebbe essere interamente corretta e rivista. Ma soprattutto deve far riflettere l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale che disegna il contrasto alla povertà come “un bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale”. A questo proposito con sentenza n. 2/2013 la Corte ha dichiarato illegittima la legge 12/2011 della Provincia autonoma di Bolzano nel punto in cui prevedeva per i cittadini extracomunitari una residenza di maggior durata come filtro di accesso ai servizi assistenziali; la stessa Corte si è analogamente espressa con sentenza n. 172/2013 che dichiarava incostituzionale la legge 15/2012 della Provincia autonoma di Trento che fissava a tre anni di residenza il minimo per accedere all’erogazione di assegni di cura per soggetti fragili non autosufficienti; infine, sempre la Corte Costituzionale ha bocciato la legge regionale 16/2011 del Friuli Venezia Giulia nel punto in cui prevedeva contributi economici a favore di chi fosse residente nella Regione in parola da più di 24 mesi. Il legislatore, le Amministrazioni centrali, gli enti, i terminali intelligenti dell’intero apparato e tutti coloro che incarnano la mission di ridurre le dinamiche di disuguaglianza sociale, hanno il dovere di prendere in esame, nel clima di crisi globale, gli aspetti critici di questo momento congiunturale negativo, che vede penalizzati, in una spirale infinita al ribasso, i poveri tra i poveri, gli ultimi tra gli ultimi. Perché quando gli elefanti fanno la guerra, è l’erba la prima ad essere calpestata.


CORREZIONE DELL’UFFICIALE DI STATO CIVILE O RETTIFICA DEL TRIBUNALE? di Tiziana Piola

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li atti di stato civile hanno forza probatoria nel senso che, ai sensi dell’art. 451 del codice civile, fanno prova, fino a querela di falso, di ciò che l’ufficiale pubblico attesta essere avvenuto alla sua presenza o da lui compiuto. Da ciò ne consegue che l’ufficiale di stato civile deve tenere una certa diligenza nella loro redazione, affinché essi contengano notizie certe, che verranno estrapolate e rese note a terzi mediante la certificazione. Di fondamentale importanza, pertanto, è l’istituto della correzione, nel caso in cui l’ufficiale di stato civile o terzi interessati si rendano conto che nel corpo dell’atto o nelle annotazioni vi siano degli errori. Come si deve comportare l’ufficiale di stato civile? A chi compete l’eventuale correzione? Innanzitutto occorre distinguere il caso in cui l’atto sia già stato sottoscritto dall’ufficiale di stato civile, dal caso in cui l’atto non sia ancora terminato poiché non ancora “chiuso” dalla firma dello stesso ufficiale di stato civile. In questa ultima ipotesi, infatti, la procedura è semplificata: si interlinea la dicitura errata o le parole da sostituire e, di seguito o in calce all’atto, con richiamo numerico, prima dello spazio riservato alla firma dell’ufficiale di stato civile, si effettua la correzione mediante la scrittura delle parole dovute, preceduta dalla dizione “si legga, invece”, e successivamente l’ufficiale di stato civile lo sottoscrive. La stessa procedura è adottata nel caso in cui venga stampato un atto erroneamente e non sia stato ancora sottoscritto dall’ufficiale di stato civile ed eventuali interessati, per cui si indica la motivazione della ristampa e si rimanda all’atto stampato nella parte e serie corretta. Qualora, invece, un atto di stato civile sia iscritto o trascritto in una Parte e Serie diversa da quella prevista dall’Ordinamento e sia già stato sottoscritto dalle parti, lo stesso è perfettamente valido e efficace, pur se registrato in Parte e Serie errati e non si dovrà pertanto

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procedere a nessuna modifica o correzione o nuova iscrizione dell’atto. Nel caso in cui l’atto sia già stato sottoscritto dall’ufficiale di stato civile e dalle parti, occorre comprendere il tipo di errore al fine di adottare il procedimento di correzione legittimo. Gli errori possono essere classificati in: a) errori materiali, per i quali è possibile procedere alla loro correzione apponendo un’annotazione a margine dell’atto (art. 98 comma 1 DPR 396/2000);

b) errori sostanziali, che contribuiscono a mutare il contenuto dell’atto e conseguentemente, la correzione andrebbe ad incidere sullo status dell’intestatario dell’atto, occorre pertanto adottare il procedimento di rettificazione mediante ricorso in Tribunale (art. 95 DPR n. 396/2000). Il procedimento di correzione: l’ufficiale dello stato civile, d’ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scritture in cui egli sia incorso nella redazione degli atti mediante annotazione dandone contestualmente avviso al Prefetto, al Procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto, nonché agli interessati (art. 98 comma 1 DPR 396/2000). L’oggetto della correzione non deve riguardare solo l’errore materiale in cui sia incorso l’ufficiale di stato civile nella redazione dell’atto. Il Ministero dell’Interno, nel Massimario edizione 2012 pag. 168 ha fornito, a tal proposito, precise istruzioni,

individuando le diverse casistiche cui si può procedere ai sensi dell’art. 98 comma 1, che riassumiamo qui di seguito. a) errori commessi in sede di redazione dell’atto di stato civile in ragione di una svista direttamente riconducibile ad un errore dell’ufficiale di stato civile (es. l’ufficiale scrive erroneamente il cognome dei genitori al momento di redigere l’atto di nascita di un minore); b) errore riconducibile ad una svista commessa da chi ha redatto un atto che deve poi essere trascritto (es. l’avviso di morte riporta in modo erroneo il nome o il cognome del defunto, il suo luogo o data di nascita o il luogo del decesso; l’attestazione di nascita riporta in modo errato il nome o cognome della puerpera o il luogo di nascita del bambino, l’atto di matrimonio redatto dal parroco riporta in modo erroneo il nome degli sposi, la loro data o luogo di nascita o il luogo di celebrazione del matrimonio); c) qualsiasi errore relativo alle generalità degli interessati rilevabile ictu oculi dai registri stessi dello stato civile (es. nome o cognome dello sposo riportato in modo errato nell’atto di matrimonio, verificabile dall’esame dell’atto di nascita dello sposo stesso). In tal modo si è ampliato il concetto di errore fino a giungere talvolta all’utilizzo del procedimento di correzione nel senso di “integrazione” qualora intervenga un’omissione per errore. Ad esempio qualora non venga riportata un’annotazione per dimenticanza o si debba procedere ad integrare o modificare il contenuto di un’annotazione, o il contenuto dell’atto medesimo, semprechè la “svista” sia riconducibile e supportata da documentazione a testimonianza dell’errore stesso. A tal proposito, a mio avviso, qualora si presenti il caso in cui un atto di matrimonio proveniente dall’estero sia carente del luogo di matrimonio della data di matrimonio, o dei dati relativi agli sposi, se questi dati (continua a pag. 7)


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possono essere desunti da ulteriore documentazione, l’ufficiale di stato civile può procedere alla correzione dell’atto mediante un’integrazione dei dati medesimi, con la procedura art. 98 comma 1: si apporrà un’annotazione a margine dell’atto dalla quale si possono desumere i dati mancanti. Non è opportuno, invece, che l’integrazione dei dati venga inserita già nel corpo dell’atto, in quanto l’atto deve essere trascritto nella sua forma originale e l’istituto della correzione (sia art. 98 comma 1 sia art. 95) non prevede che l’ufficiale di stato civile possa agire direttamente sul contenuto dell’atto medesimo, poiché in tal modo altererebbe un atto formato all’estero: è sufficiente che lo trascriva nella sua versione originale ed apponga l’integrazione a margine. Il Ministero dell’Interno fornisce una diversa disposizione: nell’ipotesi in cui la data ed il luogo di matrimonio, pur non risultando nell’atto di matrimonio di cui sia richiesta la trascrizione, possano essere comprovati da documentazione ulteriore (per es. anche acquisita tramite l’Autorità consolare competente) l’ufficiale dello stato civile dovrà eseguire la trascrizione nel suo assetto

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attuale provvedendo nel contempo ad attivare la procedura di rettificazione ex art. 95 e sgg. D.P.R. 396/2000 (Massimario edizione 2012 pag. 110). A mio avviso è sufficiente procedere alla correzione art. 98 comma 1 nel caso in cui i dati possono essere ricavati

da altra documentazione a supporto del matrimonio. Si rammenta, a tal proposito, che una volta che l’ufficiale di stato civile ha apposto la correzione, deve procedere a comunicarlo al Prefetto, al Procuratore della Repubblica e agli interessati. La comunicazione al Prefetto è volta a rendere noto il comportamento dell’ufficiale di stato civile all’autorità di controllo che svolge attività di vigilanza sul servizio di stato civile. Tuttavia, il Prefetto non potrà agire sulla procedura di correzione ma

