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Impatto clinico dell’endoscopia potenziata Simona Ruggiero1, Maria Antonia Bianco2, Teresa Russo1, Giuseppe Galloro1

Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Servizio Centralizzato di Endoscopia Digestiva Operatoria Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Napoli Federico II 2 U.O.C. di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, ALS Napoli 3 sud, Ospedale A. Maresca di Torre del Greco (NA)

La colonscopia rappresenta un metodo universalmente riconosciuto per lo screening e la diagnosi del cancro del colon-retto. Le metodiche di endoscopia potenziata possono aumentare l’accuratezza nella diagnosi e caratterizzazione delle lesioni colo-rettali. Today, colonoscopy is an universally accepted method for colorectal cancer screening and diagnosis. Augmented Endoscopy can improves diagnosis and differentiation of colo-rectal lesions. Parole chiave: endoscopia potenziata, colonscopia Key words: augmented endoscopy, colonoscopy

INTRODUZIONE Il principale obiettivo della colonscopia è quello di diagnosticare e resecare lesioni pre-cancerose, prevenendo lo sviluppo del cancro, e tumori precoci, evitando la crescita di neoplasie maligne avanzate e l’infiltrazione parietale. La mancata individuazione e rimozione di lesioni polipoidi e cancri precoci, creando un ritardo diagnostico e terapeutico, peggiora l’outcome del paziente peraltro con il rischio di contenziosi (1). Negli ultimi anni l’industria ha compiuto molti sforzi per migliorare la tecnologia e le prestazioni dell’endoscopia: molte di queste innovazioni sono conosciute sotto il nome di endoscopia potenziata o augmented endoscopy. L’endoscopia potenziata comprende cromoendoscopia tradizionale (2), virtuale (3) e zoom-magnificazione (4,5) e permette di esaminare vari aspetti delle lesioni digestive, quali lo sbocco delle cripte sulla superficie mucosale e l’aspetto della trama vascolare sottomucosa. Essa fornisce nuovi strumenti per identificare le anomalie di dimensioni, densità e forma delle cripte e della vascolarizzazione nel colon normale ed in lesioni neoplastiche. Oggi, la colonscopia rappresenta un metodo ben standardizzato. Tuttavia non si diagnostica fino al 6% di adenomi avanzati (≥ 10 mm) o di cancri del colon e dal 26% al 30% di tutti gli adenomi, utilizzando coloscopi standard (6); questo a causa della sede delle lesioni, dell’esperienza dell’operatore (7) e della tipologia delle lesioni. L’endoscopia potenziata, aumentando la capacità di identificare le lesioni, ne migliora la diagnosi e la differenziazione (8). Al momento attuale, comunque, trials clinici che abbiano investigato l’utilità dell’endoscopia potenziata hanno mostrato risultati controversi (9). Questo può essere correlato ai limiti della tecnologia in se ed alla variabilità dell’abilità degli endoscopisti. Pertanto, come riportato da Fujiya e Kohgo, “...due fattori relativi all’utilità di queste nuove tecnologie devono essere valutati: a quale step è applicabile tale tecnologia per la diagnosi delle neoplasie del colon (rilevazione, differenziazione o stadiazione) e a quale livello di esperienza degli endoscopisti (esperti o meno) la tecnologia è utilizzabile...” (10). Occorre sempre ricordare che la tecnologia di per sé non è sufficiente a garantire i migliori risultati. Tutte le variabili che influenzano il lesions detection rate di un endoscopista sono importanti come, ad esempio, l’e-

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sperienza dell’operatore, la preparazione intestinale, la tecnica di esame e l’uso di strumenti o accessori in grado di aumentare le capacità diagnostiche.

