Apitalia 7-8/2021

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Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXVI • n. 7-8 • Luglio-Agosto 2021 •- 715 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016

| Testata giornalistica fondata nel 1974 | Direttore Raffaele Cirone |

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numeri

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EDITORIALE

API TRA CAMERA E SENATO

LA NORMA SUI DANNI DA CLIMA SUPERA UN COMPLICATO ITER PARLAMENTARE di Raffaele Cirone

DIVENTA LEGGE IL PRINCIPIO CHE UNIFORMA APICOLTURA CON AGRICOLTURA

C’

è stata tanta attenzione alle api, occorre riconoscerlo, sul fronte parlamentare: ne avevamo parlato al momento in cui il disegno di legge noto come “Sostegni bis” veniva discusso alla Camera ed è giusto tornare a parlarne ora che, con l’approvazione del Senato, il provvedimento è stato convertito in legge (vedi approfondimento nelle pagine seguenti). È stato un iter complesso, che non ha lasciato mai spazio - almeno per quanto riguarda l’apicoltura a interessi di parte, a tentativi di modifica di altre norme, a stravolgimenti di quella cosa semplice che un gran numero di Apicoltori italiani aveva chiesto di fare: prevedere indennizzi per i danni da avversità atmosferiche. Leggere ora sulla Gazzetta Ufficiale la parola “Apicoltori”, in una delle leggi più importanti della Repubblica Italiana, essere consapevoli di avere chiesto e ottenuto attenzione per chi vive di questo difficile lavoro e affronta i danni del clima, è motivo di grande soddisfazione. Significa che si è chiesta una cosa giusta, voluta e sostenuta da un’ampia maggioranza parlamentare che ha dato credibilità all’istanza del comparto. Si è giunti così, alla fine dell’iter parlamentare, superando lo sbarramento di ben 4.000 emendamenti, alla definizione di un articolo dove si parla anche dei danni all’apicoltura. L’assegnazione dei primi 5 milioni di euro certifica che con questa legge passa un principio di valenza storica: gli apicoltori hanno gli stessi diritti degli agricoltori. Aver aumentato valore e dignità del lavoro apistico è merito di coloro che hanno consentito di tagliare questo traguardo: ad essi va tributato il nostro ringraziamento. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 715 | 7-8/2021| gli articoli 5 EDITORIALE Api tra Camera e Senato

12

Raffaele Cirone

8 PRIMO PIANO L’indennizzo è legge

Nostro Servizio

12 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Le api debbono volare

Alberto Guernier

15 AGENDA LAVORI. NORD Evitare stress alimentari

Maurizio Ghezzi

18 AGENDA LAVORI. NORD-EST Controllate le covate

Giacomo Perretta

22 AGENDA LAVORI. CENTRO I lavori di tarda estate

18

Matteo Giusti

25 AGENDA LAVORI. SUD I fattori incogniti che turbano l’ape

Santo Panzera

28 AGENDA LAVORI. ISOLE Sfruttare le risorse botaniche alternative

Vincenzo Stampa

51 L’INTERVISTA L’ape, nostra eccellenza

Aurora Ricci

53 STORIA Tra passato e presente

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Filippo Vassallo

lo speciale 31 Apicoltura logica e razionale

Michele Campero


i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare

Il suo nome è emblematico: Helianthus annuus è il fiore del sole. Sacro alle antiche civiltà per la maestosa bellezza ed i preziosi utilizzi. È la nostra civiltà che l’ha dissacrato, fino a renderlo privo di nettare. Rare le varietà mellifere che ancora sopravvivono: questa foto testimonia la possibilità di ripristinare un ambiente dove api e girasoli ritrovino la loro naturale sacralità. (foto MondoApi.it)

abbonamenti: quanto costano

hanno collaborato a questo numero

1 anno (10 numeri carta) € 30,00 2 anni (20 numeri carta) € 54,00 Italia, una copia/arretrati € 5,00 Estero: varia per area geografica, richiedere preventivo

Alberto Guernier, Maurizio Ghezzi, Giacomo Perretta, Matteo Giusti, Santo Panzera, Vincenzo Stampa, Giuseppe La Mantia, Michele Campero, Aurora Ricci, Armando Monsorno, Filippo Vassallo, Fabrizio Piacentini, Patrizia Milione, Alessandro Patierno.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2021”)

i nostri VALORI “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” è il motto che accompagna le firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine.

Una Giuria internazionale ci ha premiati come miglior rivista di apicoltura, per i contenuti tecnico-scientifici e la qualità fotografica.

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo.

Abbiamo sottoscritto “Il Manifesto di Assisi”, per un’economia a misura d’uomo. Come apicoltori ci riconosciamo nel Tau.

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PRIMO PIANO

L’INDENNIZZO È LEGGE

FONDO DA 5 MILIONI DI EURO PER APICOLTORI DANNEGGIATI Nostro Servizio

U

Foto www.feri.it

na vittoria per l’apicoltura italiana e, al tempo stesso, un passaggio di valenza storica sulla via che uniforma nel concreto il nostro comparto all’agricoltura. È questo il primo commento da farsi all’indomani dell’approvazione della norma che assegna risorse finanziarie al Fondo di Solidarietà Nazionale, con una precisa quota da destinare agli apicoltori. L’iter parlamentare del cosiddetto “Decreto Sostegni bis” si è concluso così dopo la promul-

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gazione, da parte del Presidente della Repubblica, della Legge n. 106 del 23 luglio 2021 che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 2021 (Supplemento Ordinario n. 25) con il titolo seguente: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, recante misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali.” Una delle più importanti leggi

RISARCIBILI I DANNI DA AVVERSITÀ ATMOSFERICHE


della Repubblica Italiana, con una dotazione finanziaria ingente e pari quasi a una manovra finanziaria, e interventi di sostegno ai più importanti settori dell’economia affinché possano sostenere la ripartenza nazionale. Interventi tra i quali, fa giustamente rilevare la FAI-Federazione Apicoltori Italiani, spicca il testo dell’articolo 71 che è quello dove il Legislatore ha fatto spazio agli emendamenti di rilevanza apistica. L’iter parlamentare è stato di quelli complessi e, di fatto, si era concluso giovedì 22 luglio 2021 quando il Senato della Repubblica - con 213 voti favorevoli, 28 contrari e un’astensione - ha rinnovato la fiducia al Governo e approvato in via definitiva il DDL n. 2320 cosiddetto DL “Sostegni-bis”, proveniente dalla Camera dei Deputati che ne aveva trasmesso il testo in data 15 luglio 2021. Il provvedimento, come oggi lo conosciamo, era stato definitivamente approvato nella seduta n. 540 del 14 luglio 2021 quando la Camera dei Deputati, con 444 voti favorevoli e 51 voti contrari, aveva votato la questione di fiducia posta dal Governo sull’approvazione del disegno di legge in via di conversione (A.C. 3132 AR), nel testo predisposto dalla Commissione Bilancio a seguito del rinvio deliberato dall’Assemblea. È qui che il testo approvato anticipava per la prima volta i contenuti dell’Articolo 71 nella sua definitiva riformulazione, quel-

la cioè con la quale un’ampia rappresentanza di Deputati ha concordato di assegnare agli imprenditori apistici la dotazione finanziaria di 5 milioni riservata nel Fondo di Solidarietà Nazionale a seguito dei danni alle produzioni subiti nel corso dei mesi di aprile, maggio e giugno 2021. I “giochi”, se così possiamo definire i complessi meccanismi che regolano l’attività e le procedure di un iter parlamentare, avevano trovato un punto di caduta nella seduta del giorno 8 luglio 2021 in V Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera. Non possiamo non sottolineare l’episodio occorso nel corso dell’ultima sessione di lavoro in Commissione, che ha visto ag-

giungersi un ulteriore e imprevisto numero di firmatari dell’emendamento di nostro interesse che è stato sottoscritto da ben 6 Gruppi parlamentari (di maggioranza e opposizione) e da oltre 50 Deputati. È questo il momento in cui si è compreso che l’azione di sensibilizzazione promossa dal mondo apistico poteva contare su un’ampia maggioranza. Il testo dell’articolo sul quale i Gruppi Parlamentari avevano trovato l’accordo, superando le incertezze del primo momento quando gli emendamenti presentati miravano ad altri scopi oltre che agli indennizzi per le avversità della primavera 2021, prevedeva nell’ordine: • l’estensione del periodo entro il 7-8/2021 | Apitalia | 9



quale si sono verificati i danni ai mesi di aprile, maggio e giugno 2021; • la destinazione degli indennizzi a quanti non beneficiavano al momento di copertura recata da polizze assicurative; • l’incremento delle risorse disponibili nel Fondo di Solidarietà Nazionale, di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102; • la riserva di 5 milioni di euro da destinarsi a favore degli imprenditori apistici per l’anno 2021.

to l’accordo nella definitiva riformulazione di un emendamento che vedeva tutti soddisfatti e in particolare per i seguenti motivi: • Governo e Parlamento, tempestivamente richiamati a prestare attenzione alle criticità rappresentate dagli Apicoltori, avevano colto il messaggio; • la FAI era stata in grado di rappresentare la dimensione del fenomeno fornendo chiarimenti tecnici decisivi per l’adozione del provvedimento; • c’era la garanzia di un intervento di utilità generale e non di parte, nel rispetto di un principio normativo fondamentale - gli Apicoltori sono Agricoltori - quale quello espresso

È questo il passaggio in cui si è compreso che l’ampia maggioranza dei Deputati, sia pure partendo da diverse posizioni, aveva trova-

PRODUZIONE ARNIE

RISPETTO PER L’AMBIENTE

fin dapprincipio nella legge n. 313/2004 per la Disciplina dell’Apicoltura e finora sistematicamente disatteso. È la prima volta, da quando l’accesso al Fondo di Solidarietà Nazionale è stato esteso agli Apicoltori (provvedimento legislativo voluto e sollecitato dalla FAI), che la misura degli indennizzi viene riconosciuta anche al nostro comparto. E questo resoconto, basato sugli atti parlamentari, è la riprova di quanto valore storico ci sia in una disposizione legislativa che oltre agli indennizzi, riconosce la dignità del lavoro apistico.

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

LE API DEBBONO VOLARE

STIMOLARE LA DEPOSIZIONE E IL RICAMBIO DELLE REGINE di Alberto Guernier

P

arlare di lavori estivi in apicoltura, oggi forse più di ieri, richiede attenzione e prudenza; proprio adesso che tanta strada è stata fatta: nella lotta alla maledetta Varroa, nella tecnica e nella scelta dei vari prodotti, farmaci e integratori, sistemi e attrezzature specifiche. Sono passati e sorpassati ormai, per chi li ha visti solamente oppure li ha utilizzati, tutti quei “sistemi” a volte empirici, talvolta approssimativi, che nel recente passato, venivano impiegati spesso e purtroppo alla “bell’e meglio” per cercare di salvare le api, dal massacro troppo spesso portato a termine con suc-

VISITE BREVI MA EFFICACI CELLE REALI SOLO A FAMIGLIE FORTI

Foto Gary Stearman

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cesso dal terribile acaro e dai virus e batteri che veicola. Ci sono probabilmente apicoltori più bravi di altri, ci sono postazioni in areali sicuramente migliori di altre; abbiamo già dibattuto in passato, come sia importante la scelta di luoghi idonei a posizionare gli alveari, soprattutto in questo periodo, quando lo scopo del nostro lavoro non è più quello di produrre bensì quello di mantenere le colonie in buone condizioni Ci sono poi ceppi di api o più propriamente famiglie, che possiedono o sviluppano vitalità e resistenza alle avversità superiori alla media; o ancora meglio: famiglie


forti, meno indebolite da qualcosa... chissà! Quanto ho scritto all’inizio è vero, eppure si continuano a perdere alveari... sarà sempre per i soliti motivi? Oppure per qualcosa che sbagliamo, che ci sfugge o che non facciamo con la giusta tempistica. Ed anche, mi sento di aggiungere: perché le api non volano più! E sì, perché le api dovrebbero poter volare sui fiori e da questi trarre il nutrimento per il proprio quotidiano sostentamento e per l’approvvigionamento da utilizzare in inverno ed anche ad inizio primavera. In molte zone del Piemonte per esempio, specialmente in collina, finita la fioritura del Castagno non rimane altro e le api passano un

tempo piuttosto lungo senza bottinare nulla. In questo periodo si effettuano i trattamenti acaricidi di lotta alla Varroa; come previsto dal Piano sanitario Regionale. Il classico trattamento estivo, spesso effettuato con pratiche come asportazione di covata e/o blocchi di covata, che portano i trattamenti ad un’efficacia ottimale. In questo periodo il trattamento effettuato vede anche il proprio termine; le api vengono nutrite e stimolate, con sciroppo zuccherino, commerciale o preparato direttamente dall’apicoltore, sciogliendo zucchero normale da cucina in acqua, a svariate concentrazioni, che possono andare a seconda delle ne-

cessità da: 1:1 a 1:2. Viene così stimolata la regina a covare, nel tentativo di riportare l’alveare ad un congruo numero di soggetti in grado di passare l’inverno e di assicurare poi la ripartenza primaverile. A volte dopo le prime piogge “rinfrescanti” si vedono fiorire, superstiti, alcune essenze spontanee. Nonostante questo, le api continuano a volare molto poco! Lontane da quanto servirebbe loro per fare quanto si è detto: ...bottinare nettare e polline. Eppure, attorno ai nostri apiari, alle nostre aziende, luoghi incolti raramente mancano, zone che potrebbero essere facilmente ed efficacemente utilizzate per dare pascolo; in quanto, i fiori

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Foto Alberto Guernier

AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

occorrono alle api per vivere, e non solo per fare miele da vendere! È ragionevole pensare, che l’ape che vola sui fiori, si ossigeni facendo scambi metabolici importanti e interagisca con l’ambiente fortificandosi, ben diversamente da quanto accade nel solo processo di suggere acqua e zucchero da un nutritore. Certo, “fuori” esistono pericoli: fra i quali il temuto saccheggio estivo, delle colonie forti a scapito di quelle deboli e malate, spesso fortemente parassitizzate da Varroa. Voli intensi, spesso fino a tarda sera debbono sempre destare sospetto; ma è anche vero che il saccheggio si fa più insistente e probabile qualora non ci sia pascolo da bottinare. Ci sono essenze, come la Borragi-

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ne per esempio, che in poco tempo sono in grado di colonizzare campi e scarpate, fornendo fiori per tutto il periodo estivo; non solo, la Borragine (Borago officinalis) (foto sopra) è in grado da sola di mantenere una volta insediata, la sua presenza di anno in anno. Allora, tra i lavori che può e deve fare l’apicoltore, annovero oggi, anche quello di fare in modo che le api possano continuare “a volare”, per un periodo il più lungo possibile. Se nonostante le nutrizioni, le possibili fioriture, durante le visite, che devono essere brevi quanto efficaci, dovessimo vedere regine che stentano, non esitiamo a sostituirle. Nel valutare le regine, occorre tenere in debito conto l’età, (sempre se questo sia possibile in base al co-

lore di marcatura), altrimenti dovremo valutarla per il suo aspetto, che deve essere turgido, con le ali integre e non sfrangiate alle estremità. Il movimento di una buona regina che ha ripreso la deposizione da almeno una decina di giorni, deve essere calmo ma non eccessivamente lento, essa non deve “trascinarsi” sul favo bensì deve dare l’impressione di arrampicarsi sulle cellette con vitalità! Analizzando la covata, essa deve presentarsi sana e compatta. Sempre più spesso vengono utilizzate celle reali per le sostituzioni delle regine; valutiamo con attenzione se ci sia ancora sufficiente tempo per questo tipo di intervento, altrimenti scegliamo senza indugio di acquistare una buona regina.

