NOTIZIE DALL‘ALTA VAL D‘ISARCO
Il coraggio del compromesso Considerazioni sull’accordo De Gasperi-Gruber del 1946
UNA SOLUZIONE PACIFICA E CONSENSUALE SEMBRAVA IMPOSSIBILE L’accordo di Parigi, firmato il 5 settembre 1946 dai rispettivi Ministri degli Esteri, De Gasperi e Gruber, in stretta relazione con i lavori della Conferenza per la Pace, fu il risultato di colloqui diplomatici italo-austriaci avviati ai primi di agosto su esplicita spinta anglo-americana. Fino a quel momento i punti di vista sulla questione altoatesina tra Roma e Vienna erano diametralmente opposti ed una soluzione pacifica e consensuale sembrava impossibile. Sin dalla fine della guerra il governo provvisorio austriaco nonché la Südtiroler Volkspartei (SVP), fondata l’8 maggio 1945 (soprattutto ma non esclusivamente da persone che avevano espresso un chiaro orientamento antinazista sia al momento delle opzioni del 1939 che nel periodo dell’Alpenvorland sotto il Gauleiter Franz Hofer 1943-45), avevano richiesto l’autodeterminazione e la (ri) annessione del Sudtirolo all’Austria. Tutti i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale ed il governo italiano chiedevano al contrario una sovranità incondizionata sul territorio del Sudtirolo. La contesa era inasprita non solo dalla ancora viva memoria della triste sorte dei sudtirolesi sotto il giogo fascista da una parte e il ricordo delle stragi e delle sofferenze dell’occupazione nazista in Italia 1943-45, dall’altra. Tra le due guerre, nell’opinione pubblica austriaca la perdita del Sudtirolo nel 1919 fu molto più presente e sentita rispetto ad altre zone tedescofone dell’ex-monarchia asburgica cedute con i trattati
52
Erker 09 I 16
Parigi, 5 settembre 1946: Karl Gruber, ministro degli esteri austriaco, e Alcide De Gasperi, pres. del consiglio e min. degli esteri italiano, dopo la firma dell’accordo sull’Alto Adige
di pace del 1919 alla Cecoslovacchia, come i Sudeti o la bassa Stiria passata alla Jugoslavia. Se esaminiamo anche in modo molto superficiale la sterminata serie di articoli, discorsi e iniziative in soccorso “dei fratelli sudtirolesi” che si registrarono in Austria nel breve arco del biennio 1945-46, possiamo richiamarci al concetto della “muta del lamento” (“Klagemeute”) di Elias Canetti. Applicato all’Austria dell’immediato dopoguerra, questo concetto porta ad un’unica lettura: l’identificazione totale e persistente con la povera vittima (il Sudtirolo considerato succube delle dittature fascista e nazista) doveva far dimenticare le proprie colpe del passato, quello nazista. Nell’opinione pubblica italiana,
invece, sin dalla fine della Grande Guerra, dalla “sacralizzazione dei nuovi confini della Patria” durante il ventennio fascista ed in forma ancora più consistente dopo le esperienze della Resistenza antinazista 1943-45, il confine del Brennero era assurto a mito e veniva visto come una “barriera naturale” contro ogni “invasione dal nord”, necessaria per la sicurezza del Paese. Questo mito fu un elemento di continuità tra il ventennio fascista e il dopoguerra. In sede di Conferenza per la Pace a Parigi sia l’Austria che l’Italia vennero formalmente trattati come “stati ex-nemici”. Sebbene l’Austria nel periodo di guerra non fosse esistita come stato indipendente, aveva una popolazio-
ne che era stata parte integrante del terzo Reich. La resistenza antinazista, inoltre, era rimasta un movimento marginale. Non pochi dei più feroci aguzzini delle SS e nei campi di concentramento erano stati proprio degli austriaci. All’Austria toccò quindi la stessa sorte della Germania vinta, fu divisa in 4 zone d’occupazione finché dopo 10 anni riuscì con un trattato di pace (Staatsvertrag del 15 maggio 1955) a tornare nuovamente un paese libero, sovrano ed indipendente entro i confini prima dell’Anschluss del 1938. L’Italia, dal canto suo, pur a fianco degli Alleati sin dall’ottobre del 1943 come stato co-belligerante con l’esercito sabaudo e i partigiani sotto il comando del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), doveva pagare attraver-