Cromoendoscopia

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La cromoendoscopia consiste nell’applicazione locale di coloranti durante la colonscopia nel tentativo di migliorare la diagnosi delle lesioni neoplastiche (in particolare per le non polipoidi piatte e depresse) e il loro grado di differenziazione (11). I coloranti utilizzati vengono classificati in coloranti di contrasto o di contatto, vitali e reattivi. I coloranti di contrasto, quali l’indaco di carminio, si stratificano sulla superficie mucosale ed esaltano (tramite il cosiddetto “effetto pozzanghera”) le irregolarità della mucosa. Coloranti vitali, come il cristal violetto, identificano invece tipi specifici di cellule epiteliali attraverso un assorbimento selettivo. I coloranti reattivi, come il rosso Congo o il rosso fenolo, non sono più utilizzati. Le tecniche di cromoendoscopia richiedono un pretrattamento che prevede la rimozione del muco in eccesso dalla superficie della mucosa mediante l’utilizzo di N-acetilcisteina (da 4% fino al 10%). La cromoendoscopia con indaco di carminio è una delle tecniche migliori per evidenziare l’aspetto dei margini e della superficie di lesioni coliche. La pan-cromo-colonscopia migliora il rilevamento di polipi adenomatosi (2,3), anche se oggi si preferisce la cromo-endoscopia mirata, colorando solo le aree caratterizzate dai cosìddetti minimal changes (discromie, irregolarità mucosali, convergenze plicale, erosioni o ulcerazioni) (12). La cromo-endoscopia con magnificazione è in grado di differenziare gli adenomi dai polipi non neoplastici analizzando l’aspetto dello sbocco delle cripte ghiandolari della mucosa (pit pattern) (13,14). Kudo ha classificato i pit pattern in sei categorie e ha mostrato l’associazione tra ogni categoria e le principali caratteristiche istologiche (4,14). Chiu et al, in uno studio monocentrico, hanno dimostrato la miglior accuratezza (91.1% vs 68.3%), sensibilità (91.3% vs 62.1%) e specificità (90.5% vs 85.4%) della cromo-endoscopia nel differenziare gli adenomi del colon dalle lesioni iperplasiche, quando confrontata con la colonscopia standard a luce bianca. La cromoendoscopia con indaco di carminio combinata con la magnificazione è utile per la rilevazione di foci di cripte aberranti nel retto, un potenziale biomarcatore di neoplasia di lesioni piane (15). Una tecnica di colorazione combinata con indaco di carminio e cristal-violetto, più la magnificazione permette un’elevata precisione nell’esecuzione di EMR di lesioni non polipoidi o sessili; d’altra parte, il solo uso di indaco di carminio per determinare la profondità dell’invasione di parete, ha dato risultati deludenti (13). Le valutazioni dei risultati della cromoendoscopia sono basate sulle caratteristiche morfologiche delle lesioni,

e quindi la standardizzazione e la riproducibilità della metodica sono fattori essenziali per valutarne l’importanza. Huang et al (16) hanno mostrato un inter- e intra- observer agreement da buono ad eccellente (k = 0.716 e 0.810, rispettivamente) per la valutazione del pit pattern secondo la classificazione di Kudo. Al contrario, East et al (17) hanno riportato uno scarso inter-observer agreement per il modello di pit pattern di Kudo (k = 0.25). Le discrepanze nei risultati di questi studi sono probabilmente correlate ad un bias di selezione dei casi e alle diverse competenze tecniche degli endoscopisti partecipanti agli studi. In conclusione, la cromoendoscopia è una procedura time-consuming, che richiede una esperienza significativa sia nell’esecuzione della tecnica che dell’interpretazione delle immagini endoscopiche. Tuttavia, sembra essere uno dei metodi endoscopici più affidabili per la diagnosi differenziale tra lesioni colo-rettali neoplastiche e non neoplastiche.

Endoscopia ad alta risoluzione e zoom - magnificazione I normali endoscopi a risoluzione standard e ad alta risoluzione ingrandiscono le immagini endoscopiche da 30 a 35 volte. Gli endoscopi a zoom-magnificazione sono caratterizzati dalla capacità di eseguire un ingrandimento dell’immagine in modo differente. Nell’endoscopia zoom un sistema di lenti, posto all’estremo distale dello strumento, ingrandisce l’immagine otticamente, prima che questa venga registrata dal sensore CCD, generando un quadro endoscopico ad elevata densità ottica. Nella magnificazione, invece, la normale immagine è ingrandita dopo essere stata registrata sul CCD, per mezzo di un software. Ne scaturisce una immagine ingrandita rispetto al normale, ma comunque a densità ottica minore rispetto alle immagini zoom. Un cappuccio trasparente sulla punta dell’endoscopio può essere utile per stabilizzare la lunghezza focale tra la lente dell’obiettivo e il tessuto, migliorando la qualità dell’immagine (18). L’endoscopia ad alta risoluzione e la zoom-magnificazione hanno ampiamente dimostrato la loro efficacia come strumenti per migliorare la diagnosi di tumori colici, inclusi i tipi piatti o depressi, e per differenziare le lesioni neoplastiche e non neoplastiche del colon-retto. L’accuratezza della colonscopia con magnificazione nella distinzione di lesioni neoplastiche da lesioni non-neoplastiche inferiori a 10 mm di diametro (92%) è significativamente superiore rispetto alla colonscopia standard (68%) (19,20). La capacità di differenziare tra lesioni neoplastiche e non neoplastiche utilizzando colonscopia convenzio-


