Apitalia 9/2021

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Apitalia - Corso Vittorio Emanuele II, 101- 00186 - Roma - ITALY - UE - ISSN: 0391 - 5522 - ANNO XXXXVI • n. 9 • Settembre 2021 •- 717 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) Art. 1 Comma 1 – Roma Aut. C/RM/18/2016

| Testata giornalistica fondata nel 1974 | Direttore Raffaele Cirone |

I GIORNI DEL MIELE 2021


UNA LINEA COMPLETA

ED IN CONTINUA EVOLUZIONE AL SERVIZIO DELLE TUE API

Aiuta le api a mantenere un intestino sano

Dai vigore all’alveare!

Supporto nutrizionale primaverile per gli alveari indeboliti

Sostituto liquido del polline per il fabbisogno proteico delle tue api

Il Candito in confezione da 1 kg e 2 kg

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Monitoraggio ed igienizzazione

Stima in modo affidabile la quantità di varroa nell’arnia

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EDITORIALE

INDENNIZZI AL VIA

FISSATI I PARAMETRI, ARRIVANO DECRETI E CIRCOLARI APPLICATIVE di Raffaele Cirone

I DANNI DA GELO CALCOLATI IN BASE A VALORI STANDARD

Foto Archivio Apitalia

AUTOCONSUMO ESCLUSO

A

seguito del decreto “Sostegni bis”, gli Uffici ministeriali hanno attivato le procedure di erogazione degli indennizzi per mancate produzioni da gelo e brinate nei mesi di aprile, maggio e giugno 2021. Il 31 ottobre è il termine fissato per la presentazione delle domande da indirizzare alle Regioni e con apposita modulistica. Nel frattempo, sono in via di pubblicazione le declaratorie di eccezionalità degli eventi atmosferici con la lista dei comuni colpiti. Potranno beneficiare degli aiuti aziende e cooperative agricole titolari di fascicolo aziendale; nel caso di aziende apistiche ad indirizzo produttivo misto, il calcolo dell’incidenza di danno sulla produzione lorda vendibile dovrà includere anche le altre eventuali produzioni (vegetali e zootecniche). Per la mancata produzione di miele, al fine di semplificare il sistema di calcolo, il Ministero delle Politiche Agricole ha fissato due soli valori standard: uno per il miele di acacia con fattore “257 euro/alveare” e uno più generico per tutti gli altri mieli, con fattore “174 euro/alveare”. I richiedenti, infine, non devono risultare coperti da alcuna polizza assicurativa e, nel caso degli apicoltori, l’accesso sarà limitato alle aziende iscritte nella banca dati nazionale apistica (BDN) con esclusione di quelle registrate per il solo autoconsumo. Siamo alla prima annualità di un provvedimento che d’ora in avanti indennizzerà anche gli apicoltori: va rodato il meccanismo e semplificata una procedura alla quale dovranno via via uniformarsi sia i diretti interessati, sia le Associazioni territoriali. Raffaele Cirone

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SOMMARIO

Apitalia N. 717 | 9/2021| gli articoli 5 EDITORIALE Indennizzi al via

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Raffaele Cirone

8 PRIMO PIANO Estate 2021: la biodiversità bruciata

Nostro Servizio

10 AGENDA LAVORI. NORD-OVEST Avere covata sana è condizione imprescindibile Alberto Guernier 13 AGENDA LAVORI. NORD Cambio di stagione

Maurizio Ghezzi

17 AGENDA LAVORI. NORD-EST Annata difficile e improduttiva

Giacomo Perretta

20 AGENDA LAVORI. CENTRO Controlli prioritari su sanità, scorte e regine

Matteo Giusti

24 AGENDA LAVORI. ISOLE

48

Sopravviverà l’apicoltore migliore

Vincenzo Stampa

27 TECNICA APISTICA Nutrizione di fine estate

Igor Gatto

48 PROFESSIONE APICOLTORE Sollevatore di melari

Pietro Paolo Porcu

51 RICERCA Le api, come gli umani, sono ciò che mangiano

Matteo Giusti

54 AMBIENTE E BIODIVERSITÀ

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Salvare alberi storici, senza dimenticare l’ape

Stefano Risa

SPECIALE - Parte II 29 Apicoltura logica e razionale

Michele Campero


i nostri recapiti

i nostri riferimenti: per pagare

Quarantaduesima edizione significa poter vantare di essere la prima Fiera Nazionale di Apicoltura per l’Agricoltura, che si svolge nel primo Comune d’Italia. È il biglietto da visita con il quale si presenta Lazise, in provincia di Verona, affacciata sulla sponda veneta del Lago di Garda. Credenziali che impreziosiscono l’evento di chiusura della stagione apistica “I Giorni del Miele 2021” incorniciando quell’opera d’arte che è la Dogana Veneta affacciata sul Municipio, sede dell’evento lazicense.

abbonamenti: quanto costano

hanno collaborato a questo numero

1 anno (10 numeri carta) € 30,00 2 anni (20 numeri carta) € 54,00 Italia, una copia/arretrati € 5,00 Estero: varia per area geografica, richiedere preventivo

Alberto Guernier, Maurizio Ghezzi, Giacomo Perretta, Matteo Giusti, Vincenzo Stampa, Igor Gatto, Michele Campero, Pietro Paolo Porcu, Stefano Risa, Giancarlo Ricciardelli D’Albore, Fabrizio Piacentini, Patrizia Milione, Alessandro Patierno.

marcatura dell’ape regina Secondo un codice standardizzato, le regine sono marcate con un colore (tabella a lato) per permettere all’apicoltore di riconoscerne l’anno di nascita

azzurro

bianco

giallo

rosso

verde

0o5

1o6

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(ultimo numero dell’anno di allevamento, esempio “2021”)

i nostri VALORI “Il mio non sol, ma l’altrui ben procuro” è il motto che accompagna le firme storiche dell’editoria apistica italiana da cui Apitalia trae origine.

Una Giuria internazionale ci ha premiati come miglior rivista di apicoltura, per i contenuti tecnico-scientifici e la qualità fotografica.

La moneta di Efeso, con l’ape come simbolo riconosciuto a livello internazionale già 500 anni prima di Cristo.

Abbiamo sottoscritto “Il Manifesto di Assisi”, per un’economia a misura d’uomo. Come apicoltori ci riconosciamo nel Tau.

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PRIMO PIANO

ESTATE 2021: LA BIO I mesi di questa estate 2021 sono stati classificati dagli esperti come “i più caldi” di sempre. Ce ne siamo accorti un po’ tutti: se ancora serviva, questa è l’ennesima testimonianza di cosa significa il riscaldamento globale. Picchi di caldo, estrema siccità, carenza d’acqua e roghi devastanti, hanno contribuito a disegnare un quadro apocalittico che, come se non bastasse, è stato aggravato dalla sciagurata mano dei piromani: quella del 2021, oltre ad essere l’estate più calda di sempre, è stata infatti anche la più “incendiaria”.

Il più tragico scenario di casa nostra. Questo è il rogo che ha divorato il cuore della Sardegna, nel territorio in provincia di Oristano. Giorni e giorni di interventi di spegnimento con dispiegamento di mezzi aerei giunti anche dalla Francia. (©Photo Ansa)

Qui siamo ad Antalya, nel sud della Turchia. Un paesaggio desolato, è ciò che resta dopo il passaggio del fuoco. (©IHA Photo)

Si sono salvati solo in pochi sull’isola greca di Evia: è qui che è andato distrutto il più gran numero di alveari, oltre 500 famiglie immolate. (©Angelos Tzortzinis - AFP - France 24).

La tragedia dei roghi che distruggono alveari documentata da una Onlus statunitense che ha lanciato una raccolta fondi per indennizzare gli apicoltori colpiti. Queste le immagini del sito che invita i cittadini a contribuire con una donazione. (©GoFundMe)

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DIVERSITÀ BRUCIATA Ne hanno fatto le spese comuni cittadini, turisti, agricoltori; ma anche gli apicoltori che mai come quest’anno hanno tributato un enorme sacrificio in alveari: ne sono andati bruciati a migliaia, un po’ in tutto il mondo. L’area del Mediterraneo e qui in Italia in particolare la Sardegna sono state teatro di incenerimenti devastanti. Si contano rasi al suolo 158 mila ettari di verde, di flora e di biodiversità. Una ferita che impiegheremo decenni a rimarginare. Una galleria di immagini che deve far riflettere e indurci a reagire.

Un vigile del fuoco che tenta di spegnere un incendio giunto in prossimità di un apiario. Siamo alle porte di Atene, in Grecia. (Ringraziamo Orestis Panagiotou/EPA e il sito di Al Jazeera per queste immagini).

Siamo in Sardegna, regione dalla quale giungono informazioni grazie a Confagricoltura Oristano e al suo Direttore Roberto Serra che ringraziamo. Tutta la nostra solidarietà, inoltre, va all’Apicoltore Davide Brisi che ha perso un intero apiario e ce lo ha documentato. (©Davide Brisi)

Una postazione di alveari completamente incenerita. È questo che fa male: vedere il sacrificio di anni di lavoro, trasformato in cenere; sapere che sotto quel nero fumante ci sono famiglie di api che non hanno potuto abbandonare l’alveare. (©Davide Brisi)

Resta un bosco ferito di giovani eucalipti, con dentro l’incalcolabile danno, la sconfinata fatica di chi ha domato il fuoco, la biodiversità stuprata da colpevoli ignoti e gli alveari perduti di chi qui cercava una integrazione al reddito e ha trovato un danno irreparabile. (©Davide Brisi)

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AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

AVERE COVATA SANA È CONDIZIONE IMPRESCINDIBILE

NON PORTATEVI DIETRO LE FAMIGLIE MALATICCE di Alberto Guernier

Q

uante volte ormai mi è successo di dover preventivare, oppure rendicontare, l’impegno orario necessario a mantenere in salute ed attività una famiglia di api. Allo stesso modo, di dover spiegare la necessità e dunque lo scopo di dover fare queste famose “visite” a chi, inesperto, mi domandava il senso di queste operazioni; tutto perché alla fine del lavoro, spesso, semplicemente, l’unico risultato di quei sette otto minuti, era stata la constatazione che tutto era a posto. Strano mestiere il nostro... alleva-

tore di animali, a cui spesso non occorre nulla di particolare salvo l’indispensabile assistenza dell’apicoltore in caso di bisogno e che, a differenza di altri animali allevati, non belano o muggiscono, per esempio, quando stanno male oppure hanno fame! Siamo quasi stufi adesso, diciamoci la verità, di visitare alveari; abbiamo fatto tutti i trattamenti del caso per liberarci dall’acaro varroa, abbiamo iniziato e protratto le nutrizioni, spesso consci del fatto che erano gli ennesimi soldi anticipati ad un futuro gramo...

ULTIMI CONTROLLI, LA STAGIONE NON CONCEDERÀ ALTRE OCCASIONI

Foto apieagri.blogspot.com

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Adesso queste bestiole sarebbero dovute andare avanti autonomamente, eppure: nuovamente occorre essere presenti, spesso solo per sincerarsi che tutto sia a posto, ma nella moltitudine dei nostri alveari, è probabile ci siano quelli che non hanno digerito i blocchi, o alveari che non hanno esitato ad eliminare le nostre selezionate regine immesse dopo i trattamenti. Ci possono addirittura essere alveari che ormai sono fucaioli. Altri che incredibilmente hanno tenuto per buona una reginetta che non ha mai deposto un uovo, e che ora si aggira per l’alveare come la più bella delle regine. Altri ancora che all’apparenza, inspiegabilmente, non hanno più un goccio di miele,

contrariamente a quelli che hanno provveduto a covare per intero i favi centrali scortando tutto il nutrimento nei “lontani” favi laterali. E poi, e poi ci sono quelle famiglie che avevamo segnato con un bel +, ma che adesso preoccupano per la scarsità di api. Raramente mancano quelle che letteralmente si sono riportate a casa un bel po’ di varroa. Per quasi ogni problema esiste una soluzione, se visto e preso per tempo, e quindi queste api le dobbiamo tornare ad aprire ora più che mai con occhio vigile ed attento; difficilmente la stagione ci concederà ancora tempo per sistemare le cose! Adesso che la covata sia sana, è imprescindibile.

Muniti di stuzzicadenti, estrarremo senza pietà i fuchi che ancora possono trovarsi sotto agli opercoli della covata maschile, non devono avere varroa! Stessa cosa faremo per quella covata che ci sembra strana, con opercoli forati, rosicchiati o comunque dissimili dal normale. Soffermiamoci a vedere bene le api appena nate, quelle piccole dal colore ancora tenue, oppure, sui favi con gli opercoli più scuri, direttamente quelle che stanno uscendo dagli opercoli, non devono essere malate, non devono avere ali rovinate e non devono uscire dalle cellette con addosso varroe. Tutto questo anche e soprattutto se le famiglie sono ancora ben popo-

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late: perché spesso tutte le famiglie che poi collassano per virosi, erano famiglie belle; potrebbe essere infatti che le colonie che hanno allevato più api, abbiano anche permesso una maggiore replicazione dell’acaro! Non fidiamoci dell’apparenza, le malattie delle api sono spesso subdole, prendiamo l’abitudine di cercare, se non troveremo nulla potremo stare tranquilli. Diversamente, qualora la covata sia guasta, non esitiamo anche a distruggerla, eliminando eventualmente per intero il favo, previo scuotimento delle api che ancora appaiono sane; se così non fossero la famiglia va interamente soppressa. Lasciare in vita famiglie, che non danno una ragionevole certezza di arrivare sane in primavera, e che quindi con buona probabilità finirebbero per collassare nei mesi freddi, rappresenta un serio pericolo per gli altri alveari presenti nella zona, nostri oppure di altri apicoltori. Qualora la covata appaia sana, ma ci si accorga di acari varroa presenti sulle api (con ogni probabilità frutto di saccheggi ai danni di famiglie

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fortemente infestate), non indugiamo: essa dovrà essere abbattuta con il mezzo consentito che più vi aggrada, questa non è un operazione rinviabile al trattamento invernale, inoltre la causa di questa infestazione potrebbe essere ancora in corso, quindi è bene prevedere un monitoraggio settimanale della situazione. Le api adesso possono ancora essere sistemate per l’inverno per ciò che concerne le scorte, sia quantitativamente che nel loro posizionamento all’interno dell’alveare, ricordiamoci che le scorte per l’inverno devono essere presenti

Foto Alberto Guernier

AGENDA LAVORI. NORD-OVEST

in buona quantità sui favi in cui le api andranno a formare il glomere; questo significa che in queste famiglie, la nutrizione non sarà completa finché esse non avranno forzatamente iniziato ad accumulare scorte anche sui favi centrali. Purtroppo questo metodo, costituisce una forzatura peraltro dispendiosa; ma a mio avviso, è di estrema utilità in quei casi in cui il comportamento delle api allevate, non tiene conto delle necessità stagionaliinvernali del luogo in cui esse si trovano ad essere allevate. Buon lavoro Alberto Guernier