SULLA PAGINA!!! potrà disporre, se lo ritiene necessario, una verifica straordinaria dei registri di stato civile. Di fondamentale importanza è la comunicazione al Procuratore della Repubblica il quale dovrà attivarsi nel caso in cui rilevi che la procedura adottata dall’ufficiale di stato civile sia in contrasto con la normativa vigente; nel caso in cui il Procuratore della Repubblica non intervenga ciò sta a sottolineare la correttezza del comportamento dell’ufficiale di stato civile e la garanzia che la correzione sia avvenuta nei modi stabiliti dalla legge: ecco il motivo per il quale la correzione ai sensi dell’art. 98 comma 1 non è meno certa della procedura di rettificazione ai sensi dell’art. 95 ed offre maggiore celerità negli adempimenti evitando costose e pesanti procedure presso i Tribunali. La correzione, inoltre, deve configurarsi nell’ambito della legalità e certezza al fine di continuare ad assicurare la forza probatoria dell’atto, anche se questo viene modificato: ecco il motivo per cui ad integrazione dei dati che non sono previsti nell’atto non è opportuno che vengano inseriti nel corpo dell’atto stesso, ma si segua l’intero procedimento dell’art. 98 comma 1 comprese le comunicazioni. Il procedimento di rettificazione: non riguarda solo la correzione di un errore sostanziale, ma è un istituto che prevede anche la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito, la formazione di un atto omesso, la cancellazione di un atto indebitamente registrato. La rettificazione consiste in linea generale l’intervento sostanziale sul contenuto di un determinato atto poiché viene modificato lo status dell’intestatario dell’atto, oppure si procede con l’istituto della rettificazione se l’atto è mancante completamente, oppure parzialmente o contiene inesattezze fondamentali o se è stato indebitamente registrato. I soggetti legittimati all’attivazione della procedura sono l’intestatario (continua a pag. 8)


A GIUGNO IL CONSIGLIO NAZIONALE DI ANUSCA Per giugno, precisamente il 7, dalle ore 9.30, presso la sala plenaria dell’Accademia, è stato convocato il Consiglio Nazionale di ANUSCA, che tradizionalmente si svolge ogni anno in questo periodo, al fine di fare il punto delle attività e dei futuri progetti dell’Associazione. Questo il programma dei lavori: 1° Sessione 1) Relazione sull’attività del 2013 e linee operative 2014 (Paride Gullini) 2) Relazione Revisori del Conto (Mario Giosuè) 3) Approvazione Consuntivo Esercizio 2013 e Bilancio Preventivo 2014 e documento programmatico 4) Comitati Provinciali e Regionali – Tesseramento – Convegno Nazionale (Edoardo Bassi) 5) “Cenerentole o protagonisti? Da soli saremo sempre ultimi, con l’Associazione possiamo essere primi” (Romano Minardi) 2° Sessione 6) “I Servizi Demografici nel 2020. Gli scenari evolutivi di un’area amministrativa in pieno cambiamento. Il Ruolo di Anusca” (Alessandro Francioni) I lavori si concluderanno con l’intervento a cura di Change Project (Firenze) dal titolo paradigmatico “ANUSCA: il piacere di far parte di una grande squadra”. Tema scelto non a caso: il Consiglio Nazionale è espressione di ANUSCA sull’intero territorio italiano ed è quanto mai importante, sempre più importante, che i membri siano consapevoli della centralità del loro ruolo per lo sviluppo dell’Associazione e della necessità di fare squadra verso nuovi, brillanti traguardi.

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dell’atto e il titolare di un interesse giuridicamente rilevante alla rettificazione, il Procuratore della Repubblica in ogni tempo. Si sottolinea, a tal proposito, che in questa procedura non è l’ufficiale di stato civile a ricorrere al Tribunale anche se è lui stesso ad accorgersi dell’errore nell’atto o della sua mancanza totale; egli potrà esclusivamente informare il Procuratore della Repubblica, il quale se lo riterrà legittimo ed opportuno attiverà il procedimento di rettificazione presso il Tribunale. L’ufficiale di stato civile, comunque, conoscendo la norma e l’errore riscontrato potrà relazionare grazie alla sua professionalità, aiutando così il Procuratore della Repubblica a comprendere la fattispecie. Il Tribunale a cui rivolgersi è quello del circondario dove si trova l’ufficio di stato civile che ha in deposito

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l’atto o quello dove si richiede la ricostruzione. Il Tribunale, al fine di accertare la situazione di fatto, può acquisire documentazione ed assumere informazioni ed è di fondamentale importanza che ascolti anche l’ufficiale di stato civile, il quale può apportare ragioni concrete, consapevole della reale situazione verificatasi e conseguentemente il giudice potrebbe formulare la propria decisione sulle motivazioni addotte dall’ufficiale di stato civile. Al termine della procedura il Tribunale decide, in camera di consiglio, con decreto motivato. Dal punto di vista pratico l’ufficiale di stato civile dovrà procedere secondo quanto ordinato dall’autorità giudiziaria e quindi ricevuto il decreto di rettificazione, che non deve essere trascritto, annoterà a margine dell’atto da rettificare l’avvenuta modifica. Ultimamente l’istituto della rettifica viene utilizzato per la formazione di atti distrutti od omessi: è il caso che deriva

dalla necessità di trascrivere gli atti di nascita a seguito di adozione o acquisto della cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri, i quali non possono reperire gli atti di stato civile presso le proprie autorità locali poiché inesistenti dal momento che, ad esempio, non esistono uffici amministrativi preposti alla registrazione delle nascite. Il procedimento è attivato dallo stesso interessato, ma l’ufficiale di stato civile avrà cura di relazionare l’accaduto in modo tale che il Tribunale abbia gli elementi sufficienti per poter decidere in merito alla formazione dell’atto stesso. Il Tribunale emanerà un decreto ed ordinerà all’ufficiale di stato civile la formazione dell’atto. Il decreto contiene tutti gli elementi necessari per poter formare l’atto di nascita; quindi l’ufficiale di stato civile non trascriverà il decreto, ma lo menzionerà in premessa redigendo l’atto in parte II serie B con for. 105/ter mediante trasferimento dei dati contenuti nel decreto medesimo.


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IL MATRIMONIO IN LUOGO DIVERSO DALLA CASA COMUNALE: LA CIRCOLARE MIACEL 10/2014 di Gianna Nencini

I

l Ministero dell’Interno, con la circolare 10/2014, è ritornato ancora una volta sul tema della celebrazione del matrimonio in luoghi diversi dalla Casa Comunale. Prima di entrare nel dettaglio facciamo un breve riepilogo. A norma dell’art. 106 cod. civ. il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all’usc al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione. L’unica eccezione a tale regola riguarda il caso di infermità o altro grave impedimento da parte dei nubendi (ad esempio la restrizione in carcere). Tuttavia a seguito delle molte richieste, da parte dei Comuni, riguardo alla possibilità di celebrare il matrimonio in luoghi esterni rispetto alla Casa Comunale, il Ministero, già con la circolare 29/2007, aveva dato alcune importanti indicazioni. Indicazioni riprese e approfondite nel Massimario, ed. 2012. Partendo dall’assunto secondo cui per Casa Comunale deve intendersi un edificio che è stabilmente nella disposizione dell’Amministrazione comunale per lo svolgimento dei propri servizi, il Ministero aveva stabilito che: 1) per la celebrazione dei matrimoni possono essere utilizzati anche i giardini della casa comunale, purché siano pertinenza funzionale della stessa secondo quanto stabilito dall’art. 817 cod. civ. ovvero opere che non costituiscono manufatti autonomi, ma che sono destinati ad ornamento di immobile già esistente; 2) l’Amministrazione comunale, sempre per la celebrazione dei matrimoni, può istituire uno o più uffici separati di stato civile, utilizzando anche sedi distaccate e relative pertinenze funzionali del Comune. In questo caso sarà necessario un provvedimento ad hoc, cioè una delibera di Giunta che istituisca i suddetti uffici; 3) è possibile infine celebrare matrimoni anche in strutture di proprietà privata (ad es. ville, castelli ecc) purché acquisite alla disponibilità comunale attraverso titolo giuridico (comodato d’uso, locazione ecc) e con carattere di

