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Introduzione Le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), quali la malattia di Crohn (MC) e la rettocolite ulcerosa (RCU), predispongono allo sviluppo di cancro del colonretto (CCR). Secondo una recente metanalisi la RCU aumenta tale rischio di circa 2.4 volte, corrispondendo a circa 1.6% dei pazienti che sviluppano CCR in 14 anni di follow-up (1). Similmente, 5.6% dei pazienti affetti da MC ha sviluppato cancro o displasia in circa 30 anni di follow-up in un altro recente studio (2). I pazienti affetti da MICI sviluppano il CCR ad un età più giovane e hanno un lieve incremento di mortalità a 5 anni, rispetto alla popolazione generale (3). Complessivamente sembra che ci sia comunque una riduzione del rischio di sviluppo del CCR nelle MICI negli ultimi 30 anni (4). Alla stessa conclusione arriva un’altra recentissima metanalisi, secondo la quale il rischio cumulativo di sviluppare

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Manol Jovani Silvio Danese

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I pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali sono a maggior rischio di sviluppare il cancro del colon-retto, soprattutto se la malattia è estesa e di lunga durata. Ciò ha portato allo sviluppo di programmi di sorveglianza per diagnosticare e trattare precocemente le lesioni displastiche/ neoplastiche in questi pazienti. La tecnica endoscopica classica, a luce bianca con biopsie random, è insoddisfacente. L’evoluzione della tecnologia ha portato allo sviluppo di nuove tecniche che promettono di incrementare l’efficacia dei programmi di sorveglianza. La cromoendoscopia ha già dimostrato notevole efficacia, e pertanto è stata già incorporata in alcune linee guida. Altre tecniche sono al momento in fase di sperimentazione. Questo articolo è una breve rassegna sulla letteratura del biennio 2011-2013 sul ruolo di queste tecniche nella sorveglianza delle malattie infiammatorie croniche intestinali.

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CCR nelle IBD è stato stimato essere del 1% dopo 10 anni, 2% dopo 20 anni e 5% dopo più di 20 anni di malattia (5). Questo può essere dovuto al miglioramento delle terapie delle MICI (6). Fattori di rischio di sviluppo del CCR nelle MICI includono il sesso maschile, la familiarità, la giovane età alla diagnosi, il grande intervallo tra le colonscopie, la durata, l'estensione e la severità della malattia e la coesistenza della colangite sclerosante primitiva (4,5,6,32). Diversamente dal CCR sporadico, che segue la sequenza adenoma-carcinoma, il CCR correlato con le MICI segue la sequenza infiammazione-displasia-carcinoma (7). La prevenzione dello sviluppo del CCR nelle MICI consiste pertanto nella sorveglianza periodica per via endoscopica in cerca di lesioni displastiche pre-cancerose e il loro trattamento. Seppur in mancanza di studi prospettici randomizzati che ne dimostrino chiaramente i benefici in termini di sopravvivenza, le evidenze indiret-

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La sorveglianza del cancro colo-rettale nelle malattie infiammatorie croniche intestinali

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te da studi retrospettivi suggeriscono una riduzione della mortalità con questa strategia (15,32). I programmi di sorveglianza nelle MICI di lunga durata cominciano solitamente in tutti i pazienti a 10 anni dalla diagnosi. Alcuni dati recenti sembrano tuttavia mettere in dubbio tale pratica. In un recente studio 38.6% dei casi di displasia di alto grado si è verificato prima di 10 anni di malattia. Nello stesso studio inoltre non tutti i pazienti affetti da MICI avevano lo stesso rischio di sviluppo di displasia. Il sottogruppo di pazienti affetti da malattia estesa e di lunga durata (definita come malattia nota da più di 10 anni, con più del 50% del colon coinvolto) avevano un rischio aumentato di circa 7 volte rispetto alla popolazione generale, mentre il resto dei pazienti con malattia meno estesa o di durata minore aveva un rischio simile a quello della popolazione generale (6). Similmente, nello studio di Jess et al solo una sottopopolazione dei pazienti affetti da MICI era a rischio maggiore della popolazione generale di sviluppare il CCR, mentre il resto dei pazienti aveva un rischio simile (4). Altri ricercatori sono arrivati ad un analoga conclusione in un recente grosso studio finlandese, in cui solo un sottogruppo di pazienti affetti dalle MICI è predisposto a sviluppare il CCR, e pertanto solo loro potrebbero beneficiare dai programmi di sorveglianza (9). Questi dati recenti potrebbero avere importanti conseguenze sul futuro dei programmi di sorveglianza per il CCR nelle MICI. Nelle più recenti linee guida ECCO ad esempio si consiglia di iniziare la sorveglianza per il CCR nella RCU più precocemente, intorno ai 6-8 anni dalla diagnosi, e successivamente ogni anno per i pazienti ad alto rischio (32). La metodica di screening endoscopico per la displasia/ CCR nelle MICI è stata tradizionalmente l'endoscopia con luce bianca con biopsie random diffuse sui quattro quadranti ogni 10 cm di colon e nelle aree sospette per displasia/neoplasia, con una stima di circa 33-64 biopsie per ogni esame (32). Tale pratica, supportata per lo più da evidenze che precedono i moderni strumenti endoscopici, è stata criticata per diverse ragioni (8,15). Primo, l’impegno di tempo e risorse per questo protocollo è tale che molti gastroenterologi endoscopisti non si attengono strettamente ad essa. Secondo, la maggior parte della mucosa colica non viene comunque valutata nonostante il grande numero di biopsie. Terzo, dato che il tasso di displasia nelle MICI sembra che sia in diminuzione, questo renderebbe ancora più difficile la loro localizzazione con le biopsie random. Infine, sembra che la resa diagnostica di questo protocollo sia comunque bassa e non modifichi la gestione clinica nella maggior parte dei pazienti (10,11). L'evoluzione tecnologica ha portato allo sviluppo di nuove metodiche endoscopiche che rendono lo screening più efficace perchè migliorano notevolmente la vi-