AGENDA LAVORI. NORD

CAMBIO DI STAGIONE

NUTRIRE E RIPOPOLARE LE COLONIE SVERNANTI di Maurizio Ghezzi

NON DEVE MANCARE L’APPORTO

Foto ifg.uniurb.it

PROTEICO

A

rrivati a questo punto della stagione, il lavoro dell’apicoltore è quello di iniziare ad invasettare tutto il miele raccolto e già diligentemente smielato. Questo particolare momento segna la fine di una stagione, ma paradossalmente anche l’inizio di quella che verrà: infatti l’obiettivo principale, ora, dovrà esser quello di far svernare nel miglior modo

possibile le nostre colonie per poter ben cominciare a lavorare la prossima primavera. Per raggiungere con tranquillità questo scopo, l’apicoltore attento dovrà monitorare con una discreta frequenza la quantità di scorte stivate nei propri alveari e provvedere a nutrire le famiglie che non sono riuscite ad accumulare sufficienti provviste per poter superare il prossimo inverno. Potremo considerare adeguate le scorte di cibo presenti nell’arnia quando questa risulterà difficile da sollevare con un peso ben superiore ai 25 kg. In questi giorni si assiste alla ricomparsa di importanti fioriture nettarifere che daranno sollievo e sostanza alle nostre apette stressate da un lungo periodo di carestia dovuto al gran caldo e alla siccità dei mesi estivi, ciò nonostante è comunque buona regola provvedere a somministrare piccole dosi giornaliere (150/200 ml) di ottimo sciroppo al 50% (1 litro d’acqua per un chilo di zucchero) al quale aggiungeremo vitamine, sali minerali e proteine (sono ormai diversi i prodotti presenti in commercio utili a tale scopo) perché come ben sappia9/2021 | Apitalia | 13


mo il nettare non è un composto formato solamente da acqua e zucchero bensì una sostanza assai più preziosa e più pregiata rispetto ad una semplice soluzione zuccherina. Questa pratica è necessaria per stimolare la deposizione della regina al fine di portare le famiglie a svernare in ottima forza, arrivando ad avere per la fine di ottobre un gran numero di api giovani ed in buona salute. È comunque buona pratica non esagerare con la somministrazione di sciroppo per non far sì che alla regina non venga tolto troppo spazio in cui poter deporre la covata dovuto all’accumulo nei favi di un surplus di miele operato dalle laboriose operaie. Tuttavia, un corretto sostegno alimentare alle nostre colonie ci consentirà di raggiungere l’importante obiettivo, ossia quello di arrivare ad avere, nelle famiglie, un gran numero di api giovani e in buona salute. In questa fine estate, invece, è opportuno sospendere l’alimentazione così che le giovani api possano “sovra alimentarsi” con ricco e prezioso polline che andrà ad accrescere il loro corpo grasso, cosa necessaria questa, in quanto consentirà, alla ripresa della attività di deposizione da parte della regina, alle api che hanno portato la famiglia alla nuova primavera di poter compiere nel migliore dei modi la loro attività di api nutrici. In questo periodo della stagione, inoltre, le famiglie cominciano a prepararsi per affrontare l’inverno e inizieranno così anche a considerare i fuchi degli individui non 14 | Apitalia | 9/2021

molto desiderabili, bocche inutili da sfamare, per questo motivo li allontaneranno dagli alveari abbandonandoli al loro “triste” destino; contestualmente la covata si ridurrà progressivamente e le ultime api che nasceranno saranno quelle che si assumeranno il gravoso compito di portare la colonia alla prossima primavera. Sarebbe anche bene riservare delle visite ai propri alveari solamente se si ritiene necessario verificare lo stato sanitario della famiglia, dando un rapido sguardo alla covata e valutando allo stesso tempo le riserve di miele e di polline presenti nei favi. È vero che le api non hanno dovuto attendere l’uomo per garantirsi la loro sopravvivenza, (la loro presenza sulla terra risale

Foto www.apicolturaathome.it

AGENDA LAVO RI. NORD

a ben 80 milioni di anni fa), ma allo stesso modo è anche vero che nel momento in cui l’essere umano decide di imporre loro un preciso habitat ha il dovere di offrire un confort di primordine garantendo loro le migliori cure e le più premurose attenzioni! Per questo motivo è bene assicurarsi che i nostri alveari siano in buono stato, in grado di non permettere che si verifichino infiltrazioni d’acqua; dovranno essere posizionati in luoghi al riparo da eventuali intemperie; sapientemente coibentati affinché le nostre api siano ben protette dal freddo e dall’umidità. Questo è anche il periodo propizio per ridurre lo spazio d’ingresso degli alveari attraverso il posizionamento delle apposite griglie,


ciò per evitare l’intrusione di qualche topolino e/o di qualche rettile in cerca di tiepidi rifugi in cui trascorrere un sereno inverno. Durante le ultime visite, se si osserva la presenza di favi vuoti e non presidiati li si può rimuovere restringendo così il volume dell’arnia mediante l’utilizzo di un diaframma: ciò consentirà alle api, durante il freddo e lungo periodo invernale, di ridurre il dispendio energetico necessario per riscaldare l’alveare. Durante l’inverno le api, raggruppate in glomere, si sposteranno da un favo all’altro per raggiungere le riserve di miele e così il glomere migrerà da un lato all’altro dell’alveare; anche per questo motivo, a

mio modesto parere, è necessario portare a svernare famiglie forti con un buon numero di individui perché più la colonia è forte maggiore sarà la probabilità che riesca a migrare da un favo all’altro per raggiungere le scorte di cibo. Non è, infatti, cosa infrequente ritrovare a primavera famiglie morte di fame dislocate ad un lato dell’alveare mentre sull’estremo opposto si ritrova la presenza di favi ancora colmi di miele. Siamo anche nel periodo ideale per la sostituzione delle regine, così che le famiglie possano giovarsi della presenza di una buona regina “d’annata” che garantirà all’avvio della prossima stagione una forte

e vigorosa ripresa della colonia. Se del tempo ne rimane, questo è anche il momento propizio per fare delle riflessioni sulla stagione appena passata cercando di individuare, eventualmente, gli errori commessi per evitare di ripeterli nella prossima e riflettere su ciò che di buono abbiamo fatto per poter, nell’immediato futuro, ripartire proprio da lì così da riuscire a migliorare sempre più, con saggezza ed esperienza, la nostra pratica apistica. Un caro saluto a tutti e un sincero augurio di buona preparazione all’invernamento per tutte le vostre famiglie! Maurizio Ghezzi

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AGENDA LAVORI. NORD-EST

ANNATA DIFFICILE E IMPRODUTTIVA

SPERIMENTAZIONE IN CAMPO SULL’ALIMENTAZIONE PROTEICA di Giacomo Perretta

LIBERATEVI PIAN PIANO DI FAVI VECCHI O DEFORMI

L’

anno apistico è finito con scarsissimi rendimenti e difficoltà di conduzioni, è una storia sempre uguale, in agricoltura gli anni produttivi si alternano con quelli improduttivi e quindi anche in apicoltura. Un vecchio modo di dire qui nel nostro nord-est era: “un anno bon e un anno manco” ovvero “un anno produttivo e un anno meno produttivo”, oggi possiamo tradurlo con “un anno poco e un anno meno di poco”. Questa che potrebbe sembrare un’ironica in-

troduzione è oggettivamente una triste realtà. Senza continuare su questi tormentati binari, introduciamoci a quanto invece è necessario fare in questo periodo: l’allevamento delle api richiede anche un grande sforzo di reazione, il nostro compito come apicoltori è quello d’aver cura delle api. Fortunatamente non siamo soli, anche le Istituzione hanno preso a cuore il problema tanto che la Regione Veneto ha promosso, in collaborazione con tutte le asso-

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AGENDA LAVO RI. NORD-EST

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Foto www.labottegadelleapi.eu

ciazioni Regionali, un progetto di ricerca “Nutrizione proteica delle api: mangimi, caratteristiche e possibili ricadute sull’alveare” che ha lo scopo di valutare l’impatto dell’alimentazione artificiale delle api sullo sviluppo dell’alveare. Gli apicoltori che hanno aderito al progetto riceveranno pacchi di alimenti, in questo caso proteici, che dovranno somministrare alle api relazionando attraverso una scheda che sarà fatta pervenire all’Istituto Zooprofilattico delle Venezie tramite le associazioni coinvolte. I risultati di questo studio saranno valutati indirizzando le aziende produttrici a una più efficiente funzione alimentare. Questi impegni istituzionali sono diventati necessari per far fronte ad una sempre maggiore carenza di alimentazione e la collaborazione degli apicoltori diventa importante forse fondamentale se vogliamo salvare le api. Anche se io credo che dovrebbero ricercarsi altre vie o meglio “vie parallele”. Un solo esempio: le colture intensive un tempo davano il loro apporto all’alimentazione delle api sebbene con una alimentazione non varia, oggi la maggioranza delle colture intensive non producono quel nettare necessario all’alimentazione delle api, sono semplicemente sterili. Quando troviamo scritto “senza semi” sulla cassetta della frutta, quando preferiamo angurie o altra frutta senza semi perché quel piccolo semino ci dà fastidio, sappiate che avete privato le api dell’alimentazione loro necessaria; però questo forse è l’aspetto meno grave, poi-

ché ormai le api sono principalmente allevate e possono ricevere un’alimentazione integrativa e ricercata come sopra accennato, ma sono le altre famiglie d’insetti pronubi che non potendo essere alimentate dall’uomo sono destinate a penuria alimentare e morte. Ogni modifica alla natura ha delle conseguenze che possono essere immediate oppure avere effetti in tempi diversi e indefiniti. CHE COSA CONTROLLARE Abbiamo visto come sia importante l’alimentazione in estate e in autunno, per avere api robuste così che possano trascorrere un buon invernamento, non dimentico la varroa la quale suppongo sia stata tenuta sotto controllo, condizione questa im-

prescindibile e non derogabile. Liberati dal pensiero varroa, vediamo cosa controllare per un buon invernamento. L’alimentazione estiva l’abbiamo eventualmente integrata, le api sono sane, liberate o quasi dalla varroa, tenendo conto che per quanto possa essere efficace il trattamento estivo “tampone” e professionalmente ben fatto, lascerà sempre presente una, anche se piccola, percentuale di varroa. Controlliamo l’alveare per verificare la consistenza della famiglia e togliamo eventuali telaini vuoti non coperti dalle api. I telaini se hanno un po’ di miele possono essere messi a lato divisi da un diaframma, le api andranno a recuperare l’alimento portandolo nel nido, avremo dopo qualche


giorno i favi vuotati e puliti, se si trova sui favi del miele opercolato allora ci vorranno un po’ più di giorni. La quantità di miele che deve essere calcolato per le scorte invernali è in funzione della grandezza di una famiglia e della zona dove è l’alveare, potrei dire tranquillamente che in media due-tre kg di miele per favo coperto di api sono più che sufficienti nelle zone di pianura. Ma oltre a quanto già detto è da prendere in considerazione anche la temperatura invernale, inverni miti sembra facciano consumare più scorte, per questa variabile e non solo, consiglio di verificare anche nei periodi invernali le scorte ed eventualmente integrare. LA PRESENZA DELLA REGINA Controllare la presenza della regina, in questo periodo non è difficile, le api sono più rade ed è facile intravederla, qualora questo non sia possibile per mille motivi controllate la presenza di covata

fresca o meglio di uova, questo vi garantisce l’esistenza della regina, nel mio caso sono costretto a inforcare gli occhiali, non siate pigri, usateli se ne avete bisogno, vi assicuro che ne vale la pena. Qualora abbiate tolto favi vuoti o che le api li hanno vuotati e questi sono vecchi o rovinati eliminateli senza indugio oppure fondeteli. In primavera potrete dare alla famiglia nuovi telaini con fogli cera garantendo loro una più sana dimora. NUTRIMENTO INTEGRATIVO Il nutrimento è senza dubbio il più acceso degli argomenti, ogni apicoltore ha una sua tesi; in effetti l’alimentazione è un argomento molto importante, non a caso abbiamo visto che anche i Centri istituzionali di riferimento tecnico-scientifico ne fanno motivo di studio. Per il momento possiamo solo valutare quello che c’è in commercio, e come per gli alimenti umani quello che è buono per uno non lo

è per l’altro. La ricerca scientifica non può certo indicare un prodotto piuttosto dell’altro ma può controllare che il prodotto dato alle api sia composto dai prodotti dichiarati e con la garanzia che i prodotti siano sani, idonei e ben confezionati. Per chi volesse provvedere in proprio, consiglio uno sciroppo molto concentrato da 1,5 kg fino a 2 kg di saccarosio per litro d’acqua (zucchero comune): questo sciroppo è bene darlo verso sera quando le api difficilmente si avventurerebbero in saccheggi, per evitare questo è anche utile il contenitore di sciroppo a depressione, il quale riempito in laboratorio o a casa, può essere portato in apiario senza problemi di gocciolamenti e quindi può essere inserito nell’alveare. Ci sono in commercio anche vari combinazioni di sciroppi o canditi a voi la preferenza. Sono certo che farete la scelta giusta. Giacomo Perretta

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AGENDA LAVORI. CENTRO

CONTROLLI PRIORITARI SU SANITÀ, SCORTE E REGINE

FAMIGLIE FUCAIOLE: ACCORPARE LE COLONIE di Matteo Giusti

L’

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sere visibile magari per fenomeni di reinfestazione. Per controllare la presenza di varroa è importante valutare soprattutto i sintomi secondari, come quelli tipici delle virosi trasmesse dall’acaro (api con ali deformate e presenza di covata a sacco) o problemi generici a carico della covata, come covata disomogenea o pupe disopercolate e

APPROFITTARE DELLE FIORITURE TARDIVE DI INULA VISCOSA

Foto it.wikipedia.org

arrivo dell’autunno in Italia centrale è ancora un periodo attivo per le api, anche se le cose cambiano molto a seconda della zona e dell’altitudine. Al livello del mare e sulle isole, laddove possibile, può essere ancora tempo di produzione, con la fioritura del corbezzolo, o comunque un ultimo periodo di raccolta per i fabbisogni degli alveari con le ultime fioriture stagionali, in particolare dell’inula (Inula viscosa) (foto nella pagina). Ma anche in montagna, per quanto l’ovideposizione della regina si riduca, è ancora tempo di volo, soprattutto in questi ultimi anni dove gli autunni sono sempre stati più che miti e spesso soleggiati. Al di là delle produzioni, che possono essere fatte solo in alcune zone, i lavori principali da svolgere in apiario in questo periodo sono i controlli sanitari, i controlli delle scorte e i controlli delle regine. I controlli sanitari devono riguardare soprattutto le malattie della covata come covata calcificata e pesti. Ovviamente è importante controllare anche l’infestazione da varroa, che può tornare ad es-


parzialmente rimosse. Si possono eventualmente fare anche delle prove diagnostiche con la tecnica dello zucchero a velo o con trattamenti diagnostici a campione con prodotti a base di timolo. In caso di infestazione si può intervenire ancora con un trattamento base di timolo, dal momento che le temperature sono ancora adatte, in modo da fere un trattamento tampone in vista dei trattamenti invernali. Questo periodo è ancora utile per fare anche nutrizioni complementari a base di integratori che aiutano nella prevenzione del nosema o per il rafforzamento delle difese, infatti le temperature sono in genere ancora sopra i limiti prescritti per questi prodotti che dovrebbero

essere dati a temperature medie superiori a 10 °C-15 °C. Altro tipo di controllo molto importante è quello delle scorte alimentari. Anche se quest’anno il problema non è generalizzato, ma presente a macchia di leopardo, ci sono zone in cui la siccità si è fatta sentire più che altrove e le famiglie possono essere a corto di miele per l’inverno. In questo periodo la soluzione migliore è intervenire con una nutrizione artificiale a base di sciroppi il più concentrati possibile, che le api possano immagazzinare prontamente nei favi. Anche la nutrizione proteica è da prendere in considerazione se le scorte di pane d’api non sono abbondanti. Un’attenzione che deve essere data so-

prattutto agli sciami artificiali fatti in estate che possono non essere stati in grado di costituirsi delle scorte adeguate. E ovviamente è fondamentale cercare di far sfruttare al meglio le ultime fioriture, come appunto quella dell’inula, che possono essere enormemente importanti per ricostituire delle scorte sia di miele che di polline. In alcuni casi è possibile anche mettere i melari, non tanto per la produzione commerciale, ma per avere dei telaini da poter utilizzare come nutrizione in inverno o all’inizio della primavera, magari conservandoli in congelatore se non fossero completamente opercolati. Infine è importante controllare la