“ragionevole continuità temporale”. In ultima istanza il Massimario dava indicazioni anche riguardo alla possibilità di celebrare matrimoni presso siti di proprietà comunale che, per le loro caratteristiche storiche, naturali ecc sono aperti al pubblico e dunque mete turistiche. La soluzione prospettata era tendenzialmente favorevole a condizione che “tali siti siano riservati, con carattere di periodicità all’esclusiva disponibilità comunale, per essere destinati, appunto, alle celebrazioni” (Massimario 2012 punto 9.5.1). Ed è proprio riguardo a quest’ultima possibilità che il Ministero, in data 6 novembre 2013, ha chiesto un parere al Consiglio di Stato affinché fosse meglio delineato il criterio della “esclusiva disponibilità della destinazione”. A fronte di tale richiesta il Consiglio di Stato è partito dal considerare che i requisiti di esclusività e continuità della destinazione, se intesi in termini assoluti, sarebbero preclusivi di celebrazioni in luoghi aperti all’utenza, come lo sono, appunto, i

luoghi di interesse turistico. Tuttavia niente vieta che detti luoghi siano adibiti alla celebrazione dei matrimoni soltanto in determinati giorni della settimana o del mese, oppure che sia scelto, all’interno di una determinata area, uno spazio delimitato adibito alla suddetta funzione. Tutto ciò, naturalmente, sempre tenendo fermo che tale uso abbia un carattere duraturo, cioè protratto nel tempo e non per una singola celebrazione. Infatti - afferma il Consiglio di Stato – la stabilità della connessione tra l’uso del sito e le funzioni amministrative proprie della casa comunale non viene meno allorquando determinati periodi di tempo o determinate porzioni del sito siano adibite ad altri usi. Naturalmente anche in questo caso dovrà esserci un provvedimento ad hoc da parte della Giunta Comunale che individua gli spazi, i giorni e gli orari durante i quali sarà possibile celebrare i matrimoni nei siti a vocazione turistica. Tali interpretazioni (e l’ultima in particolare) tengono conto della mutata realtà sociale rispetto a quella che era la situazione che avevano di fronte gli estensori del codice civile. Nel corso del tempo, infatti, il matrimonio non solo si è fatto più “mondano” ma il nostro Paese è diventato meta di coppie, provenienti da tutto il mondo, che desiderano celebrare questo evento in luoghi e zone ricche di storia e di bellezze naturali. Da un punto di vista strettamente giuridico, invece, ciò che interessa è che sia garantita la forma essenziale del matrimonio e cioè la manifestazione di volontà da parte dei nubendi di prendersi in marito e moglie di fronte all’ufficiale di stato civile. Dove questo avvenga è questione che i singoli Comuni possono disciplinare autonomamente in base alle regole suesposte e tenuto conto della disponibilità e praticabilità delle zone che meglio si prestano a consentire una cerimonia che, comunque, nei suoi contenuti essenziali, deve mantenere il carattere dell’ufficialità.


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dell’Interno è costituito un tavolo di lavoro che coinvolge tutti i principali interlocutori competenti per materia, chiamati a definire i contenuti del secondo DPCM che dovrà entrare nel dettaglio dell’architettura dei dati, delle funzioni e della logica applicativa del nuovo software con cui sarà gestita l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente. Parallelamente a questo obiettivo, si sta procedendo alla revisione del vigente regolamento anagrafico (DPR n. 223/1989) che dovrà essere adeguato ai principi e alle regole su cui si fonda l’ANPR. Gli interlocutori coinvolti nel progetto sono numerosi e tutti autorevoli; tra essi, oltre al Ministero dell’interno, la Sogei Spa, società partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, cui è affidato il delicato compito dello sviluppo tecnologico del progetto, l’AGID - Agenzia per l’Italia Digitale, il Ministero della Pubblica Amministrazione e Semplificazione, l’ISTAT, l’ANCI, il Coordinamento delle Regioni (CISIS), il Ministero degli Esteri e l’ANUSCA. Proprio ad Anusca è affidato un ruolo molto importante per l’esperienza maturata nel corso della sua ultratrentennale attività e per la forte rappresentatività della categoria chiamata a svolgere, nella realizzazione dell’anagrafe nazionale, un ruolo cruciale: gli operatori dei Servizi Demografici. L’ANPR vede in scena tanti attori, con ruoli diversi e complementari, ma i protagonisti assoluti saranno proprio gli ufficiali d’anagrafe, e, in prospettiva, anche gli ufficiali di stato civile ed elettorali, chiamati a dare vita a questa creatura che dovrebbe diventare il motore della riforma dell’azione amministrativa. Ricordiamo che l’ANPR, istituita presso il Ministero dell’Interno, è stata efficacemente definita dal legislatore (art. 62 Codice Amministrazione Digitale) quale base di dati di interesse nazionale e assommerà in sé, assorbendole, quattro banche dati diverse: l’Indice Nazionale delle Anagrafi, l’Anagrafe della popolazione

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italiana residente all’estero (AIRE centrale), le anagrafi della popolazione residente e dei cittadini italiani residenti all’estero tenute dai Comuni. Questo intervento dovrebbe svilupparsi in un orizzonte temporale di due anni e, dunque, con una piena operatività del sistema a partire dal 1° gennaio 2015, anche se appare ragionevole prevedere che, dovendosi comunque superare la fase della sperimentazione da parte dei Comuni coinvolti, si avrà un conseguente slittamento dei tempi, stimabile in circa 6 mesi. D’altra parte il progetto è talmente complesso e ambizioso da richiedere la massima attenzione su più versanti: non solo per gli aspetti tecnologici e per i profili normativi e organizzativi, ma anche dal punto di vista della

formazione, che assumerà un peso assolutamente decisivo per la piena riuscita del progetto. A questo punto, riteniamo utile ricordare il motivo per cui il legislatore ha avuto l’intuizione di istituire un’anagrafe nazionale della popolazione. Occorre, con un flash-back, ritornare al 4 aprile 2009, all’interno della manifestazione EuroPa tenutasi a Rimini. Alla presenza dell’allora Direttore Centrale dei Servizi Demografici, Prefetto Annapaola Porzio, del Presidente Anusca, Paride Gullini e dei rappresentati delle Regioni italiane, viene sottoscritto il primo protocollo d’intesa Ministero-Regioni per sostenere l’azione evolutiva del SAIA, nell’intento di ampliare il suo potenziale di informazioni, al fine di garantire una effettiva circolarità anagrafica nazionale. Si è cercato, in quella fase, di dare nuovo slancio ad un progetto di circolarità anagrafica nazionale che era rimasto in mezzo al guado e richiedeva una nuova

spinta innovativa. Le difficoltà erano ben note ai diversi interlocutori istituzionali. Più di un intervento sosteneva la necessità di partire dal Sistema di Accesso ed Interscambio Anagrafico (reso centrale nelle strategie di e-government del Ministero dell’Interno) per far evolvere il “sistema anagrafico nazionale costruito nel lontano 1954 e fondato su una articolazione decentrata sui Comuni; un sistema bisognoso di essere aggiornato rispetto alle nuove esigenze sociali ed economiche del Paese, quali il fenomeno migratorio, il voto all’estero degli AIRE, l’Unione Europea e le nuove tecnologiche. L’ordinamento anagrafico, si diceva, deve essere l’architrave su cui basare la costruzione di una Pubblica Amministrazione moderna, in grado di soddisfare sempre più l’erogazione di dati precisi, certificati, di facile e veloce reperibilità, senza dimenticare l’esigenza imprescindibile della sicurezza informatica e della riservatezza”. Si può affermare che queste espressioni racchiudevano già quella che sarebbe stata la futura “mission” di ANPR. Si sosteneva, in quella occasione, che era inaccettabile continuare a pagare pensioni o altri benefici economici per persone decedute, a causa del mancato o ritardato invio della comunicazione di decesso agli enti pensionistici, così come era inspiegabile che in 9 anni di sperimentazione la CIE non fosse divenuta realtà per tutti i comuni, oppure che il SAIA, nonostante le buone intenzioni, non fosse ancora riuscito a decollare, per l’insufficienza dei dati veicolati e il numero inadeguato di Pubbliche amministrazioni abilitate all’accesso. Codifiche di dati troppo articolate da gestire, estenuanti lavori di bonifica dei dati da parte dei comuni rappresentavano ulteriori elementi di criticità, cui ha fatto da corollario la proliferazione di sistemi telematici paralleli (quali ad esempio l’E-inps, il Siatel o i sistemi regionali di consultazione) che erano la prova concreta della debolezza del sistema Saia. Ad aggravare un quadro già abbastanza sconfortante il fatto che (continua a pag. 11)


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l’Ina non avesse le caratteristiche di una banca dati sufficientemente consolidata e attendibile, poiché non tutti i Comuni l’avevano popolata e la aggiornavano. Un quadro certamente poco entusiasmante, che ha costretto, se vogliamo, ad un profondo ripensamento del sistema dei gestione dei dati della popolazione, che, con ogni evidenza, rappresenta un punto nevralgico del sistema Paese. Di qui è nata l’idea, sostenuta anche da Anusca, di costruire una banca dati unica a livello nazionale, facendo tesoro dell’esperienza maturata con l’istituzione dell’Aire centralizzata e prendendo spunto anche dalle esperienze consolidate in altri Paesi europei. Strettamente correlata a questa nuova concezione, la realizzazione di una sorta di servizio nazionale di certificazione, idoneo a consentire in tempi rapidi la reperibilità dei dati di ogni cittadino iscritto in APR, oggi ancora estremamente difficoltosa e dispendiosa se non si conosce il Comune di iscrizione anagrafica! Inoltre, la necessità di abbandonare il più possibile la carta e la gestione cartacea dell’anagrafe, un inutile e costoso doppione nella gestione di un servizio che può essere efficacemente gestito in maniera esclusivamente e totalmente informatizzata. Infine, l’implementazione di servizi di pari livello da parte di tutti i Comuni che ancora oggi viaggiano a due velocità: da un lato la classica carta e la busta preaffrancata, dall’altro l’erogazione di servizi on-line fruibili da casa in tempo reale. Dalla edizione di EuroPa del 2009 ad oggi sono passati ben 5 anni e molte delle riflessioni fatte all’epoca risultano essere ancora oggi problemi in attesa di soluzione, nonostante siano stati comunque compiuti passi da gigante, per effetto di riforme normative che a volte hanno brillato per chiarezza e incisività, altre volte, come la residenza in tempo reale, potevano essere evitate. Pensiamo alla nuova gestione informatizzata dell’Aire e al voto degli italiani all’estero, alla rivoluzione indotta dalla Direttiva n. 2004/38CE