L’utilizzo della cella reale, in questo periodo, è fortemente subordinato dalle condizioni della famiglia che la deve ricevere; una famiglia poco popolata non è in grado di utilizzare efficacemente una cella reale. Alberto Guernier


AGENDA LAVORI. NORD

EVITARE STRESS ALIMENTARI

RESTITUIRE I MELARI ALLE API PRIMA DI IMPILARLI E SIGILLARLI di Maurizio Ghezzi

ALIMENTAZIONE INTEGRATA E TRATTAMENTI

Foto Azienda Agricola Bianchi

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E

d infine arrivarono i giorni caldi davvero, capaci di contraddistinguere un periodo della stagione in cui le fioriture nettarifere si vanno riducendo e la calura diviene sempre più insopportabile. Dovremo aspettare ancora un po’ per ritrovare un clima più gradevole e la ricomparsa di nuove, timide ma molto importanti fioriture indispensabili alle nostre api per stivare provviste all’interno del loro nido.

I melari dovranno essere stati già rimossi e portati nel locale di smielatura, per essere lavorati una volta accertato che la percentuale di umidità del miele raccolto sia quella ottimale, in caso non fosse così, sarà indispensabile, con l’aiuto di un deumidificatore, portare l’umidità residua almeno a valori del 17%. Il “furto” dei melari dagli alveari, che abbiamo maliziosamente compiuto e la scarsità di fonti nettarifere rendono necessaria la somministrazione, alle famiglie, di un’alimentazione di sostegno per evitare che esse possano andare incontro a uno stress alimentare, cosa sempre poco auspicabile in qualsiasi periodo della stagione ci si trovi. Il nettare fornito dai fiori alle nostre bottinatrici è sì una sostanza zuccherina, ma è anche ricca di vitamine, sali minerali e oligoelementi, tutte sostanze che il nostro sciroppo, per quanto buono possa essere, non contiene. Per questo motivo consiglio di aggiungere alla miscela zuccherina da noi composta quegli appositi integratori, fortunatamente da qualche tempo presenti in com7-8/2021 | Apitalia | 15


Foto apemellifera.blogspot.com

AGENDA LAVO RI. NORD

mercio, capaci di arricchirlo con tutte quei preziosi componenti così indispensabili per la giusta e corretta alimentazione della quale necessitano le nostre laboriose operaie. È importante non eccedere con la distribuzione di sciroppo e preparare una soluzione con 50% di acqua e il 50% di zucchero così da riuscire oltre che ad alimentare le nostre api anche a stimolare l’attività di ovideposizione della regina e mantenere la famiglia in buona forza. In questo periodo della stagione, causa anche la scarsità di fonti di cibo, il saccheggio è sempre in agguato e a questo proposito ricordo, qualora ce ne fosse bisogno, di aggiungere lo sciroppo ai nutritori nelle ore serali così da evitare un’eventua16 | Apitalia | 7-8/2021

le e molto temibile insorgenza di saccheggio. In questi mesi di picco calorico è indispensabile eseguire i primi trattamenti per il contenimento e l’abbattimento dell’infestazione da Varroa; a tal proposito sono diverse le sostanze che si trovano in commercio utili a questo scopo, il consiglio è sempre quello di non improvvisarsi pericolosi sciamani somministrando alle api qualche pozione frutto di chissà quale laboriosa e pericolosa macchinazione della nostra fantasia, ma di seguire sempre i protocolli dettati dall’associazione apistica cui facciamo riferimento. Prima eseguiamo i trattamenti e meglio sarà. Dopo il solleone quasi sicuramente avremo terminato di smielare e ci ritroveremo con,

si spera, i tanti melari raccolti da accatastare e mettere al riparo per la prossima stagione. Qualcuno prima di eseguire tale operazione preferisce riposizionare i melari sugli alveari così che essi vengano ben ripuliti dalle api prima di essere messi al riparo, a mio modesto parere, penso che sia un dispendio di energie, sia per noi che per le nostre api, abbastanza inutile. Cosa ben più importante è invece quella di metterli al riparo dalla tarma della cera per evitare cattive sorprese alla prossima stagione. In commercio esiste una soluzione contenente un batterio letale per la tarma della cera, funziona discretamente ma, a mio avviso, è anche abbastanza dispendioso economicamente per questo motivo preferisco sbarazzarmi di


questo dannoso “bruchetto” con il classico e vecchio sistema che prevede l’utilizzo di zolfo. S’impilano tutti i melari, appoggiandoli su di un bancale, il melario alla base e quello alla cima della pila devono esser sigillati con rete per zanzariera, mentre tutta la colonna di melari va avvolta in pellicola trasparente così che nessuna farfalla possa più accedere all’interno di essa, nè dal fondo e/o dalla cima della pila e nemmeno da eventuali fessure presenti fra un melario e l’altro. Sul melario più alto si appoggerà un’escludiregina in metallo sul quale appoggeremo una piccola pentola in cui si mette lo zolfo. Dando fuoco allo zolfo si pro-

vocherà una combustione senza fiamma che darà avvio a una grande fumata, il fumo che così si sprigiona, essendo pesante, cadrà verso il basso, all’interno della pila di melari, eliminando tutti i bruchi e le eventuali farfalle in essa presenti. Se le farfalle avessero già deposto delle uova nei favi e nei telaietti dei melari è bene ricordare che queste non subiranno alcun danno dal fumo prodotto dalla combustione dello zolfo per questo motivo sarà comunque bene ripetere tale operazione dopo sette/otto giorni quando le eventuali uova presenti si saranno schiuse. Ricordo che il fumo prodotto dalla combustione dello zolfo è estre-

mamente tossico e risulta letale solo dopo pochi respiri per cui non appena dato fuoco allo zolfo è bene abbandonare immediatamente il locale chiudendo porte e finestre. Cari amici e colleghi apicoltori, terminate queste incombenze penso sia finalmente giunto un periodo di breve e meritato riposo e care infaticabili amiche alate, che con il vostro lavoro ci avete regalato piacere e soddisfazione, credo che anche per voi sia arrivato il momento di una giusta e meritata sosta ed è per questo motivo che vi auguro con tutto il cuore: “buona vacanza”! Maurizio Ghezzi

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AGENDA LAVORI. NORD-EST

CONTROLLATE LE COVATE

LA PRESENZA DEI VARI STADI DENOTA UNA BUONA REGINA di Giacomo Perretta

C

i prepariamo alla fase di preparazione all’invernamento, quando è tempo cioè di controllare e portare le famiglie a essere una formazione capace di vincere l’inverno. Sebbene sia ancora estate è doveroso in questo periodo ancora ristrutturare e riorganizzare, la famiglia dalle sempre più frequenti problematiche: se possibile con facilità e senza molte difficoltà. Dopo le piogge di fine estate, almeno speriamo, le fioriture si saranno riprese e le api potranno rifornirsi e depositare il nettare per l’inverno. Qualora questo non succeda, è bene controllare la consistenza

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delle scorte, eventualmente integrandole. Sarebbe più facile consigliare di alimentare tutte le famiglie, è anche il modo per avere la certezza di non sbagliare mai: se hanno fame mangiano, altrimenti il cibo rimane per l’inverno. Valuteremo le scorte alla fine di ottobre, quando nel Nord-Est sono finite le fioriture e le temperature si abbassano notevolmente. Un buon invernamento si ha principalmente con una quantità di api sufficiente a formare un glomere capace di mantenere la temperatura di sopravvivenza delle api che si aggira intorno ai


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AGENDA LAVO RI. NORD-EST

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30 °C qualunque sia la temperatura esterna. Non è ancora il momento di stringere le api, anche se in alcune tecniche di conduzione il restringimento può già avvenire, è consigliabile togliere o di spostare al di là del diaframma i telaini con miele ma senza covata. In questo modo le api trasporteranno il miele verso il nido e puliranno il telaino o i telaini a lato. Il numero di api sufficiente per passare l’inverno è proporzionale alla temperatura che raggiungerà l’inverno, ma sicuramente tre o quattro telaini di api sono sufficienti per le pianure, mentre per le montagne devono essere proporzionati al

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clima e all’ambiente; per queste conoscenze sono necessarie esperienze di apicoltori del posto cui potete rivolgervi per farvi un’idea più precisa della mia. L’unico consiglio che posso darvi e che spesso richiamo, è partecipare agli incontri associativi, i quali, sono sicuro, daranno un importante contributo alla costruzione della vostra esperienza. Per telaino di api, si intende un favo pieno di api, il favo deve essere coperto tanto da non far intravedere la struttura in cera: serve un vero e proprio “assembramento” da entrambe le parti. La covata di fine estate non è come quella primaverile: è sicura-

mente più piccola e copre meno telaini, però è ugualmente necessario verificare la sua condizione, cioè la compattezza e che siano presenti tutti gli stadi della covata dall’uovo alla larva all’opercolo; se è ben definita significa che tutto va bene e la regina ha un buon controllo della famiglia. Qualora uno di questi stadi mancasse, significa che è successo qualcosa di anomalo e alcuni suggerimenti possono aiutarvi a ricordare che: • se manca o non vedete la covata fresca o uova però vedete la covata opercolata, può essere successo: a) che la regina abbia per qualche motivo interrotto la deposizione, spesso causa di una regina scarsa; b) che la regina sia morta; • se vedete la covata fresca ma non quella opercolata è probabile che la famiglia si sia fornita di un’altra regina (l’anno scorso, anno eccezionale, ci sono stati diversi casi); • fate attenzione al tipo di covata, anche con la covata fresca è possibile verificare se è una covata di api e non di regina; infatti, nel primo stadio le uova o le piccole larvette non sono sequenziali ma un po’ sparpagliate. Sappiamo inoltre che la covata delle api è maschile in celle femminili e, quando è opercolata, assume quella particolare conformazione determinata “covata gibbosa”. Un’ultima eccezionale considerazione: se vedete la covata completa, fate attenzione perché, anche se succede di rado e


solo in casi eccezionali, in questo periodo la famiglia può aver deciso di sostituire la regina, quindi controllate che non ci siano celle reali. Se per un qualsiasi motivo, vi accorgete che la famiglia non ha la regina, oppure che la famiglia ha un comportamento anomalo, il mio consiglio è di sostituire la regina o aggiungerla qualora manchi. Nel caso della presenza di celle reali, non pensate di permettere alla famiglia di allevarla, perché con molta probabilità sarà una cattiva regina, anche se riuscisse a essere fecondata (la mancanza di fuchi non può certo produrre una buona fecondazione). Meglio togliere le celle reali e mettere una nuova regina oppure unire ad altra famiglia.

Ne approfitto per consigliarvi di tenere sempre almeno una regina di scorta formando un piccolo nucleo: è semplice e sono certo che moltissimi hanno un loro metodo, il metodo più facile è tenere un nucleo di due tre telaini. Concludo con un occhio alla produzione, stimolo principale della quasi totalità degli apicoltori: in questi ultimi anni le rese vanno sempre più a diminuire quindi consoliamoci con le specialità di ogni territorio. Nel nostro NordEst, in questo periodo, ad eccezione di qualche anno, tutte le fioriture importanti per un miele autunnale o di fine estate sono terminate, però anche noi abbiamo un miele speciale: lo si produce nella laguna veneta ed è “Il miele di Barena”. A dir il vero è un miele prevalentemente estivo

che termina ad agosto anche se a volte si protrae fino a Settembre e comprende varie fioriture tra cui la più importante è quella del limonium in dialetto veneto ”fioreta ” che caratterizza questa particolare essenza diffusa in laguna. Le barene sono formazioni di terreni coperti dal mare con l’alta marea, il miele che si ricava dalla fioritura di piante che nascono su questi terreni ha un sapore forse salmastro, tra i vari fiori troviamo anche il Tripolium pannonicum (foto sopra) un astro marino che fiorisce a settembre, poi altri che insieme formano quel miele dal sapore molto particolare che è la caratteristica che fa del “Miele di Barena” una produzione rara e ricercata. Giacomo Perretta 7-8/2021 | Apitalia | 21


AGENDA LAVORI. CENTRO

I LAVORI DI TARDA ESTATE

CONTROLLO SU REGINE E SCORTE E PRIORITÀ PER SCIAMI ARTIFICIALI di Matteo Giusti

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a tarda estate, compreso tutto settembre, è un periodo tendenzialmente di calma per quanto riguarda i lavori in apiario. Le grandi produzioni sono ormai finite, i trattamenti estivi fatti e anche la sistemazione delle famiglie dovrebbe essere stata completata. Il lavoro principale deve consistere nei controlli di routine, per controllare la presenza della regina e la presenza di scorte, soprattutto negli sciami artificiali fatti in estate, che possono aver avuto meno tempo per stivare adeguate scorte di miele. Nel caso di scorte scarse, la migliore soluzione in questo periodo dell’anno è quella di fare delle nutrizioni artificiali con sciroppi molto concentrati, facilmente immagazzinabili dalle api nei favi. Nel caso in cui si decida di fare una nutrizione artificiale è consigliabile in questo periodo farla la sera, per ridurre il rischio di saccheggi, soprattutto se la stagione è secca e la presenza di nettare nell’ambiente è scarsa. In caso di orfanità invece, se non si può provvedere con una regina feconda, prima di cercare di far allevare una nuova regina si deve valutare quale sia la presenza di 22 | Apitalia | 7-8/2021

fuchi nelle arnie (buon indicatore per valutare anche la presenza dei fuchi nell’ambiente) e valutare di non essere troppo avanti con la stagione. Altrimenti è più opportuno riunire la famiglia orfana con una famiglia con la regina, in modo da non perdere le api operaie e magari rinforzando un alveare più debole. Per chi vuole, la tarda estate è anche il periodo per una ultima produzione di polline, quello di edera. Una produzione che però deve essere oculata, stando attenti a lasciare alle famiglie delle adeguate scorte di polline, che saranno fondamentali per la ripresa primaverile. Altre

CON UN OCCHIO ALL’APIARIO E CON L’ALTRO ALLA MIELERIA


produzioni sono quelle del miele di edera, non particolarmente semplice da fare perché il miele va estratto prima che sia al giusto grado di umidità e va deumidificato in mieleria, e del miele di corbezzolo là dove il clima lo permette. Un occhio di attenzione in questo periodo, soprattutto verso fine estate, può essere dato anche agli aspetti sanitari, specialmente se i trattamenti estivi sono stati fatti abbastanza presto o se si notano casi di reinfestazione da varroa. In questi casi un trattamento tampone con farmaci veterinari a base di timolo potrebbe essere molto interessante. Le temperature infatti saranno ideali per questo tipo di trattamento, in quanto non ancora

fredde e mai così alte da essere un pericolo per una eccessiva evaporazione del prodotto. Il trattamento sarà quindi sicuro e in grado di abbattere un buon numero di acari, tenendo pulite le famiglie in vista dei trattamenti invernali. Non solo, il timolo in quanto evaporante ha anche una sua efficacia contro eventuali altri parassiti come l’Acarapis woodi, responsabile della acariosi, che non è scomparso dai nostri alveari per quanto poco spesso diagnosticato. In più il timolo ha un effetto biocida e sanificante generale che ha una certa efficacia anche nei confronti di altri altri patogeni dell’alveare, come i funghi parassiti responsabili della covata calcificata della covata pietrificata.