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AGENDA LAVORI. CENTRO

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Foto Matteo Giusti

presenza e l’attività delle regine: un alveare orfano o con una regina che praticamente non depone o che è diventata fucaiola è destinato ad andare incontro al completo spopolamento, e quindi è un alveare perso. In questo periodo non è consigliabile andare a sostituire la regina, perché queste sono difficilmente reperibili sul mercato, e altrettanto rischioso è allevarle, dal momento che la presenza di fuchi inizia ad essere scarsa se non assente. Quindi la cosa migliore da fare per non perdere le api è riunire la famiglia orfana o fucaiola con una che non presenti questi problemi. Le tecniche per riunire due famiglie sono molte, ma le più usate sono due: la cosiddetta tecnica del giornale e l’uso di sostanze che confondano l’odore della famiglia. Nel caso ci sia una regina fucaiola però, prima di tutto, è necessario eliminarla. La tecnica del giornale consiste nel mettere dei fogli di giornale sopra la famiglia a cui si vuol riunire quella orfana, farci alcuni pic-

coli fori, e poi mettere due melari vuoti dove alloggiare i telaini con le api della famiglia senza regina. Le api roderanno lentamente i fogli di giornale venendo gradualmente in contatto quelle nel nido con quelle nel melario che riusciranno a ‘familiarizzare’ prima di essere in completa comunicazione. Le tecniche della confusione degli odori consistono invece nello spruzzare le api delle due famiglie di acqua aromatizzata ad esempio con una piccola quantità di succo di frutta o aromi alimentari in modo da mascherare l’odore delle due famiglie (odore su cui le api basano

il riconoscimento dell’appartenenza ad una colonia) uniformandolo, e quindi unire le due famiglie in un’arnia che le possa contenere, o scartando i telaini vuoti o più vecchi per fare spazio. L’autunno, infine, con la riduzione dei lavori in apiario, è il periodo ideale per sistemare mieleria e magazzino, se non lo si è già fatto in estate, o per ultimare tutti gli invasettamenti prima che il miele cristallizzi. Senza dimenticare di riordinare con calma tutta la parte burocratica legata alla azienda. Matteo Giusti



AGENDA LAVORI. ISOLE

SOPRAVVIVERÀ L’APICOLTORE MIGLIORE

LA STAGIONE METEREOLOGICA NON È PIÙ QUELLA ASTRONOMICA di Vincenzo Stampa

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Se le previsioni non sono affidabili, su cosa ci dobbiamo regolare? Ci dobbiamo regolare sugli effetti provocati dall’andamento climatico del passato recente. Per sintetizzare: non piove dal mese di aprile, cioè da oltre cinque mesi, le temperature sono sempre sopra la media storica, il raccol-

SERVONO API ADATTE ALLA NATURA DEL TERRITORIO

Ape sicula su fioritura di Asparagus angustifolia.

Foto Vincenzo Stampa

econdo tradizione l’annata apistica ha inizio in autunno; è anche vero che l’autunno astronomico va dal 22 settembre al 21 dicembre, ma non è detto che corrisponda alla stagione meteorologica ed è altrettanto vero che non può esserci un calendario uguale per tutte le latitudini; con buona pace di quanti si ostinano a seguire e/o propagandare un calendario apistico basato sulle stagioni astronomiche. Poi in Sicilia, lungo il 38° parallelo, l’area di Nord-Est e quella di SudOvest hanno da sempre seguito percorsi meteorologici diversi senza dimenticare che da quasi due decenni, anno dopo anno, è saltata completamente la corrispondenza tra stagione astronomica e quella meteorologica. In conseguenza abbiamo preso a riferimento come inizio d’autunno la fioritura delle prime piante erbacee spontanee che si verifica in seguito alle prime piogge consistenti: questo significa che l’inizio della stagione apistica può verificarsi, come è già avvenuto in passato, anche alla fine di dicembre.



AGENDA LAVORI. ISOLE

Ape sicula su fioritura di Drimia maritima.

to varia da scarso a nullo. Segnali dai quali non ci possiamo aspettare niente di buono. Per inciso, possiamo citare anche un’altra calamità: gli incendi. Emergenza in conseguenza della quale la Regione Sicilia ha pubblicato un decreto che provvede al soccorso delle aziende agricole colpite, dimenticandosi purtroppo proprio dell’apicoltura: ragione per cui FAI-Sicilia, con il sostegno di Confagricoltura, hanno chiesto l’inserimento dell’allevamento apistico a integrazione del decreto che dispone indennizzi. In questa situazione pedo-climatica, sempre più drastica e incerta, l’ape sicula è quella che più si adatta - visto che il suo patrimonio genetico non è stato artificiosamente manipolato - per cui conserva intatta tutta la sua “rusticità”, il che le permette di resistere anche a lunghi periodi di carenza di raccolto. Abbiamo semmai il problema 26 | Apitalia | 9/2021

dell’inquinamento genetico provocato da quei sedicenti apicoltori, poco istruiti in materia e anche creduloni, succubi di imbonitori che ancora ripropongono il mito dell’ape migliore in assoluto. Non volere riconoscere due fondamentali regole imposte dalla natura comporta il rischio di ritrovarsi, insieme alle api, in situazioni disastrose; occorre ricordare, infatti, che: 1) l’ape migliore non esiste, c’è l’ape espressa dal territorio, ed è risaputo da quasi 200 anni, che è quella che meglio si adatta all’ambiente di cui è figlia; 2) l’apicoltore deve adeguare il proprio comportamento alla sottospecie che alleva, cioè ne deve conoscere la biologia e il comportamento rispetto all’ambiente e alle mutevoli condizioni climatiche. Per cui è lecito affermare che semmai dobbiamo andare verso “l’Apicoltore migliore”.

Dunque, cosa fare adesso? Innanzitutto, un controllo della quantità di api e del livello delle scorte. In caso di carenza di api, come ci si aspetta dopo un così lungo periodo di siccità, è necessario restringere il nido portando al di là del diaframma i favi vuoti e/o non presidiati. In caso di insufficienza delle scorte, somministrare una tasca di alimento, glucosio+fruttosio, non diluito e le api, nel giro di 24/48 ore, se lo sistemeranno in modo strategico nei favi. Questo permette all’alveare di resistere in attesa delle prossime fioriture; in caso di ulteriore ritardo delle piogge e quindi delle fioriture prepararsi ad un’altra somministrazione. Teniamo presente che gli apiari sistemati in aree incolte collinari possono avvantaggiarsi della fioritura di alcune bulbacee come il Cipollaccio (Drimia maritima) e l’Asparago (Asparagus acutifolius) che fioriscono precocemente sfruttando le risorse accumulate nel bulbo; in zone più fresche altre fonti interessanti di nettare e polline sono il Carrubo (Ceratonia siliqua), l’Edera (Hedera helix) il cui nettare però ha il difetto di cristallizzare velocemente già nei favi. Dobbiamo riconoscere che, nonostante le difficoltà oggettive, rispettare le necessità degli alveari e conoscere il territorio sono accortezze che ci aiutano nella conduzione degli apiari; la natura ci offre sempre delle opportunità, per lo meno di sopravvivenza. Vincenzo Stampa


TECNICA APISTICA

NUTRIZIONE DI FINE ESTATE

PREDISPORRE LE API ALL’INVERNO POTENZIANDONE IL CORPO GRASSO di Igor Gatto

PREVENIRE I SACCHEGGI E ANTICIPARE

importante è trovarsi a settembre con api sane, pulite da varroa e soprattutto con un corpo grasso ben presente). • Prima cosa da fare è verificare la covata e la presenza della regina feconda nei nostri alveari. • Secondo: se ci sono favi vecchi, privi di covata e di miele eliminarli o spostarli verso l’esterno del nido. • Terzo: quantificare le scorte. Difficile dare precise indicazioni su quanto miele servirà alla colonia per passare l’inverno: dipende molto dalla zona in cui

Foto www.ctrl-bee.it

IL FREDDO

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bbiamo ià parlato molte e molte volte di nutrimento e di invernamento… ma mai come quest’anno bisogna fare attenzione allo stato di salute delle nostre api. Arriviamo da un’annata molto difficile nella quale abbiamo sofferto molto assieme alle nostre api: carenza di raccolti, molte sciamature e famiglie che si sono organizzate. Bisogna quindi cercare di riportare le nostre api in una situazione positiva per affrontare tranquillamente l’inverno. Spero abbiate finito con i trattamenti estivi (molto

9/2021 | Apitalia | 27


si opera; comunque dobbiamo assicurarci che ci siano almeno tre favi laterali pieni di miele e le corone sopra le covate per un totale di circa 15/20 kg. Come nutriamo? Possiamo utilizzare la nutrizione sia solida che liquida. Il vantaggio della nutrizione solida sta soprattutto nella facilità di gestione, ma risulta importante anche perché dà un basso stimolo al saccheggio. Situazione diversa si ha con la nutrizione liquida e soprattutto se si utilizza il saccarosio (zucchero da supermercato, per uso alimentare) che, sciolto in acqua, rilascia odori che facilitano le occasioni di saccheggio. Per evitare o diminuire il più possibile questo fenomeno è consigliabile l’utilizzo di sciroppi a base di fruttosio oppure rinviare la somministrazione di nutrimento verso sera, avendo cura di non sporcare l’esterno delle nostre arnie e di ridurre le aperture delle entrate nelle famiglie più deboli. Un concetto fondamentale, da comprendere per operare con successo, è che le api vanno nutrite prima dell’arrivo del freddo e non durante, perché in questo caso avremo anche effetti negativi sulle colonie. Questo perché nel periodo rigido le api devono lavorare il meno possibile: la nutrizione comporta sempre un dispendio di energie da parte delle api operaie e quindi una maggior usura dell’apparato digerente che andrà ad incidere sulla durata della vita dell’ape stessa nella seguente primavera. 28 | Apitalia | 9/2021

Sia la nutrizione liquida che quella solida, inoltre, stimolano la colonia ad allevare covata in un periodo nel quale dovrebbe invece diminuire. Nutrire a fine estate ed inizio autunno servirà dunque ad accumulare scorte, ma anche a stimolare la deposizione favorendo la presenza di più api per l’inverno. Altro punto importante è che bisogna nutrire la totalità delle nostre colonie per impegnare tutte le nostre api a consumare lo zucchero fornito e, così facendo, distrarle dall’attività di predazione. Oltre agli sciroppi concentrati già pronti all’uso si possono usare soluzioni di 1,5 kg di saccarosio su litro d’acqua e, a seconda della necessità, intervenire più volte a distanza di 5-6 giorni. Nei luoghi dove troviamo abbondanti flussi nettariferi, causati ad esempio dall’edera, la nutrizione non sarà necessaria. Spesso, per ovviare alla carenza di scorte e di fonte nettarifera, si spostano le colonie su territori importanti come le rive dei canali

Foto floradelmatese.blogspot.com

TECNICA APISTICA

dove troviamo il Sicyos angulatus (la “zucca matta”, ndR) (foto nella pagina) che fiorisce fino a tutto settembre, oppure vicino a boschetti o canali dove c’è appunto l’abbondante presenza di edera. In questo periodo molto importante è la pulizia intestinale delle nostre api per allontanare il problema Nosema ceranae; lo si può fare con integratori già presenti sul mercato (ApiHerb, ProBee o simili) che aiutano ad eliminare o a diminuire eventuali spore presenti nell’apparato digerente dell’ape - spore che causano appunto l’insorgenza del nosema - ma anche ad incrementare la formazione del corpo grasso dell’ape che è importante per allungare la longevità invernale delle api stesse. Ed è in queste occasioni, che vale anche ricordare che è sempre bene ridurre gli ingressi degli alveari e pulire e/o reinserire i vassoi dove mancano. Igor Gatto Chimico farmaceutico e Apicoltore professionale


SPECIALE BIOTECNICA - 2

Presentiamo in questo numero di Apitalia la Parte II della biotecnica che Michele Campero mise a punto, già all’inizio degli anni ’90, per tenere sotto controllo la varroa senza fare ricorso a formulati chimici o comunque in grado di ridurne sostanzialmente l’impiego. Il principio di questa innovativa ed efficace biotecnica fu inizialmente basato sulla sistematica asportazione della covata di fuco, di quella parte dell’alveare cioè in cui si concentrano i parassiti adulti di Varroa destructor, ma anche la covata in via di riproduzione. Un’osservazione elementare che da quegli anni ad oggi è diventata di pubblica utilità e in qualsiasi luogo del mondo, anche se non sempre si riconosce all’Autore il merito di questa intuizione salvifica per le api. La biotecnica, come vedremo, evolverà verso forme più sofisticate di monitoraggio della vita delle api, introducendo fattori utili a preservare il benessere animale in una forma di allevamento che oggi, più che in passato, viene riconosciuto come “ad elevato valore etico”.


SPECIALE BIOTECNICA - 2 CRITERI PER L’USO DEL TELAINO INDICATORE Nella conduzione dello sciame preso in considerazione si era arrivati al momento in cui la colonia, nel suo sviluppo primaverile del secondo anno, richiedeva l’aggiunta di altri fogli cerei per ampliare la sfera di covata. Aggiungendoli però si rischiava di vederli parzialmente trasformati in celle da fuchi: questo è il comportamento logico delle api; infatti, esse, non disponendo del settore fuchi indispensabile allo sviluppo del secondo anno, utilizzano i fogli cerei per ottenerlo: il risultato è deludente, sia per le api che per l’apicoltore. Perciò si era passati alla descrizione del telaino indicatore (T.I.), il cui uso è previsto solo in colonie stabili mentre gli sciami, nel primo anno del loro sviluppo, non lo richiedono. Come già detto, il T.I. si introduce al centro della covata un mese prima dell’inizio del periodo di sciamatura caratteristico della zona in cui si trova l’alveare. Esso assolve la funzione indicatrice per circa 8 settimane, dopo di che diventa un favo di covata normale. Nuove esperienze saranno riportate in seguito nel capitolo “Evoluzione del T.I.T. 3” Dal momento in cui si inserisce il T.I., nell’alveare, occorre rispettare 3 regole: 1. visitare i T.I. ogni 7 giorni, ossia ripetere la visita possibilmente sempre lo stesso giorno della settimana; 2. leggere ed interpretare il favo indicatore (F.I.) che le api hanno costruito nella finestra del T.I. e quindi ritagliarlo; 3. aggiungere altri telaini solo quando la colonia ha occupato col favo tutta la finestra nel giro di 7 giorni. D’ora in poi, per esigenze di praticità e di precisione, si useranno spesso due termini in forma abbreviata: T.I. e F.I. Con il primo si intende tutto il telaio indicatore, ossia telaio, 2/3 di favo e finestra; con il secondo si fa riferimento al solo favo indicatore, cioè al favo che le api costruiscono liberamente nella finestra. Il favo indicatore (F.I.) costruito spontaneamente dalle api, può presentare svariate caratteristiche; ognuna di queste esprime una situazione o un’e30 | Apitalia | 9/2021

sigenza ben precisa dell’alveare. L’apicoltore, in seguito all’esperienza e alla conoscenza del comportamento evolutivo delle api, riesce a leggere ed attribuire il giusto significato ai particolari riscontrati sul F.I.; di conseguenza egli saprà come comportarsi per collaborare con la colonia d’api. L’intervallo di tempo in cui il T.I. espleta la sua funzione si divide in 2 periodi: quello di presciamatura e quello di sciamatura. La lettura e l’interpretazione si basano sugli stessi principi, sia nell’uno che nell’altro periodo. La diversità sta solo nella maggiore sensibilità richiesta all’apicoltore nel secondo periodo poiché quest’ultimo è nettamente più delicato. Nelle Tabelle 1 e 2 sono riportati alcuni esempi, i più significativi, di lettura, interpretazione ed esecuzione del metodo. L’intestazione di ognuna delle tre colonne in cui sono suddivise le tabelle si riferisce ad uno dei tre vocaboli usati come sottotitolo al primo capitolo: cosa vedo = osservare, cosa deduco = capire, cosa faccio = agire. L’ordine con cui i 19 casi sono presentati nelle tabelle rispecchia, a grandi linee, il normale susseguirsi delle fasi di sviluppo delle colonie. Non è detto però che questa sequenza venga sempre rispettata: il cattivo andamento del tempo può scombussolare sensibilmente il normale progredire delle famiglie d’api. Affinché la lettura del F.I. possa risultare di più facile interpretazione, occorre considerare alcuni fattori di base, quali ad esempio il fatto che tutte le colonie stabili, verso la metà di marzo, iniziano l’allevamento di fuchi e lo portano avanti fin tanto che sentono la necessità di preparazione alla sciamatura. Dal momento in cui cessa questo stimolo, non costruiscono più celle da fuchi o, se continuano a costruirle, non le adibiscono più a covata. Un altro fattore di base è il comportamento delle colonie in stretto rapporto con l’ambiente. In sintesi, per effettuare una valida lettura, si consiglia di tener presente l’evoluzione naturale descritta nel primo articolo di questa serie. Si spera che per il lettore, i 19 casi riportati siano sufficientemente esaurienti; comunque, per maggiore chiarezza, si procede ad un’ulteriore spiegazione di alcuni di essi.


