CfS Che Fare Se...
L'infezione da Clostridium difficile recidiva dopo un primo trattamento Pietro Pozzoni, Alessia Riva, Agostino Colli
problema clinico Una Signora di 88 anni viene ricoverata in Medicina per l'insorgenza da 48 ore di diarrea acquosa (10-12 evacuazioni/die) e dolori addominali crampiformi localizzati prevalentemente ai quadranti addominali inferiori. Non riferita febbre al domicilio. In Pronto Soccorso si riscontra febbre (TA 37.7), l'addome si presenta diffusamente trattabile ma dolorabile alla palpazione, la peristalsi è valida. La Rx addome non evidenzia livelli idro-aerei né aria libera in sede sotto-diaframmatica. Agli esami ematici si riscontra in particolare leucocitosi (GB 18.400/mm3) e incremento degli indici infiammatori (PCR 13.6 mg/dl). All'ingresso in Medicina vengono raccolte coprocolture, risultate poi negative, e viene eseguita la ricerca nelle feci delle tossine A e B del Clostridium difficile, che risulta positiva. Sei settimane prima la paziente era stata ricoverata, sempre in Medicina, per una sepsi a partenza urinaria; in tale occasione era stata trattata con ceftriaxone ev e durante la degenza aveva sviluppato una infezione da Clostridium difficile, trattata con Metronidazolo per via orale (500 mg x 3/die per complessivi 10 giorni) con ottenuta risoluzione del quadro clinico.
protonica, dei chemioterapici, la nutrizione enterale, l'età avanzata e, infine, una recente ospedalizzazione.
trattamento
Il trattamento della CDI prevede, oltre alla sospensione di una eventuale concomitante terapia antibiotica e alla messa in atto delle necessarie misure di supporto, la somministrazione di una terapia antibiotica specifica. La scelta di quale antibiotico somministrare dipende tuttavia fondamentalmente da due fattori: • se si tratta di un primo episodio di CDI oppure di una recidiva • la gravità clinica dell'episodio stesso.
Un episodio di CDI è definito “severo” se accompagnato da elementi (clinici e/o radiologici e/o endoscopici) indicativi della presenza di una grave colite, oppure se gravato dallo sviluppo di complicanze tali da condurre il paziente a un intervento chirurgico d'urgenza, a un reparto di terapia intensiva o alla morte. Da un punto di vista terapeutico, tuttavia, è di fondamentale importanza riconoscere, possibilmente in una fase precoce, quali
Divisione di Medicina Generale, Ospedale “Alessandro Manzoni”, Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco
Giorn Ital End Dig 2015;38:125-128
Introduzione
L'infezione da Clostridium difficile (CDI) è responsabile del 10-25% dei casi totali di diarrea associati all'utilizzo di antibiotici, ma tale percentuale è ancora più elevata tra i pazienti più anziani e ospedalizzati. Quando contratta in ospedale, inoltre, la CDI spesso presenta un decorso clinico severo, con elevati tassi di mortalità, comportando anche un incremento significativo nella durata della degenza ospedaliera e nei costi che ne derivano. Lo sviluppo di una CDI presuppone che le spore del Clostridium difficile provenienti dall'ambiente vengano in contatto con la mucosa intestinale e che, una volta che è avvenuta la trasformazione in forme vegetative tossinoproduttori, vi sia una alterazione della normale popolazione batterica commensale intestinale, il cosiddetto microbiota. Il microbiota ha tra i suoi compiti anche quello di proteggerci, dalla crescita di microrganismi patogeni, quali appunto il Clostridium difficile. Tutti i fattori in grado di modificare il microbiota intestinale, pertanto, possono favorire lo sviluppo di una CDI; tra questi occorre ricordare in primo luogo i trattamenti antibiotici (in particolare penicilline, cefalosporine e clindamicina), ma anche l'assunzione degli inibitori della pompa
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