con la gestione dei cittadini comunitari affidata ai Comuni; si pensi poi al ciclone decertificazione, determinatosi per effetto dell’art. 15 L. n. 183/2011 e che è stato accolto in maniera abbastanza tiepida da molte Pubbliche Amministrazioni, assolutamente riottose ad ogni forma di semplificazione a vantaggio del cittadino. Altri baluardi l’utilizzo della posta elettronica da parte del cittadino e l’introduzione del principio della PEC obbligatoria per Pubbliche Amministrazioni, professionisti e imprese. A rendere ancora più intricato lo scenario il proliferare di collegati telematici, a volte di dubbia legittimità, l’Albo pretorio on-line, che ha rimpiazzato

l’obsoleto strumento cartaceo, lo scambio degli atti a mezzo PEC tra Consolati e Comuni, l’erogazione in via telematica di servizi tipici dell’ambito demografico e l’avvento dei certificati muniti di timbro digitale. A chiudere questa carrellata, il ciclone della residenza in tempo reale, che, lungi dal rappresentare una conquista, purtroppo ha di fatto “contaminato” un panorama normativo in cui sono presenti numerose “eccellenze”. Quanto di positivo è stato ideato e realizzato, è bene dirselo, non è stato, non è e non sarà sufficiente per costringere il sistema demografico italiano a fare il salto di qualità atteso. Non sempre ciò che è stato pensato e regolamentato si è tradotto in realtà: la CIE ne è il classico esempio. I Comuni da soli, anche se armati di buona volontà e spinti da desiderio di fornire servizi di eccellenza ai propri cittadini, non sono in grado di sviluppare un’azione innovativa e

tecnologicamente evoluta per far si che la banca dati anagrafica sia costruita su dati univoci, consolidati e attendibili: in una parola, in uno strumento di eccellenza per la Pubblica Amministrazione. La funzione anagrafica nazionale è solida nelle sue fondamenta, poiché poggia su principi di grande valore giuridico, e può contare sulla vigilanza del Ministero dell’Interno e sulla capillare azione formativa che Anusca svolge da oltre trent’anni; tuttavia è poco “sistema”. Ci sono 8100 Comuni, diversi tra loro nella consistenza numerica e nelle caratteristiche. Il risultato purtroppo non è confortante: poca Efficienza, poca Efficacia, poca Sicurezza. Anusca da diversi anni si sta facendo portatrice di idee e di proposte di semplificazione e di innovazione. Basti ricordare il concetto di Anagrafe Unica, che ora sta prendendo forma concreta con l’ANPR e altri importanti punti programmatici: la circolarità anagrafica nazionale e locale, la formazione degli operatori dei Servizi Demografici, la certificazione nazionale, i servizi on-line ai cittadini, il domicilio digitale del cittadino. Appare chiaro, a questo punto, che su questi temi Anusca sia arrivata in anticipo, prefigurando e proponendo uno scenario su cui ora si gioca la credibilità della intera Pubblica Amministrazione italiana; non si dimentichi infatti che la banca dati anagrafica è la banca dati per eccellenza, che assomma in sé i dati di tutte le persone fisiche, italiane comunitarie o straniere regolarmente soggiornanti, residenti in Italia: a questa banca dati dovranno far riferimento le altre Pubbliche Amministrazioni per gestire dati univoci e consolidati, dopo l’imponente lavoro del subentro dall’Apr all’Anpr da parte di tutti i Comuni italiani. Anche se non è questa la sede per analizzare compiutamente e nel dettaglio la grande riforma che si sta concretizzando nel servizio anagrafico, riteniamo utile individuare almeno i punti fondamentali: (continua a pag. 19)


IL NEOCITTADINO ITALIANO PER DECRETO E LE ANNOTAZIONI DA APPORRE NEGLI ATTI DI STATO CIVILE di Paola Lucchi

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a problematica che si vuole esaminare prende spunto, come spesso accade, dai quesiti di ordine pratico che vengono quotidianamente posti agli esperti Anusca e riguarda la tipologia di annotazioni a margine degli atti di nascita, matrimonio e atti di nascita dei figli quando un cittadino straniero diviene italiano per decreto. La prestazione del giuramento reso di fronte all’ufficiale di stato civile (o al Consolato competente se l’interessato è residente all’estero) e la conseguente trascrizione del decreto, infatti, sono solo il primo di una serie di adempimenti a carico dell’ufficio di stato civile: una volta divenuto italiano, nei nostri registri dovranno essere trascritti tutti gli atti di stato civile del neo cittadino, apponendo contestualmente le relative annotazioni. Si è avuto modo però di rilevare che talvolta vengono apposte annotazioni non previste o omesse annotazioni necessarie: ecco, quindi, un piccolo sunto per fare chiarezza sull’argomento, partendo dal concetto che ai sensi dell’art. 102 dell’ordinamento dello stato civile le annotazioni da inserire negli atti sono quelle “disposte per legge o ordinate dall’autorità giudiziaria” e trovano in genere riscontro nel formulario ministeriale emanato con d.m. 5 aprile 2002. La trascrizione dell’atto di nascita del cittadino straniero divenuto italiano comporta ai sensi dell’art. 49 comma 1 lettera i) l’annotazione a margine dell’acquisto della cittadinanza italiana secondo la formula 140; tale annotazione è integrativa e dunque deve essere certificata. Se al neocittadino nel decreto è stato modificato il cognome occorrerà apporre anche la relativa annotazione utilizzando la formula 159 e facendo riferimento al decreto di conferimento della cittadinanza con il quale è stato disposto il cambio di generalità. Questa annotazione risulta modificativa, pertanto non dovrà essere certificata.

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Alcuni Comuni utilizzano un’unica annotazione riportante sia l’acquisto della cittadinanza che il cambio delle generalità: a mio avviso si tratta di una forzatura perché finisce per inserire nella stessa nota dati che devono essere certificati (la cittadinanza) e dati che devono essere omessi (la modifica del cognome) negli estratti, stando a quanto indicato dall’art. 106 del DPR 396/00. Se il cittadino è coniugato verrà inoltre apposta l’annotazione di matrimonio, una volta trascritto l’atto. Nei certificati e negli estratti il neo cittadino verrà riportato con le nuove generalità, che compariranno anche nelle annotazioni certificabili riportate nell’estratto di nascita (cfr. art. 106 ord. Stato civile). Anche l’eventuale atto di matrimonio dovrà essere trascritto nei registri di stato civile. A margine di tale atto NON viene apposta l’annotazione di acquisto della cittadinanza italiana non essendo prevista dall’articolo 69 del DPR 396/00, né da altre disposizioni di legge. Se vi è stata invece la modifica

del cognome, questa andrà inserita con annotazione non certificabile, ai sensi dello stesso articolo citato comma 1 lettera h), utilizzando la formula ministeriale n. 187 relativa agli atti di matrimonio; il certificato e l’estratto di matrimonio riporteranno solo le nuove generalità degli sposi. Se poi vi sono figli il cui atto di nascita è registrato negli atti di stato civile, andrà annotato l’eventuale cambio di cognome relativo al padre o alla madre secondo la formula 160 (non certificabile); la paternità o maternità, quando indicata negli estratti, darà conto solo delle nuove generalità dei genitori. Non è prevista invece l’annotazione della modifica della cittadinanza dei genitori, ma solo dell’intestatario dell’atto di nascita. Infine occorrerà valutare se i figli, a fronte del cambio di cognome del genitore e/o dell’acquisto della cittadinanza italiana modificano a loro volta il cognome, ma questo argomento, molto articolato e complesso, è tutta un’altra storia...

Denuncia dei redditi 2013

PERIODO DI “5x1000” ALL’ANUSCA… OVVERO, PIU’ FORMAZIONE! di S.D.F.