Tabella 1, caso 3. La colonia, nel giro di una settimana, non è stata in grado di costruire tutta la finestra; questo vuol dire che è una famiglia piccola e debole, oppure che il tempo è stato inclemente, cioè non favorevole allo sviluppo. L’operatore non troverà difficile stabilire la causa, è sufficiente che consideri l’andamento atmosferico degli ultimi 7 giorni. Se la costruzione si presenta sotto forma di 2 favetti (2 cuoricini), uno a celle da operaie e l’altro a celle da fuchi, significa generalmente che la regina è abbastanza giovane, dell’estate precedente, e che la famiglia non sente ancora il vero stimolo dello sviluppo del secondo anno. Alla prossima visita si troverà, quasi sicuramente, un F.I. tutto maschile. Dopo aver letto e capito, si ritaglia tutto ciò che le api hanno costruito nella finestra. Siccome il F.I. non occupa tutta la finestra, non si aggiungono telaini (vedi la regola 2 del T.I.). Tabella 1, caso 4. Il favo indicatore è tutto da fuchi, con uova, ed occupa interamente la finestra; tale situazione indica che la famiglia è più forte della precedente ed in espansione. Se essa ha costruito il F.I. con cera vecchia ( ciò si nota

dal colore più scuro del F.I. che è uguale a quello della cera esistente sui listelli dei telaini), significa che le ghiandole ceripare delle operaie non secernono ancora cera, o quasi; per questo si aggiunge un telaio (l’ampiezza del F.I. lo richiede), ma possibilmente con favo già costruito. In mancanza del favo si ripiega sull’uso di un foglio cereo; non essendo però ancora attive le ceraiole, esso viene costruito con difficoltà. Tabella 1, caso 6. La presenza di covata con larve di 3 giorni denota che le prime uova sono state deposte 6 giorni prima, ossia nelle prime 24 ore dopo l’ultima visita. Per osservare la covata già in tale stadio, ciò significa che le api hanno dovuto costruire il F.I. molto velocemente, dando un indice di rapida espansione. Il foglio cereo che si introduce verrà costruito in fretta e bene. Se il nido fosse già completo di telaini, occorre togliere un favo laterale di provviste per fare spazio al foglio cereo. Il F.I. va ritagliato. Interpretazioni e comportamenti non molto diversi sono previsti anche per i casi 7 e 8 della Tabella 1. L’impiego dell’escludi-regina, citato nel caso 8, dipende dal giudizio dell’apicoltore.

Tabella 1 - Schema di impiego del telaino indicatore (T.I.) nel periodo che pre-cede la sciamatura: lettura e interpretazione del favo indicatori (F.I.), interventi che ne conseguono. COSA VEDO

COSA DEDUCO

COSA FACCIO

1

T.I. vuoto (caso limite)

Colomia piccola o provviste scarse o tempo brutto o malattie

Coibento; nutro; restringo; curo

2

F.I. piccolo, da fuchi, di cera vecchia

Quasi come al n. 1; inizio costruzione; ceraiole non attive

Quasi come al n. 1; ritaglio e non do teleini

3

F.I. piccolo; 2 tipi di cellette in favi separati

Colonia piccola; regina della precedente estate; necessità di fuchi poco sentita

Ritaglio e non do telaini

4

F.I. da fuchi, completo, cera vecchia, con uova

Colonia in espansione; poche ceraiole; necessità di spazio per la covata

Ritaglio; do un favo costruito; se necessario tolgo un favo superfluo

5

F.I. da fuchi, completo, cera nuova, con sole uova

Ceraiole attive; necessità di spazio per la covata; la regina depone nel F.I. da non più di 3 giorni

Ritaglio; do un foglio cereo; se necessario tolgo un favo vecchio e senza covata

6

F.I. da fuchi, completo, cera nuova, uova e larve di 3a età

Colonia forte; la regina depone da 6 giorni nel F.I. costruito in 1-2 giorni; necessità di spazio per la covata

Ritaglio; do un foglio cereo; se necessario tolgo un favo vecchio

7

F.I. da fuchi, completo di larve, alcune quasi opercolate

Colonia forte; F.I. costruito in un giorno e subito occupato; necessità di spazio per la covata

Ritaglio; do un foglio cereo; se necessario tolgo un favo

8

F.I. da fuchi, completo, pieno di covate e di miele

Necessità di spazio per la covata e per il miele

Ritaglio; do un foglio cereo; tolgo un favo; metto il melario; escludi-regina?

9

F.I. da fuchi, con cellette più grandi della media, pieno di covata, senza miele, con i bordi delle cellette molto spessi, presenza di fili di cera sul portafavo

Colonia ottima per fuchi selezionati; necessità di spazio per la covata; ceraiole bisognose di sfogo

Ritaglio; se la colonia ha ottime caratteristiche, apro una finestra nella parte posteriore del T.I. o in un altro favo vecchio (dimensioni 0,5 dm2); do un foglio cereo nel nido ed altri lati del melario

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IL MEGLIO DELLA NUTRIZIONE PER IL BENESSERE DELLE VOSTRE API

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Tabella 1, casi 9. Il F.I. indica la capacità della colonia di costruire le celle da fuchi molto grandi (con apotema doppi, di 7 mm circa), di conseguenza indica la possibilità di produrre fuchi altrettanto grandi. Essendo i fuchi nella selezione delle api importanti quanto le regine, è più logico farli allevare da famiglie con le carte in regola. Inoltre è bene che queste famiglie abbiano anche altri nuovi caratteri. La finestrella, che si ricava nel settore femminile del T.I. o in un altro favo centrale, servirà in seguito per portare a completo sviluppo un certo numero di maschi selezionati. Il favetto maschile costruito in quest’ultima finestrella non si ritaglia. Occorre prestare molta attenzione, all’inizio della campagna apistica, per individuare il più presto possibile le famiglie idonee, onde riuscire ad avere in tempo fuchi validi e sessualmente maturi per il periodo delle fecondazioni. È opportuno inoltre che il telaio con la porzione di favo a celle grandi venga lasciato alle api, nella zona centrale dell’alveare, anche durante l’inverno: così nell’anno seguente, si avranno in anticipo fuchi selezionati.

Tabella 2, caso 4. Cupolini vuoti (abbozzi di celle reali) si ritrovano sul F.I.: questo è un segno premonitore che la colonia si sta avviando verso una probabile sciamatura. Essa ha bisogno di sfogo sia per costruire che per estendere la covata, perciò l’apicoltore, per assecondarla, deve inserire 2 fogli cerei, possibilmente al centro, vicino al T.I., naturalmente dopo aver tolto 2 favi vecchi laterali. Sapendo che più la regina è anziana e più la colonia tende a sciamare, occorre controllare l’età della regina stessa: se è dell’anno precedente, la sciamatura va più a rilento. Tabella 2, caso 5. Oltre al F.I. completo e riempito di covata maschile della finestra, si osservano da 1 a 4 fori situati nella parte superiore della finestra stessa, ossia tra la parte vecchia e quella nuova. La causa di tali fori è dovuta alle api ceraiole che iniziano la costruzione del F.I. in più punti, al massimo 4, ottenendo altrettanti favetti a forma di cuore; ingrandendoli poi, li congiungono tutti ricavandone un unico favo. Nei diversi punti di congiunzione le api lasciano un foro di 20 mm circa. Nella parte superiore del foro che

Tabella 2 - Schema di impiego del telaino indicatore (T.I.) nel periodo della sciamatura: lettura ed interpretazione del favo indicatore (F.I.), interventi che ne conseguono. COSA VEDO

COSA DEDUCO

COSA FACCIO

1

F.I. da fuchi, completo, con sole uova

la regina ha deposto nel F.I. solo negli ultimi3 giorni

Ritaglio, do un foglio cereo, se necessario tolgo un favo

2

F.I. da fuchi, completo, con uova e larve

In base all’età delle larve deduco il periodo di deposizione

Come al n. 1

3

F.I. da fuchi, completo, con covata e miele

Necessità di spazio per la covata e per il miele

Ritaglio, do un foglio cereo, do spazio nel melario

4

F.I. da fuchi, completo con covata e con cupolini vuoti

“pre-febbre sciamatoria”, occorre sfogo

Ritaglio; controllo l’età della regina e la covata, tolgo 2 favi e do 2 fogli cerei

5

F.I. da fuchi, completo con covata, fori e cupolini vuoti

Quasi “febbre sciamatoria”, necessità di spazio

Come al n. 4

6

F.I. piccolo o grande, cupolini con deposizione sui bordi del F.I.

“Febbre sciamatoria” ed orfanità

Se “febbre”, riduco la covata a sciame, se orfanità, guido l’allevamento della regina e do una regina giovane, ritaglio

7

F.I. piccolo o grande, tutto da operaie

La colonia rinuncia alla sciamatura

Non ritaglio, se necessario do fogli cerei o favi

8

F.I. piccolo o grande, con solo miele

La colonia rinuncia alla sciamatura?

Verifico la covata e lo spazio per il miele, ritaglio

9

F.I. da operaie, 1 o 2 celle reali

Quasi sempre è una sostituzione di regina senza sciamatura

Non ritaglio, controllo la covata, seguo l’allevamento della regina

10

F.I. non più costruito

“Febbre sciamatori, salvo brusco peggioramento delle condizioni esterne

Riduco a sciame, se la causa proviene dall’esterno non intervengo

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SPECIALE BIOTECNICA - 2 fa parte del favo vecchio, esse ottengono un cupolino; il diametro del foro più la lunghezza del capolino conficcato nel favo vecchio assicurano lo spazio sufficiente alla cella reale che verrà più tardi costruita. Di fronte ad un quadro del genere si ha la massima certezza di un prossimo allevamento reale: è quasi “febbre sciamatoria” (si dice quasi perché i cupolini sono ancora vuoti). Nel tentativo di evitare che la colonia entri in “febbre sciamatoria” si danno 2 fogli cerei, come nel, caso 4 della Tabella 2. Dopo 2 o 3 giorni, è utile ed economico effettuare una brevissima visita intermedia con l’intento di scoprire la “febbre sciamatoria” fin dal suo inizio. Tabella 2, caso 6. Questa volta i cupolini del F.I. contengono l’uovo o la larva già enucleata. Di fronte ad una situazione del genere l’apicoltore pensa immediatamente alla “febbre sciamatoria”, poiché si è nel periodo di sciamatura. Prima di trarre delle indicazioni è bene osservare meglio il F.I.: se questo è piccolo, significa “febbre sciamatoria”, se esso è invece grande può essere orfanità causata inavvertitamente durante l’ultima visita. Quando una famiglia da alcune settimane riempie la finestra con costruzioni maschili, tutto ad un tratto, anche se il tempo è stato discreto, costruisce pochissimo e predispone celle reali: in questo caso si ha la quasi certezza della “febbre sciamatoria”, poiché questa frena enormemente l’attività costruttrice. Nel caso contrario, cioè quando la famiglia continua a costruire tutta la finestra e ha però 1 o 2 celle reali sul F.I., si tratta, di norma, di orfanità. Comunque, per avere un quadro più chiaro della situazione, si consiglia di controllare almeno 2 favi di covata, uno a sinistra e l’altro a destra del T.I.; se globalmente ci sono più di 3 celle reali e si scorgono uova nelle celle normali, significa “febbre sciamatoria” (vedi punto 4 dello sviluppo del secondo anno). In questo caso occorre fare la messa a sciame che verrà descritta nei prossimi paragrafi. Se si tratta di orfanità causata 7 giorni prima, non esistono più uova: visitando i 2 favi adiacenti al T.I. se ne ha la conferma, per cui occorre seguire l’allevamento reale, oppure toglie34 | Apitalia | 9/2021

re tutte le celle reali ed introdurre una nuova regina. La colonia, orfana di regina ma non di celle reali, continua a produrre sia cera che miele (vedi punto 5 dello sviluppo del secondo anno). Tabella 2, caso 6. Le ceraiole costruiscono il F.I. solo a celle operaie. L’esperienza insegna che quando le api non hanno più interesse alcuno per la covata maschile, rinunciano alla sciamatura. Questo è dunque il caso che soddisfa maggiormente coloro che considerano il fenomeno sciamatorio un problema. Essendo la covata nel favo indicatore tutta la femminile, essa non deve essere ritagliata. Il T.I. si mette al posto dell’ultimo favo di covata: non si scambiano questi 2 telaini fra di loro, ma si alza il T.I. e si avvicinano tutti gli altri favi ottenendo, lateralmente, un posto vuoto nel quale poter calare il T.I., D’ora in poi il T.I. cessa la sua funzione, salvo che non si pratichi il nomadismo verso una zona in cui si è ancora nel periodo di sciamatura. (Del rapporto tra nomadismo e T.I. si parlerà più avanti). Tabella 2, caso 8. Le ceraiole hanno continuato a costruire il F.I. da fuchi, la regina però non è più intervenuta a deporvi covata, allora le api l’hanno occupata con del miele. Di norma questo comportamento indica, come nel caso precedente, che la colonia ha rinunciato alla sciamatura. Si consiglia però di controllare se nei favi centrali di covata esistano ancora delle uova, poiché la loro assenza sarebbe indice di orfanità; siccome poi le bottinatrici hanno collocato il miele nel F.I., nonostante la posizione centrale poco adatta a questo uso, occorre provvedere a creare sufficiente spazio nei melari. Per avere un’ulteriore certezza che la colonia rinuncia alla sciamatura, è opportuno ritagliare il F.I. ed attendere la conferma una settimana più tardi. Dopo di che, se l’apicoltore non intende trasferire l’alveare verso la montagna, può spostare il T.I. ai lati del nido, altrimenti lo lascia al centro della covata. Tabella 2, caso 9. La costruzione del F.I. a sole celle da operaie sta ad indicare che la famiglia