In questa stagione si possono fare anche le nutrizioni con integratori alimentari, utili anche per potenziare le difese delle api e ridurre i rischi di insorgenza di alcune malattie, in particolare delle nosemiasi. Nel caso però si voglia fare la raccolta del polline di edera, o del miele di edera e di corbezzolo, questi eventuali trattamenti devono essere fatti dopo il raccolto per evitare di contaminare i prodotti con l’odore del timolo o degli alimenti integrativi che possono avere una discreta persistenza in alveare. Se poi si pensa di svernare le api in qualche postazione specifica in cui è necessario spostarle, questo periodo è sicuramente adatto, dal momento che le temperature, né

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eccessivamente alte ma nemmeno basse, non rischiano di rendere eccessivo lo stress per le api durante il trasporto. Questo periodo è poi molto adatto per i lavori di magazzino, in particolare per la pulizia dei melari che si sono smielati durante l’estate. In generale non è strettamente necessario far pulire i melari alle api prima di riporli in magazzino per la stagione successiva, ma è molto consigliato: sia per avere una maggiore pulizia, sia per attrarre meno eventuali insetti come le formiche o le api stesse, sia semplicemente per avere melari non appiccicosi. I melari puliti saranno più agevoli sia per gestirli in magazzino sia per raschiarci la propoli in inverno. Per farli pulire la tecnica migliore resta quella di posizionarli in una pila anche di 4-5 melari sopra un alveare provvisto di un apiscampo con il foro di accesso aperto. Dopo due giorni basterà chiudere il foro spostando la lamina di metallo e aspettare 24-48 ore che le api siano scese nel nido per rimuovere i melari puliti. Come nel caso della nutrizione però, per evitare saccheggi, è bene posizionare i melari sopra famiglie forti e farlo di sera, assicurandosi anche che non ci siano spazi e aperture tra un melario e l’altro e magari restringendo anche la porticina di ingresso dell’arnia in modo che l’entrata sia più difendibile dalle api di casa. La tarda estate e l’inizio dell’autunno sono anche un ottimo periodo per invasettare il miele. Ormai tutte le produzioni sono fatte, eccettuate le eventuali produzioni di miele di edera e di corbezzolo, e 24 | Apitalia | 7-8/2021

tutti i mieli della stagione in genere sono ancora liquidi o poco cristallizzati e ancora fluidi. Invasettare tutta la produzione in questo momento permette di non dover ricorrere alla fusione del miele cristallizzato in inverno, risparmiando lavoro, tempo e anche energia elettrica, e preservando allo stesso tempo tutte le qualità organolettiche e chimiche del miele. Due vantaggi non indifferenti, che mettono insieme ottimizzazione del lavoro e qualità del prodotto. Inoltre così facendo si può avere liberi tutti i maturatori e i macchinari della mieleria che possono essere lavati e riposti per l’anno prossimo. Ovviamente per invasettare tutto il miele prodotto è necessario avere spazio

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AGENDA LAVORI. CENTRO

per poter stivare i vasetti confezionati, un problema che può essere anche risolto utilizzando parte della mieleria come magazzino temporaneo, proprio giocando sul fatto che ormai la maggior parte della attrezzatura è stata pulita e può essere sistemata in modo che occupi meno spazio. Lo spazio acquistato, appropriatamente separato dall’attrezzatura, può essere sfruttato con scatole in plastica per alimenti o con scaffalature temporanee per stivare i vasetti confezionati, magari chiedendo prima un parere a un consulente per l’HACCP o al tecnico dell’Azienda Sanitaria Locale preposto all’igiene degli alimenti. Matteo Giusti


AGENDA LAVORI. SUD

I FATTORI INCOGNITI CHE TURBANO L’APE

UN’ANNATA IMPRODUTTIVA E SCOMBUSSOLATA DA ANOMALIE di Santo Panzera

AGGIORNARE IL “DIARIO DI BORDO” NON TRASCURATE

Foto ilreventino.it

ALCUN DETTAGLIO

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el nostro Sud Italia in piena estate, in preda alle sempre più frequenti ondate anomale di asfissiante caldo africano e sollevati, almeno temporaneamente, da urgenti lavori in apiario, non possiamo non abbandonarci ad alcune riflessioni sulla stagione apistica in corso e su come “fare apicoltura”, in questi ultimi anni, sia diventato sempre più complesso e meno appagante, non solo economicamente. Analizzando il “diario di bordo” di apicoltori

di lungo corso, da sempre preziosi punti di riferimento non solo in ambito apistico, emerge un quadro a dir poco allarmante sugli aspetti produttivi e/o di gestione degli alveari, riscontrati in questa annata apistica così particolare. Allo svernamento si è avuta una perdita anomala di alveari oscillante dal 30 al 50% e ben al di sopra di quella fisiologica degli anni scorsi; fenomeno che da molti è stato attribuito alla elevata infestazione da Varroa all’uscita dall’inverno. A febbraiomarzo, periodo in cui normalmente si evidenzia una maggiore deposizione e, a distanza di 3 settimane, un aumento della popolazione delle famiglie, quest’anno invece si è registrata una maggiore deposizione che però non è stata seguita dal prevedibile aumento delle api. Nel tentativo di correre ai ripari, si è ricorsi inutilmente ad ulteriori trattamenti antivarroa e/o massicce nutrizioni, che non hanno scongiurato però ulteriori perdite di alveari. In aprile-maggio gli alveari risultavano completi di api, con covata estesa ed in linea con la stagione, ma con attività di volo ri7-8/2021 | Apitalia | 25


AGENDA LAVORI. SUD

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Foto MikePhobos - commons.wikimedia.org

dottissima; le scorte di miele erano appena sufficienti alla sopravvivenza delle api per il successivo mese di giugno, con l’eccezione degli apiari degli apicoltori convertiti agli ibridi di Buckfast (foto a lato), costretti a nutrire affannosamente i propri alveari, ormai alla fame da più settimane. Altri fenomeni evidenziati in primavera e ormai presenti e segnalati negli ultimi 2/3 anni sono: • la poca produzione di cera; • la difficoltà a trovare covata fresca ben nutrita di pappa reale; • la presenza di api “particolarmente” mansuete. Dal nefasto connubio tra queste anomalie “biologiche” ed avversità climatiche è derivata una produzione di miele quasi azzerata, con api che non sono salite a melario e favi esterni del nido rimasti semivuoti. Alcune domande a questo punto sorgono spontanee: nel vero e proprio disastro produttivo registrato quest’anno, quanto hanno contribuito i fattori ambientali (meteo e pesticidi) e quanto invece è risultato determinante l’anomalo comportamento delle api? L’anomala perdita delle api bottinatrici, che si riscontra ormai da qualche anno, da cosa è determinata? Patologie (virus) che accorciano la vita delle api adulte? Nutrizione non adeguata (polline non idoneo e/o insufficiente in fase larvale? Inquinamento dell’ambiente e/o delle piante? Inquinamento genetico con produzioni di api particolarmente “deboli” e di vita breve? In assenza di risposte esaustive, una cosa è certa: fare apicoltura produt-

tiva in queste condizioni risulta insostenibile ed improponibile. Sicuramente, uno dei maggiori pericoli per la sopravvivenza delle api è rappresentato dalla variazione delle stagioni e dal riscaldamento globale, in quanto gli inverni più corti e più caldi determinerebbero uno stress aggiuntivo alle api per l’allungamento della loro finestra di attività di 20/30 giorni, con compromissione del loro stato di salute ed inoltre profonde discrepanze nella sincronicità tra la fase di fioritura e l’attività di volo delle api. Le condizioni climatiche avverse non consentono alle api una buona raccolta di nettare e polline e potrebbero essere possibile causa di carenze e stress nutrizionali, con conseguente debilitazione delle famiglie di api. Alcuni studi evidenziano che : temperature di 12 °C senza precipitazioni e 16 °C con associate piogge inibiscono l’attività di volo delle api; -con temperature superiori a 34,5°C sono stati osservati deficit nei processi di apprendimento e memorizzazione, con perdita del senso di orientamento delle api operaie; - concentrazioni pari all’1,5% di CO2 e temperature superiori a 35 °C all’interno dell’arnia inducono nelle api un’a-

spettativa di vita molto più breve rispetto alla media; - le perturbazioni climatiche e/o atmosferiche inducono anomalie di comportamento per alcune specializzazioni all’interno della colonia. Alle carenze di polline all’interno della colonia risulta più sensibile la sotto-casta delle nutrici, che hanno la capacità di comunicare tale carenza alle bottinatrici attraverso il contatto e/o la trofallassi, allo scopo di stimolarne l’attività di bottinamento. È accertato che le api possono sopravvivere con una dieta di soli carboidrati ma, l’aggiunta di proteine, oltre ad essere fondamentale per un corretto sviluppo dell’organismo, garantisce un aumento di longevità. Una dieta povera di proteine induce nelle api una diminuzione della risposta immunitaria individuale e sociale, in quanto riduce l’attività metabolica degli emociti, l’attività della glucoso-ossidasi ed inoltre la massa del corpo grasso. Il corpo grasso è un tessuto di riserva distribuito in tutto il corpo dell’insetto, dove risulta suddiviso in uno strato periviscerale che avvolge gli organi, e uno strato parietale posto al di sotto della cute; esso consente di immagazzinare sostanze nutritizie elaborate (lipidi, proteine, car-


boidrati), rendendole disponibili alle api nei momenti di difficoltà (inverno ed avversità climatiche), garantendo loro un buono stato di salute e maggiore longevità. La funzione di riserva del corpo grasso è fondamentale durante la fase larvale, in quanto una larva sottoalimentata non potrà dare vita ad un’ape adulta sana ed efficiente. Le larve di ape infatti devono accumulare una quantità di sostanze nutritizie sufficienti per sopravvivere, oltre che durante la metamorfosi, anche per la durata della vita da adulte, in quanto le api adulte si limitano a mobilizzare le sostanze di riserva stoccate nel corpo grasso. Le dimensioni delle cellule del corpo grasso (trofociti) aumentano durante la fase larvale, per l’intensa sintesi proteica in atto; esse diminuiscono durante la fase pupale, in quanto vengono usate le sostanze stoccate per la metamorfosi; il corpo grasso infine diminuisce nella fase adulta, nel passaggio dallo stadio di nutrice a quello di botti-

natrice e quando vi è una carenza di polline, in quanto le nutrici, per alimentare la covata, devono utilizzare le sostanze in esso stoccate. Le api svernanti devono avere la possibilità di formare, nel periodo estivo-autunnale, un corpo grasso ben assortito, così da poter garantire alla famiglia la forza necessaria per svernare. Infatti, in inverno, le api per produrre calore a partire dagli alimenti zuccherini, utilizzano sostanze catalizzatrici, come vitamine ed oligoelementi che, qualora non siano contenute nel cibo, devono essere mobilizzate dal corpo grasso, con influenze negative sulla loro longevità. Nel corpo grasso viene sintetizzata ed accumulata la vitellogenina, una lipoproteina che ha un ruolo chiave per la sopravvivenza delle api invernali in quanto, con l’interruzione della deposizione della regina per il sopraggiungere dell’inverno, le giovani nutrici avranno sempre meno api da accudire, per cui accumulano vitellogenina in modo da assicurare

alla colonia le riserve necessarie per il superamento dell’inverno. Altre funzioni della vitellogenina comprendono: • contrasto allo stress ossidativo ed all’invecchiamento dei tessuti; • buon funzionamento del sistema immunitario dell’ape per la formazione di cellule immunitarie nell’emolinfa (peptidi antimicrobici); • possibile ruolo nel superamento degli effetti tossici dei pesticidi. Risulta evidente come nell’ape, una carenza dello stato nutrizionale e in particolare di quello proteico, dovuta a cambiamenti climatici, sofferenze della vegetazione, pressione antropica con conseguente riduzione di abbondanza e diversità delle risorse ambientali per perdita degli habitat naturali ed il diffondersi delle monocolture, si riflette pesantemente sullo sviluppo del suo sistema immunitario, sul suo stato di salute e sulla sua longevità. Santo Panzera

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AGENDA LAVORI. ISOLE. SICILIA

SFRUTTARE LE RISORSE BOTANICHE ALTERNATIVE

SE LA SCARSITÀ DI COLTURE TRADIZIONALI È UNA COSTANTE di Vincenzo Stampa

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ome si racconta, i cartografi dell’Impero Romano indicavano i territori oltre i confini come “hic sunt leones”, come dire zona sconosciuta ed anche pericolosa. Gli avvenimenti climatici, in particolare durante l’ultimo ventennio (in relazione all’allevamento a scopo economico delle api), hanno portato un poco alla volta, anno dopo anno, l’Apicoltura in un terreno sconosciuto; si sono modifica-

ti e alle volte sono venuti a mancare i riferimenti storici con il regno vegetale, con grave danno per le attività e pericolo per la stessa sopravvivenza degli alveari, la frase “hic sunt leones”, come accezione simbolica, credo che sia adeguata a descrivere lo stato in cui è finita l’apicoltura. Il disorientamento degli apicoltori è ormai apertamente dichiarato di fronte a fenomeni meteo chiaramente imprevedibili e ingoverna-

NEL GENERALE DISORIENTAMENTO ISPIRIAMOCI AI SEGNALI NATURALI

Foto 1 - Boerhavia repens subsp. viscosa: prospera, fiorisce e produce in terreno incolto anche in assenza prolungata di poggia.