Cromoendoscopia virtuale Le tecniche di cromendoscopia virtuale (CVC) migliorano la visualizzazione della trama vascolare e l’aspetto della mucosa al fine di migliorare la diagnosi, la caratterizzazione e la differenziazione delle lesioni. Tali tecniche sono considerate possibili alternative alla cromoendoscopia tradizionale, in quanto forniscono un maggiore enhancement dell’aspetto superficiale dei tessuti. Occorre sottolineare che la letteratura a tal proposito è relativamente scarsa, soprattutto se paragonata a quella sulla cromoendoscopia tradizionale. I principali sistemi di cromoendoscopia virtuale sono: l’NBI (Narrow Band Imaging, Olympus, Tokyo, Giappone), il FICE (Fujinon Intelligent Color Enhancement, Fujinon, Tokyo, Giappone) e più recentemente il sistema iScan (Pentax, Tokyo, Giappone) ed agiscono attraverso la selezione di specifiche lunghezze d’onda della luce emessa dall’endoscopio. FICE, NBI e iScan restringono la larghezza di banda di luce bianca e massimizzano l’intensità relativa di luce blu. Poiché la luce blu è altamente assorbita dall’emoglobina, le immagini ottenute da sistemi CVC hanno un maggiore contrasto vascolare, rispetto alle immagini endoscopiche ottenute con la luce bianca standard (18). Le modifiche di luce sono disponibili utilizzando la semplice pressione di un pulsante così da ottenere spettacolari effetti sulla qualità dell’immagine, con un aumento del contrasto vascolare e un miglioramento della visione della mucosa. Il sistema NBI altera lo spettro cromatico attraverso l’uso di due filtri ottici, che agiscono sulla luce bianca della sorgente luminosa, e illumina i tessuti con luce modificata. Il primo filtro agisce sulla frequenza d’onda dei 415 nanometri, nello spettro del blu, il se-

condo sulla frequenza dei 540 nanometri, nello spettro del verde (18). La tecnologia FICE è basata su un sistema chiamato SET (Spectral Extimation Technology) che consente di separare l’immagine endoscopica nelle tre sub-immagini spettrali (Red, Green a Blue) e di attribuire a ciascuna delle immagini spettrali una determinata lunghezza d’onda, variandone l’intensità cromatica, prima di ri-elaborare l’immagine potenziata (18). Il sistema iScan, infine, è quello più recente e possiede tre differenti metodi di potenziamento cromatico: il surface enhancement, che esalta i bordi ed i confini delle lesioni, il contrast enhancement, che evidenzia le aree depresse come zone a diversa densità cromatica, e il tone enhancement, che differenzia cromaticamente i diversi segmenti del tubo digerente attraverso una modificazione e ricombinazione dei dati cromatici di ciascun pixel dell’immagine endoscopica (18). Rispetto agli altri sistemi di CVC, il FICE ha il vantaggio di permettere la scelta di 10 filtri diversi, ciascuno modulabile e con un modello di lunghezze d’onda dedicato per ottenere una osservazione ottimale del tessuto bersaglio. Nonostante queste differenze, le applicazioni di FICE e NBI producono immagini simili, con un incremento dell’aspetto del pattern vascolare, e diversi studi hanno dimostrato risultati paragonabili. La presenza di adenomi e del cancro stesso determina alterazioni della trama vascolare intorno alle lesioni, con immagini di discromie della mucosa (iperemia o pallore). Pertanto, la valutazione di eventuali anomalie dell’architettura della trama vascolare sottomucosa mediante CVC è considerata una modalità diagnostica attendibile per la caratterizzazione di neoplasie precoci del colon. Va detto che lo studio della trama vascolare e dell’aspetto della mucosa con i sistemi FICE, iScan e NBI non è ancora sufficientemente standardizzato o validato per poter stabilire linee guida per la pratica clinica quotidiana. Infatti, gli studi pubblicati propongono multiple classificazioni di pattern di superficie che si basano su caratteristiche diverse della lesione. Teixeira, utilizzando il FICE per valutare in vivo l’istologia della lesione, ha segnalato risultati molto incoraggianti (22). L’istologia di 309 lesioni colo-rettali (con dimensioni comprese tra 1-50 mm) è stata predetta considerando un sistema di classificazione del pattern microvascolare unicamente sulla base di 5 diversi pattern (numero, morfologia e distribuzione della trama vascolare), senza considerare i pit pattern mucosali. L’accuratezza complessiva di tale sistema di classificazione nel determinare la natura neoplastica o non neoplastica delle lesioni si è rivelata molto alta (98,3%). Il valore predittivo positivo del pattern vascolare dei modelli III, IV e V per tessuto neoplastico ha mostrato un valore del 99,2%, con una specificità del 94,9%. I due endoscopisti coinvolti nello studio avevano un elevato inter-observer agreeement, con un disaccordo in solo l’8,6% di tutte le lesioni. I risultati di questo e altri studi