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non si prepara più alla sciamatura. Si ha però la presenza di celle reali, le quali possono rendere la situazione dubbia: sciamatura o solo rimpiazzo di regina? Occorre allora riflettere un attimo sulla caratteristica che distingue la “febbre sciamatoria” vera e propria dal rimpiazzo di regina senza sciamatura. Siccome questa caratteristica è “la mancata costruzione dei favi”, bisogna osservare la grandezza del F.I. contenuto nella finestra e confrontarla con l’età delle celle reali: se la costruzione del F.I. è scarsa e le celle reali contengono già una larva, è indice di “febbre sciamatoria”. Se l’indicatore è invece grande e le celle reali contengono larve, è indice di “rimpiazzo”, dal momento le api non smettono di costruire. In alternativa a queste 2 ben definite situazioni, se ne può presentare una terza: quella del F.I. ampio e celle reali con sole uova. Ciò può significare che la famiglia è entrata da poco in “febbre sciamatoria”, ossia quando il F.I. era già tutto costruito. E non essendoci nella finestra altro spazio libero nel quale le api possono mostrare se la costruzio-

ne continua o no, l’apicoltore non riesce a comprendere l’intenzione della famiglia. Si rende necessario quindi visitare un paio di favi centrali: se esistono altre celle reali (in totale più di 3) si è in presenza di “febbre sciamatoria” ed occorre mettere la famiglia a sciame. Nel caso non si notassero celle reali sugli altri favi, rimane il dubbio. È consigliabile allora ritagliare il F.I., conservando però le celle reali e ritornare, dopo 2-3 giorni a verificare se il F.I. viene o meno costruito; si capirà così se è “febbre sciamatoria” o rimpiazzo. Di fronte ad un rimpiazzo chiaramente dimostrato, cioè con una sola cella reale ed ampio F.I. femminile, la costruzione non deve essere ritagliata. Da qui in avanti il T.I. diventa un favo normale di covata ed essendo tutto a celle femminili continua a rimanere al centro del nido. Tabella 2, caso 10. Il F.I. non è più costruito. La colonia che per alcune settimane di seguito ha costruito a celle maschili tutta o quasi la finestra del T.I., dimostra di essere forte e di non esclu9/2021 | Apitalia | 35


SPECIALE BIOTECNICA - 2 dere una probabile preparazione alla sciamatura. Quando poi, durante una visita settimanale, si nota che la finestra non è più stata costruita (nonostante l’andamento climatico sia stato favorevole), non ci saranno più dubbi: la colonia è in “febbre sciamatoria”; non costruisce più e non raccoglie più di quanto richiede il fabbisogno giornaliero. In questo caso, di norma vi sono celle reali sul T.I. Affinché la “febbre sciamatoria” cessi ed il ritmo di lavoro torni ad essere quello normale, non rimane altro che ridurre la colonia a sciame (vedi “Messa a sciame” che sarà oggetto di prossima trattazione). Ora che il T.I. e gli schemi riguardanti la lettura sono stati trattati, ritorniamo a considerare il nostro sciame di partenza. Esso, nel secondo anno di sviluppo ha bisogno di espandere la covata oltre gli 8 favi costruiti l’anno precedente. Quattro o cinque settimane prima che inizi il periodo della sciamatura, si inserisce al centro della covata il T.I. La famiglia riceve così, insieme alla finestra vuota, due terzi di favo circa, sul quale può sfogarsi sia nel deporre che nel costruire. Ora i telaini del nido sono 9. Se dopo una settimana il F.I. richiede l’aggiunta di un foglio cereo, esso si introduce possibilmente al centro. Con quest’aggiunta si ottiene la completezza del nido (a 10 telaini). Si è però solo all’inizio della primavera e la colonia in espansione richiederà sicuramente ancora altri fogli cerei. Ogni volta che occorre usare un altro foglio cereo, si deve asportare dal nido un favo laterale; se quest’ultimo contiene solo miele maturo, viene smelato oppure utilizzato diversamente, secondo le necessità. Se contiene miele non maturo esso deve essere affidato ad altre colonie che provvederanno a completare la maturazione. Quando tutti i 10 favi del nido contengono invece covata ed il F.I. indica che la colonia esige ancora altri fogli cerei, si è costretti a togliere i favi con covata. Questi favi, senza le api che li presidiano, vengono impiegati nell’apiario per rinforzare altri alveari. Con il T.I., se usato bene, si sfrutta la capacità di ovodeposizione della regina, ottenendo non solo 10 favi di covata bensì 12, 13 e anche più, per cui 36 | Apitalia | 9/2021

si arriva ad avere tutti i nidi dell’apiario carichi di covata. I favi di covata in eccesso si devono concentrare e sovrapporre ad altri alveari, oppure usare, coperti di api, per formare nuove colonie. METODO PER RITAGLIARE IL F.I. Ritagliare tutto ciò che le api costruiscono settimanalmente nella finestra è abbastanza facile. Occorre usare però molta delicatezza per non causare la caduta delle api giovanissime, incapaci di risalire nell’alveare. Si deve evitare ugualmente che gocce di miele vadano a finire fuori dal nido. Molta avvertenza bisogna avere anche con la regina, poiché essa si trova spesso sul T.I. Può essere di grande aiuto quindi costruire un telaino, montato su piedistallo, al quale poter appendere il T.I., per poi lavorare a due mani. Esso può servire anche per altri lavoretti nell’apiario, come il trapianto di celle reali oppure il prelievo della regina. Occorre dire però che per ritagliare il F.I. non è strettamente indispensabile disporre di telaio reggi-favo. Se si vuole effettuare il ritaglio senza l’uso di attrezzature particolari eccezion fatta per un coltello ed un secchio con coperchio, è consigliabile agire come segue: si capovolge il T.I., si appoggia una sua orecchietta sul bordo anteriore del nido e sotto l’altra orecchietta si mette la leva staccafavo. Se si colloca bene la leva, il T.I. sta in piedi quasi da solo; essendo esso poi in tale posizione, non sussiste più il pericolo che api e miele vadano a cadere fuori dall’alveare. Inoltre, lo spessore della leva evita l’eventuale schiacciamento delle api e nel contempo offre la possibilità alle api di scendere dal T.I. nel nido. Per liberare il F.I. dalle api, è sufficiente dare 2 sbuffatine di fumo e spingerle in giù usando una penna o una spazzola. La biforcazione indice-pollice nella mano sinistra, viene quindi messa a cavallo sulla traversa del T.I., così la punta dell’indice e quella del pollice possono tenere fermo il T.I., mentre la mano destra fa scorrere il coltello e separa il favo nuovo da quello vecchio. Il favo ottenuto dal ritaglio deve essere immediatamente messo nel secchiello e coperto: la-


sciandolo scoperto esso può stimolare le api al saccheggio. Durante questa ed altre operazioni in cui è facile venire a contatto diretto con miele imbrattando mani ed arnesi, è di estrema utilità un secchio d’acqua: avere acqua a disposizione nell’apiario vuol dire rendere il lavoro più scorrevole. LA MESSA A SCIAME Quando una colonia d’api entra in “febbre sciamatoria”, riduce sensibilmente e progressivamente l’attività: entro 24-48 ore essa sospende completamente la produzione di cera e limita il raccolto di nettare e di polline al solo fabbisogno giornaliero. Nel contempo la regina viene nutrita sempre meno dalle operaie e di conseguenza la deposizione viene ridotta. Se l’andamento climatico non condiziona negativamente l’alveare, la “febbre sciamatoria” dura circa 9 giorni, durante i quali le api non aggiungono più nulla, o quasi, nel melario.

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La colonia sciama dopo 9 giorni dalla deposizione dell’uovo nella prima cella reale. Se l’apicoltore toglie periodicamente le celle reali per evitare la sciamatura, non fa altro che mantenere la famiglia in stato di “febbre sciamatoria”, ossia in condizioni di attività ridottissima. Se tutte le celle reali vengono asportate per 3 settimane consecutive, le api rinunciano di norma alla sciamatura; esse perdono però quasi tutto il raccolto del momento. Non conviene perciò assolutamente asportare le celle reali con l’intento di evitare la sciamatura: il pericolo di non riuscirci sussiste sempre ed inoltre dal lato economico il risultato è negativo. È necessario invece cambiare e cercare di collaborare con le api. La colonia che si accinge a sciamare deve rispettare una legge naturale che le impone di non abbandonare il ceppo prima che almeno una cella reale sia opercolata: è necessaria perciò un’attesa di 9 giorni. L’apicoltore deve intervenire per ac-

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SPECIALE BIOTECNICA - 2

corciare il tempo della “febbre sciamatoria” e può dividere la colonia in due: da un lato api giovanissime, covata e celle reali, dall’altro bottinatrici, qualche ape giovane e regina. Dopo la divisione, la famiglia si trova nella stessa situazione di uno sciame naturale appena inarniato: essa tronca la “febbre sciamatoria” e riprende a lavorare con grande ardore. Dal momento della messa a sciame sino all’autunno, la colonia rivive lo “sviluppo del primo anno”. La messa a sciame può essere effettuata in diversi modi tenendo conto delle condizioni ambientali e dei programmi di sfruttamento delle fioriture tramite apicoltura stanziale o apicoltura nomade. La meccanica di base è la seguente: l’alveare ceppo (nido A) non si sposta; dopo aver tolto il coprifavo, si immette un po’ di fumo da sopra, per far scendere la regina nel nido nell’eventualità che essa si trovi nel melario, e quindi si solleva il melario stesso dalla parte posteriore, per individuare e togliere le celle reali che possono essere appese inferiormente ai favi. Il melario viene poi sistemato in disparte, dopo averlo coperto per evitare il saccheggio. Tutti i favi con covata e le api che li presidiano, T.I. compreso, ed i favi da nido con solo miele vengono messi in un nido vuoto (nido B). Nel nido originario (A) si lasciano solamente i favi senza covata e con poco miele, ai quali si aggiungono subito telaini con foglio cereo fino a raggiungere il numero di 5. Si avvicina poi un 38 | Apitalia | 9/2021

diaframma ed il vuoto esistente tra quest’ultimo e la parete del nido viene coperto con le listarelle già descritte n precedenza. La regina, che sicuramente si trovava sui favi di covata ed è stata messa nel nido B, viene ora riportata nel nido A. Per prevenire ogni eventuale trasformazione dei fogli cerei in celle da fuchi, è importante che uno dei 5 telaini del nido A abbia una finestra vuota, grande quanto un terzo del telaio stesso. In sintesi, si tratta di dare allo sciame un nuovo telaio indicatore, dove, in caso di necessità, sia possibile costruire il settore fuchi. Se si usano solo favi costruiti, si evita naturalmente ogni trasformazione di cellette; la finestra vuota è comunque utile per soddisfare una necessità istintiva delle api. Infine, è bene sovrapporre al nido A un escludi-regina ed il melario. Se quest’ultimo fosse già pieno o quasi, se ne aggiunge un secondo tra l’escludiregina ed il primo. Il nido B, nel quale è stata messa la covata, viene spostato di alcuni passi. Nel giro di poche ore, se il tempo è bello, tutte le bottinatrici vanno a concentrarsi nel nido A, dove è presente la regina. Il metodo di messa a sciame descritto permette alla colonia A di sfruttare ottimamente il raccolto che si verifica nei successivi 15 giorni, poiché tutte le bottinatrici sono riunite e dedite al raccolto, la covata deve ancora riprendere ed espandersi e passano parecchi giorni prima che il consumo diventi


nuovamente considerevole; pertanto quasi tutto il miele raccolto viene messo a riserva nel melario ed il nido, essendo composto solo di 5 favi, viene utilizzato dalle api esclusivamente per la covata. Altri 3 fogli cerei, uno alla volta, dovranno essere aggiunti rispettivamente al 15°, 18° e 25° giorno. La messa a sciame così ottenuta è basilare, ma garantisce lo sfruttamento di un unico raccolto: il metodo è ottimale per zone con una sola fioritura breve ed intensa. Negli areali in cui si ha invece l’esigenza di sfruttare successivi raccolti è necessario che la colonia A disponga di parecchie api giovanissime o api di casa. Occorre cioè che lo sciame A sia il più possibile uguale, in quanto a composizione, ad uno sciame naturale, il quale, essendo formato da individui eterogenei per età, può continuamente progredire e sfruttare validamente tutti i raccolti della stagione apistica. Occorre dunque introdurre, rispetto alla messa a sciame di base, una piccola variante che consiste nello spazzolare, quando viene introdotta la regina, anche le api di 2 favi con covata fresca, ossia nell’aggiungere api giovanissime alle bottinatrici della colonia A. Un ulteriore rinforzo può essere ottenuto restituendo 1-2 favi di covata percolata, senza api, 10 giorni dopo. Questi favi non sono immediatamente utilizzabili dalla regina, poiché sono occupati. Lo saranno più tardi, quando almeno una parte della covata sarà sfarfallata. Essi pertanto non devono essere calcolati come favi disponibili per la deposizione nei primi 15-18 giorni dalla messa a sciame. Dopo 15 giorni, gli altri 5 favi in dotazione alla regina sono tutti occupati da covata: viene aggiunto quindi un foglio cereo onde ospitare la deposizione per ulteriori 3 giorni. Al 18° giorno, viene aggiunto ancora un foglio cereo soltanto se i 2 favi di covata opercolata aggiunti al 10° giorno non presentano ancora cellette libere in misura sufficiente per ricevere la deposizione. A partire dal 21° giorno, l’espansione della superficie di covata si arresta, infatti da questo momento sfarfallano quotidianamente nuove api e la regina depone nuovamente nelle cellette resesi libere. Le api, avendo a disposizione non più di 9 favi, sistemeranno in questi

armoniosamente le loro scorte invernali. L’ordine dei favi non dovrà essere peraltro alterato dall’apicoltore fino alla primavera successiva. LA MESSA A SCIAME PREVENTIVA E SELETTIVA Nonostante l’esperienza e la sensibilità nella conduzione, non di rado avviene di scoprire la “febbre sciamatoria” quando le colonie sono inattive già da alcuni giorni. Infatti può avvenire che le famiglie entrino in “febbre sciamatoria” 1-2 giorni dopo la visita settimanale del T.I. e alla successiva lettura si constata che sono già trascorsi 4-5 giorni negativi per la produzione. Questo è l’unico lato negativo della pratica della “messa a sciame in seguito a febbre sciamatoria”. È possibile ovviare all’inconveniente descritto mediante la “messa a sciame preventiva”, cioè riducendo a sciame le colonie prima che entrino in “febbre sciamatoria”. Questa operazione, fatta su tutte le famiglie dell’apiario, comporterebbe però un impegno non indifferente di materiale apistico, come fondi d’arnia, nidi, diaframmi, listarelle, coprifavi, telaini, fogli cerei e tettucci. Inoltre, verrebbero sottoposte a questa pratica anche molte colonie che non avevano assolutamente intenzione di sciamare. È conveniente, perciò, cercare un compromesso che meglio si addica alle esigenze degli alveari e dell’apicoltore: il compromesso fra tutti i fattori, negativi e positivi, è la “messa a sciame preventiva e selettiva”, ossia la messa a sciame di tutti quei ceppi che tramite il T.I. dimostrano di prepararsi alla sciamatura secondo quanto riportato nei casi 4 e 5 della Tabella 2. La messa a sciame aiuta alquanto a risolvere il problema della sciamatura, ma può presentare anche lati negativi, specialmente se fatta a seguito di “febbre sciamatoria”. Essa infatti è una forzatura causata dall’azione dell’uomo e, a volte, può provocare nelle api una reazione abbastanza strana: in un certo numero di casi, le api abbandonano il nido (con 5 telaini e senza covata) nello stesso giorno o in quello successivo. Ciò può accadere anche se al momento della messa a sciame le celle reali contenevano larve ancora piccolissime; la sciamatura 9/2021 | Apitalia | 39