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Fig. 1 - Carta dei territori boscati e degli ambienti seminaturali, delle aree di intervento e di non intervento (aree buffer) individuati in Sicilia.

bili, i quali hanno influenza sulla fisiologia delle piante e di riflesso sulla produttività e perfino sulla vita degli alveari. Le osservazioni, ripetute negli anni, sono molteplici e riguardano il comportamento delle api rispetto ad alcune fioriture sulle quali, in Sicilia, si è fatta la storia dell’apicoltura; parliamo del mandorlo, della sulla, degli agrumi e del timo. Ci sono molti segnali che ci indirizzano a formulare delle ipotesi per un tentativo di comprensione dei fenomeni. Durante la stagione astronomica denominata “inverno” i fruttiferi, agrumi esclusi, perdono le foglie? Non è più così! In particolare, i mandorli non solo non perdono le foglie ma vegetano emettendo nuovi germogli: è l’effetto combinato delle alte temperature e delle piogge, anche rade, che simulano una (tardiva o precoce?) primavera. Mentre la fioritura si realizza a calendario più o meno con puntualità, ricordiamo che l’ormone florigeno si attiva in funzione delle ore di luce, i mandorli non producono nettare e questo ce lo dicono le api

che non frequentano più da anni questa fioritura, lo stesso dicasi per la fioritura di altri fruttiferi tra cui gli agrumi. Fenomeno preoccupante non solo dal punto di vista economico, ma anche come misura indiretta di quanto è profonda la modifica del clima. Gli agronomi ci suggeriscono una probabile giustificazione su questo anomalo comportamento delle piante da frutto: mancando l’inverno metereologico è venuta a mancare la quota di freddo di cui ogni pianta ha bisogno al fine di una efficace ripresa primaverile. Come dire che alla stagione astronomica non corrisponde più la stagione climatica. E non ci fermiamo qui: altro esempio è la sulla che soffre per gli sbalzi termici giorno/notte per cui le api iniziano a bottinare questa fioritura attorno alle undici del mattino per poi smettere intorno alle quindici, raccolto appena e non sempre sufficiente a mantenere gli alveari, ma senza apporto nei melari. Abbiamo un riscontro oggettivo; gli stessi apicoltori che non hanno avuto raccolto dagli apiari posizio-

nati nelle sconfinate distese di sulla delle zone interne della nostra Isola, hanno invece ottenuto del miele di sulla nelle aree rivierasche dove gli sbalzi termici giorno/notte sono minori per l’azione mitigatrice del mare. Tutto ciò dal punto di vista dell’apicoltore. Proviamo a guardare la situazione partendo dai bisogni dell’alveare, anche senza l’uomo. Cominciamo col ripetere che l’alveare fa il bilancio raccolto/consumi quotidianamente e d’altronde non potrebbe essere altrimenti in considerazione della variabilità, non solo stagionale, delle fonti di approvvigionamento. Il meccanismo per minimizzare gli effetti di questa variabilità agisce principalmente sul volume di covata in quanto è proprio la covata la responsabile principale dei consumi dell’alveare per cui, in un periodo di raccolto abbondante la covata si espande in caso contrario tende a ridursi con l’effetto del risparmio delle scorte. Teniamo presente anche la necessità di avere per gran parte dell’anno un apporto continuo di alimento per mantenere una popolazione in grado di fare un grande raccolto nel momento in cui esplode una vasta e intensa fioritura. Una risposta a questa esigenza potrebbe essere la collocazione degli alveari in aree incolte, anche demaniali, le quali presentano una ricca diversità di specie botaniche, ciascuna con un proprio ciclo di sviluppo stagionale, quindi una continua fonte di alimento in alternanza stagionale che, oltre tutto, 7-8/2021 | Apitalia | 29


AGENDA LAVORI. ISOLE. SICILIA garantisce l’approvvigionamento di pollini assortiti, situazione ottimale per l’alimentazione delle api. Da una ricerca pubblicata sul “Journal of Silviculture and Forest Ecology” (1), ad esempio, si ricava che in Sicilia il 16% del territorio regionale è rappresentato da Territori boscati e ambienti seminaturali, mentre le aree a pascolo naturale e a prateria, individuate all’interno delle aree definite di intervento, ne occupano il 6,7% (vedi Figura 1). Abbiamo quindi delle buone basi di stazionamento che, insieme alla pratica del nomadismo, possono dare alle api un valido sostegno alimentare e all’apicoltore una maggiore probabilità di produzione. Mentre, come si è detto, gli inverni caldi possono essere un problema per alcune colture arboree, altre specie botaniche invece se ne avvantaggiano e possono essere utili all’apicoltura anche a fine produtFoto 2 - Il professor Stampa (a destra) e l’agronomo La Mantia; sullo sfondo le ex stalle Borboniche.

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tivo, pensiamo al noto Asfodelo (Asphodelus albus L.), a fioritura precoce tra gennaio e febbraio secondo l’altitudine, al meno noto ma altrettanto ubiquitario Camedrio (Teucrium fruticans L.), in fiore da febbraio a maggio, fioriture sulle quali è possibile produrre dei monoflora; tra le fioriture estive meno note il Verbasco (Verbascum sinuatum L.), il sommacco (Rhus coriaria L.). È chiaro che ogni territorio ha le sue specificità botaniche gradite alle api e potenzialmente utili per una produzione, è altrettanto chiaro che l’apicoltore deve adeguarsi la cambiamento, imparare a riconoscere le alternative disponibili e programmare un piano di allevamento adatto allo sfruttamento delle risorse botaniche del suo territorio. Non possiamo trascurare le “new entry” specie aliene naturalizzate in Sicilia tra cui molte ornamentali gradite alle api ma di scarsa importanza apistica per la presenza sporadica nel territorio. In questo ambito abbiamo però un’eccezione rappresentata dalla Boerhavia strisciante vischiosa (Boerhavia repens subsp. viscosa (Choisy) Maire) presente soltanto in Sicilia (Foto 1). Segnalata per la prima volta nel 1967 da A. De Leo (2), Direttore dell’Orto botanico di Palermo, pianta ad alto valore diffusivo con bassa esigenza idrica, fiorisce da maggio a novembre, è stata riscontrata in varie località dell’isola. L’abbiamo fotografata, a fine luglio, nel Parco della Favorita, ex riserva di caccia di Ferdinando III

di Borbone, un’area estesa su circa trecento ettari con essenze arboree e arbustive della macchia mediterranea e sessanta ettari di agrumeti coltivati con tecniche tradizionali e irrigati con un impianto canalizzato di stile arabo; in questo ambito la Boerhavia è presente da circa 15 anni. Il parco, il cui microclima è subtropicale marittimo, corre alla base ovest del Monte Pellegrino e ospita due piccoli apiari amatoriali che raccogliendo sulla Boerhavia, unica pianta fiorita nel periodo, stanno riempiendo i melari. È qui che siamo stati guidati nella visita dall’Agronomo Giuseppe La Mantia dirigente dell’Area del Decoro Urbano e del Verde del Comune di Palermo che vanta in città la presenza di settantamila piante di alto fusto. La visita si conclude nell’edificio delle ex stalle Borboniche restaurate ed adibite a centro direzionale dell’area per il decoro urbano (Foto 2). Un luogo che oltre a ospitare alveari, ispira certamente noi apicoltori. Vincenzo Stampa

BIBLIOGRAFIA (1) Individuazione di aree ecologicamente omogenee e di un sistema di aree a priorità di intervento per l’ampliamento della superficie forestale in Sicilia. Maetzke F, Cullotta S, La Mantia T, La Mela Veca DS, Pizzurro GM. Italian Society of Silviculture and Forest Ecology vol. 5, pp. 280-295 - online: Oct 10, 2008 (2) De Leo A., 1967. Una nuova avventizia nel Palermitano: Boerhavia repens Lin. ssp. viscosa (Choisy) Maire. Lav. Ist. Bot. Giardino Colon. Palermo; 22; 72-76.


SPECIALE BIOTECNICA

La FAI-Federazione Apicoltori Italiani, già all’inizio del 1990, diede per la prima volta alle stampe una delle sue più indovinate pubblicazioni. Il titolo “Apicoltura Logica e Razionale”, voleva essere un itinerario guidato alla conduzione biotecnica dell’alveare. Il volume, stampato su carta riciclata (cosa non banale per quei tempi), rappresentava l’affermazione di un Autore, nella persona di Michele Campero, che si era già cimentato con agili manuali pratici, improntati alla logica semplificazione delle basilari tecniche di tecnica apistica. Ma anche al lancio di un nuovo modo di pensare la conduzione degli alveari, facendo ricorso a biotecniche che avevano lo scopo di migliorare il benessere delle api e ridurre l’azione devastante dell’acaro Varroa. (continua a pag. 32)


SPECIALE BIOTECNICA La prefazione alla prima edizione di questo volumetto, recava la firma dell’allora presidente della FAI-Federazione Apicoltori Italiani, dr. Silvestro Cannamela, il quale esordiva così: “Siamo fuori dall’emergenza varroasi? Può bastare la disponibilità di qualche specialità anti-varroa, di specifica natura chimica, perché gli apicoltori italiani dormano sonni tranquilli e duraturi? No, purtroppo gli esperti ci dicono di no! E ci ricordano che l’acaro, nemico dei nostri alveari, altro non è che una macchina straordinariamente capace di resistere ad ogni aggressione che nei suoi confronti l’uomo intenda effettuare. Da qui, da questa incontrollabile per ora peculiarità della Varroa destructor Anderson & Trueman, nasce la debolezza e il limite di ogni trattamento disinfestante che l’apicoltore voglia attuare all’interno dei suoi alveari. Un errato dosaggio, una somministrazione nel momento sbagliato, altre variabili ancora poco note sul meccanismo d’azione dei diversi prodotti, e il gioco è fatto: la varroa, invece di cadere colpita a morte rimane stordita sul fondo dell’alveare e torna, appena può, a danneggiare l’ape. E questa varroa, nel riprodursi, darà vita a ceppi resistenti e ben assuefatti a qualunque principio attivo. C’è poi un altro rischio che nella frenetica ricerca di nuovi sistemi di lotta alla varroa gli apicoltori stanno correndo: tradire la fiducia del consumatore facendo un uso improprio dei prodotti anti-varroa. Sappiamo tutti che nel caso delle api questo rischio è ridotto al minimo: la stagionalità degli interventi e i dosaggi infinitesimali sono elementi a nostro indiscutibile vantaggio. Sono elementi, però, che non possono giustificare l’inosservanza di norme basilari di buon comportamento nei confronti delle api, dei suoi prodotti e quindi, in ultima analisi, del consumatore. Il futuro dell’apicoltura italiana, ne siamo convinti e vorremmo ne fossero altrettanto convinti tutti gli amanti dell’ape, passa soprattutto attraverso, la qualità superiore delle nostre produzioni. La lotta biomeccanica, che l’appassionato apicoltore Michele Campero ha escogitato e qui propone con abbondanza di consigli ai suoi colleghi, 32 | Apitalia | 7-8/2021

e con essa tutti quegli interventi tecnici o biologici che possono essere effettuati nel corso della stagione apistica, sono il nostro “salvagente”. Ad esso dobbiamo aggrapparci senza indugio ogni volta che lavoriamo con i nostri alveari. Guai a coloro che si difendono lamentando la complessità di questi interventi: la moderna apicoltura che vediamo nel prossimo futuro è quella praticata da appassionati cultori dell’ape sì, con uno o mille alveari non importa, ma tutti accomunati da uno spirito di gruppo e da una ambizione di professionalità che non lasciano libero neanche uno spazio, sia pur minimo, per chi vuol fare a modo suo, in fretta, con facilità e a costo zero, quello che è invece dettato da una antica e rigorosa disciplina che oggi va trasformandosi in moderna professione.” Una sola cosa merita forse di essere aggiunta a questa “Premessa”: le parole che avete fin qui letto, sono state scritte esattamente venti anni fa. È vero e per dimostrarlo avete a disposizione un piccolo indizio: l’acaro varroa, che allora era stato battezzato con il nome di Varroa jacobsoni Oudemans, solo in anni più recenti è stato riclassificato come Varroa destructor Anderson & Trueman. Differenze sistematiche a parte, ciò che risulta sorprendente è che si tratto dello stesso testo che introduceva la precedente edizione di questo volume. Furono “vergate”, all’epoca, dal mio predecessore Silvestro Cannamela (1924-2006). Nel rileggere queste parole, traslate oggi in una realtà dove tutto appare rivoluzionato anche in apicoltura, emerge la consapevolezza che la visione dell’epoca è ancora perfettamente attuale. Perché immutabili sono i ritmi biologici e le regole che governano la vita e la riproduzione degli esseri viventi. È per questa ragione che ci siamo limitati a riproporle, senza alcuna modifica. In tutti questi anni, infatti, è apparsa chiara una cosa: la scorciatoia della lotta chimica alla varroa ha interessato una parte prevalente della famiglia apistica italiana e internazionale. Questo nonostante Campero, come diversi altri Apicoltori insieme a lui, abbia-


no dimostrato che controllare la varroa, senza l’aiuto di prodotti di sintesi, è possibile: a vantaggio della biologia delle api, della qualità dei prodotti dell’alveare, della salute dell’Apicoltore e del suo interesse economico. Un’opportunità che non tutti hanno saputo o voluto cogliere, portando oggi gli allevamenti apistici ad uno stato di evidente degrado: la varroasi è ancora una preoccupazione diffusa, la lotta biotecnica non è applicata e tanto meno propagandata/illustrata come meriterebbe, i livelli di infestazione e reinfestazione non sono mai stati così elevati come in questo periodo. È parso doveroso dunque, reiterare un appello pensato allora per far maturare presso il più gran numero possibile di Apicoltori un elevato senso di responsabilità, un’etica della nobile arte di allevare le api e, in ultima analisi, una buona pratica apistica come oggi si dice nel moderno lessico tecnico-legislativo.