Periodo elettorale ed anche di compilazione della “denuncia dei redditi”. Migliaia di operatori dei servizi demografici hanno anche quest’anno una facile occasione per “aiutarsi” in modo concreto, cioè destinando il loro “5 per mille” all’ANUSCA. Infatti, con la cifra del 5x1000 che sarà devoluta a favore dell’Associazione, ANUSCA sarà poi nelle condizioni di organizzare gratuitamente altri corsi e seminari di formazione e aggiornamento professionale per i propri associati. Come? Inserendo nel conosciuto modulo questo codice: 90000910373 Una scelta trasparente, che davvero aiuterà a sostenere la formazione e l’aggiornamento professionale degli operatori demografici, come dimostrano i corsi “gratuiti” già realizzati nel 2013 (e nel 2014) su tutto il territorio italiano, grazie anche al contributo derivante dalla donazione del “5 per mille” all’ANUSCA, iniziative di formazione che vanno sommate alle numerose occasioni economicamente sostenute dall’Associazione stessa nel corso dell’anno, sempre a favore dei propri soci. Questo fondo del “5x1000” può crescere e diventare sempre più consistente, perciò ANUSCA invita i propri associati a fare anche opera di sensibilizzazione nei confronti dei colleghi di lavoro, dei loro parenti e amici, affinché il maggiore numero di persone possibile provveda a scegliere ANUSCA quale destinataria del 5 per mille nella compilazione della Denuncia dei Redditi. Al fine di semplificare il più possibile l’operazione sul modello della denuncia dei redditi, riproduciamo qui a fianco parte del modello interessato con annesso il codice fiscale di ANUSCA. Info: segreteria ANUSCA 051.944641 – www.anusca.it


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COLLEGI PROFESSIONALI E APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA DI BOLLO: L’AGENZIA DELLE ENTRATE CHIARISCE, ANZI RIBADISCE

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’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa in data 12 marzo 2014 ha emesso la Risoluzione n. 29/E avente ad oggetto: “Disposizioni in materia di certificati e dichiarazioni sostitutive ai sensi dell’art. 15 della legge 12 novembre 2011, n. 183”. Tale intervento dell’Agenzia delle Entrate è conseguente ad un interpello formulato in data 26/07/2013 dal Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati il quale lamentava, da parte di alcuni Comuni, l’indebita pretesa dell’assolvimento dell’imposta di bollo sulle attestazioni anagrafiche richieste dal suddetto collegio, ai fini della verifica della residenza dei propri iscritti e/o iscrivendi. La suddetta risoluzione dell’Agenzia delle Entrate ha destato qualche perplessità e un certo clamore, non tanto per il proprio contenuto, che come si cercherà di precisare nel proseguo, ribadisce principi già espressi e assodati in precedenza, quanto per l’interpretazione di tale risoluzione formulata dallo stesso collegio interpellante. Infatti, prima ancora di divulgarla a livello nazionale come “Risoluzione” generale, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa aveva risposto direttamente all’interpello del Collegio Nazionale di cui trattasi con nota del 18/02/2014. A distanza di pochi giorni, in data 26/02/2014, il Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati, ha diramato un comunicato stampa asserendo che “ha ragione il Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati a pretendere di accedere ai dati previsti, detenuti da altre Amministrazioni, in forma gratuita ed in particolare senza che venga corrisposta l’imposta di bollo. Quella dell’Agenzia delle Entrate è una posizione di grande linearità, che non viene a semplificare solo l’attività amministrativa del Collegio Nazionale dell’Albo, ma che produce effetti positivi per tutti gli altri soggetti coinvolti nell’applicazione della legge n. 183/2011 liberandoli del peso di produrre

di Noemi Masotti

procedure farraginose e, soprattutto, costose”. In realtà questa affermazione così vigorosamente espressa non risulta corretta e coerente rispetto alla Risoluzione in commento. L’Agenzia delle Entrate infatti, con assoluta chiarezza e precisione, riassume brevemente i seguenti principi generali in materia di applicazione dell’imposta di bollo e di accertamenti d’ufficio di dati e informazioni da parte delle P.A (art. 43 del D.P.R. n. 445/2000): - “in linea generale, i certificati di residenza sono soggetti all’imposta di bollo, fin dall’origine, ai sensi dell’art. 4 della tariffa allegata al DPR n. 642 del 1972, nella misura di euro 16, per foglio”; - “i certificati in discorso possono essere rilasciati senza il pagamento dell’imposta di bollo se destinati a uno degli usi indicati nella tabella, allegato B, annessa al citato DPR n. 642 del 1972, recante l’elencazione degli atti e documenti esenti in modo assoluto dall’imposta, o nei casi previsti da leggi speciali.” - “...Nel caso in cui il collegio degli..., in qualità di ente pubblico, proceda ad

acquisire direttamente le informazioni relative alla residenza dei propri iscritti, ovvero eseguire il controllo delle dichiarazioni sostitutive da questi prodotte, presso le Amministrazioni comunali competenti per la certificazione, tenuto conto che il citato art. 43 stabilisce che dette informazioni sono acquisite senza oneri, non deve essere corrisposta l’imposta di bollo”. Dunque? Niente di nuovo! Secondo un principio altrettanto consolidato ed espresso sia dall’Amministrazione Finanziaria (Ministero delle Finanze 27/12/1994. N. 52) che dalla giurisprudenza tributaria (Cass. civ. Sez. V, 07/05/2008, n. 11106) le risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate devono essere lette e interpretate per quello che “affermano letteralmente” e non estendendone il contenuto per analogia ad altre casistiche. L’Agenzia delle Entrate, correttamente e giustamente, si riferisce all’acquisizione di “informazioni” e non all’acquisizione di “certificati”: la necessità di chiarire che “le informazioni” debbano essere fornite dagli ufficiali d’anagrafe “gratuitamente” ed “esenti da imposta di bollo” francamente appare alquanto superflua (Art. 43, comma 5 del D.P.R. n. 445/2000). Ma ammesso che qualche ufficiale d’anagrafe abbia dubitato dell’assoggettamento all’imposta di bollo delle “informazioni”, appare necessario rilevare, in difesa soprattutto della buona fede degli operatori “alle prime armi”, che probabilmente la risposta fornita è stata conseguenza di una domanda mal formulata! Qualora infatti un collegio, oppure un ordine professionale, la cui natura di “ente pubblico” è sancita dalla norma statale (art. 33 della Costituzione e norma speciale istitutiva dello specifico ordine e/o collegio), al fine di verificare la residenza dei propri iscritti e/o iscrivendi, richieda “un (continua a pag. 14)


I CORSI ANUSCA ANCHE SULLA STAMPA STRANIERA Il componente della Giunta Esecutiva Franco Stacul ci ha inviato questo articolo apparso su un quotidiano sloveno “Goriski prostor” che ha riportato la notizia del corso svoltosi a S. Floriano del Collio lo scorso 19 marzo. La relatrice Grazia Benini ha catturato l’attenzione della folta platea di operatori goriziani sul tema degli atti e sentenze dall’estero. L’iniziativa di S. Floriano del Collio fa parte di un ciclo di pomeriggi di studio organizzati in provincia da marzo a ottobre.

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certificato”, l’ufficiale d’anagrafe, attenendosi al tenore della richiesta, emetterà un “certificato”, riportante a pena di nullità, la dicitura introdotta dalla legge n. 183/2011 (“Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione

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o ai privati gestori di pubblici servizi”) e richiederà l’assolvimento della imposta di bollo. L’assoggettamento all’imposta di bollo dei certificati richiesti dagli Ordini professionali e/o Collegi del resto era già stato chiarito dall’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale dell’Emilia Romagna con nota prot. n. 909-

50224/2010 del 14/10/2010 la quale, in risposta ad un interpello formulato dal Comune di Forlì, ha espresso il parere secondo cui “le certificazioni anagrafiche, ove richieste da Ordini Professionali, non siano riconducibili all’esenzione di cui all’art. 16 Tabella, allegato B, D.P.R. 642/72. Ritiene, infatti, che l’elenco della norma sia tassativo e non applicabile in via analogica, posto che gli ordini, pur avendo natura pubblica, non sono inquadrabili tra le Amministrazioni dello Stato. Pertanto, le certificazioni stesse scontano l’imposta di bollo ai sensi degli articoli 1 e 4, Tariffa, allegato A, parte prima, D.P.R. n. 642/1972” D’altra parte, l’obbligo per le PP.AA. e i gestori di pubblici servizi di acquisire d’ufficio i dati e le informazioni necessarie all’espletamento delle proprie finalità istituzionali (nel caso specifico l’informazione relativa alla residenza degli agronomi o agrotecnici da parte del relativo collegio) non è un principio nuovo, era già sancito dalla legge n. 241/1990. La legge n. 183/2011 ha solo tentato di imporlo con maggiore incisività ai soggetti più riottosi. In conclusione quindi la vittoria proclamata dal suddetto Collegio si configura piuttosto come un “clamoroso autogol”.


