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Accordo De Gasperi-Gruber I

Il coraggio del compromesso

Considerazioni sull’accordo De Gasperi-Gruber del 1946

UNA SOLUZIONE PACIFICA E CONSENSUALE SEMBRAVA IMPOSSIBILE

L’accordo di Parigi, firmato il 5 settembre 1946 dai rispettivi Ministri degli Esteri, De Gasperi e Gruber, in stretta relazione con i lavori della Conferenza per la Pace, fu il risultato di colloqui diplomatici italo-austriaci avviati ai primi di agosto su esplicita spinta anglo-americana. Fino a quel momento i punti di vista sulla questione altoatesina tra Roma e Vienna erano diametralmente opposti ed una soluzione pacifica e consensuale sembrava impossibile. Sin dalla fine della guerra il governo provvisorio austriaco nonché la Südtiroler Volkspartei (SVP), fondata l’8 maggio 1945 (soprattutto ma non esclusivamente da persone che avevano espresso un chiaro orientamento antinazista sia al momento delle opzioni del 1939 che nel periodo dell’Alpenvorland sotto il Gauleiter Franz Hofer 1943-45), avevano richiesto l’autodeterminazione e la (ri) annessione del Sudtirolo all’Austria. Tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale ed il governo italiano chiedevano al contrario una sovranità incondizionata sul territorio del Sudtirolo.

La contesa era inasprita non solo dalla ancora viva memoria della triste sorte dei sudtirolesi sotto il giogo fascista da una parte e il ricordo delle stragi e delle sofferenze dell’occupazione nazista in Italia 1943-45, dall’altra. Tra le due guerre, nell’opinione pubblica austriaca la perdita del Sudtirolo nel 1919 fu molto più presente e sentita rispetto ad altre zone tedescofone dell’ex-monarchia asburgica cedute con i trattati

Parigi, 5 settembre 1946: Karl Gruber, ministro degli esteri austriaco, e Alcide De Gasperi, pres. del consiglio e min. degli esteri italiano, dopo la firma dell’accordo sull’Alto Adige

di pace del 1919 alla Cecoslovacchia, come i Sudeti o la bassa Stiria passata alla Jugoslavia. Se esaminiamo anche in modo molto superficiale la sterminata serie di articoli, discorsi e iniziative in soccorso “dei fratelli sudtirolesi” che si registrarono in Austria nel breve arco del biennio 1945-46, possiamo richiamarci al concetto della “muta del lamento” (“Klagemeute”) di Elias Canetti. Applicato all’Austria dell’immediato dopoguerra, questo concetto porta ad un’unica lettura: l’identificazione totale e persistente con la povera vittima (il Sudtirolo considerato succube delle dittature fascista e nazista) doveva far dimenticare le proprie colpe del passato, quello nazista. invece, sin dalla fine della Grande Guerra, dalla “sacralizzazione dei nuovi confini della Patria” durante il ventennio fascista ed in forma ancora più consistente dopo le esperienze della Resistenza antinazista 1943-45, il confine del Brennero era assurto a mito e veniva visto come una “barriera naturale” contro ogni “invasione dal nord”, necessaria per la sicurezza del Paese. Questo mito fu un elemento di continuità tra il ventennio fascista e il dopoguerra.

In sede di Conferenza per la Pace a Parigi sia l’Austria che l’Italia vennero formalmente trattati come “stati ex-nemici”. Sebbene l’Austria nel periodo di guerra non fosse esistita come stato indipendente, aveva una popolazione che era stata parte integrante del terzo Reich. La resistenza antinazista, inoltre, era rimasta un movimento marginale. Non pochi dei più feroci aguzzini delle SS e nei campi di concentramento erano stati proprio degli austriaci. All’Austria toccò quindi la stessa sorte della Germania vinta, fu divisa in 4 zone d’occupazione finché dopo 10 anni riuscì con un trattato di pace (Staatsvertrag del 15 maggio 1955) a tornare nuovamente un paese libero, sovrano ed indipendente entro i confini prima dell’Anschluss del 1938. L’Italia, dal canto suo, pur a fianco degli Alleati sin dall’ottobre del 1943 come stato co-belligerante con l’esercito sabaudo e i partigiani sotto il comando del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), doveva pagare attraver-

so le clausole del trattato di pace (del 10 febbraio 1947) per le colpe della guerra fascista 1940-43.