Appello che oggi, con il senno di poi, risulta dunque ancora attuale, opportuno e addirittura indispensabile. Il ricorso alla pratica della conduzione biotecnica, infatti, che potrà anche apparire oneroso e improponibile a chi non vuole fare neppur un minimo sforzo per modificare vecchie abitudini ancorché nocive ed improduttive, rappresenta l’unica strada possibile per curare le api garantendo la qualità assoluta del miele, della cera e degli altri prodotti dell’alveare. Questo manuale pratico, arricchito oggi dall’ininterrotta e positiva esperienza dell’Autore e dei suoi estimatori, vuol essere lo strumento di valorizzazione di quella parte dell’Apicoltura italiana che sceglie quotidianamente di privilegiare la salute delle api e la qualità dei prodotti apistici, nel pieno rispetto degli equilibri del superorganismo alveare. Non pensiamo ci sia altro da aggiungere se non, dopo ormai 30 anni di tempo dalla prima edizio-

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SPECIALE BIOTECNICA ne, che Campero è stato un visionario e noi con lui per averlo pubblicato e diffuso ad un ampio pubblico, italiano e internazionale, dando vita a una numerosa corrente di pensiero e di azione che considera l’ape una creatura meritevole di essere rispettata anche quando la difendiamo dai suoi peggiori parassiti. Raffaele Cirone OSSERVARE, CAPIRE, AGIRE Per “apicoltura logica” si intende l’intervenire in stretto rapporto con la necessità dell’alveare seguendo la logica delle api. Per “logica delle api” si intende quel loro sistema di vita spontaneo ed appropriato all’ambiente in cui l’alveare si trova. Esso va sempre visto e considerato in rapporto al suo ambiente, mai come una cosa indipendente. Solo in questo modo si riesce a capire qual è la logica delle api. Poiché questi insetti non possono comprendere l’uomo si deve cercar di capire le api, così da poterle assecondare nel loro sistema di vita per ottenere il massimo di soddisfazione. Non si deve considerare soddisfacente solo il quantitativo di miele prodotto bensì tutti i risultati di un buon allevamento quali: salute, selezione, funzionalità del materiale, controllo, guida e prevenzione della sciamatura, favi perfetti e completamente a celle femminili, ecc. Affinché l’apicoltura sia logica, è indispensabile che l’apicoltore osservi la globalità dell’ambiente, ossia: la temperatura, il clima ed i venti, le fioriture, le fonti di polline, di nettare, di melata e di propoli, l’acqua ed il comportamento spontaneo all’interno e all’esterno dell’alveare. “Il successo in apicoltura dipende dall’attenta osservazione dell’evoluzione naturale dell’alveare” (Zander). Con l’attenta osservazione si può constatare che le api hanno un ambito di tolleranza nelle loro azioni: ed è proprio in questo ambito che gli apicoltori possono operare per sfruttarle in modo intelligente e “logico”. Con l’osservazione si deduce anche che occorre agire tempestivamente pur sempre e solamente rispettando la logica delle api. Troppo spesso l’apicoltore opera trascu34 | Apitalia | 7-8/2021

rando certi principi naturali sui quali è basata la vita delle api, disturbando e sconvolgendo l’organizzazione di questa meravigliosa società. Credendo di poter convincere questi insetti a fare ciò che si vuole, ci si sobbarca un’enormità di lavoro e spese inutili, per avere in cambio poche e misere soddisfazioni. Nel rapporto ape/apicoltore chi ha da imparare l’uno dall’altro è l’apicoltore, poiché le api non saranno mai disposte a collaborare con lui: spetta a questi imparare a collaborare con le api. E per poter collaborare occorre osservare, capire ed agire. La descrizione dell’evoluzione dell’alveare che seguirà, ci dà la possibilità di individuare i punti essenziali ed indicativi su cui si basa un’apicoltura razionale ed intensiva. È da tener presente che tutte le osservazioni del comportamento sono state effettuate su colonie operanti in ambiente prealpino e clima continentale. Per capire quali sono i punti basilari su cui fa perno l’evoluzione naturale di una colonia d’api occorre osservare il comportamento di uno sciame in una cavità sufficientemente ampia. L’ampiezza di questa cavità deve essere tale da contenere interamente lo sviluppo della colonia durante il primo e il secondo anno. Inoltre le pareti della cavità non devono condizionare in nessun modo la costruzione dei favi per cui le costruzioni in cera saranno ancorate solamente al soffitto. Occorre ricordare che uno sciame naturale (primario) è composto da api di età diversa; una regina feconda, api bottinatrici, api giovani che da poco hanno fatto i primi voli d’orientamento, api giovanissime che non sono mai uscite dall’alveare (api di casa). Inoltre bisogna tenere presente che la regina negli ultimi giorni trascorsi nell’alveare-ceppo è stata sempre meno nutrita dalle operaie giovani per far sì che i suoi ovari cessassero di dare uova ed il suo corpo si snellisse e si alleggerisse quel tanto da permetterle di prendere il volo con lo sciame; in tal modo, quando lo sciame si stabilisce nella cavità, la regina non è in grado di deporre subito.


Foto 1 - Aspetto schematico del nido costruito da uno sciame in una cavità sufficientemente ampia.

Occorre che le api la stimolino con la gelatina reale per farle riprendere, dopo due giorni circa, la deposizione. COMPORTAMENTO DELLA COLONIA NEL PRIMO ANNO DI SVILUPPO Lo sciame, dopo aver preso possesso della cavità (abitacolo), dà il via alla costruzione dei favi partendo generalmente dal centro della volta dell’abitacolo stesso. In rapporto alla grandezza del o dei fori di accesso alla cavità, alla sua posizione e ai venti dominanti, le api scelgono la giusta direzione nella quale verranno costruiti i favi. In questo modo, la colonia riesce ad ottenere una buona ossigenazione in tutti gli spazi di interfavo evitando correnti d’aria sgradevoli e nocive. Quando il primo favo ha raggiunto la lunghezza di pochi centimetri, le ceraiole, api giovani produttrici di cera, iniziano a costruire, su entrambi i lati della prima costruzione, altri due favi paralleli a distanza interassiale di 37 mm circa (Fig. 1). Se lo sciame è consistente e l’ambiente esterno è favorevole, le ceraiole continueranno la costruzione di più favi paralleli ad uguale distanza tra di loro; tra tutti, il favo centrale è sempre più lungo mentre, allontanandosi dal centro, gli altri

presentano lunghezza minore, dando così all’insieme la forma di cuore, forma che si riscontra anche nel favo visto frontalmente. Poiché nei primi due giorni di costruzione la regina non depone, le api ne approfittano per preparare un ambiente accogliente per ospitarne la futura prole. Nella parte superiore di ogni favo, il “melarietto”, viene immagazzinato miele; nel lato più caldo della cavità, l’altezza della cornice di miele è di gran lunga inferiore rispetto a quella del lato più freddo (nord). Al di sotto questa cornice viene immagazzinato il polline ben concentrato in una fascia che segue l’arco descritto dal melarietto; esso occupa solo la metà o poco più della lunghezza delle celle ed è uniformemente ben compresso (Fig. 2). Trascorsi due giorni circa dall’insediamento, la regina inizia a deporre nelle celle appena sotto la cornice di polline, all’incirca nel mezzo del favo centrale che è il più grande e il più caldo. La rosa di covata è compatta, di forma circolare od ovale e va di giorno in giorno estendendosi e mantenendo la concentricità iniziale. La covata viene estesa anche sui favi laterali ma con rose sempre meno grandi: più i favi sono lontani dal centro del nido, sempre meno covata, di forma sferica o quasi, contengono, permettendo così alle api di scaldarla con il minor dispendio di energie. 7-8/2021 | Apitalia | 35


SPECIALE BIOTECNICA La regina aumenta costantemente il ritmo di deposizione e, parimenti, le ceraiole ampliano la costruzione in modo sempre molto proporzionato mantenendo la forma a cuore di ogni favo e del loro insieme e provvedendo al loro fissaggio al soffitto in modo adeguato alla grandezza e al peso degli stessi. Ingrandendo i favi e conservando la covata circolare, la colonia ha la possibilità di aumentare l’area del melarietto e quella del polline su ogni favo con covata. In condizioni ambientali ottimali la regina espande la deposizione ininterrottamente per 21 giorni; dopo tale periodo la covata deposta il primo giorno, che si trova in alto appena sotto il polline, inizia a sfarfallare. A questo punto le api riempiono di miele le celle appena liberatesi, allungando verso il basso il melarietto e impediscono alla regina di deporvi nuovamente, costringendola ad ampliare la covata nella parte inferiore dei favi e dando così inizio ad una progressiva discesa della stessa. Il polline che si trova appena sotto le celle liberate dallo farfallamento viene coperto da uno strato di miele ed infine opercolato. Queste operazioni di discesa della covata e del miele

permettono alle api di lasciare dietro di sé una provvista di polline ben conservato che servirà per lo sviluppo della prima covata dell’anno successivo. Da notare che le provviste di polline si trovano solo sui favi costruiti per ospitare la covata ed esclusivamente nelle celle piccole, da operaie. Il settore superiore o melarietto è costruito a favi spessi: lo spazio tra i favi di miele è grosso modo uguale allo spessore del corpo di un’ape, mentre tra i favi contenenti covata le api lasciano uno spazio circa il doppio, per far sì che il melarietto possa contenere più miele possibile e tra la covata possano lavorare due strati di operaie, uno per ogni facciata dei favi. Quando l’ambiente offre buoni raccolti e il numero delle bottinatrici è sufficiente, il melarietto non basta più per contenere tutto il bottino: allora la colonia si organizza e costruisce altri favi laterali. Essi hanno una distanza interassiale maggiore di quella che si nota tra i favi di covata, sono di spessore superiore a quelli del melarietto e sono costruiti a celle grandi come quelle da fuchi, contrariamente a tutte le celle di covata costruite nel primo anno che sono da operaie. Si può dedurre che le api, nel costruire i

Foto 2 - Disposizione delle scorte di miele e di polline e della prima rosa di covata da operaie sul favo appena costruito dallo sciame.

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Foto 3 - Disposizione delle scorte di miele e di polline, della covata da operaie e della covata da fuchi durante il secondo anno.

favi laterali, cerchino di usare il minimo di cera ed ottenere il massimo di capacità dai favi e, per ottenere ciò, costruiscono a celle grandi. Difficilmente queste celle grandi (da miele) verranno in seguito usate per allevare fuchi essendo fuori dalla sfera di covata, quindi difficilmente controllabili tecnicamente. In un ambiente povero di risorse nettarifere le api si limitano all’uso del melarietto per l’immagazzinamento del miele senza costruire i melari laterali. Ritornando ad osservare lo sviluppo della covata si noterà che questa va calando verso il basso, lentamente ma costantemente; con l’arrivo delle prime notti fresche, agosto/settembre secondo le zone, la discesa si arresta. A questo punto le api girano una pagina del loro calendario: la covata comincia a ridursi e lentamente risale verso il soffitto della cavità; così che l’ultima rosa di covata viene a trovarsi a ridosso del melarietto ed è in questa zona che si formerà più tardi il centro del glomere. Nella risalita, man mano che la covata diminuisce, la colonia colloca il miele fresco sempre più vicino al centro del nido, in modo da poterne disporre comodamente durante la stagione invernale. 38 | Apitalia | 7-8/2021

Con le prime notti fresche la colonia inizia anche a sistemare gli accessi alla cavità; costruisce con propoli e cera pareti e colonne atte a regolare l’ossigenazione all’interno e a deviare le correnti fredde nel modo più adeguato alle necessità della colonia durante il periodo invernale; in questa fase della sua vita, la famiglia è abbastanza numerosa ed è composta di api di tutte le età, ma è sprovvista di covata. Nelle belle giornate invernali ma con temperatura mite, che permette alle api di sciogliere il glomere e fare qualche volo di purificazione, verranno portati all’esterno i corpi delle api morte di vecchiaia durante il periodo di freddo così che alla fine dell’inverno la colonia originale risulterà notevolmente ridotta. Ricapitolando brevemente quanto sopra, i punti che caratterizzano lo sviluppo della colonia durante il primo anno sono i seguenti: • inizio del primo favo al centro della cavità; • orientamento dei favi in rapporto agli accessi e ai venti dominanti; • posizione del miele e del polline, come in Fig. 2; • inizio della deposizione da parte della regina due giorni circa dopo l’insediamento dello


sciame nella cavità; • discesa della covata dopo 21 giorni; • copertura del polline per l’inverno con il miele; • costruzione, per la covata, di sole celle da operaie; • costruzione di favi spessi per immagazzinare il miele; • risalita della covata nella tarda estate; • preparazione degli ingressi per affrontare i rigori dell’inverno. COMPORTAMENTO DELLA COLONIA NEL SECONDO ANNO DI SVILUPPO In febbraio la regina inizia nuovamente la deposizione adeguando il quantitativo di uova alla grandezza della colonia, alle scorte di miele e polline e alla temperatura. La prima rosa di covata è creata il più in alto possibile, appena sotto le provviste superiori del favo centrale; in questa zona la colonia riesce con maggior facilità a produrre il calore necessario per la covata. Per 21 giorni non ci sono nascite di api nuove ma solo covata in espansione, dopo di che sfarfalla quella deposta nel primo giorno. Se le api in sfarfallamento sono in numero inferiore alla quantità delle api che muoiono, la colonia invece di crescere diminuisce. Se le dinamiche si eguagliano, l’entità della colonia rimane quella che è, fintanto che la temperatura esterna non viene in aiuto e solo così la colonia può far nascere più api di quante ne muoiano. Se invece già dall’inizio della deposizione la famiglia è numerosa, riesce a produrre più calore e solamente in quest’ultima condizione la colonia riesce ad avere uno sviluppo precoce e costante, però sempre in rapporto all’ambiente. Al termine dello sviluppo di fine inverno e di inizio primavera, i favi costruiti per la covata dell’anno precedente (primo anno) sono nuovamente tutti presidiati dalle operaie. Questo periodo coincide normalmente con l’insorgere della tendenza, in ogni famiglia stabile, ad allevare fuchi. Nel caso la colonia si trovasse in un abitacolo piccolo senza più spazio per costruire celle da fuchi, può pazientare per un paio di set-

timane, ma poi si organizza e in qualche modo riesce ad ottenere qualche fuco proprio. Però non potendo dar sfogo a questo loro istinto, le api si preparano precocemente alla sciamatura. La cavità presa in considerazione nelle nostre osservazioni è però così grande da poter contenere il pieno sviluppo del primo e anche del secondo anno, per cui le api possono osservare il comportamento logico della colonia anche in questo momento delicato. Per ottenere dei fuchi e nello stesso tempo mantenere la forma sferica della covata, le api devono costruire celle grandi nel settore della covata. I favi laterali per il miele, come già detto, non si prestano per questo allevamento perché sono fuori della zona di covata. Allora le api ampliano i favi, fanno scendere l’arco del miele e quello del polline, quindi, nella parte posteriore (la più fredda) creano il “settore fuchi” (Fig. 3). La scelta del collocamento di queste celle maschili potrebbe essere così spiegata: l’allevamento dei fuchi dura poche settimane, dopo di che il “settore fuchi” non serve più per stipare del polline né tanto meno per allevare delle operaie, ma solamente per immagazzinare del miele. Riempiendo questo settore di miele, le api prolungano l’arco posteriore del melarietto; una programmazione più saggia non potrebbe esistere. Inoltre, in caso di tempo inclemente prolungato, la colonia rinuncia ad un’eventuale preparazione alla sciamatura, per cui i fuchi non la interessano più; essa deve riunirsi per scaldare la covata e se non riesce a coprirla tutta, una parte deve essere trascurata: in particolare, sarà quella maschile che si trova nella parte più difficile da scaldare; inoltre non essendo al momento più necessaria, sarà naturalmente abbandonata. In seguito, il settore fuchi può essere guarnito nuovamente di covata o riempito di miele a seconda dell’ambiente e della stagione. Nel secondo anno, la discesa progressiva della covata, le provviste di polline sotto il miele, la risalita della covata e la preparazione degli accessi alla cavità avvengono come nel primo anno. Nel periodo caldo vengono allargati i fori di in7-8/2021 | Apitalia | 39