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ELEZIONI 2014: GLI ELETTORI ITALIANI ELEGGONO 73 DEPUTATI AL PARLAMENTO EUROPEO

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gire, reagire, decidere. È lo slogan che le Istituzioni Europee hanno scelto per lanciare la propria campagna di comunicazione in vista delle Elezioni del 25 maggio prossimo, che serviranno ad eleggere i 751 deputati al Parlamento Europeo, rappresentanti degli oltre 500 milioni di persone che vivono nei 28 Stati membri dell’Unione Europea. Le Elezioni Europee del 2014 si terranno in tutti i 28 Stati membri dell’Unione Europea tra il 22 e il 25 maggio, come unanimemente deciso dal Consiglio Europeo. Saranno le ottave elezioni per il Parlamento Europeo che si tengono dal 1979 e le prime a cui partecipa la Croazia insieme agli altri Stati membri. Ogni Stato membro dell’Unione Europea ha la libertà di definire quali e quanti giorni le urne saranno aperte sul proprio territorio, perciò le elezioni si terranno nei giorni abituali per ogni Nazione: giovedì 22 maggio nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, venerdì 23 maggio in Irlanda, sabato 24 maggio a Cipro, in Lettonia, a Malta e in Slovacchia, nella Repubblica Ceca, invece, si vota in due giorni, venerdì 23 e sabato 24 maggio. Nei restanti 20 Paesi, tra cui l’Italia, domenica 25 maggio. La novità per l’Italia, rispetto a cinque anni fa, in cui si è votato dal sabato pomeriggio e la domenica, è che si voterà solo la domenica con un prolungamento, però, dell’orario di votazione, che è stato fissato dalle ore 7 alle ore 23, con l’intento di contenere il fenomeno delle file nelle ore serali, possibili al rientro del fine settimana primaverile o estivo. L’elezione dei membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia è disciplinata dalla legge 24 gennaio 1979, n. 18 e successive modificazioni, dal decreto-legge 24 giugno 1994, n. 408, convertito nella legge 3 agosto 1994, n. 483 e successive modificazioni nonché, per quanto da essi non previsto espressamente, dalle norme contenute nel testo unico delle leggi per l’elezione della Camera dei Deputati approvato con d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e

di Umberto Coassin

successive modificazioni. Gli elettori italiani eleggono 73 deputati al Parlamento Europeo. L’elezione avviene con sistema proporzionale ed è possibile esprimere il voto di preferenza per singoli candidati. Il territorio è diviso in cinque Circoscrizioni elettorali: Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud, Isole. Ciascuna Circoscrizione elegge un numero di deputati proporzionale al numero di abitanti risultante dall’ultimo censimento della popolazione. I 73 seggi assegnati all’Italia, (1 in più rispetto ai 72 spettanti per le precedenti Europee del 2009), con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno e sulla base dei risultati dell’ultimo censimento del 2011, sono stati così ripartiti: Italia nordoccidentale (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia) n.20; Italia nordorientale (Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna) n.14; Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio) n.14; Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria) n.17; Italia insulare (Sicilia, Sardegna) n.8.

Ricordiamo che per presentare una lista alle Elezioni Europee in Italia è necessario raccogliere le firme, per ogni singola circoscrizione, di almeno 30.000 e non più di 35.000 elettori, tranne nel caso in cui la lista abbia partecipato alle precedenti elezioni al Parlamento italiano o europeo con un proprio simbolo e ottenendo almeno un seggio. Per le Europee possono votare tutti i cittadini che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età (l’età minima per votare è 18 anni in tutti gli Stati membri, a parte in Austria in cui è di 16) e siano iscritti nelle liste elettorali. Sono altresì elettori i cittadini di altri Paesi membri dell’UE iscritti nell’apposita lista elettorale del Comune italiano di residenza. In occasione delle elezioni dei membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia, gli elettori residenti nell’UE ricevono un apposito certificato elettorale per votare nei seggi istituiti “in loco” nel Paese di residenza. Gli elettori italiani residenti in Paesi non appartenenti all’UE ricevono, invece, la cartolina-avviso per il rientro in Italia ai fini del voto. Occorre aver compiuto i 25 anni di età per poter essere eletti al Parlamento Europeo. Sono eleggibili in Italia anche i cittadini di altri Stati membri dell’UE che risultino in possesso dei requisiti di eleggibilità al PE previsti dall’ordinamento italiano e da quello dello Stato membro di origine. La nuova maggioranza politica che emergerà dalle elezioni, contribuirà a formulare la legislazione europea per i prossimi cinque anni in settori che spaziano dal mercato unico alle libertà civili. Il Parlamento, unica istituzione europea eletta a suffragio diretto, è oggi uno dei cardini del sistema decisionale europeo e contribuisce all’elaborazione di quasi tutte le leggi dell’UE in parità con i governi nazionali. E, noi operatori demografici, sappiamo benissimo, quando importante sia diventato il diritto comunitario europeo nel nostro lavoro quotidiano.


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Pag. 17 Museo delle Arti Figurativa - Lipsia, Germania

C

LE SOLUZIONI SPITTLER PER IL CONCEPT ARCHITETTONICO DEL MUSEO DI LIPSIA

ostruito dagli architetti Hufnagel/Putz/Rafaelian, il Museo delle Arti Figurative di Lipsia si trova nel cuore della città, non distante dalla Chiesa di St. Nikolai e dal vecchio municipio. Lungo 78 m, largo 41 m e alto 36 m, l’edificio presenta una struttura rettangolare con una particolare facciate a vetrate. Situato sulla vecchia piazza detta Sachsenplatz, la “leggerezza dell’essere” insita nella sua originale struttura lascia una profonda impressione. Il concetto di

illuminazione si propone di seguire il percorso del concept architettonico: semplice, diretto, trasparente e di alta qualità. Per illuminare gli ambienti, i profili e soffitti luminosi, per esaltare l’intera illuminazione sullo sfondo, per dirigere il flusso di luce soltanto sulle opere esposte, sia in senso verticale sia in quello orizzontale, sono stati scelti i sistemi SL 787 di SPITTLER, prodotti da incasso con diffusore a microprismi. I soffitti sono realizzati in vetro multistrato laminato di sicurezza, con profili integrati che assicurano una dispersione ed una trasmissione della luce eccellenti. Il progetto ha previsto l’installazione di fonti luminose fluorescenti da 16 millimetri, con diversi livelli di potenza, con una temperatura di colore di 4000 K e un indice di resa cromatica di Ra>90. Le fonti luminose sono state abbinate a reattori elettronici dimmerabili,

accessori ideali per creare scenografie di illuminazione d’accento per ciascun spazio espositivo del museo. L’effetto complessivo garantisce l’ambiente ideale per la contemplazione delle opere d’arte.

L’ITALIA LASCIA LA CIEC, MA RESTANO LE CONVENZIONI SOTTOSCRITTE di Renzo Calvigioni

La notizia è ufficiale, diramata dal Ministero degli Affari Esteri con nota del 22 aprile 2014: l’Italia ha iniziato la procedura di recesso dalla C.I.E.C. adottando i provvedimenti necessari ed effettuando le comunicazioni previste. Il recesso avrà effetto sei mesi dopo le notifiche ufficiali e cioè dal 2 ottobre 2014, data dalla quale l’Italia non farà più parte della suddetta organizzazione internazionale. La Commissione Internazionale di Stato Civile un’organizzazione internazionale intergovernativa, è stata fondata ad Amsterdam nel settembre 1948 e riconosciuta nel dicembre 1949 da uno scambio di lettere tra il Belgio, Francia, Lussemburgo , Paesi Bassi e Svizzera. La Commissione internazionale per lo stato civile mira a facilitare la cooperazione internazionale in materia civile e promuovere lo scambio di informazioni tra gli ufficiali di stato civile, al fine di armonizzare le diverse normativa in materia di stato civile, capacità delle persone, diritto di famiglia e cittadinanza, cercando di mantenere una documentazione legislativa e giudiziaria in tali materie: la lingua ufficiale è il francese. La principale attività della CIEC consiste nell’elaborazione di convenzioni internazionali in materia di stato civile, aperte alla ratifica degli Stati membri: in proposito, il Ministero degli Esteri ha già assicurato che il recesso dell’Italia dalla CIEC non modifica in alcun modo la posizione del nostro Paese riguardo alle Convenzioni della stessa CIEC delle quali l’Italia è firmataria o fa parte. Ricordiamo che sono numerose le Convenzioni che vedono l’Italia direttamente coinvolta, a dimostrazione dell’attività della Commissione nel corso degli anni: tuttavia, riteniamo che almeno due debbano essere menzionate, in quanto non solo hanno ottenuto un buon successo di adesioni e di diffusione, ma hanno realmente introdotto elementi di semplificazione a vantaggio dei cittadini. In particolare, la Convenzione n. 16, firmata a Vienna l’8 settembre 1976, relativa al rilascio di estratti plurilingue di stato civile, con la previsione di modelli A, B, C, per gli estratti di nascita, matrimonio e morte, ha ottenuto un ottimo successo ed è stata largamente utilizzata ed apprezzata, sia dai cittadini che dagli ufficiali di stato civile ed operatori della pubblica amministrazione: nel corso degli anni, i modelli previsti dalla Convenzione, hanno consentito uno scambio di documenti particolarmente agevole e semplificato, evitando non solamente l’onere della legalizzazione, ma anche quello della traduzione. Forse, sarebbero bastate poche migliorie ai modelli di estratti per aumentarne ancora la diffusione. Ancora da ricordare, la Convenzione n. 20 firmata a Monaco il il 5 settembre 1980, relativa al rilascio del Certificato di Capacità Matrimoniale, su modello plurilingue, alla quale pure hanno aderito numerosi Stati nel corso degli anni, ha favorito la possibilità di contrarre matrimonio in uno degli Stati aderenti, semplicemente presentando il documento allegato alla Convenzione, senza bisogno di alcuna legalizzazione né traduzione, quindi evitando ulteriori formalità a carico dei cittadini. Ve ne sono sicuramente altre che hanno ottenuto larga diffusione, ma senza bisogno di citarle tutte, sarà sufficiente ricordare che l’Italia non ha denunciato le diverse Convenzioni che, dunque, saranno ancora pienamente applicabili.