SPECIALE BIOTECNICA - 2 di una famiglia normale avverrebbe invece alcuni giorni più tardi, dopo l’opercolatura di almeno una cella reale: la messa a sciame può a volte infrangere o disturbare le leggi naturali delle api. Un altro lato negativo della messa a sciame è legato al fatto che la divisione della colonia, anche se fatta da mani esperte, non è mai così armoniosa come quella che avviene nella sciamatura naturale. Per ovviare a questo inconveniente si può ricorrere al seguente modo, il quale presuppone che si spuntino in primavera le ali alla regina, che non si tenga conto della perdita di raccolto durante i giorni di “febbre sciamatoria” e che l’apicoltore sia presente in apiario quando esce lo sciame. Seguendo lo sviluppo della colonia, si riesce a prevedere con buona approssimazione il giorno della sciamatura. Si tiene perciò a portata di mano tutto il materiale necessario per la sciamatura. Quando lo sciame esce, la regina cade a terra, avendo le ali spuntate, deve essere subito raccolta, chiusa in una gabbietta e nascosta sotto il tettuccio di un altro alveare. Comunemente lo sciame rimane fuori circa 20 minuti, durante i quali l’operatore riesce a togliere tutti i favi di covata carichi d’api, a mettere nel nido i 5 telaini (di cui 1 con finestra), il diaframma, le listarelle e sovrapporre l’escludi-regina e il melario. Lo sciame, non avendo la regina, ritorna e, inquieto, la cerca insistentemente, trascorsa almeno un’ora, si mette la regina ingabbiata sul predellino e, prima di liberarla, si aspetta che le api inizino a nutrirla attraverso i fori e che eseguano la segnalazione mediante ventilazione. Quando la regina esce dalla gabbietta viene lambita totalmente per alcuni istanti e poi entra nell’alveare. In questo modo la famiglia ha avuto lo sfogo della sciamatura e la divisione è avvenuta in forma naturale. Se la regina è molto vecchia, non viene restituita allo sciame, ma si lascia nel nido un favo di covata con una cella reale: in seguito si controlleranno l’avvenuto farfallamento e la nuova deposizione. UTILIZZAZIONE DEI FAVI DI COVATA OTTENUTI CON LA MESSA A SCIAME I modi per utilizzare i favi di covata coperti di api ottenuti a seguito di una messa a sciame sono 40 | Apitalia | 9/2021

molteplici, ma mirano tutti all’unico fine di ottenere altro materiale vivo che, a sua volta, possa fornire prodotti dell’alveare. L’insieme covata-api giovani, ottenuto con la messa a sciame, può servire per formare uno o più nuclei, oppure, in unione con altri “insiemi” per costituire vere colonie da produzione; può essere aggiunto ad una colonia stabile in cambio delle bottinatrici sottratte; può infine, trascorso un determinato periodo di tempo, essere restituito al ceppo dal quale proveniva. Inoltre, dalle celle reali che si trovano su questi favi, è possibile allevare le regine necessarie al fabbisogno dell’apicoltore. In pratica è possibile mettere a punto un programma, ripetibile ogni anno, che con le sue svariate combinazioni possa soddisfare tutte le esigenze di conduzione. La riuscita dipenderà molto dall’abilità dell’apicoltore, il quale deve conoscere bene alcune fonti di perdita e cercare di ridurle al minimo per evitare di compromettere l’esito delle operazioni. Le principali cause di perdita sono: il raffreddamento della covata, lo spopolamento dei favi, il saccheggio di nuclei. 1° esempio di utilizzazione Quando i primi casi di “febbre sciamatoria” si presentano, le condizioni climatiche sono sovente instabili e i ritorni di freddo frequenti. La covata rischia di morire se non è sufficientemente coperta di api. Per evitare danni è conveniente inserire i favi di covata, con le loro api nei nidi non ancora completi di altri alveari, dopo aver tolto, naturalmente, tutte le celle reali. Nel caso in cui tutti i nidi dell’apiario fossero già al completo, si sovrappone la covata in questione ad una colonia con regina giovane, interponendo un’escludi-regina: anche in questo caso bisogna togliere le celle reali e ripetere l’operazione dopo 8 giorni. Nel nido superiore sarebbe stato possibile allevare una regina, ma non è consigliabile perché le visite al nido inferiore potrebbero pregiudicare l’allevamento stesso. Non appena la covata del nido superiore è sfarfallata si fanno scendere le api nel ceppo sottostante e si toglie il secondo nido. 2° esempio di utilizzazione In apiari di una certa entità avviene sovente che


2 colonie entrino in “febbre sciamatoria” contemporaneamente. Tutti i favi di covata ottenuti dalle 2 messe a sciame si concentrano in 2 nidi che vengono collocati, uno sull’altro, a qualche metro dai ceppi. Se si è in un periodo freddo, si lascia una sola cella reale. Appena apparirà la covata della nuova regina, tutta la covata, vecchia e nuova, con la regina verrà concentrata nel nido inferiore. Si otterrà così una nuova colonia da produzione. 3° esempio di utilizzazione Situazione analoga a quella del 2° esempio, ma con bel tempo e temperatura mite. Vengono lasciate alcune celle reali provenienti dalla famiglia migliore. Prima che le regine sfarfallino, i favi vengono distribuiti in nuclei, in modo che ogni nucleo abbia una sola cella reale. I nuclei devono essere formati da almeno 3 favi e vengono sistemati al posto dei 2 nidi iniziali.

4° esempio di utilizzazione Le covate provenienti da 2-3 famiglie messe a sciame vengono spostate e sovrapposte come nel 2° esempio. Le celle reali vengono selezionate per la produzione di gelatina reale: si raccolgono solo quelle che contengono larve con età superiore a 3 giorni; in seguito, si interviene per raccogliere le altre, man mano che raggiungono l’età voluta. Non appena la covata disopercolata è esaurita, cioè dopo 8 giorni, si inserisce un telaio portastecche al centro del nido superiore, con un numero di cupolini innestati proporzionato alla quantità di api presenti, ma comunque non superiore a 50. Tre cicli di innesti, pari a 10 giorni complessivamente, sono ottimamente sopportati dalla colonia orfana. Successivamente è necessario fornire alla colonia stessa una regina feconda. Non appena la covata vecchia è tutta sfarfallata, l’alveare viene ridimensionato trasferendo nel nido inferiore la regina, la

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SPECIALE BIOTECNICA - 2

METODO TRADIZIONALE

GIORNI

PICCOLA VARIANTE

NUMERO API

COEFFICIENTE

KG MIELE

1 2 3

1° innesto

1° innesto

15.000 (15.000 x 1)

1x1,00

1,00

2° raccolto e 3° innesto

30.000 (15.000 x 2)

2x1,36

2,72

45.000 (15.000 x 3)

3x1,48

4,44

60.000 (15.000 x 4)

4x1,54

6,16

1° raccolto e 2° innesto

1° raccolto e 2° innesto

4 5 6 7 8 9

3° raccolto e 4° innesto

2° raccolto e 3° innesto 3° raccolto, introduzione della regina

10 11

introduzione della regina

4° raccolto

Tabella 3 - Calendario di lavoro per la produzione di gelatina reale secondo Tabella 4 - Produzione di miele di differente consistenza in base ai coefficienti il metodo tradizionale (a sinistra) ed in base alla piccola variante, che prevede calcolati da Farrar (1937). l’innesto delle larve di 2 giorni.

sua covata e tutte le api; i nidi superiori vengono rimpiazzati con melari. Piccola variante del 4° esempio Invece di effettuare gli innesti con larve di 1 giorno, per poi raccogliere la gelatina ogni quarto giorno come si fa di solito, si può eseguire l’innesto con larve di 2 giorni e raccogliere ogni terzo giorno. In questo modo, nell’arco di 9 giorni, si ottengono 4 raccolti e si finisce un giorno prima rispetto al sistema tradizionale (Tabella 3). La quantità di gelatina reale prodotta adottando questa piccola variante è quasi sempre superiore. MESSA A SCIAME CON CONCORSO DELL’ALVEARE VICINO PER PRODURRE PIÙ MIELE La messa a sciame, oltre che risolvere il problema della sciamatura e offrire i vantaggi già menzionati, dà una produzione di miele superiore rispetto a quella ottenuta con il sistema tradizionale. Con varianti appropriate si può aumentare ancora sensibilmente la media di produzione. Il detto “l’unione fa la forza” è valido anche nell’apiario: l’unione di molte bottinatrici fa aumentare il coefficiente nel calcolo della produzione di miele in rapporto al numero delle api, secondo i valori riportati nella Tabella 4. La letteratura apistica riporta un numero considerevole di differenti risultati: quelli indicati e ottenuti da Farrar (1937) sembrano però i più attendibili. Il coefficiente valido sempre ed ovunque non esi42 | Apitalia | 9/2021

ste, poiché intervengono molteplici fattori, fra i quali l’ambiente ha importanza preminente. Una cosa è però certa, per ottenere notevoli raccolti è necessario disporre di famiglie che, al momento della fioritura, abbiano molte bottinatrici e scarso consumo interno. Ottenere forti schiere di bottinatrici e ridurre contemporaneamente il consumo interno non è cosa facilmente ottenibile con l’apicoltura tradizionale. È necessario dunque assecondare lo sviluppo delle colonie, rispettando ciò che è basilare per le api ed inoltre è di grande importanza ricorrere a semplici ed efficaci stratagemmi: la messa a sciame è uno di questi, il concorso delle bottinatrici dell’alveare vicino è un supplemento. Per riunire le bottinatrici nell’alveare vicino a quello sottoposto a messa a sciame è sufficiente eseguire un paio di semplici manovre. Le famiglie da trattare (A e B) devono ovviamente essere vicine tra loro. La famiglia A è in “febbre sciamatoria” e, quindi, viene messa a sciame nel modo già descritto. Subito dopo, il melario di B, pieno di api ma senza regina, è posto sul melario di A. La famiglia di B si sposta di alcuni metri e la A si fa scivolare un poco verso il posto che era occupato da B. Sulla B viene posto un escludi-regina ed il nido contenente la covata di A (Fig. 1). Va da sé che nell’arco di poche ore tutte o quasi le bottinatrici di B entreranno in A. La famiglia A è stata ridotta a sciame ed ha perso la “febbre sciamatoria”; ha perso però anche la covata, ma, in compenso, ha ricevuto le bottinatrici ed il me-


lario pieno di api della B: è pertanto in ottime condizioni per sfruttare il raccolto del momento e quelli successivi. Essa verrà condotta come una colonia normale messa a sciame nel modo normale. La famiglia B ha perso le bottinatrici, in cambio ha ricevuto parecchi favi di covata coperti di api giovani: sarà un’ottima colonia di produzione per il prossimo raccolto. Le celle reali del nido superiore possono essere tolte oppure usate per allevare nuove regine. Nel nido inferiore continua la pratica del telaio indicatore. Un nido ed un escludi-regina sono le attrezzature aggiunte per realizzare questo metodo. INTRODUZIONE DEL SISTEMA DEL TELAIO INDICATORE IN UN APIARIO TRADIZIONALE Nei capitoli precedenti è stata descritta la condizione logica, razionale e cosciente di un alveare, partendo dalla sua nascita e accompagnandolo per tutto lo sviluppo del primo anno (sviluppo A). Si è passati, poi, all’uso del telaino (T.I.) per assecondare lo sviluppo della colonia durante il secondo anno (sviluppo B). All’inizio dello sviluppo B l’alveare disponeva di un ordine identico a quello di un alveare villico, ossia di un ordine naturale; pertanto il T.I. entrava a far parte di questo sviluppo B nel momento giusto e in un ambiente ideale. Ora, volendo introdurre il T.I. in alveari a condizioni tradizionali, non del tutto logiche e naturali, occorre adeguare un poco la

situazione interna degli alveari secondo questa nuova esigenza. Gli alveari potranno ricevere in modo vantaggioso il T.I. soltanto se verranno effettuati alcuni lavori di riassetto e di controllo, come: visita sanitaria di tutte le colonie dell’apiario, accertamento della presenza della regina ed eventuale sua marchiatura, riordino delle colonie e dei favi senza covata. Questi 4 lavori si possono eseguire facilmente durante un’unica visita che va fatta 4-5 settimane prima dell’inizio del periodo di sciamatura nella zona. Per primo si controlla lo stato di salute della covata. Poi si accerta se la regina è ancora la medesima dell’anno precedente, o se è stata sostituita spontaneamente dalla colonia. Se è avvenuto il rimpiazzo spontaneo, occorre marchiare la nuova regina con il colore dell’anno, oppure, se si preferisce, spuntarle le ali. È sottinteso che non si devono spuntare le ali ad una regina ancora vergine: facendolo, si impedirebbe il volo di fecondazione. Per spuntare le ali occorre usare un paio di forbicine da ricamo con le punte aguzze. Occorre anche munirsi di una traversa reggi-favo lunga 45 cm e con due rialzi d 3-4 cm alle estremità (Fig. 2). Dopo aver estratto il favo su cui si trova la regina, si pone la traversa reggi-favo trasversalmente sul nido, appoggiandola sulle pareti laterali. Si adagia poi il favo in modo tale che le orecchiette vengano sorrette dai rialzi della traversa e che la

Figura 1 - Schema operativo per la messa a sciame con concorso delle bottinatrici dell’alveare vicino per la produzione di miele.