SPECIALE BIOTECNICA gresso secondo necessità. Nello sviluppo del secondo anno, le api possono ampliare i favi che costituiscono i melari laterali continuando a costruirli a celle grandi. È da notare che i favi non vengono mai costruiti così lunghi da toccare il fondo della cavità: le api vi lasciano sempre un’anticamera per ospitare le bottinatrici che nelle giornate di pioggia non possono andare al lavoro. Ciò che caratterizza il secondo anno di sviluppo rispetto al precedente è il comportamento delle operaie nei confronti della regina e la presenza di covata maschile. Quando una colonia alleva fuchi significa che intravede un’eventuale necessità di sostituire la regina con o senza sciamatura, tuttavia la sostituzione della regina non è causa né effetto, talora, dell’allevamento dei fuchi, attività che può durare anche per tre generazioni indipendentemente dalle condizioni di cui sopra. La sostituzione della regina senza sciamatura, detta rimpiazzo, si verifica di norma nel corso dell’estate; è però possibile osservarla anche nel periodo della sciamatura. La colonia, volendo sostituire la regina senza sciamare, costruisce una o due celle reali (e in quest’ultimo caso demolisce la seconda cella reale dopo poco tempo) sulla facciata di un favo centrale nella zona della covata femminile. Questa cella viene quasi sempre costruita solo con cera nuova e chiara. Dopo l’allevamento, la maturità e la fecondazione, inizia il periodo di deposizione della nuova regina, anche se in tutto questo periodo la regina madre continua la sua attività ovodepositrice. Con il progredire dell’ovodeposizione da parte della giovane sostituta, la vecchia madre riceve sempre meno nutrimento e di conseguenza limita progressivamente, fino alla cessazione, la deposizione; a questo punto trascurata dalle operaie della propria corte, termina il suo ciclo vitale. Questo periodo di convivenza tra madre e figlia può essere abbastanza lungo, da pochi giorni ad un anno. Pur essendo ancora inspiegati i motivi naturali di tale convivenza, si può affermare che il rimpiazzo garantisce la continuità della 40 | Apitalia | 7-8/2021

deposizione evitando che il processo di naturale sostituzione alteri l’entità della colonia; inoltre si può affermare che esso fughi il pericolo di orfanità nella famiglia che continua così a costruire e lavorare normalmente. Quando la colonia decide di sostituire la regina con la sciamatura, essa costruisce abbozzi di celle reali: i cupolini; essi vengono di norma eretti sui bordi dei favi contenenti la covata femminile in quantità molto variabile, da un minimo di tre fino a venti o più. Appena viene deposto l’uovo nel primo cupolino, la colonia entra in febbre sciamatoria: cessa ogni produzione di cera ed ogni costruzione salvo l’allungamento dei cupolini, diminuisce anche il ritmo della raccolta allo stretto necessario per la nutrizione della covata aperta così che nulla viene più aggiunto alle scorte. L’inizio della febbre sciamatoria coincide con la progressiva diminuzione del nutrimento fornito alla regina onde ottenere l’alleggerimento indispensabile al volo durante la sciamatura. Diminuendo la deposizione ne consegue la riduzione della covata con sempre minor richiesta di nutrimento. Se il brutto tempo non ostacola il normale andamento di questa fase delicata, la febbre sciamatoria dura 9 giorni: dalla deposizione dell’uovo nel primo cupolino fino all’opercolatura della cella reale, dopo di che la famiglia si divide e lo sciame primario esce con la vecchia regina. Della metà circa degli individui adulti che rimangono nella cavità, pochissime sono le bottinatrici, avendo la maggior parte di esse seguito lo sciame. Prima della sciamatura le api si riempiono l’ingluvie di miele, che servirà loro da scorta per affrontare la grande avventura. Nella famiglia-ceppo rimangono parte delle api giovani, alcune bottinatrici, covata in parte opercolata e celle reali in tutti i diversi stadi di sviluppo. A sette giorni circa dall’avvenuta sciamatura si schiude la cella reale più vecchia; la regina neonata inizia la perlustrazione dei vari favi dell’alveare; ad un tratto essa si arresta appiattendosi sul favo ed emette dei suoni


acuti ritmici: “tuiiiiii-tuii-tuii”. Durante questo “canto” la piccola corte di api che circonda la regina si arresta anch’essa e si può udire la risposta delle giovani sorelle ancora rinchiuse nelle celle reali: “qua-qua-qua”; questi due canti aumentano gradatamente di frequenza e la giovane regina riesce con essi a localizzare le celle reali e ad ucciderne le occupanti onde rimanere, da sola, a capo della colonia. Qualora le operaie non rinuncino ad effettuare una seconda sciamatura, impediscono queste uccisioni addossandosi l’una all’altra a difesa delle celle reali; la regina, però non desiste e continua ad emettere il suo “canto” stimolando nuovamente l’istinto di sciamare nella colonia. La regina vergine esce, con la metà circa delle api adulte rimaste, formando un nuovo piccolo sciame; tale fenomeno può ancora ripetersi secondo le stesse modalità precedenti fino a quando non verrà permesso a una regina

neonata di trafiggere le consorelle: solo così si arresta la febbre sciamatoria. Non sempre la colonia tende a dare più di uno sciame e quindi permette alla prima regina di liberarsi delle rivali. Le celle reali trafitte vengono, in un secondo tempo, forate da un lato e liberate dal cadavere, quindi demolite dalle operaie. La regina vergine nei primi giorni di vita esegue voli di orientamento ed in seguito il volo nuziale, che può essere ripetuto più volte, dopo di che, fecondata, inizierà la deposizione che darà origine, fino alla primavera successiva, a sola covata femminile; se la deposizione richiederà più spazio di quello esistente, le operaie provvederanno alla costruzione di nuovi favi, ma sempre a celle piccole, da operaie, come avviene nel primo anno di sviluppo. Ricapitolando brevemente, i punti che caratterizzano lo sviluppo della colonia durante il secondo anno sono i seguenti:

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SPECIALE BIOTECNICA • impellente necessità di allevare fuchi; • settori ben distinti tra covata maschile e femminile; • anticamera sul fondo per ospitare le bottinatrici nei giorni caldi e piovosi; • inizio della febbre sciamatoria con riduzione dell’approvvigionamento nei limiti del consumo giornaliero; cessazione di ogni costruzione; • rimpiazzo: allevamento di una sola cella reale per la sostituzione della regina senza sciamatura. EVOLUZIONE DEGLI ALVEARI INDOTTA DAL PARASSITA VARROA Durante i primi anni di infestazione da Varroa negli alveari del nostro territorio i danni furono ingentissimi, poiché le api, non conoscendolo, non reagirono e subirono passivamente le conseguenze. Pertanto il patrimonio apistico collassò enormemente: migliaia e migliaia di alveari scomparvero e moltissimi tra quelli che si salvarono presentavano gravi danni, tanto da essere considerati dei “non valori”, ossia inutili. Col passare del tempo, però, gli alveari sopravvissuti, con l’aiuto degli apicoltori, iniziarono a reagire mettendo in atto nuove strategie di salvezza. Tra queste, le più evidenti sono: aumento dell’istinto sciamatorio, allungamento del periodo di sciamatura e maggior frequenza di sostituzione di regina. Tutto ciò va a collegarsi strettamente ad un palese aumento dell’allevamento di fuchi, sia come quantità sia come lunghezza del periodo. La maggior frequenza del cambio di regina è dovuto all’enorme calo di spermatozoi prodotti da tutti quei fuchi che, durante il loro sviluppo larvale, sono stati impoveriti di emolinfa da parte delle Varroe. A tal proposito, il ricercatore Johannis Weiss scrisse che quando una larva da fuco viene punta da più Varroe, si avrà come risultato finale un fuco con il 50% in meno di spermatozoi, pur mantenendo lo stesso volume di mucosa spermatica. Da quest’ultimo particolare ne consegue che quando la regina sente la spermateca piena, perde il desiderio di uscire ulteriormente in volo di accoppiamento, pur avendo incamerato sola42 | Apitalia | 7-8/2021

mente la metà degli spermatozoi necessari per soddisfare il proprio alveare. Le operaie, però, percepiscono questa carenza, quindi si sentono insoddisfatte e temendo che la propria regina non sia sufficientemente valida, tentano di sostituirla, quindi continuano ad allevare fuchi e questo è dovuto al fatto che l’alveare è condizionato da una “legge” naturale che lo obbliga a produrre fuchi prima di allevare nuove regine. Pertanto, ormai da alcuni anni e in quasi tutti gli alveari, sciami compresi, avviene la produzione di fuchi anche durante lo sviluppo. Tale evoluzione va tenuta in conto durante tutta la pratica apistica e in particolar modo nell’uso del Telaino Indicatore e del Telaino Indicatore Trappola a 3 settori, descritti nei capitoli seguenti. COMPORTAMENTO LOGICO E RAZIONALE DELL’APICOLTORE VERSO LE API L’osservazione dello sviluppo spontaneo della colonia d’api, descritta nel paragrafo precedente ha messo in rilievo una serie di punti fondamentali indispensabili all’esistenza dell’alveare (vedi punti dall’1 al 10 dello sviluppo del primo anno). Per praticare un’apicoltura logica e razionale occorre tenere in alta considerazione questi punti e rispettarli sempre. Inoltre, è necessario applicare un metodo di allevamento consono alla vita naturale delle api ed utilizzare un’attrezzatura funzionale, di facile realizzazione da parte dell’apicoltore. PRIMO ANNO DI CONDUZIONE DELLO SCIAME Anzitutto occorre procurare il materiale necessario: • un fondo d’arnia, possibilmente mobile, capace di contenere una buona parte delle bottinatrici durante i periodi piovosi (vedi punto 3 dello sviluppo del secondo anno); • 1 nido Dadant-Blatt o DU-CA; • 5 telaini da nido con fogli cerei; • il foglio cereo deve toccare la traversa inferiore


del telaino; non importa se non tocca il portafavo, infatti le api lo fissano prima al portafavo e poi allungano le celle; si devono preparare altri 3 o 4 telaini con foglio cereo da usarsi in seguito; • 1 diaframma; • 1 listello lungo 47 cm, largo 4,5 cm e spesso 0,8 cm; le sue estremità devono avere l’orecchietta uguale a quella dei telaini (Fig. 4A); • alcuni listelli (da 3 a 5, a seconda se il nido è da 10 o 12 telaini) come i precedente, larghi solamente 3,5 cm (Fig. 4B); • 1 escludi-regina con cornice solo nella parte superiore e alta non più di 1 cm; • 2 melari con favi o fogli cerei; • 1 coprifavo con foro per il nutritore; • 1 tettuccio. L’arnia, prima di essere popolata, deve essere collocata perfettamente in piano, servendosi della livella. Ciò si rende necessario poiché

la colonia d’api, quando costruisce i favi, dà la pendenza alle celle in rapporto alla “verticale”, traiettoria che unisce lo zenit al centro del globo terrestre; per esprimersi più semplicemente: le api danno la pendenza alle celle rispettando l’appiombo. Anche in seguito durante la transumanza, è importante che l’alveare sia sempre ben livellato onde evitare che le api si trovino a disagio. Modificare l’appiombo ad un alveare dopo la costruzione dei favi diventa un problema per la colonia, come lo sarebbe per le persone se si modificasse loro, sensibilmente, il livellamento del pavimento di un’abitazione. Lo sciame, anche se è molto grande, si inarnia su soli 5 telaini da nido e a questi si accosta il diaframma. Si copre lo spazio vuoto esistente tra il diaframma e la parete del nido facendo uso dei listelli: quello più largo trova posto contro la parete. Sul nido si posa l’escludi-regina con la cornice in alto, su quest’ultima va messo il me-

039.2873401 7-8/2021 | Apitalia | 43


Foto 5 - Distribuzione disordinata e non naturale dei fuchi (parte punteggiata) in favi derivanti da fogli cerei introdotti nell’alveare prima e durante il periodo di sciamatura.