UN DIFFICILE DIALOGO

Ciononostante sul tavolo diplomatico delle trattative sul futuro assetto politico del Sudtirolo, l’Italia postbellica ebbe delle carte migliori da giocare rispetto all’Austria. E questo per una serie di motivi: il governo italiano, composto dai 5 partiti antifascisti del CLN, ebbe sin dal 1944 rapporti diplomatici regolari con gli Alleati disponendo di persone di provata fede antifascista e alto profilo politico-intellettuale a Washington, Mosca, Londra e Parigi, ovvero nelle capitali delle 4 grandi potenze; il governo provvisorio austriaco invece riuscì ad avere questo riconoscimento ufficiale da parte degli Alleati soltanto nel novembre 1945. A quel punto però era già stata presa una decisione in merito al confine del Brennero, che pregiudicava in modo quasi definitivo il futuro assetto territoriale del Sudtirolo. Il 14 settembre 1945 i Ministri degli Esteri dei 4 Grandi (USA, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Francia), riuniti a Londra per la prima volta per i lavori preparatori della Conferenza per la pace, discussero la bozza del progettato trattato di pace con l’Italia, presentata dal Ministro britannico Ernest Bevin. Tutti furono d’accordo a non modificare il confine del Brennero ma, su proposta del rappresentante americano James Byrnes, fu approvata la formula aggiuntiva che, pur mantenendo immutato il futuro confine sul crinale naturale ed idrografico delle Alpi, dovesse essere concessa all’Austria la facoltà di presentare eventuali rettifiche territoriali di minore entità (“minor rectifications”) ove lo si dovesse ritenere necessario. Questa formula di compromesso rispecchiava in modo piuttosto fedele la posizione dei 4 Grandi rispetto ad Austria e Italia. L’URSS ci teneva a mantenere dei buoni rapporti con l’Italia, paese in cui il partito comunista faceva parte del governo, diffidava viceversa del ministro degli Esteri austriaco, Karl Gruber, ritenuto troppo filo-americano e troppo poco disponibile a venire incontro alle rivendicazioni territoriali e politiche della Jugoslavia comunista di Tito.