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antitesi con tutta la giurisprudenza consolidata finora esistente in Italia. In particolare con la sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 14/4/2010, ritenuta definitiva in proposito che, con una serie di argomentazioni molto dettagliate, aveva respinto, dichiarandole inammissibili e non fondate, tutte le eccezioni di incostituzionalità delle norme che impedivano il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. La Corte Costituzionale aveva precisato che il matrimonio “... postula la diversità di sesso dei coniugi, nel quadro di «una consolidata ed ultramillenaria nozione di matrimonio»”, e che “Nello stesso senso è la dottrina, in maggioranza orientata a ritenere che l’identità di sesso sia causa d’inesistenza del matrimonio, anche se una parte parla di invalidità. La rara giurisprudenza di legittimità, che si è occupata della questione, ha considerato la diversità di sesso dei coniugi tra i requisiti minimi indispensabili per ravvisare l’esistenza del matrimonio (Corte di Cassazione, sentenze n. 7877 del 2000, n. 1304 del 1990 e n. 1808 del 1976).” e che toccava al Parlamento intervenire se avesse voluto introdurre nel nostro ordinamento l’ipotesi del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Non solo, ma la Corte Costituzionale non aveva rilevato contrasti con la CEDU né con Trattati internazionali in quanto gli stessi rinviavano, in materia matrimoniale, alle leggi nazionali che ne avrebbero dovuto disciplinare l’esercizio. Proprio con le stesse argomentazioni della Corte Costituzionale, il Procuratore della Repubblica di Grosseto ha già fatto sapere che impugnerà la sentenza, non condividendo la decisione del Tribunale: quindi, ci sarà un seguito

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in Corte di Appello che alimenterà commenti e dibattiti sul riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche fuori dalle aule giudiziarie. In proposito, sappiamo che sono diversi gli Stati che hanno ammesso e riconosciuto tale ipotesi di matrimonio: non solo, ma negli Stati dove questo non è ancora avvenuto, sono all’esame

degli organi legislativi o in corso di approvazione disegni di legge che ne prevedono il riconoscimento e che ne regolamentano gli effetti, come emerso dai lavori del 13° Congresso EVS (Associazione Europea degli Ufficiali di stato civile), tenutosi nel 2013 a Bled (Slovenia). In sostanza, quasi tutte le legislazioni degli Stati europei potrebbero essere modificate, entro breve tempo, nella disciplina matrimoniale, con l’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, a dimostrazione di come il tema sia particolarmente attuale e sentito, in una società che si evolve e cambia molto più rapidamente della capacità del legislatore di prenderne atto. Aspettiamo di conoscere i dettagli della sentenza per poterne approfondire le motivazione addotte a sostegno della decisione, ma, nel frattempo, appare doveroso confermare come l’ufficiale dello stato civile che aveva opposto rifiuto alla trascrizione, avesse agito nel pieno rispetto della normativa vigente, della dottrina e della giurisprudenza esistente. Si tratta dell’ennesima

7° CORSO ALTA FORMAZIONE: IL BANDO È APERTO FINO AL 30 GIUGNO La sesta edizione si sta concludendo (nel mese di giugno, in costanza di un interessante seminario è prevista la cerimonia di consegna dei diplomi) ma già si lavora per il settimo anno di corso. Il bando è attualmente pubblicato. C’è tempo fino al 30 giugno per presentare la propria candidatura nelle modalità precisate.

dimostrazione della delicatezza del ruolo dell’ufficiale dello stato civile, chiamato a pronunciarsi su questioni particolarmente controverse, dove nulla appare scontato o consolidato, e a decidere su situazioni complesse, dove non trovano accordo dottrina e giurisprudenza, in attesa dell’intervento del legislatore. Proprio per questo, oggi, come mai, diventa fondamentale la preparazione, l’aggiornamento, la formazione degli operatori per poter svolgere al meglio il proprio lavoro.


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- L’Anagrafe “legale” sarà quella nazionale; i dati anagrafici rimangono di competenza dei singoli Comuni, che devono conservarli e aggiornarli attraverso il sistema informativo nazionale. - Il Comune può continuare a mantenere la propria banca dati anagrafica, che sarà comunque un’anagrafe di secondo livello. Compito del Comune sarà quello di aggiornarla rispetto ai dati contenuti nell’ANPR. - Spariscono i modelli APR4 in quanto la registrazione del cambiamento di residenza sarà immediata, con contestuale inoltro telematico, da parte del sistema ANPR, di messaggi elettronici di avviso al Comune. Rimangono, ovviamente, invariate le modalità di gestione del procedimento anagrafico dall’avvio alla sua conclusione, passando per la normale e necessaria fase istruttoria. - Il Sistema ANPR dovrà ovviamente garantire ai Comuni l’accesso in interrogazione ai propri dati (anche sotto forma di elenchi) per consentire l’interoperabilità con i propri servizi (stato civile, elettorale, ecc.). - Il Comune può pertanto mantenere il proprio software gestionale, ma questo dovrà essere reso interoperabile dal fornitore per consentire la piena fruizione dei dati ANPR. - Il Sistema ANPR deve comunque avere un “cruscotto” di manutenzione dei dati, in modo che tutti i Comuni siano messi in condizione di operare. - Nell’ANPR devono essere registrati tutti i dati anagrafici contenuti nelle schede anagrafiche individuali e di famiglia (o convivenza), oltre a dati aggiuntivi come ad esempio il domicilio digitale del cittadino. - Dai dati contenuti in ANPR saranno rilasciati i certificati anagrafici, utilizzando modelli unici su tutto il territorio nazionale. Si avrà dunque una sorta di tipizzazione dei certificati anagrafici, finora tipici quanto alla denominazione, solo per la residenza e lo stato di famiglia, ma come ben noto, dai contenuti estremamente variegati e fantasiosi! - I certificati potranno essere rilasciati anche dalla banca dati anagrafica

telematico in consultazione e fruizione dei dati anagrafici nazionali, attraverso convenzioni, alle Pubbliche Amministrazioni Centrali e Regionali, non a quelle Locali. - Il Comune può continuare ad erogare servizi on-line per i propri cittadini e mantenere i collegamenti telematici con le Pubbliche Amministrazioni locali e i Gestori di Servizio pubblico. - Al fine di garantire il rapido aggiornamento dell’ANPR, le comunicazioni inerenti gli eventi

locale, qualora si verifichino problemi di collegamento e previa autorizzazione centrale. - I certificati nazionali saranno muniti di timbro digitale. - Sarà possibile richiedere in ogni Comune un qualsiasi certificato, riferito a qualsivoglia persona iscritta in ANPR, previa identificazione del richiedente e nel rispetto delle norme sul bollo e sui diritti di segreteria. - I dati anagrafici saranno conservati nel rispetto delle regole di sicurezza, in adesione alle linee guida nazionali e in base ai principi sanciti dal Codice dell’Amministrazione Digitale. - In sostanza, si avrà solo la gestione informatizzata della banca dati anagrafica; tuttavia è evidente e logico che i Comuni gestiranno e conserveranno (su supporto cartaceo o digitale) la documentazione connessa ai diversi procedimenti anagrafici. L’ANPR consentirà l’accesso

di stato civile (nascita, decesso, matrimonio, cittadinanza) saranno effettuate direttamente dall’ufficiale di stato civile del Comune dell’evento, il quale provvederà ad inviare le predette comunicazioni sia all’ufficiale d’anagrafe del luogo di residenza della persona cui si riferisce l’evento, sia all’ufficiale di stato civile per le normali trascrizioni: questo doppio binario consentirà di tagliare drasticamente i tempi di aggiornamento della banca dati anagrafica. - La produzione delle statistiche Istat dovrebbe essere semplificata e automatizzata. - Tutte le postazioni di lavoro saranno certificate e riconosciute dal Ministero dell’Interno; l’accesso verrà effettuato con smart card. - Collegato al Progetto ANPR vi è anche quello della trasmissione telematica delle comunicazioni di nascita (attestato di nascita e dichiarazione di nascita, se resa in Direzione sanitaria) e delle comunicazioni di decesso (avviso di morte, certificato necroscopico, scheda Istat). - Infine, connessi alla realizzazione dell’ANPR, prenderanno forma il progetto del Documento Digitale Unificato (che sostituirà la CIE, la tessera sanitaria e il codice fiscale) e il progetto del Domicilio Digitale del Cittadino. Quella appena esposta è, come evidente, una rapida carrellata delle novità che ci attendono; possiamo però fin da ora osservare che, al di là della retorica, ci si sta preparando ad una vera e propria trasformazione della Pubblica Amministrazione italiana. E la trasformazione della crisalide in farfalla passerà proprio attraverso la realizzazione dell’ANPR! A questo punto è logico prevedere che il passaggio successivo sarà dato dalla informatizzazione anche dello stato civile, che, si auspica, dovrebbe avvenire non con il meccanismo contorto delineato dall’art. 10 del d.P.R. n. 396/2000 la cui sperimentazione ha dato risultanti poco lusinghieri, ma attraverso la creazione di un archivio unico centrale sulla falsariga della banca dati dell’ANPR.