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nale, cromoendoscopia con indaco di carminio e cromoendoscopia con magnificazione è stata inoltre investigata in studi comparativi (21). La cromoendoscopia con magnificazione ha mostrato una precisione notevolmente superiore (95.6%) confrontata con la cromoendoscopia da sola (89,4%, P = 0.015) o con la colonscopia convenzionale senza indaco di carminio (84%, P = 0.0001). La classificazione di Kudo suggerisce che i pit pattern di tipo I e II sono associati a lesioni di tipo non neoplastico, quelli di tipo III S, III L, e IV si riscontrano in polipi adenomatosi, mentre i tipi Vn e Vi sono fortemente suggestivi di tumori infiltranti la sottomucosa (4,5). Questo sistema di classificazione è caratterizzato da un alto livello di inter e intra-observer agreement (22). La cromoendoscopia con zoom-magnificazione ed analisi dettagliata del pit pattern è considerata la migliore metodica in vivo per valutare la profondità dell’invasione di lesioni neoplastiche tuttavia, in molti studi su larga scala la validazione della stessa è a volte risultata carente (23).

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Impatto clinico dell’endoscopia potenziata

indicano che la valutazione del pattern vascolare con CVC e magnificazione potrebbe sostituire la cromendoscopia convenzionale per la previsione istologica. Tuttavia, dobbiamo tener conto che la tecnica può richiedere molto tempo, e che la curva di apprendimento è alta. Infine, va ricordata anche la recente classificazione NICE (Narrow-band Imaging International Colorectal Endoscopic Classification) che ha mostrato una buona validità nella diagnosi di infiltrazione profonda delle neoplasie precoci colo-rettali, utilizzando il sistema NBI (24). In conclusione, sistemi di endoscopia CVC rappresentano importanti innovazioni che completano il nostro armamentario diagnostico ma, nella loro versione attuale, hanno ancora delle limitazioni che devono essere riconosciute e ottimizzate.

Conclusioni

In conclusione, le nuove strumentazioni e le più recenti tecnologie che migliorano e ampliano la visione endoscopica, conosciute sotto il nome di “endoscopia potenziata”, soprattutto se impiegate in associazione fra loro, offrono possibilità realistiche di miglioramento dell’accuratezza nella diagnosi e differenziazione delle lesioni precancerose e neoplastiche precoci colo-rettali.

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Corrispondenza

Giuseppe Galloro Dipartimento di Medicina clinica e Chirurgia Servizio centralizzato di Endoscopia Digestiva Facoltà di Medicina e Chirurgia Università di Napoli “Federico II” Via S. Pansini, 5 - 80131 Napoli Tel. + 39 081 74620 46 Fax + 39 081 7462815 e-mail: giuseppe.galloro@unina.it

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