LA RICERCA DI UN COMPROMESSO

Per i tre paesi occidentali (USA, GB, F) invece questa formula di compromesso permise di conciliare diverse esigenze: da una parte, garantire all’Italia un trattato di pace non troppo “punitivo”, vista la figura politica chiave di De Gasperi (Ministro degli Esteri e Presidente del Consiglio) quale garanzia di futura alleanza e collaborazione in senso “atlantico” sul piano politico, economico e militare; dall’altra parte, lasciare la porta socchiusa dando uno spiraglio di speranza anche all’Austria, la quale doveva essere attirata nell’orbita “occidentale” nonostante la sua zona di occupazione sovietica. Nel suo tentativo di rivendicazione del Sudtirolo l’Austria adduceva soprattutto motivi di carattere storico-culturale e giuridico: l’appartenenza secolare del territorio alla monarchia asburgica, una popolazione tedescofona quasi compatta al momento dell’annessione nel 1919, le ingiustizie perpetrate alla popolazione da parte del fascismo italiano prima e dal nazismo hitleriano poi, il diritto di autodeterminazione sancito come principio fondante dai massimi esponenti del pensiero democratico-occidentale nonché proclamato da Churchill e Roosevelt nella Charta Atlantica del 1941. Tanto questi argomenti quanto le garanzie date da Gruber agli Alleati e all’Italia nel caso di un’assegnazione del Sudtirolo all’Austria (demilitarizzazione del territorio, autonomia per gli italiani residenti in provincia di Bolzano, possibilità di sfruttamento delle centrali idroelettriche costruite nel periodo 1919-45 da parte dell’Italia) non convinsero la Conferenza per la Pace a Parigi. Agli occhi degli Alleati le motivazioni addotte da De Gasperi per il mantenimento del confine al Brennero erano invece più convincenti ed in sintonia con i loro interessi di politica estera: le risorse economiche del Sudtirolo, soprattutto le centrali idroelettriche (che nel 1946 coprivano circa il 12% del fabbisogno nazionale) sarebbero state di vitale importanza per una rapida ricostruzione del Paese; la composizione etnico-linguistica della popolazione del Sudtirolo era profondamente cambiata rispetto al 1919 in seguito all’immigrazione italiana nonché a causa dell’emigrazione di circa 75.000 tedescofoni in seguito alle opzioni del 1939; l’Austria ed i sudtirolesi non avrebbero avuto nessun diritto morale di ricorrere all’autodecisione in quanto fino alla fine della guerra avevano combattuto a fianco della Germania nazista, mentre la Resistenza italiana e tutta l’Italia antifascista avevano dato un contributo importante per la sconfitta del Terzo Reich; l’Italia democratica avrebbe riparato generosamente i danni causati alla minoranza sudtirolese nel ventennio fascista (nell’ottobre 1945 vi era stato il ripristino delle scuole in lingua tedesca) e garantito in futuro pienamente i diritti culturali e linguistici dei sudtirolesi con una larga autonomia analoga a quella già deliberata per la Valle d’Aosta e la Sicilia.

Il ministro Gruber e la SVP puntarono unicamente al diritto di autodecisione per la popolazione sudtirolese, declinando decisamente ogni invito di De Gasperi a trattare per un possibile statuto di au-

tonomia. Fu una doccia fredda per loro quando, il 1° maggio 1946, la conferenza per la pace rifiutò in blocco le richieste austriache. Gruber, senza avvisare la SVP, declinò su una linea intermedia e di compromesso. Presentò la cosiddetta “soluzione della Val Pusteria”, chiese cioè l’annessione della Val Pusteria e dell’Alta Val d’Isarco (con l’inclusione di Bressanone) e lo motivò con la necessità di un collegamento diretto su strada e ferrovia tra Lienz e Innsbruck. Anche questa proposta austriaca venne respinta dalla conferenza per la pace il 24 giugno 1946 con la motivazione che andava oltre la formula delle “rettifiche minori”.

LA MEDIAZIONE INGLESE

Il contenzioso tra Vienna e Roma sul problema altoatesino era giunto ad un punto morto senza una possibile via d’uscita. Fu questo il momento in cui entrò in scena la diplomazia “mediatrice” britannica per sbloccare la situazione e ripristinare un possibile dialogo tra Vienna e Roma. I politici del

Foreign Office a Londra divennero i veri “padri dell’accordo

De Gasperi-Gruber”, agendo abilmente e gentlemanlike dietro le quinte. La simpatia verso il Tirolo, la sua gente ed il suo paesaggio aveva una lunga tradizione in Gran Bretagna nel campo scientifico-culturale e politico. Ricordiamo soltanto l’entusiasmo di certi circoli letterari e politici per la ribellione di Andreas Hofer contro Napoleone nel 1809, l’interesse che destò il mondo dei monti pallidi, le Dolomiti, nei circoli dell’alpinismo britannico sin dalla fine dell’Ottocento e non ultimo il vasto interessamento del mondo politico, fino a Churchill in prima persona, e della stampa per il destino del Sudtirolo sotto la dittatura fascista e all’epoca delle opzioni del 1939. Quello di Londra fu l’unico Parlamento del mondo (oltre Roma e Vienna) ad occuparsi nel 1946 per un’intera giornata del problema del Sudtirolo. Il 25 luglio 1946 alla Camera dei Comuni, in

un acceso dibattito sulla politica estera, i conservatori con l’eccezione di alcuni illustri rappresentanti votarono per il “ritorno del Sudtirolo all’Austria”, mentre i laburisti, al governo sin dal luglio 1945, si dichiararono a favore del confine al Brennero per l’Italia. In quest’occasione il Ministro Bevin sostenne che la soluzione del conteso problema sudtirolese poteva risiedere in una sorta di “Anschluss dell’Austria verso il sud”, sottintendendo con ciò che, se “l’Anschluss verso nord”