lario. Infine vanno posti il coprifavo e il tettuccio. I listelli copri-vuoto impediscono alle api di costruire dei favi nello spazio tra il diaframma e la parete del nido, fissandoli all’escludi-regina o ai telaini del melario. Per chi pratica l’apicoltura tradizionale, i soli cinque fogli cerei del nido sembrano un po’ pochi, ma in realtà sono più che sufficienti, poiché in uno sciame, anche molto popoloso, vi è un solo individuo, la regina, capace di deporre normalmente; ad essa occorrono parecchi giorni per riempire di covata questi 5 favi. Essendo la quantità di favi del nido limitata, le api la riservano per la sola covata, a parte la cornicetta di miele. Se vi fossero più favi, la colonia sarebbe tentata di immagazzinare un po’ troppo miele in quelli laterali: a questo punto il nido non sarebbe più solamente nido nel vero senso della parola, ma un nido-melario. Per quanto riguarda lo spazio utile al contenimento delle api c’è il melario; se è necessario se ne mette un secondo. Prima di allontanarsi dallo sciame appena inarniato occorre dare un’occhiata all’orizzonte: se minaccia brutto tempo è prudente somministrare nutrimento. 44 | Apitalia | 7-8/2021

Nel giro di poche ore la giovane colonia si ambienta e si organizza: inizia dal centro del nido a trasformare i fogli cerei in favi, prepara le cornici di miele (o melarietto) e le fasce di polline nella parte superiore o posteriore dei favi da nido (vedi punti 1 e 3 dello sviluppo del primo anno). Non appena le mini riserve del nido sono preparate, le operaie portano il loro bottino giornaliero nel melario. Il primo miele che arriva nel melario viene collocato nel favo situato in posizione centrale rispetto ai cinque favi del nido. Nel frattempo la regina inizia la deposizione: dapprima lentamente, ben presto però intensificando l’opera e dopo pochi giorni raggiunge il suo ritmo massimo. Nella prima settimana dopo l’inarniamento, il consumo interno della colonia è quasi insignificante, infatti per 2 giorni circa la regina non depone; le prime uova deposte non sono molte e impiegano 3 giorni per schiudere; inoltre, dopo la schiusa, le larve per i 2 giorni successivi consumano pochissimo. Se la capacità bottinatrice dello sciame è considerevole, quasi tutto il raccolto di nettare viene stipato nel melario: quando nell’ambiente circostante abbonda il


nettare, il melario viene riempito in 8-10 giorni. A questo punto ognuno può porsi la domanda: quando bisogna visitare il nido, per dare spazio alla covata? Sapendo che la regina impiega mediamente 3 giorni per guarnire un favo da nido, che i favi sono 5 e che la regina nei primi 2 giorni non depone o quasi, si interviene dopo 17 giorni. Se la covata occupa tutti i favi, si toglie un listello, si sposta il diaframma e si ottiene un posto vuoto per l’introduzione del sesto foglio cereo. Il punto migliore per introdurre questo nuovo telaio ed ottenere un favo di giusto spessore è tra due favi, la cui cornice di miele è già opercolata. Se non lo fosse, le api allungherebbero troppo le celle a miele dei favi laterali al foglio cereo, così ne risulterebbe poi un favo sottilissimo a livello del melarietto e due favi con una grande gobba. Quando nessuna delle cornici è opercolata, si cala il foglio cereo vicino al diaframma o dall’altra parte, contro la parete, cioè a minor danno. I 5 fogli cerei iniziali danno sfogo alla regina per 15 giorni di deposizione, col sesto foglio cereo si arriva a 18 giorni di deposizione e poi si aggiunge, con lo stesso procedimento, il settimo e si arriva così a 21 giorni di deposizione. Durante la visita del diciassettesimo giorno, volendo, si possono dare 2 fogli cerei invece di uno, risparmiando una visita: quella del ventunesimo. Sta all’apicoltore scegliere, tenendo però presente che per estendere la covata su questi 2 fogli cerei non sia stipato troppo miele. Introducendo un solo cereo per volta, si ha più lavoro ma miglior risultato. Durante la prima visita si toglie anche l’escludi-regina, che non serve più. Raggiunti i 21 giorni di deposizione, inizia lo sfarfallamento della covata deposta nel primo giorno. Nel bugno villico, le api approfitterebbero di questi sfarfallamenti per ingrandire il “melarietto”, facendo scendere la covata (vedi punto 5 del primo anno). Con l’arnia razionale questo non avviene poiché l’apicoltore dà alle api la possibilità di ingrandire il “melarietto” nella parte superiore con l’uso del o dei melari, cosicché la regina può nuovamente deporre nelle

celle sfarfallate, pertanto si crea un ciclo continuo di sfarfallamento e di nuova deposizione nelle medesime celle. Se però la regina riesce a deporre un numero di uova superiore a quello delle api che sfarfallano (ciò si nota da una crescente area di covata su ogni favo) occorre dare, dopo 30 giorni dall’inarniamento, l’ottavo foglio cereo. Con l’aggiunta di quest’ultimo foglio si raggiunge, di norma, il numero massimo dei favi utili al primo anno di evoluzione dello sciame. Per quanto riguarda la posizione da dare a quest’ultimo, e in genere a tutti i fogli cerei, vale la regola descritta sopra. Questi 8 favi così ottenuti sono completamente a celle femminili (vedi punto 7 dello sviluppo del primo anno). Elenco delle visite al nido dello sciame nel primo anno

Giorno 1: inarniamento dello sciame. Giorno 17: introduzione del 6° foglio cereo. Giorno 20: introduzione del 7° foglio cereo. Giorno 30: introduzione dell’8° foglio cereo. Altre visite possono essere necessarie per controllare lo stato di salute della covata e per l’invernamento. Il numero di visite ai melari è subordinato ai vari raccolti della zona. L’apicoltore che in Piemonte o in altre regioni con condizioni ambientali simili pratica il nomadismo verso la montagna, ha la necessità di avere le colonie pronte per la metà di giugno: lo sciame così trattato soddisfa discretamente tale esigenza. L’epoca della grande sciamatura, sotto i 500 metri di altitudine, va da metà aprile a metà maggio: lo sciame, prima della metà di giugno ha tutto il tempo di svilupparsi. Questo alveare si presta anche ottimamente al trasporto, poiché il nido è leggero: contiene solo 8 favi e non ha grandi provviste di miele. Inoltre, nel periodo che trascorre in montagna, non da problemi di sciamatura, poiché è una colonia al primo anno di sviluppo e durante questo periodo non tende ad allevare fuchi né a sciamare, salvo rare eccezioni. Avvicinandosi l’autunno, la covata va gradata7-8/2021 | Apitalia | 45


Foto 6 - D Telaino indicatore (T.I.) con i due terzi superiori occupati dal favo (parte tratteggiata) ed il terzo inferiore vuoto.

mente riducendosi e le scorte di miele si avvicinano sempre più al centro del nido. Di norma le scorte che la colonia concentra su questi 8 favi bastano largamente per passare l’inverno. Durante la buona stagione le api si sono procurate e dislocate le scorte di miele e di polline in modo molto armonico, così da poter far fronte, con minor difficoltà, ai rigori dell’inverno ed iniziare in febbraio la nuova deposizione in un ambiente a loro confacente. L’entrata dell’alveare, alta 8-10 mm e lunga quanto la larghezza dell’arnia, non va mai manomessa: le api se la gestiscono nel modo più appropriato, secondo le loro esigenze di ossigenazione e di protezione (vedi punto 10 del primo anno). Alla soglia dell’inverno se si raschia tutto ciò che le api hanno costruito nell’entrata, si scombussola completamente il microclima all’interno dell’alveare: a causa della bassa temperatura non riescono più a riparare le malefatte dell’uomo e ripiegano sul maggior consumo di miele per ottenere la temperatura occorrente alla loro sopravvivenza. Oltre a questo, sono costrette a ritardare l’inizio della deposizione di febbraio e a limitare la stessa finché non arriverà la stagione più mite. 46 | Apitalia | 7-8/2021

In seguito alle osservazioni fatte, si conclude che ogni manomissione all’entrata è sempre negativa, salvo casi eccezionali. Come visto in precedenza, le costruzioni di propoli e di cera erette dalle api all’entrata dell’alveare sono determinate dalla posizione in cui si trova il medesimo. Se l’alveare, nella stagione fredda, dovesse essere spostato e collocato secondo una direzione diversa, subirebbe l’influenza del vento dominante in tutt’altro modo, quasi sempre negativo. Allora l’apicoltore può e deve intervenire per adeguare l’entrata alla nuova posizione e direzione, cercando di imitare il più possibile le caratteristiche delle porticine degli alveari che già si trovano in questa nuova dislocazione. Quando occorre limitare il passaggio delle api, a causa del saccheggio, si devono usare porticine di rete o di lamiera bucherellata, in modo tale da non impedire l’aerazione. Davanti a tanta saggezza e armonia dimostrate da questo meraviglioso popolo alato, l’apicoltore deve, all’inizio dell’inverno, limitarsi a controllare e regolare l’entità delle scorte, proteggendo inoltre l’alveare solamente dall’esterno. Le protezioni invernali possibili sono parecchie, alcune non del tutto necessarie ed altre invece molto


Modulo d’ordine Sigilli

utili, come la coibentazione tra il tetto e il coprifavo o la copertura dell’apiario tramite tettoia e barriera frangivento. Nel corso dei 3 mesi invernali, periodo in cui non esiste la covata, l’alveare si spopola parzialmente: questo è dovuto alla morte naturale delle api più vecchie. Lo spopolamento può essere più o meno sensibile a seconda del rapporto esistente tra api vecchie e giovani all’inizio dell’inverno. SECONDO ANNO DI CONDUZIONE DELLO SCIAME NATURALE Di norma la deposizione viene ripresa nel mese di febbraio, stagione fredda, con temperatura notturna sovente inferiore allo zero. La quantità di uova deposte giornalmente è direttamente proporzionale alla produzione di calore da parte della colonia. Questa, per produrre sufficiente calore, deve essere numerosa ed avere buone provviste di miele e di polline. Inoltre, l’ambiente interno deve essere a misura d’ape, ossia deve mantenere quell’armonia che solo le api sanno crearsi, collocando l’anno precedente il miele ed il polline nella giusta posizione affinché siano accessibili ed utilizzabili senza dover disperdere energie. Per questo si sconsiglia ogni spostamento di favi centrali da settembre a marzo: facendolo, si rischia di compromettere il normale sviluppo della famiglia. Per mettere meglio in risalto l’importanza dell’entità della colonia in questo particolare momento, si rende necessario citare tre situa-

NOME ................................................................................................ ................................................................................................ INIDIRIZZO ................................................................................................ CAP ................................................................................................ LOCALITÀ ................................................................................................ PROVINCIA ................................................................................................ TELEFONO 1 ................................................................................................ TELEFONO 2 ................................................................................................ CODICE FISCALE ................................................................................................ PARTITA IVA ................................................................................................ N° ALVEARI ................................................................................................

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Autorizzo l’utilizzo dei miei dati personali ai sensi dell’art. 10 della legge n. 197/03 (Tutela della Privacy) e acconsento al loro trattamento per il perseguimento degli scopi statutari della FAI-Federazione Apicoltori Italiani. SI NO

7-8/2021 | Apitalia | 47


SPECIALE BIOTECNICA zioni diverse dalle quali dipendono il regresso, la staticità e lo sviluppo della società delle api: 1. quando la colonia è troppo piccola, nascono meno api di quante ne muoiono per cui essa diventa sempre più piccola e rischia di esaurirsi; 2. quando essa riesce a far nascere tante api quante ne muoiono, l’entità della famiglia rimane invariata; questo è il punto critico o di sviluppo zero (staticità); 3. quando essa riesce a far nascere più api di quante ne muoiono, si ha il vero sviluppo precoce. Da ciò si deduce che è sconveniente avere nell’apiario colonie troppo piccole, specialmente a febbraio-marzo. Si dà per scontato che lo sciame preso in considerazione sia arrivato in febbraio in condizioni ottimali, oltre il punto critico. Sviluppandosi normalmente riesce a presidiare di nuovo tutti i suoi 8 favi per la seconda metà di marzo. Questo periodo coincide con l’insorgere, nelle colonie stabili, dell’impellente necessità di allevare fuchi (vedi punto 1 del secondo anno); questo sciame si considera stabile poiché ha già superato il suo primo anno di sviluppo, però dispone solamente di celle da operaie e non ha spazio per costruirsi il settore maschile; se non interviene l’uomo a procurarglielo, la colonia pazienta due o tre settimane e poi si prepara precocemente alla sciamatura. Essendo la colonia alloggiata su solo 8 favi, l’apicoltore ha la possibilità di aggiungere altri due fogli cerei e complementare il nido. Le api, ricevendo questi fogli cerei, ne approfittano per trasformarli parzialmente in celle da fuchi. Siccome però, prima di poter ottenere il settore maschile, la famiglia è costretta a pazientare parecchi giorni, nel momento in cui si presenta l’occasione di realizzarlo, essa è irrefrenabile e si comporta in un modo non del tutto naturale. Infatti, spesse volte, dal foglio cereo ricava un settore da fuchi molto disordinato, come si può notare nella Fig. 5. Il favo che ne risulta è di scarso valore e poco funzionale, poiché solamente le rose maschili 48 | Apitalia | 7-8/2021

che si trovano nella parte posteriore vengono riutilizzate, dopo la stagione dei fuchi, per stivare il miele: le altre celle maschili frammiste a quelle femminili rimangono a lungo vuote, senza essere utilizzate né per il polline né per il miele. Questo risultato negativo non è per niente trascurabile se si pensa che da ricerche fatte si è constatato che la media delle celle da fuchi trovate sui favi dell’apicoltura tradizionale ammonta a 400 per favo ottenuto da foglio cereo. Si sa che in primavera quasi tutte le celle da fuchi vengono utilizzate volentieri per la covata, causando un consumo energetico non indifferente e che la maggior parte delle colonie alleva 3 generazioni di maschi. Si sa anche che per allevare una larva maschile occorrono 0,5 g di nutrimento, composto di gelatina reale, polline e miele. L’energia impiegata da parte della colonia per allevare il quantitativo di fuchi riscontrabile nell’apicoltura tradizionale si può calcolare facilmente: • 400 celle da fuchi per favo x 10 favi = 4.000 celle; • 4.000 celle da fuchi nelle quali si allevano 3 generazioni = 12.000 fuchi; • 12.000 fuchi x 0,5 g di nutrimento = 6.000 g di nutrimento; volendo tradurre il valore di questo nutrimento in miele, occorre raddoppiare la cifra, ossia 6.000 g. x 2 = 12.000 g. Inoltre, i fuchi adulti continuano a nutrirsi per tutta la loro vita. Nel caso specifico riguardante lo sciame in oggetto si hanno solamente 2 fogli cerei trasformati parzialmente in celle da fuchi: gli altri 8 sono a celle da operaie. Però l’apicoltore tradizionale usa sostituire 2 favi l’anno, facendoli costruire in primavera, durante lo sviluppo delle colonie, così dopo 5 anni tutti i favi risultano trasformati parzialmente in celle da fuchi. Un allevamento così numeroso di maschi non è di certo necessario; oltre a ciò, in una situazione del genere l’apicoltore è impossibilitato a controllare e a selezionare i fuchi (la selezione dei fuchi è importante quanto quella delle regine). A questo punto nascono spontanee numerose