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SPECIALE BIOTECNICA - 2

Figura 2 - Traversa con rialza laterali utile per sostituire il favo con l’ape regina durante le operazioni di marcatura con vernice o mediante accorciamento delle ali.

traversa inferiore del telaio appoggi sui bordi delle pareti laterali del nido. Si blocca allora la regina sul favo, usando il pollice e l’indice della mano sinistra (la pressione delle dita va fatta solamente a livello del torace). Per evitare che le punte della forbice feriscano l’addome della regina, è prudente infilare una lama della forbice sotto le ali quando le punte della forbice stessa si trovano oltre il corpo della regina stessa. La porzione di ala da asportare non deve essere inferiore ad un terzo: la regina, nel caso tentasse di sciamare, non deve essere più in grado di volare. La spuntatura delle ali non ha solamente lo scopo di impedire alla regina il volo di sciamatura, ma anche quello di controllare la sua età: nell’anno di nascita ha le ali intere, nel secondo anno riceve la spuntatura e nel terzo e nel quarto viene sostituita. Sul registro dell’apiario verrà, naturalmente, annotato il momento in cui si effettua la spuntatura. Terminata questa delicata operazione, si passa ad esaminare la grandezza delle colonia; quando la sua covata è inferiore a 4 favi, va considerata troppo debole, non in grado di arrivare in tempo per sfruttare le prime fioriture; alla prima occasione si riunirà ad un’altra colonia. Volendo, la sua regina può essere conservata: è sufficiente introdurla in una cassetta per nuclei insieme con un favo di api giovani, senza covata. Questa cassetta non deve rimanere nel posto primario, ma va spostata di alcuni metri. Quando si riscontra, invece che la colonia ha, come minimo, 4 favi di covata, si esegue il riordino dei favi: quelli con covata si lasciano nell’ordine in cui si trovano ed al centro del nido, tutti gli altri, ossia tutti quelli senza covata, si dispongono 44 | Apitalia | 9/2021

invece secondo la loro validità: i migliori, vicino alla covata ed i peggiori contro le pareti. Per peggiori non si intendono solamente quelli vecchi e un po’ deformati, ma anche quelli con parecchie celle da fuchi, sparse qua e là. Giunti a questo punto, si possono introdurre i telaini indicatori, uno per alveare, al centro della covata. Va da se che per ottenere un posto vuoto al centro del nido occorre togliere un favo laterale, il più brutto, e spostarne alcuni altri verso la parete. Per quanto riguarda i lavori da effettuare durante l’annata si rimanda il lettore agli articoli pubblicati in precedenza su riviste tecniche specializzate. In un alveare tradizionale capita spesso di avere quasi tutti i favi difettosi, che non rispecchiano l’ordine naturale. Il sistema del T.I. è però una pratica dolce, di accompagnamento, che porta alla sostituzione annuale di soli 4-5 favi, per cui occorrono normalmente 2 o 3 anni per la completa sostituzione. Se lo si ritiene opportuno, è possibile sostituire tutti i favi nel corso di una sola campagna apistica. Innanzitutto, occorre attendere il momento giusto: è necessario che il T.I. abbia già esplicato la sua funzione da almeno un paio di settimane, la covata sia estesa su più di 5 favi e ci sia importazione tale da richiedere la posa del melario. Si tolgono allora definitivamente 2 favi laterali, i più brutti e con sole scorte. Si passano poi in un nido vuoto 5 favi di covata, con le api che li presidiano. Supposto che i favi di covata fossero 6, ne rimane ora nel nido originario solo uno, che è il T.I., più due di scorta. A questo ridotto contenuto si aggiungono 3 fogli


cerei, portando il numero dei telaini a 6; questi 6 telaini si dispongono nel modo seguente: partendo da sinistra, 1 favo di scorta, 1 foglio cereo, il T.I., 2 fogli cerei, 1 favo di scorta, si aggiunge quindi il diaframma e le listarelle coprivuoto, l’escludi-regina, il melario ed infine il secondo nido con i 5 favi di covata a ridosso della parete di sinistra. Tutta questa operazione viene fatta il giorno 1. Il giorno 7 si asporta definitivamente il favo di scorte che si trova accanto al diaframma e al posto di questo si mette un foglio cereo. Il giorno 14 si toglie definitivamente il favo di scorte che si trova contro la parete di sinistra e si inserisce un foglio cereo tra la covata. Il giorno 21 oppure 22 si può togliere il nido superiore, poiché la covata femminile è ormai tutta sfarfallata. Nel nido inferiore si continua a dare spazio seguendo l’indicazione del T.I. e così, nel breve tempo di un mese, si compie il rinnovo di tutti i favi vecchi del

nido, senza salassi né raffreddamenti. Nell’effettuare queste operazioni, è opportuno tenere presente alcuni accorgimenti: a) disponendo di un magazzino di favi vecchi, questi possono essere usati al posto dei fogli cerei; b) il nido superiore contiene sicuramente un certo numero di fulchi: se non riescono ad uscire, creano all’interno molta confusione ed alcuni, nel tentativo di scendere nelle parti inferiori dell’alveare, rimangono impigliati nell’escludi-regina. Per dare loro la possibilità di circolare liberamente, occorre che l’escludiregina abbia, lungo il suo perimetro, alcuni fori, oppure una piccola apertura verso l’esterno; c) siccome il nido superiore non è completo di favi, occorre verificare che le api non costruiscano nel vuoto esistente tra il diaframma e la parete; se si notasse questa tendenza si con-

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SPECIALE BIOTECNICA - 2

Figura 3 - Conduzione dell’alveare con il sistema del telaio indicatore: calendario delle visite durante il periodo primaverile in condizioni climatiche normali. I numeri sull’ordinata rappresentano i giorni di intervallo tra due ispezioni successive.

siglia di mettere due “listarelle”, una contro il diaframma e l’altra a ridosso della parete e fissare ad esse una tela pendente: l’arco verso il basso, descritto dalla tela, impedisce alle api ogni eventuale ancoraggio di favi naturali. ADATTABILITÀ ED ELASTICITÀ DEL TELAIO INDICATORE Nel periodo di pre-sciamatura, che dura 4-5 settimane, ed in quello di sciamatura, altrettanto lungo, gli alveari condotti con il T.I. richiedono, fondamentalmente, visite cadenzate ogni 7 giorni. Non è detto però che questo ritmo di 7 giorni sia l’ottimale per ogni luogo e periodo. Ogni zona abitata dalle api può avere caratteristiche differenti, le quali influiscono sensibilmente sulle colonie. Lo sviluppo può avvenire infatti in modi e tempi diversi: precoce, intenso e breve; precoce, blando e prolungato; tardivo, breve ed intenso, e così via, sempre secondo l’ambiente. Persino nel medesimo ambiente, durante l’arco di tempo che va da fine-inverno ad inizio-estate, si hanno periodi con differenti intensità di sviluppo in relazione all’andamento stagionale. L’uso del T.I. può e deve essere adattato a questi molteplici fattori, momenti e situazioni, regolando la cadenza delle visite agli alveari. Per esempio, 46 | Apitalia | 9/2021

se all’inizio del ciclo, dopo aver introdotto il T.I. nel nido, il tempo volgesse al brutto e persistesse per parecchi giorni, impedendo il volo delle api, non è il caso di intervenire il settimo giorno, si può benissimo ritardare la visita di alcuni giorni senza peraltro rischiare di trascurare gli alveari: in momenti del genere lo sviluppo va molto a rilento o addirittura si riduce a zero. Ci sono invece momenti in cui lo sviluppo avviene molto velocemente, ciò si avverte dall’andamento climatico rispetto all’ambiente; in questo caso occorre abbreviare i tempi tra una visita e l’altra: invece di 7 si può passare a 6 o addirittura a 5 giorni. Intervenendo tempestivamente si dà alla colonia tutto ciò di cui ha bisogno e si evita così congestionamento di api, di miele e di polline; tutti fattori questi che se trascurati aumentano sensibilmente le probabilità di sciamatura. Se la primavera procede normale, senza troppe sorprese climatiche, il grafico della Fig. 3 può essere indicativo per guidare il comportamento dell’apicoltore. Michele Campero Fine seconda parte



PROFESSIONE APICOLTORE

SOLLEVATORE DI MELARI

UNA STORICA APICOLTURA SARDA CONDIVIDE ESPERIENZE DI UNA VITA di Pietro Paolo Porcu

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come “il miele della chiesetta”. Negli ultimi anni si è deciso di aggiungere all’immagine della chiesetta una frase latina che era solito pronunciare il Dott. Giuseppe Porcu medico veterinario e padre del fondatore dell’azienda. Egli infatti, nato nel 1899, era un notissimo allevatore di cavalli da corsa ed era solito affermare che in una gara venivano ricordati solo i nomi dei vincitori, pertanto se partecipavi a una competizione era importante

UNA PRATICA PINZA E UN SOLIDO BANCALE PER GESTIRE MEGLIO I CARICHI PESANTI

Foto www.anticaapicolturagallurese.com

a storia della Antica Apicoltura Gallurese inizia nell’anno 1981 quando chi vi scrive, medico condotto presso il paesino di Berchiddeddu, frazione di Olbia (Sardegna), riceve in regalo dal suo paziente Domenico Bazzu, noto ai più come “Minninnu”, una famiglia di api. Il lavoro portato a termine in breve periodo da questi laboriosi insetti lo impressionò talmente che in breve le famiglie divennero molto più numerose. Importante per questo sviluppo fu l’amicizia con Antonio Maludrottu che già da tempo praticava l’apicoltura, sia con le arnie che con i bugni rustici. Unendo le conoscenze di entrambi si è riusciti senza perdite, anzi incrementando il numero degli alveari, a superare il periodo dell’arrivo della varroa in Sardegna, avvenuto intorno al 1982-1983. Sempre in questo periodo l’azienda ha deciso di utilizzare come proprio logo la chiesetta campestre di S. Tommaso e da allora tale scelta determinerà nei consumatori l’abitudine ad identificare il prodotto


Foto 1

Foto 2 vincerla, lui uomo di grande cultura classica soleva dire “semper prima tene” (sii sempre primo). Negli anni sono poi cresciuti i tre figli Giuseppe, Roberta e Davide che durante il tempo libero dallo studio hanno sempre con impegno aiutato il babbo Pietro Paolo e la mamma Maria nella conduzione dell’azienda. Ora l’azienda è una Snc di cui Giuseppe e Roberta sono i titolari. L’Antica Apicultura Gallurese ha la fortuna di detenere i propri apiari sulle colline circostanti Berchiddeddu. Un territorio aspro totalmente privo di qualsiasi forma di agricoltura intensiva, privo di fabbriche e di strade fortemente trafficate. In verità si tratta di una zona dove la presenza umana è molto

rara ed ha portato solamente minimi cambiamenti a quella che è la natura incontaminata del territorio. È sfruttando una situazione ambientale così favorevole che ci è stato possibile produrre dei mieli pregiatissimi totalmente privi di qualsiasi forma di contaminante come residui di trattamenti agricoli, metalli pesanti provenienti dal traffico stradale e qualsiasi altra forma di inquinamento chimico presente spesso negli altri territori maggiormente antropizzati. La vegetazione presente nel territorio di Berchiddeddu consente di produrre mieli monoflora di Lavanda, Cardo, Corbezzolo ed un pregiatissimo Millefiori. In alcune annate particolari è stato possibile raccogliere miele di Erica e di Asfodelo. Grazie alla riscoperta degli antichi procedimenti è stato poi possibile iniziare a produrre nuovamente l’abbamele un alimento che trova le sue origini nella cultura della nostra Isola. Scrivendo questo articolo spero di non attirare il disappunto dei miei colleghi perché anche per me come per loro è sempre più difficile a fare miele. Però alcune volte capita a me come a voi che la stagione, la fortuna, la varroa, consentano alle nostre api di riempire rapidamente i melari ed allora può essere difficile mantenere non intasate le famiglie. È la ragione che ci ha spinti a costruire un semplicissimo attrezzo che si è dimostrato molto efficace per collocare un melario vuoto su di un’arnia che ne aveva più di due pieni.

Come sempre per le cose semplici più delle parole parlano le immagini che descrivono il nostro operato con questa innovativa apparecchiatura (Foto 1 e 2). Noi lo usiamo quando è possibile con soddisfazione e non dovendo smontare i melari uno alla volta, evitando così di uccidere le api nel corso delle ripetute manipolazioni, il che non è una cosa di certo secondaria. Vorremmo a questo punto descrivere un’altra esperienza pratica. Oltre trent’anni fa, acquistammo dalla ditta Lega un concentratore del miele (era il primo in assoluto che essi avessero costruito) e da allora con esso ed un secondo acquistato successivamente è stato deumidificato tutto il Miele Amaro di corbezzolo prodotto dalla nostra azienda. Mi è sempre ronzato in testa il desiderio di eseguire questa operazione direttamente nei Melari ma la necessità di manipolare a mano i melari per rendere possibile tale procedimento mi aveva sempre dissuaso. Ora penso di aver trovato per la mia azienda la soluzione a tale problema e ne sono così soddisfatto che ve lo voglio esporre. Per evitare il saccheggio in apiario non è possibile collocare subito un distanziatore sulla teglia inox che ospita i melari pieni, pertanto tale operazione è da fare al ritorno in mieleria. Per evitare di dover svolgere questo lavoro a mano ho costruito una pinza pneumatica che nel giro di pochi secondi consente senza fatica di collocare un distanziatore 9/2021 | Apitalia | 49


PROFESSIONE APICOLTORE sulla teglia inox che ospita i melari. Fatica zero, perdita di tempo zero, ventilazione dei melari perfetta e più delle parole, anche in questo caso, parlano le immagini. Le pedane così distanziate entrano in una camera a 33/35 °C dove dei cassettoni ventilatori posti sulla sommità delle pedane e un deumidificatore di ambiente consentono in 24 ore di abbattere di 3 o 4 punti percentuali di umidità del miele (Foto 3). Un risultato che mi ha lasciato stupefatto. Tutte esperienze che volentieri abbiamo voluto condividere con i nostri colleghi apicoltori e lettori di Apitalia. Foto 3

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RICERCA

LE API, COME GLI UMANI, SONO CIÒ CHE MANGIANO

IL POLLINE È DETERMINANTE PER LA SALUTE DEGLI ALVEARI di Matteo Giusti

VITALITÀ E LONGEVITÀ MIGLIORANO

Foto YHBae

CON LA DIETA

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l tipo di alimentazione, il microbiota intestinale e la presenza delle altre api, in particolare delle nutrici - e in generale la popolosità dell’alveare - sono fattori importanti per la salute delle api, in particolare di quelle appena sfarfallate, come è facile intuire e come è stato sottolineato da vari studi.

La disponibilità di macro e micronutrienti sono fattori altrettanto importanti così come la quantità di polline e la sua diversità botanica. Allo stesso modo anche l’efficienza nella produzione di pappa reale da parte delle nutrici gioca un ruolo importante per lo sviluppo e la salute di regine, fuchi e anche operaie. Lo stesso vale per il microbioma presente nell’apparato digerente delle api che svolge una funzione centrale per la nutrizione delle api stesse, contribuendo alla fermentazione e alla digestione del polline e del pane d’api e alla produzione di micronutrienti, primi tra tutte le vitamine, così come alla produzione di molecole bioattive che possono avere una funzione rilevante nel controllo degli agenti patogeni. Nello specifico però fino ad oggi non c’erano studi che andassero ad analizzare il ruolo della dieta, del microbioma e della presenza delle nutrici sullo stato di salute (in particolare sul peso vivo) e sulla aspettativa di vita delle api adulte. Ora un gruppo di ricercatori, del9/2021 | Apitalia | 51