Il testo dell’accordo fra Alcide De Gasperi e Karl Gruber del marzo 1938 era stato un avvenimento disastroso sia per l’Austria stessa che per l’Europa, una futura amicizia tra i due paesi per lungo tempo nemici poteva superare l’inimicizia ereditaria e risolvere pacificamente il problema della minoranza, non tanto con uno spostamento dei confini ma con un loro superamento, rendendoli meno marcati. Rifacendosi a Bevin, il più alto funzionario del Foreign Office, il segretario di Stato, sir Orme Sargent indicò la linea politica di questo obiettivo, annotando in un documento: “E’ importante che noi prendiamo l’iniziativa e portiamo entrambi i Paesi, che sono fondamentalmente occidentali, ad un tavolo di trattative e li aiutiamo a trovare – nel loro e nel nostro interesse – una ragionevole soluzione a questo infelice problema (dell’Alto Adige), nel modo più

veloce possibile. Perché, se osserviamo la questione a lungo termine e in una prospettiva europea, allora è necessario che entrambi i Paesi, posti a ridosso della cortina di ferro, vadano d’accordo. Ciò è stato già riconosciuto da alcune persone sagge in Italia e in Austria, ma i due Paesi nella loro maggioranza sono incapaci di venirsi incontro, per motivi psicologici; quindi è il caso che essi vengano costretti dalle Grandi potenze a superare la loro reciproca antipatia e a seppellire le loro controversie, che altrimenti avveleneranno a lungo i loro rapporti reciproci e procureranno solo danni a loro stessi e a noi”.

Proprio sapendo che le sorti del confine del Brennero si sarebbero giocate soprattutto a Londra (ove risiedevano i più strenui difensori degli interessi della minoranza sudtirolese), De Gasperi sin dall’inizio aveva affidato in primis all’ambasciatore italiano a Londra, il conte Nicolò Carandini, questo compito delicato. Liberale, antifascista e convinto europeista, per pensiero politico molto vicino ad Altiero Spinelli, Carandini fu la persona giusta per condurre in prima persona le trattative diplomatiche con gli austriaci.

UNA PROSPETTIVA DI UN PROCESSO DI UNIONE EUROPEA

Anche se è vero che l’obiettivo primario dell’accordo fu quello riparatorio (cioè dei danni del passato nazifascista, da cui l’esigenza del ripristino della scuola nella lingua materna, dei nomi di famiglia italianizzati, della cittadinanza perduta in seguito alle opzioni del 1939, il diritto al ritorno degli optanti emigrati, una più soddisfacente distribuzione dei posti di lavoro nel pubblico impiego tra i gruppi linguistici, ecc.) e ci fu il prezzo che De Gasperi dovette pagare per “salvare il Sudtirolo all’Italia” (cioè ottenendo una sovranità condizionata sul territorio), il significato del testo non si limita a ciò ma va ben oltre. Oltre alcune lacune (p. es. la mancata menzione dei ladini, voluta da De Gasperi per isolarli dal blocco etnico SVP), il testo ha

innegabilmente degli aspetti lungimiranti che anticipano il futuro processo di unione eu-

ropea sin dal trattato di Roma del marzo 1957 e contiene dei riferimenti-modello per la soluzione pacifica e consensuale del problema di minoranze situate sul crinale di frontiere contese tra due stati. Aspetti di una tale “lungimiranza” li possiamo trovare in ognuno dei tre articoli dell’accordo. Vediamoli: nell’art. 1 si stabilisce la “completa uguaglianza di diritti” dei gruppi linguistici dalla scuola fino all’uso della lingua nella toponomastica, nei documenti ufficiali, nell’amministrazione pubblica. Obiettivo è, si legge, la “tutela del carattere etnico” e culturale dei gruppi linguistici, quindi un “riconoscimento reciproco dell’esistenza culturale” dell’altro; da considerare inoltre il fatto che l’aggettivo “etnico” connota il gruppo, ma non il territorio. Di carattere “territoriale” (e non “etnico” come non pochi “interpreti” e partiti politici vorrebbero far credere!) invece è il concetto di autonomia in sé, visto che

nell’art. 2 si stabilisce che l’autonomia è concessa non ad un gruppo, ma “alle popolazioni” residenti su territorio della provincia ovvero della regione.