LA PAGINA DEI QUESITI RISOLTI A cura di Agostino Pasquini

1) Cambio di generalità di cittadina naturalizzata Una cittadina rumena entra in Italia con il cognome ROSSI, si sposa in Italia con un italiano, il sig. BIANCHI; va in Romania e si fa registrare l’atto di matrimonio nel suo Paese. Torna da noi con i documenti cambiati e un’attestazione consolare che dice che il suo nuovo cognome è ROSSI BIANCHI. Dopo qualche tempo ottiene la cittadinanza italiana e nel decreto le viene riassegnato il solo cognome ROSSI. Ci presenta un atto di nascita in cui risulta solo ROSSI. Il problema è questo: se procediamo alla trascrizione dell’atto di nascita così come ce lo ha portato, poi come deve essere fatta l’annotazione di acquisto cittadinanza a margine? Risponde l’Esperto ANUSCA Paola Schirru

Correttamente la signora straniera coniugata con nostro connazionale, venne iscritta anagraficamente anche con il cognome del coniuge, attribuitogli a seguito del matrimonio, così come prevede la normativa del Paese d’origine. Mentre con il decreto di concessione della cittadinanza italiana, viene stabilito che alla medesima compente il cognome paterno in conformità all’ordinamento italiano. Pertanto si provvederà alla trascrizione fedele dell’atto di nascita della neo-connazionale e all’annotazione dell’acquisto della cittadinanza. Al fine di superare la discordanza fatta rilevare, si suggerisce di adattare la formula 140 e sostituire il nome e cognome con “la di contro”, evitando così di indicare l’interessata come “Rossi Bianchi”, quindi annotare l’acquisto della cittadinanza italiana precisando la decorrenza e l’articolo

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di legge, indicando peraltro i riferimenti degli atti di cittadinanza e quindi concludere con “conseguentemente alla stessa competono il prenome di Rossi e il nome Tizia, in conformità all’ordinamento italiano”. Qualora le presenterà la sentenza di ripristino della generalità con il cognome del coniuge, non potrà che eseguire quanto ordinato dal Tribunale ed annotare il dispositivo e provvedere alle conseguenti modifiche anagrafiche e comunicazioni di rito. 2) Riconoscimento di figlio naturale avvenuto nel 1947, effetti odierni per lo stato civile Una signora chiede il rilascio dell’estratto dell’atto di nascita o in alternativa la copia integrale del medesimo. La signora è stata riconosciuta dalla madre al momento della nascita (anno 1944), mentre il padre l’ha riconosciuta successivamente (anno 1947) con dichiarazione compiuta dinanzi all’Ufficiale di Stato Civile. Non vi è nell’atto alcun cenno al consenso della madre. Nei registri di questo Comune vi sono: a) l’atto di nascita della signora con la relativa annotazione del riconoscimento compiuto dal padre e b) l’atto di riconoscimento del padre. Si noti che sia nell’atto di riconoscimento del padre, sia nell’annotazione posta a margine dell’atto di nascita, non vi è alcuna menzione in merito al cognome assunto dalla figlia a seguito del riconoscimento. La signora è stata registrata con il cognome della madre nell’atto di nascita, mentre in quello di riconoscimento compare, nell’occhiello dell’atto, con il cognome del padre, cognome che la signora ha attualmente. Chiede lo scrivente ufficio di fornire dei chiarimenti in merito al riconoscimento dei figli prima della riforma del diritto di famiglia, con riferimento alla normativa generale e, in particolare, con riferimento alla disciplina del cognome in relazione al riconoscimento paterno successivo a quello materno (modalità di assunzione del cognome paterno, necessità dell’enunciazione espressa dell’assunzione del cognome paterno

nell’atto di riconoscimento, necessità dell’annotazione a margine dell’atto di nascita). Inoltre, con riferimento alla richiesta specifica di rilascio, si chiede se sia possibile rilasciare l’estratto dell’atto di nascita con l’annotazione di riconoscimento. Risponde l’Esperto ANUSCA Renzo Calvigioni

Non si ritiene condivisibile l’orientamento che emerge dall’esposizione del quesito, in base al quale l’ufficiale di stato civile sembra voler sindacare quanto avvenuto nel 1947, al momento del riconoscimento del padre, anche dal punto di vista della correttezza dell’operato dell’ufficiale dello stato civile dell’epoca. In sostanza, risulta un atto di nascita del 1944, sul quale è stato annotato un riconoscimento paterno avvenuto nel 1947, riconoscimento nel quale la minore risulta già indicata con il cognome paterno, in sostituzione di quello della madre: tale cognome è lo stesso che la donna porta attualmente e che ha portato ininterrottamente dal 1947. Considerando che da quel momento sono trascorsi ben 67 anni, tutti trascorsi con il cognome del padre e che la donna attualmente ha l’età di 71 anni, non si comprendono i dubbi dell’ufficiale dello stato civile il quale dovrebbe, semplicemente, rilasciare la certificazione richiesta, secondo quanto previsto dagli art. 106 e 107 del dpr 396/2000: al riguardo, non ci sono dubbi sulla possibilità di rilasciare la copia integrale all’interessata che ne fa richiesta, come pure potrà essere rilasciato anche l’estratto con paternità e maternità, senza alcuna annotazione relativa al riconoscimento.


Pag. 21 Comuni in vetrina

CASTEL FRENTANO, TRA ADRIATICO E MAIELLA

P

iuttosto remota è l’origine di Castel Frentano, paese collinare in provincia di Chieti di circa 4.500 abitanti, che sorge in una splendida posizione geografica, a metà tra il mare Adriatico e la suggestiva montagna della Maiella. Le origini, infatti, risalgono intorno all’anno Mille con il nome di Castelnuovo. Dal 10 gennaio 1864, cambiò nome in Castel Frentano, a memoria delle popolazioni “Frentane” che l’abitarono. Sul territorio sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici, che vanno dal Neolitico alle prime popolazioni Frentane, per poi arrivare all’epoca romana. Presumibilmente sulla sua sommità sorgeva una rocca o un castello di cui purtroppo non restano tracce significative ed inoltre, nel 1881, una frana distrusse una parte del paese abruzzese. A Castel Frentano sono però presenti una splendida villa comunale ed alcuni palazzi signorili: Palazzo Vergilj, Palazzo Cavacini, Palazzo Crognale. Sono presenti anche numerose chiese: Santo Stefano, San Rocco, quella di Santa Maria della Selva (Madonna dell’Assunta che si festeggia il 15 agosto) risalente al XIV secolo e dove troviamo una scultura lignea policroma, del XV secolo, rappresentante la Vergine in trono con Bambino benedicente. Castel Frentano ha dato i natali ad illustri personaggi, fra questi Eduardo

di S.D.F.

Di Loreto (1897-1958) medico condotto del paese, ma che per vocazione predilesse l’attività letteraria, poeta e autore di operette dialettali. Lo scultore e scenografo Mario Ceroli (1937) che ha donato al suo paese nativo una copia della scultura lignea dell’Uomo Vitruviano, che si trova all’ingresso del corso principale. Tra le iniziative turistiche che si tengono nella località abruzzese, da non perdere il “Villaggio di Babbo Natale” giunto alla 7° edizione, un evento itinerante nel centro storico del borgo con mercatini dell’artigianato, percorso enogastronomico (con pietanze tipiche locali), spettacoli per bambini, musica dal vivo e mostra presepiale. Castel Frentano è conosciuta anche per il suo dolce tipico particolarmente apprezzato il “bocconotto castellino”, un involucro di pasta frolla con farcitura interna di cioccolato, cannella e mandorle tostate. Talmente buono e apprezzato che è ben evidenziato sul sito internet del Comune, dove si trova anche la scritta “Città del Bocconotto”! Da qualche anno è stato interamente ristrutturato il teatro comunale “Di Loreto-Liberati” che ha riaperto la sua attività proprio in occasione di un Convegno dell’ANUSCA, nel giugno del 2008. Il Comune di Castel Frentano è associato all’ANUSCA dal 1992 ed essendo anche la sede operativa del Comitato Provinciale ANUSCA di Chieti, è stato più volte il promotore delle iniziative organizzate sul

territorio. Inoltre, l’attuale Presidente del Comitato provinciale ANUSCA è Rosa Maria Vitucci, Responsabile dei servizi demografici del Comune di Castel Frentano. In conclusione, una breve dichiarazione del Sindaco che conferma quanto sopra. “Più volte abbiamo collaborato con ANUSCA - ricorda il Sindaco Patrizia De Santis – e a tal proposito vorrei evidenziare le tante giornate di studio che si sono svolte a Castel Frentano, in particolare da quanto è nato il Comitato Provinciale di Chieti, poco meno di vent’anni fa, nel 1996. Siamo lieti di esserci impegnati con ANUSCA per la realizzazione di incontri di lavoro su tematiche importanti, di un settore vitale per il Comune come quello demografico e non a caso l’Ente ha sempre favorito la partecipazione dei dipendenti alla formazione e all’aggiornamento professionale”. Altre informazioni su: www.comunedicastelfrentano.it

Il Sindaco Patrizia De Santis


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