Foto mondoapi.it

domande: 1. come si deve comportare l’apicoltore per evitare che le api trasformino i fogli cerei in celle da fuchi? 2. E per evitare che allevino troppi fuchi? 3. Cosa di deve fare per avere il controllo sulla covata maschile? 4. Come selezionare i fuchi? La risposta è la seguente: occorre adottare il metodo del TELAINO INDICATORE (T.I.). Questa risposta pone ulteriori, spontanei quesiti. Di che cosa si tratta? Come si ottiene? A cosa serve? Dove e quando si usa? 1. Si tratta di un telaio con favo che “indica” all’apicoltore la situazione e l’orientamento comportamentale e di gestione dell’alveare da parte della famiglia d’api, inoltre gli suggerisce i lavori utili da effettuare all’interno dell’alveare stesso. In sintesi è una valvola di sfogo per la colonia e una spia indicatrice per l’apicoltore. Il telaio indicatore si può paragonare ad un diagramma da leggere e interpretare. 2. Il T.I. si ottiene mediante l’asportazione di un terzo o anche più di cera ad un favo (Fig. 6). Si può usare anche un favo già un po’ vecchio, purché i due terzi superiori di esso abbiano ancora una lieve trasparenza, tanto da ritenerlo valido per una stagione ancora. Durante il ritaglio del favo occorre tranciare anche

i fili dell’armatura, in modo da ottenere una finestra veramente vuota. Il taglio del favo non deve essere obbligatoriamente orizzontale, può essere obliquo, ondeggiato o verticale; l’orizzontale è però preferibile. La luce della finestra non deve essere inferiore a 3,5 dm2. La parte di favo da conservare è bene che sia tutta a celle femminili. Per ottenere la dimensione ottimale della finestra, occorre seguire il taglio secondo la grandezza della colonia: più essa è numerosa e più grande si fa la finestra, senza però esagerare, mantenendo la metà del favo come limite massimo. Quando si è sprovvisti di favi disimpegnati dalla covata, necessari alla preparazione del T.I., occorre ripiegare su di un telaio un foglio cereo che però va armato orizzontalmente, oppure si applica una traversa a 10 cm circa da quella inferiore e così lo si può armare verticalmente. Il T.I. ottenuto da favo vecchio, rispetto a quello col foglio cereo, è meno costoso e facile da ottenere ed inoltre lo si può preparare durante la visita all’alveare. Il T.I. viene contrassegnato con una puntina da disegno o con un chiodo ben visibile. 3. Il T.I. consente di risolvere il problema del settore fuchi, selezionare la covata maschile, ottenere la costruzione di favi perfetti e a sole celle da operaie, limitare la sciamatura ed infine mettere in collaborazione le api e l’apicoltore risparmiando tempo e materiale. Oltre a ciò, il T.I. serve come lotta biologica, o biomeccanica, contro la Varroa (di quest’ultima si parlerà in uno dei prossimi capitoli). 4. Il T.I. si introduce al centro dei favi di covata; essendo questa la posizione più calda, le api agiscono sul T.I. con molta sensibilità ed espressione. È utile inserire il T.I. negli alveari 4 settimane prima del periodo di sciamatura nella zona dove si opera. Michele Campero Fine prima parte

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L’INTERVISTA

L’APE, NOSTRA ECCELLENZA

SUI MERCATI ESTERI C’È SPAZIO PER L’ITALIA di Aurora Ricci

LE PAROLE D’ORDINE CREDIBILITÀ PROFESSIONALITÀ ORGANIZZAZIONE

A

nno dopo anno, fiera apistica dopo fiera, e pian piano li conosci un po’ tutti quelli che si danno da fare nel nostro mondo. Armando Monsorno è uno di loro: lo avvicini allo stand, lo senti parlare, provi i suoi prodotti, ascolti i suoi consigli e alla fine ti convinci che non è un personaggio ordinario. Modi

pacati, visione concreta delle cose, ma anche immaginazione che va oltre, molto oltre, il perimetro del suo stand. E allora scegliamo di andarlo a trovare nel suo mondo, per vedere cos’è che lo avvicina alla figura dell’affermato imprenditore del mondo apistico. E il suo regno è qui, in Val di Fiemme, in Trentino. Tra questi lama sembri un santone tibetano. È l’aria di montagna che rende lucido il pensare? Il posto dove ho scelto di fare impresa vivendo a stretto contatto con la natura è un ingrediente fondamentale per rendere credibile quello che faccio. Qui tutto si concilia con tutto: la terra, la montagna, le api, i lama, i visitatori, i clienti, le esperienze sensoriali, il laboratorio erboristico, le professionalità dei collaboratori, la mia imprenditorialità e la voglia di realizzare quello che prima ho sognato. Erboristeria, cosmesi, apicoltura, apiterapia, corsi di formazione, un catalogo da visione olistica del mondo. In che direzione va esattamente Armando Monsorno? In tutte le direzioni possibili affin7-8/2021 | Apitalia | 51


L’INTERVISTA

ché il prodotto dei tanti bravi apicoltori italiani si possa affermare sul mercato. Spesso i miei clienti sono molto bravi a produrre ma meno capaci di vendere: io studio percorsi che aiutano a superare questo limite.

Brava, hai colto nel segno! La filiera della propoli non può essere limitata ad un solo uso contro il mal di gola; ci troviamo dinanzi ad un prodotto complesso che ha caratteristiche legate al luogo di produzione con standard che a volte raggiungono livelli superlaPuoi farci un esempio concreto? tivi. La propoli con queste caratQualcosa che ti sta particolarmente teristiche, certificate attraverso laa cuore in questo momento? boratori scientifici, è una leva per Facciamo il caso della propoli. C’è la diversificazione dell’uso, una stato il boom commerciale e ormai strategia che porta a risultati ecola trovi dappertutto. In realtà, gira nomici anche per l’apicoltore. parecchia merce di scarsa qualità e il consumatore acquista prodot- Fin dove possiamo spingerci, ti che a volte deludono. Io ho una secondo te, lungo questa strada? fissazione: quello della propoli è Non si corre il rischio di deludere un mercato in continua espansio- le attese del consumatore? ne, mentre di miele se ne produ- Ci sono studi accademici che cerce sempre meno. Allora dico agli tificano le applicazioni medicali o apicoltori: sul mercato internazio- salutistiche, ma non è l’apicoltonale c’è bisogno di propoli italiana re che può far le cose nel proprio di alta qualità. Se vi impegnate a laboratorio decantando benefici farla, la mia filiera sarà un valore effetti in un mercatino di paese. aggiunto per tutti. Noi abbiamo un’idea completamente diversa di filiera: la propoli Quindi c’è ancora spazio in questo è essenziale come purificante del segmento commerciale, nonostante la fegato, per le intolleranze alimenconcorrenza di prodotto straniero? tari, è un regolatore del metabo52 | Apitalia | 7-8/2021

lismo e un purificatore generale, attiva il nostro sistema immunitario a condizione che si realizzino preparati ad elevata concentrazione di principio attivo. Queste modalità richiedono competenze e impianti che non sono alla portata di un apicoltore, ancorché bravo produttore. Dunque, produzione italiana, ricerca italiana, innovazione italiana. Avanti tutta con la propoli made in Italy insomma! Sì, ma ad una sola condizione: deve passare un messaggio di serietà, le aziende in sofferenza non si possono lasciare alla deriva, vanno sostenute affinché elevino lo standard produttivo e ci aiutino a dimostrare quanto vale la nostra professionalità. È una questione di fiducia, di credibilità, di responsabilità: perché chi lavora male danneggia un intero settore e questo non possiamo permettercelo se vogliamo conquistare più spazio sul mercato. Aurora Ricci


STORIA

TRA PASSATO E PRESENTE

L’APIARIO DI DON ANGELERI CIMELIO IN UN AGRITURISMO di Filippo Vassallo

UNA FIGURA DI SPICCO DELL’APICOLTURA

U

n modesto apicoltore, trovandosi di fronte all’attrezzatura di Apicoltura appartenuta a Don Giacomo Angeleri, non può fare a meno di provare una profonda emozione. Ci troviamo presso il museo privato dell’agriturismo “Sandrone” a Vinovo (TO) dove è raggruppata

tutta l’attrezzatura per un laboratorio completo che ha prodotto miele dalla fine del 1800. Su alcune arnie si legge a stento “Arnia appartenuta a Don Angeleri”. Don Angeleri è nato a Gamalero (AL) il 30 marzo del 1877, il padre era un contadino-apicoltore.

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STORIA Fu ordinato sacerdote nel 1902. La sua spiccata passione per l’Apicoltura si rivelò molto presto. Nel 1921 assunse la direzione dell’ “Apicoltore Moderno”, rivista che lo rese subito molto noto nel mondo apistico, specie per la sua rubrica “Domanda e Risposta”. Tenne corsi di Apicoltura a Susa, Pinerolo, Ivrea, Chivasso, tutti seguiti da una folta schiera di apicoltori. Pubblicò “Cinquant’anni con le api e gli apicoltori”, un’opera enciclopedica di Apicoltura. Fece da ponte tra l’Apicoltura del passato e quella del futuro che è oggi il nostro presente. Si prodigò affinché “l’apicidio fosse contrastato, non da un decreto prefettizio, ma dall’opera di persuasione degli apicoltori e della consapevolezza dei contadini sulla maggiore convenienza della Apicultura razionale”. Il suo obiettivo era quello di far conoscere che: “l’Apicoltura non fosse considerata per la produzione del miele, ma come fonte di ricchezza per l’opera provvidenziale ed insostituibile che le api compiono per la natura”. Gli apicoltori non devono essere considerati per quel poco di miele, ma servitori delle api senza stipendio. Nel 1935 prese parte ai lavori e intervenne come relatore al IV Congresso nazionale degli Apicoltori, che si tenne a Roma dal 17 al 20 novembre. Nell’ultimo giorno dei lavori tutti i congressisti furono ricevuti in udienza da Papa Pio XI nella Sala del Concistoro in Vaticano. Il Presidente del Congresso, Conte Antonio Zappi Recordati, 54 | Apitalia | 7-8/2021

e il Reverendo Don Giacomo Angeleri fecero dono al Santo Padre di tre artistici vasi di miele, uno dei quali proveniente dal Monviso e di cui vennero illustrate le particolari caratteristiche. Don Angeleri fu molto attivo nel promuovere le tecniche di travaso tra il bugno villico e l’arnia

moderna, come per dimostrare il passaggio tra il vecchio e il nuovo e tra l’antico da dimenticare e il moderno da vivere. Trascorse la vita a Reaglie (TO) dove morì nel 1957. Si disse che le sue api lo accompagnarono fino al cimitero. Filippo Vassallo



MUSICA

CANZONE D’AUTORE TRA REPERTI STORICI

CANTI E MUSICHE NEL MUSEO DELLE API di Gaetano Menna

“S

ono antico. Cerco il passato dentro e fuori di me”. Così dice di se stesso il cantautore bolzanino Gabriele Muscolino. Vive nella storia ed in omaggio alla storia dell’apicoltura ha voluto registrare il suo pregevole disco solista (pubblicato da VisAge Music) nell’antico e pittoresco Maso Plattnerhof ubicato a Costalovara, nei pressi di Soprabolzano, trasformato da Robert Gramm nel suggestivo “Museo delle Api”. Nel maso - oltre alla ex stalla, che ospita la preziosa collezione di antiche arnie, smielatori e presse per il miele - si

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trova anche la parte dell’abitazione storica di quattro stanze che è stata conservata perfettamente; e proprio questa è diventata la location per la registrazione del disco di Muscolino. Si possono immaginare le suggestioni che ha suscitato questo ambiente particolare, dedicato al mondo dell’apicoltura ed alla sua evoluzione storica. “Sono stato contattato dagli organizzatori - ha spiegato il curatore dello spazio museale dell’apicoltura altoatesina, Robert Gramm - che ci hanno chiesto la disponibilità dell’abitazione storica che è stata abita-

MUSCOLINO REGISTRA UN CD NEL CUORE DEL MASO


ta fino al 1975 ma che contiene ancora oggi gli arredi tradizionali dell’epoca”. Il maso è raggiungibile con una cabinovia che parte da Bolzano e poi col trenino del Renon; sei chilometri e mezzo di rotaie tra boschi e prati innevati. E proprio su questo trenino che sa, anch’esso di antico e trasuda di storia, sono stati ambientati i video promo inerenti i brani dell’album (che si sono posti in evidenza al “London Music Video Festival”). Insomma la magia dell’Alto Adige e il fascino della sua apicoltura fanno da sfondo e da musa ispiratrice. Il bouzouki - suonato dallo stesso Muscolino - detta il groove e su di esso il disco costruisce il suo timbro caratteristico; gli sono a fianco il violino di Lorenzo Barzon, il violoncello di Luca Pasqual e la seconda voce di Angelika Pedron, sensibile e graffiante; su questi intrecci sonori, le fisarmoniche - di

Martin Tourish e Matteo Facchin - si ritagliano spazi di libertà. I brani, che sgorgano tra reperti storici del mondo dell’ape, sono originali e coinvolgenti. “Amo - dice sempre il cantautore - le civiltà contadine, quel poco che ne resta, con un mio coté vagamente ‘da archeologo’ (ho scritto sulla musica della montagna veneta)”. Il sound dunque parte dal folk, dalla cultura popolare e contadina, per approdare alla grande canzone d’autore e da camera. Già, quello di Gabriele Muscolino è proprio un disco “da camera”, per le sonorità ma anche per la sua voce che si mantiene sempre su tonalità

basse. Voce particolare che ricorda il timbro di Tom Waits, Johnny Cash, Nick Drake, ma anche di Fabrizio De André. Le dieci canzoni del CD raccontano storie di vita, umili, sbagliate e maledette; scritte con vena letteraria, sono mini romanzi che puntano a “dar voce ai sentimenti piuttosto che alle emozioni”. “Sono un ex-garzone nella bottega della canzone ed ora ho la mia, sotto l’insegna delle dodici note - ama dire Gabriele Muscolino -. Sono un antimoderno, un classicista. Sono per variare la tradizione. Scrivere il bello più del nuovo”. Gaetano Menna

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