Di squisita matrice “europea” sono alcune disposizioni contenute nell’art. 3 dell’accordo di Parigi del 1946: accordi bilaterali tra Austria e Italia per il reciproco riconoscimento di titoli di studio e diplomi universitari, collaborazione transfrontaliera per facilitare il libero transito di merci e persone per ferrovia e strada, scambio di merci tipiche tra Austria e Italia in base a tariffe doganali speciali (realizzato con il cosiddetto “Accordino” del 1949). Insomma, questioni inerenti al processo di unione europea sin dai suoi inizi.

UN ACCORDO TRA UOMINI DI BUONA FEDE

Credo che le parole più appropriate e serene sull’accordo De Gasperi-Gruber le abbia espresse proprio il maggiore artefice di questo accordo, cioè Nicolò Carandini. Nella valutazione conclusiva contenuta nella sua lettera da Londra del 25 settembre 1946 al segretario generale degli Esteri a Roma, Renato Prunas, scrisse: “Caro Prunas, abbiamo lavorato, una volta tanto, tra uomini di buona fede. È un accordo nato e basato su rapporti personali di fiducia. Come tutte le cose umane è lontano dalla perfezione ed è soggetto ad applicazioni e sviluppi che richiedono da ambo le parti altrettanta buona fede. Se regge così, bene. Se no, non vi è più o meno abile sotterfugio precisativo ed impegnativo che lo possa fortificare. Se questo accordo si è perfezionato, implicando un re-

ciproco sacrificio della sovranità italiana e delle aspirazioni

territoriali austriache, ciò è dovuto proprio allo spirito di buona fede da cui si è partiti ed in cui si è concluso. Non vedo migliore garanzia possibile. Se la buona fede mancherà o da una parte o dall’altra, vuol dire che avremo fallito. E’ un rischio connesso con l’arditezza dell’iniziativa ed il coraggio della concretazione“.

La conferma di questo giudizio quasi profetico si ebbe quando, alla fine degli anni 50, si arrivò alla crisi totale della politica per l’autonomia nella provincia di Bolzano a causa della mancata, ovvero lacunosa, applicazione di diversi punti dell’accordo del 1946 da parte dei governi centristi della DC a livello nazionale, orientati verso un centralismo spiccato dei poteri dello Stato, e della politica accentratrice della DC di Trento. Ed altrettanto successe negli anni 60, quando circoli irredentisti-separatisti sudtirolesi, in stretta collaborazione con gruppi dell’estrema destra in Austria e Germania, tentarono lo spostamento del confine attraverso la politica delle bombe. Poi, con un paziente lavoro politico e diplomatico, sempre grazie ad un costante dialogo tra le parti, si giunse nel 1969 all’approvazione del Pacchetto. Si apriva così una nuova stagione dell’autonomia in Sudtirolo.

Leopold Steurer

LEOPOLD STEURER

Nato a Novale (Vipiteno) nel 1946, studia storia, filosofia e germanistica all’università di Vienna e frequenta la facoltà di scienze politiche a Bonn. Fondamentali il suo incontro con Klaus Gatterer e il suo impegno politico con Alexander Langer per “un altro Sudtirolo”. Svolge intensa attività scientifica di ricerca e di pubblicazione, spesso in netta opposizione con la storiografia ufficiale, sugli aspetti cruciali della storia dei sudtirolesi nel Novecento, invitandoli a fare i conti anche con i punti più oscuri e controversi del loro recente passato. Una storiografia senza pregiudizi e senza ipocrisie la sua, che ha aperto la strada a tutti i giovani storici delle ultime generazioni.