RICERCA

le Università di Berna in Svizzera e di Graz in Austria, ha studiato nello specifico questi aspetti, pubblicando i risultati sulla rivista scientifica Apidologie, in un articolo dal titolo “Sei ciò che mangi: l’importanza della dieta, del microbiota e delle nutrici per la salute delle api operaie adulte (You are what you eat: relative importance of diet, gut microbiota and nestmates for honey bee, Apis mellifera, worker health). Si tratta di uno studio di laboratorio, in cui i ricercatori hanno valutato il peso delle api e la loro durata di vita in gabbiette da allevamento, sottoponendole a diverse diete e a diverse condizioni. Nello specifico sono state raccolte api appena sfarfallate, figlie di tre regine diverse, e distribuite a caso in gruppi sperimentali di 200 api ciascuno. Una parte di queste api sono state 52 | Apitalia | 9/2021

fatte sfarfallare da telai di covata privi di api, mentre un’altra parte sono state fatte sfarfallare su favi con api nutrici con cui sono state a contatto per 24 ore prima di esserne separate. In questo modo sono stati realizzati i gruppi sperimentali per valutare l’effetto della presenza delle api nutrici. Poi sono state fatte delle combinazioni di trattamenti con antibiotici e con diversi tipi di alimentazione. I trattamenti con antibiotici - una dose di 450 μg/ml di tetraciclina in sciroppo zuccherino sterile sono stati fatti per valutare l’effetto di una riduzione del microbioma delle api. La tetraciclina, infatti, è in grado di ridurre significativamente la presenza di batteri come quelli dei generi Lactobacillus e Bifidumbacterium, presenti nel microbioma della borsa melaria delle api. E dalle analisi effettuate è

risultato che effettivamente la carica microbica delle borse melarie delle api trattate con tetraciclina era più bassa del 60-90% rispetto a quelle delle api non trattate. Riguardo invece alla alimentazione, a tutti i gruppi è stato somministrato uno sciroppo sterile al 50% peso/volume di acqua e saccarosio. Poi, per valutare l’effetto di diversi tipi di dieta, ad alcuni gruppi è stata data una pasta di miele millefiori e polline biologico prodotti in Svizzera, ad altri una pasta di zucchero a velo e lactoalbumina come surrogato proteico, e altri ancora solo lo sciroppo zuccherino. Alla fine la combinazione dei trattamenti in ogni gruppo sperimentale è stata questa: • api con nutrici • api con nutrici alimentate a miele e polline • api con nutrici


alimentate con surrogato proteico • api con nutrici trattate con antibiotici • api senza nutrici alimentate alimentate a miele e polline • api senza nutrici alimentate con surrogato proteico • api senza nutrici trattate con antibiotici • controllo (api senza nutrici, senza antibiotici e solo sciroppo). In totale per ogni gruppo sperimentale sono state utilizzate 200 api, divise in 8 gabbiette con 25 api ciascuna, che sono state tenute a 30 °C per 21 giorni, valutandone il consumo di cibo, il peso al settimo giorno e la mortalità. I risultati hanno messo in luce degli aspetti interessanti. In particolare, per quello che riguarda il peso delle api, il peso corporeo maggiore è stato registrato per le api nutrite con miele e polline, indipendentemente dal fatto che fossero trattate o meno con antibiotici o fossero state a contatto con le api nutrici. Il peso più basso è stato invece misurato nelle api trattate con antibiotici e che erano state a contatto con le nutrici. Un elevato peso corporeo, in alcuni casi paragonabile a quello delle api nutrite con miele e polline è stato misurato anche nelle api nutrite con il surrogato proteico, cosa che indica che la disponibilità di proteine è importante anche nella nutrizione delle api operaie. Guardando singolarmente gli effetti dei trattamenti con antibiotici, e quindi della riduzione del microbiota, in generale le api trattate avevano un peso inferiore a quelle non trattate, indicando un effetto

negativo dei trattamenti antibiotici e della conseguente riduzione della microflora delle api. Invece, la presenza o meno delle api nutrici di per sé non ha mostrato particolari differenze, almeno in questo esperimento. Riguardo alla aspettativa di vita, la lunghezza di vita maggiore è stata registrata nelle api nutrite con miele e polline e che hanno avuto i contatti con le nutrici, seguite dalle api che hanno ricevuto il surrogato proteico e sono state in contatto con le nutrici. Mentre la mortalità più alta è stata vista nelle api trattate con antibiotici che sono state in contatto con le nutrici, seguite dalle api trattate con gli antibiotici senza nutrici. Andando a valutare singolarmente l’effetto dei trattamenti con antibiotici e della presenza o meno delle nutri anche in questo caso è emerso che gli antibiotici tendevano a ridurre la longevità delle api, mentre la presenza o meno delle nutrici risultava tendenzialmente non significativa. In conclusione, questo studio ha mostrato l’importanza fondamentale della dieta per la massa corporea e la longevità delle api operaie. Nello studio è stata notata anche una correlazione positiva tra il peso corporeo delle api e la loro aspettativa di vita. Ma a venir fuori chiaramente è stato il ruolo dell’alimentazione e in particolare il ruolo degli alimenti naturali come il miele e il polline, da cui si può capire quale sia l’importanza della disponibilità di pascolo per le api. E accanto a questo dato preliminare è emer-

sa anche l’importanza della disponibilità delle proteine, eventualmente fornite anche con surrogati alimentari, laddove non ci sia polline disponibile nell’ambiente o nell’alveare. Da questo studio l’alimentazione è risultata così essere il fattore centrale per il benessere e la lunghezza della vita delle api, seguito dalla abbondanza del microbiota. La scarsa influenza della presenza delle nutrici invece ha in qualche modo sorpreso anche i ricercatori, che hanno attribuito questo aspetto al poco tempo (24 ore) con cui le api appena sfarfallate sono state a contatto con le loro nutrici e con le altre api del nido. Lo studio conferma quindi l’importanza di una alimentazione naturale per le api e della disponibilità di risorse nettarifere e pollinifere nell’ambiente, cosa che di per sé potrebbe apparire ovvia, ma porta anche a rivalutare le tecniche di nutrizione artificiale, ponendo l’accento sull’importanza della nutrizione proteica, spesso sottovalutata dagli apicoltori. Matteo Giusti

BIBLIOGRAFIA I dati riportati in questo articolo fanno riferimento alla pubblicazione “You are what you eat: relative importance of diet, gut microbiota and nestmates for honey bee, Apis mellifera, worker health” (Retschnig et al., 2021) pubblicata su Apidologie 52, pagg. 632–646 (2021) e liberamente disponibile su internet al link: https://link.springer.com/article/10.1007/ s13592-021-00851-z

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AMBIENTE E BIODIVERSITÀ

SALVARE ALBERI STORICI, SENZA DIMENTICARE L’APE

UNA CORSA AI TRATTAMENTI CHIMICI CHE ANDREBBE MEGLIO CONTROLLATA di Stefano Risa

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de mobilità e grande prolificità (fino a 1000 uova per deposizione con 2-3 generazioni all’anno), che rendono difficili i tentativi di contenimento areale. A questo si aggiunga che essendo un organismo esotico, il suo ottimo ambientamento non è bilanciato da un altrettanto efficace sistema naturale di controllo. Sul nostro territorio

LOTTA ALLA COCCINIGLIA CHE DISTRUGGE I PINI ITALIANI Foto corvigo.blogspot.com

ota anche come “cocciniglia tartaruga” la Toumeyella parvicornis (Foto 1) è un insetto succhiatore infeudato al genere Pinus in America. Giunto nel 2015 in Campania, ha velocemente mostrato come sia in grado di portare a veloce deperimento soprattutto il nostro pino da pinoli (Pinus pinea) (Foto 2). Nel 2018 l‘insetto è stato rinvenuto anche a Roma dove, in soli due anni, ha occupato gran parte del territorio della Capitale. È dunque un organismo con gran-

Foto 1

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Foto 2


Foto www.gogoverde.it

non sono stati al momento rinvenuti competitori naturali in grado di contenerne le popolazioni a livelli accettabili.

Foto www.conalpa.it - Colazilli

IL PINO: PRIMA NEMICO, POI TOTEM Se soltanto fino a un anno fa il pino stava diventando il nemico numero uno di moto-automobilisti, cittadini in genere ed amministratori - per via delle radici che sollevano l’asfalto, procurando perdita del controllo e schianti a terra, e per cui si auspicava l’utilizzo risolutore della motosega - per un’eccessiva emotività che l’Amministrazione non è in grado di gestire oggi, con pini ormai spettrali, tutti invocano un pronto intervento curativo dell’Amministrazione pubblica. Alla velocissima diffusione sul territorio romano è seguito un progressivo deperimento generalizzato che ha toccato l’apice nel corso di quest’anno. In molti contesti i

Più di recente, quindi, l’affezione dei romani verso i pini è risorta dall’offuscamento dovuto alla sua conferita pericolosità soprattutto per gli automobilisti. Oltre che singoli cittadini, grandi navigatori sui social e altri soggetti hanno fatto sentire il loro grido di allarme (spicca tra questi Italia Nostra, Associazione di salvaguardia dei beni culturali, artistici e naturali, che giustamente difende l’immagiELEMENTO DEL PAESAGGIO, ne della città), ma soprattutto tanti DA DIFENDERE A OGNI COSTO tecnici del verde. Non è da trascurare il fatto, inoltre, che a Roma il pino è un elemento MAI TRASCURARE importante del paesaggio urbano PREVENZIONE ed extraurbano. La sua forma ad E MANUTENZIONE ombrello e le sue ragguardevoli di- Attualmente le uniche indicazioni mensioni accostate a ville nobilia- che si possono dare per il conteri, monumenti e resti archeologici nimento dell’insetto sono il mansono un’icona della rappresenta- tenimento degli alberi in buone zione della Città sin dai tempi del condizioni, l’asportazione dei rami Grand Tour (il viaggio di emanci- secchi e lavaggi delle chiome con pazione culturale, da parte di turisti prodotti a base di saponi e basi di aristocratici europei, iniziato a par- Sali potassici. Essendo di recente introduzione fino a poco tempo fa tire dal XVII secolo; ndR). pini hanno perduto una gran parte della chioma o sono morti. Se si va a ben guardare queste situazioni di maggior danno sono in genere legate a condizioni stazionali non idonee o a gestione degli alberi non buona. Piante in forte stress idrico/calorico e piante a cui non è stato garantito uno spazio vitale adeguato sono quelle che di più e più velocemente sono deperite.

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non esistevano non esistevano prodotti chimici registrati per questa cocciniglia. In via sperimentale, a Napoli e a Roma, sono state quindi eseguite prove con Abamectina (sostanza insetticida ad azione neurotossica, utilizzata per la lotta ad alcuni fitofagi in agricoltura e florovivaismo, ammesso anche per l’impiego in endoterapia; ndR), introdotta nell’albero per via endoterapica, ricorrendo a prodotti commerciali destinati al contenimento della processionaria. L’IMPATTO AMBIENTALE DEI TRATTAMENTI CHIMICI L’uso di prodotti chimici è riconosciuto come un fattore di rischio per l’ambiente e la salute umana. Il PAN (Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, in via di aggiornamento da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, del Ministero dell’Ambiente e del Ministero della Salu56 | Apitalia | 9/2021

te; ndR) prescrive tutta una serie di accortezze che devono essere osservate per arrivare alla corretta distribuzione di molecole di sintesi nell’ambiente. Ambiente che in questo caso è delicato sia nella sua accezione urbana, ove è alta e costante la presenza dell’uomo, sia in ambiente extraurbano, soprattutto se forestale e in area protetta. Il clamore determinato dalla vista spettrale di tanti alberi che con le loro figure hanno da sempre caratterizzato il nostro paesaggio, ha determinato una spinta a cui le amministrazioni pubbliche, prive di strumenti idonei di intervento, non sono riuscite a dare adeguata risposta. A questo si aggiunga che viene proposto il trattamento per via endoterapica che, sicuramente, presenta vantaggi rispetto ai classici interventi di irrorazione alla chioma. Sui social l’effetto è stato “pandemico”, arrivando ad interessare an-

Foto www.ohga.it

AMBIENTE E BIODIVERSITÀ

che testate giornalistiche straniere. Tutto questo clamore, con accuse di immobilismo nei confronti di Comune, Regione e Ministero delle politiche agricole hanno portato a un percorso normativo che si è concluso con l’autorizzazione in deroga dell’uso dell’Abamectina contro la Toumeyella. Su quest’onda emotiva il Comune di Roma e la Regione Lazio hanno reagito allocando risorse per il trattamento di un certo numero di alberi secondo un piano che potremmo definire di studio. SERVONO MENO EMOTIVITÀ E PIÙ SCIENZA Personalmente sono a favore della salvaguardia dei pini, ma per ogni azione ci vuole un approccio scientifico - e non emotivo - che ci fa anche capire quando il gioco vale la candela: posso ad ogni costo tutelare i pini o mi devo porre la domanda se le controindicazioni non siano peggiori della cura? Senza


dimenticare che in Europa vige il principio di precauzione, lo stesso grazie al quale sono state avviate le procedure sospensive dei neonicotinoidi dannosi per le api mellifere. A Roma i pini sono moltissime migliaia, sia come singoli individui che in gruppi lungo le strade o anche in pinete più o meno estese. Il singolo albero, e ancor di più un bosco, rappresentano un ecosistema in cui con il pino interagiscono e trovano il loro ambiente una grande quantità di organismi animali. La cocciniglia, inoltre, come gran parte dei Rincoti (un consistente ordine di insetti, con oltre 50 mila specie dalla dimensione variabile e di grande interesse per il settore agrario; ndR), ingerisce una grande quantità di linfa che in parte riemette all’esterno come sostanza zuccherina che noi Apicoltori conosciamo bene: la melata. Essa è terreno di pascolo di un gran numero di organismi, insetti in primis. Tra questi si individuano tra i più noti molte specie di farfalle, formiche e soprattutto api. Il miele di melata è molto ricercato e negli ultimi anni anche gli apicoltori urbani di Roma hanno imparato a conoscere questo nuovo elisir. L’Abamectina è previsto venga distribuita per via endoterapica praticando dei fori alla base del tronco. Il flusso linfare porta il principio attivo fino all’apice dei germogli dove le cocciniglie, succhiando linfa, si intossicano e muoiono. Come ogni altro prodotto chimico esso agisce su un ampio spettro di organismi che comunque vengono a contatto con il pesticida. E così altri

insetti succhiatori, masticatori di foglie e rami. Verosimilmente anche organismi che si alimentano di quest’ultimi possono venire a loro volta intossicati: quindi loro parassiti, predatori ecc. appartenenti a varie classi come insetti, miriapodi, aracnidi, ma anche uccelli insettivori. Possiamo immaginare anche che le foglie trattate possano rilasciare il principio attivo al suolo quando cadono a terra. Inoltre, se è vero che la melata possa essere inquinata, si intossicheranno anche chi si alimentano di melata, Apis mellifera in testa. Nessuno, inoltre, sembra essersi finora posto il problema di che fine fanno i residui del principio attivo che si accumula nei pinoli che spesso vengono raccolti e mangiati persino dai bambini. L’ecosistema albero verrebbe inoltre influenzato negativamente e di potrebbe ancora aggiungere che questo effetto interesserebbe anche tutti quei competitori naturali sui quali riponiamo tutti le maggiori aspettative per un successo nel controllo naturale del parassita. Anche se alcuni insetti utilizzati nel controllo di altri predatori alloctoni per ora non hanno dato risultati positivi, la strada da percorrere è certamente l’individuazione di controllori naturali. OLTRE AI PINI DOBBIAMO DIFENDERE LE API Sul precedente numero di Apitalia (n. 6/2021, inserto centrale) è possibile apprendere dell’importante iniziativa del Tavolo tecnico “Apicoltura-Agricoltura” cui la stessa FAI partecipa, che fa un elenco

delle tossicità nei confronti delle api delle sostanze attive impiegate in agricoltura; in questo inserto utilissimo è riportata una tabella del livello di tossicità di numerosi principi attivi nei confronti dei nostri amati insetti. Rileggendolo, potrete notare anche voi che proprio in prima riga è citata l’Abamectina codificata come “altamente tossica” con azione di interazione sulla fisiologia delle api causando anche disturbi o alterazioni del comportamento. Direi pertanto che l’iniziativa andrebbe ampliata oltre il cerchio agricolo visto l’uso di queste sostanze anche in ambito di verde ornamentale, spesso anche pubblico oltre che privato. Non dimentichiamo poi che l’uso civile di certi prodotti è ancor più pericoloso che in agricoltura. Infatti, per i prodotti di impiego casalingo non ci sono schede tecniche come quelle in uso per trattamenti professionali, né tanto meno esiste un obbligo di formazione a carico di chi li usa. Essendo inoltre la FAI anche partner del Progetto CREA-BEENET il grande intervento di monitoraggio ambientale e di portata triennale, quale migliore occasione per approfondire le conoscenze su principi attivi presenti in ambito urbano e tentare di capire se tutto questo coinvolgimento emotivo in difesa del pino non nasconda in realtà un grave danno alla biodiversità. In fondo, non dovremmo trovarci impegnati nella cosiddetta transizione ecologica? Stefano Risa 9/2021 | Apitalia | 57


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