Il camper rosa delle madri dei Castelli Romani in Alto Adige

A fine agosto un camper rosa con a bordo una delegazione di madri laziali, in rappresentanza di diverse associazioni di volontariato attive sui temi della nascita e dell’allattamento (La goccia magica, Città delle Mamme Frascati, Chiara per i bambini del mondo), è arrivato a Vipiteno. Il camper è partito da Roma per portare solidarietà alle donne altoatesine. Ad accogliere la delegazione davanti all’ospedale di Vipiteno numerose mamme e papà. Questo incontro crea un ponte fra il “caso” Vipiteno e il resto d’Italia e mette in evidenza una cosa sempre più evidente: la chiusura del punto nascita di Vipiteno non è affare solo locale. Da mesi ormai diversi gruppi di donne che si occupano di nascita e allattamento sul territorio nazionale si sono messi in contatto con il gruppo di madri cittadine attive altoatesine, per cercare di capire, per sostenere, per dare forza e voce a chi sul nostro territorio si batte affinchè il punto nascite non chiuda e affinchè la grande esperienza ed il know-how accumulati dall’equipe di Vipiteno per una nascita rispettosa non venga disperso, anzi possa fungere da stimolo per lo sviluppo delle future politiche di gestione dei servizi relativi alla nascita per il resto della nostra Provincia. Vista dall’esterno, la chiusura di questo centro, un modello a cui guarda tutt’Italia per la sua adesione a pratiche di buona nascita auspicate da tanti operatori del settore e dai più autorevoli Istituti di ricerca nazionali e internazionali, è incomprensibile, inaccettabile. Anche a Roma, è un parlamentare non altoatesino, l’on. Adriano Zaccagnini, ad aver preso l’iniziativa di difendere Vipiteno, di difendere questa cultura della nascita, attraverso un’interrogazione parlamentare. Questo piccolo gesto di solidarietà, ha un sapore complesso che va capito per poter comprendere fino in fondo perché la chiusura di Vipiteno muova in questo momento tanti cittadini e cittadine e non solo le donne direttamente interessate, quelle delle valli limitrofe. Cosa stanno chiedendo le madri e i padri alla politica locale e nazionale? Che tipo di assistenza desiderano e da quale “scappano”, accollandosi viaggi di centinaia di chilometri per scegliere il posto dove partorire o decidendo di partorire in casa? Chi limita la lettura delle manifestazioni in difesa del punto nascite di Vipiteno ad una questio-

ne di attaccamento affettivo o di comodità logistica, perde di vista la complessità e l’ampiezza della questione. Anche la bandiera più amata a livello locale per affrontare questo tema, la bandiera della “sicurezza”, non offre la possibilità di una lettura adeguata per questo fenomeno. Vipiteno è un modello, è un simbolo di una cultura della nascita non medicalizzata, umana, familiare, di rispetto e attenzione alla dignità della persona. Un luogo dove la logica dell’efficienza economica non sovrasta il diritto della persona ad essere sostenuta in un momento così cruciale per la sua vita in modo rispettoso ed amorevole, dove il sapere medico ed ostetrico sanno essere al servizio della nascita e non viceversa . Anche se Vipiteno verrà chiuso, questo è ciò che una fetta di popolazione chiede per se stessa.

Inaugurazione e apertura del nuovo distretto socio-sanitario Wipptal e del nuovo tratto della casa di riposo comprensoriale Wipptal

Il 30 settembre 2016 saranno inaugurati la nuova sede del distretto sociale ed il nuovo tratto della casa di riposo comprensoriale e verrà festeggiata la loro operatività. In occasione della Giornata delle Porte Aperte, i cittadini e le cittadine interessati/e avranno la possibilità di visitare i locali del distretto. Dalla primavera sono stati trasferiti tutti i settori d‘attività del distretto sociale e del distretto sanitario nella nuova sede di via S. Giacomo n. 8 a Vipiteno. Con la sua costruzione, sono stati uniti sotto un unico tetto anche nell‘Alta Val d‘Isarco tutti i servizi sociali e sanitari ambulanti del territorio. Per le cittadine ed i cittadini significa una grande agevolazione, nel momento in cui trovano i servizi ambulanti del settore sociale e del settore sanitario in una unica struttura: assistenza economica sociale, assistenza socio-pedagogica di base, assistenza domiciliare, servizio sociosanitario di base, sportello unico per le offerte di cura e sostegno, assistenza infermieristica e servizio di prevenzione. Il distretto socio-sanitario è raggiungibile facilmente e si trova in una posizione strategica, vicino all‘ospedale e alla casa di riposo comprensoriale. Ciò rappresenta un vantaggio per le cittadine ed i cittadini – così il Presidente della Comunità Comprensoriale Wipptal Karl Polig. „Sono convinto di consegnare alla popolazione due opere importanti. Come Comunità Comprensoriale ci impegniamo continuamente, affinché gli abitanti dell‘Alta Val d’Isarco abbiano a disposizione le stesse offerte di tutti gli altri cittadini dell‘Alto Adige. Dato che l‘Alta Val d‘Isarco è un luogo periferico, è

spesso una sfida particolare ma nello stesso tempo assume un maggiore fascino, mettercela tutta. Io sono molto soddisfatto per il nostro Comprensorio“ – così il Presidente Karl Polig. Il nuovo tratto della casa di riposo comprensoriale è diventato operativo già nell‘autunno 2014. „Questo nuovo tratto offre agli ospiti un gradevole ambiente abitativo e di conseguenza una buona qualità della vita. È importante che la società mostri considerazione per le persone anziane anche in questo modo“ – se ne compiace Haymo Beikiurcher, responsabile della casa di riposo comprensoriale. In seguito all‘apertura ufficiale, dalle ore 10.30 alle ore 14.00 tutti i cittadini interessati sono invitati a visitare la nuova sede del distretto.

VIPITENO Biblioteca Civica: bibliotombola

Presso la Biblioteca Civica di Vipiteno, venerdì 16 settembre, alle ore 20.00 verrà organizzata una bibliotombola che gioca con i libri che parlano di cibo e dove i sapori si mescolano alle parole. Il gioco prevede una vincita crescente in libri per i partecipanti in possesso delle fortunate schede con i numeri estratti. Il dott. Mauro Di Vieste, responsabile della “Biblioteca Culture del mondo” di Bolzano, ha collaborato alla selezione di novanta citazioni che offrono al lettore un assaggio dei tanti libri dove un piatto o un sapore serve a costruire una storia, ma anche a caratterizzare un personaggio: l‘omelette alle erbe aromatiche e mostarda del Pereira di Tabucchi; il cioccolato della sensuale Vienna raccontato da Joanne Harris; il “filo d‘olio” della nonna siciliana di Simonetta Agnello Hornby e molti altri ancora. Entrata libera. Numero limitato di posti – è gradita la prenotazione al 0472/767235.

Alex Schwazer

Perfidamente infranto il suo orgoglioso sogno di riscatto Ora lo attende la prova più dura: ritrovare la serenità per una nuova vita

Non lasciamolo solo: noi dell’Erker lo avevamo già detto al momento della sua “colpa” nel 2012. A maggior ragione lo ripetiamo oggi, nel momento della sua “persecuzione”. E riportiamo ancora una volta l’appello di Alexander Langer, mai così attuale come oggi, anche se disperante. “Noi agiamo all’insegna del motto olimpico citius, altius, fortius (più veloce, più alto, più forte), che meglio di ogni altra sintesi rappresenta la quintessenza della nostra civiltà, dove l’agonismo e la competizione non sono la nobilitazione sportiva di occasioni di festa, bensì la forma quotidiana e onnipervadente. È assolutamente necessario conquistare una concezione alternativa, che potremmo forse sintetizzare in lentius, profundius, suavius: più lento, più profondo, più dolce”.

Del ricorso generalizzato al doping in tutti gli sport siamo dunque tutti in qualche modo corresponsabili: siamo noi che pretendiamo dai giovani atleti, persino quando sono ancora ragazzini, che forniscano prestazioni sempre più estreme, al limite delle possibilità umane. Anche Alex Schwazer non ha retto a questa pressione. Ha sbagliato, ha pagato a caro prezzo il suo errore. E ha voluto riscattarsi. Ha voluto tornare pulito, con l’aiuto proprio di colui che lo aveva accusato di doping, Sandro Donati, che ha creduto in lui, lo ha affiancato come allenatore e come consigliere nel suo orgoglioso percorso di riscatto come sportivo e come uomo: dimostrare al mondo sportivo e ai suoi massimi organi di controllo e di governo che si può essere dei campioni anche senza ricorrere al doping. Era troppo. Troppo forte il “j’accuse” di Donati contro funzionari ipocriti, corrotti e conniventi con le organizzazioni occulte che lucrano sul mercato delle sostante dopanti, cosa ormai acclarata. Troppi interessi economici e persino politici venivano pericolosamente disturbati. Soprattutto dopo il trionfo di Schwazer nella 50 km di marcia a Roma il giorno 8 maggio di quest’anno, nella sua prima gara dopo la lunga squalifica (fino ad allora non vi era stato alcun sentore di irregolarità nei numerosi controlli fatti dall’atleta). E allora ecco scattare la legge mafiosa della vendetta e della beffa. Questo il senso del vergognoso e grottesco teatrino dei guitti che TAS, CIO e soprattutto Iaaf hanno inscenato. Sigle che ormai hanno perso ogni credibilità. C’è troppa puzza di marcio dietro di loro, perché sia qui necessario ripercorrere le tappe della vicenda nei suoi tortuosi dettagli.

Su quanto avvenuto vi sono naturalmente interpretazioni diverse: “Se si cercano sentenze, quelle vanno rispettate. Donati, che finalmente era tornato ad allenare, si è buttato in una sorta di crociata, senza alcun dubbio sulla possibilità di sbagliare, quasi una sorta di guerra personale al mondo, al passato, ai vecchi e nuovi nemici, a chi lo aveva allontanato dal mondo sportivo” si è potuto leggere qua e là su vari giornali nazionali. è stato trovato, dicono altri. E gli organismi internazionali non hanno fatto altro che respingere il ricorso di Schwazer.

Schwazer e Donati in allenamento, sognando Rio

Foto: Giancarlo Colombo Ma hanno veramente analizzato a fondo e con equità il caso nel corso del farsesco balletto di date rinviate e di luoghi continuamente spostati? In tanti altri casi, forse ancora più “sospetti”, hanno dato responsi diversi, e niente affatto limpidi, a favore di atleti di altri paesi. Il danno e la beffa. Per molti è indubitabile che si è trattato di un disegno già preordinato. Donati e l’avvocato difensore Gerhard Branstätter parlano addirittura di minacce ricevute per telefono da funzionari della Iaff. Tanto da suscitare sdegnate e amare reazioni in favore di Schwazer da parte di personalità sportive, poli-

Alex Schwazer sedicenne in una gara a Merano nel 2002: ci piace ricordarlo così

Altri osservano che le ripetute analisi sulla famosa provetta con l’urina di Schwazer prelevata il 1° gennaio hanno seguito una procedura anomala, con un’accuratezza insistita, quasi accanita, senza tener conto di altri 60 test antidoping in 4 anni, fatti da Schwazer su sua richiesta e da lui stesso pagati di tasca sua, in cui egli è risultato pulito. D’altra parte in quella provetta “qualcosa” di irregolare tiche e in genere di tutta l’opinione pubblica, non solo altoatesina ma anche italiana.

Per questo ripetiamo: adesso non lasciamolo solo in questa prova dolorosa, che non riguarda più solo il suo cammino di sportivo, ma il suo destino di uomo che deve ricostruirsi una vita.

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