sualizzazione della mucosa colica. Ciò potrebbe portare alla modifica degli attuali programmi di sorveglianza. Questo articolo vuole essere una breve revisione della letteratura del biennio 2011-2013 sul ruolo di queste metodiche nella sorveglianza per il CCR delle MICI.

Tecniche endoscopiche di sorveglianza nelle MICI L’endoscopia con luce bianca ad alta definizione

L’avvento dell’endoscopia moderna con luce bianca ad alta risoluzione/definizione ha sensibilmente migliorato la resa diagnostica nella sorveglianza delle MICI. Con tali strumenti moderni la maggior parte delle lesioni neoplastiche nelle MICI sono visibili (8). In un recente studio retrospettivo la colonscopia ad alta definizione si è mostrata superiore a quella con definizione standard nel rilevamento della displasia sia nella RCU che nella MC (12). L’endoscopia con luce bianca perciò, con lo sviluppo delle tecnologie ad alta risoluzione/definizione, continuerà a giocare un ruolo importante nella sorveglianza delle MICI.

Cromoendoscopia (CE)

La cromoendoscopia (CE) è una tecnica di imaging endoscopico che si serve di coloranti applicati per via topica durante la colonscopia. Diversi coloranti sono stati utilizzati nei trial clinici, ma quelli più noti sono il blu di metilene e l'indigo carminio. Il blu di metilene è assorbito dalla mucosa normale ma non da quella infiammata o neoplastica, e perciò le distingue, mentre l’indigo carminio non viene assorbito dai colociti ma si distribuisce tra le cripte del colon mettendo a risalto le alterazioni infiammatorie o neoplastiche della mucosa. La distinzione delle aree sospette permetterebbe l'esecuzione delle biopsie mirate, limitando in tal modo il numero di biopsie da eseguire e aumentando la resa diagnostica delle lesioni displastiche. Tutti i più importanti studi prospettici randomizzati passati hanno invariabilmente dimostrato la superiorità della cromoendoscopia sull'endoscopia tradizionale, in termini di rilevamento delle lesioni displastiche nelle MICI, cosi come nella loro differenziazione tra lesioni neoplastiche e non (8,15). I studi più recenti confermano tali dati. Una recente metanalisi ha dimostrato che la cromoendoscopia è superiore all'endoscopia a luce bianca a definizione standard in termini di rilevamento di lesioni displastiche nelle MICI (13). Secondo questa metanalisi, che prendeva in considerazione 6 studi per un to-


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Cromoendoscopia virtuale

Il successo e i limiti della cromoendoscopia classica hanno portato allo sviluppo della cosiddetta “cromoendoscopia virtuale o digitale”, ovvero di tecnologie che cercano di ottenere una simile risoluzione e contrasto della mucosa colica, senza tuttavia ricorrere all'utilizzo di coloranti topici. Essendo la procedura facilmente avviabile con un solo clic su un tasto nello strumento, lo scopo è quello di idealmente ridurre i tempi dell'esame endoscopico ottenendo la stessa qualità di immagini e gli stessi

risultati in termini di rilevamento delle lesioni displastiche/CCR. Le tecniche di CE virtuale includono il Narrow Band Imaging (NBI), Fuji Intelligent Chromoendoscopy (FICE) e i-Scan. L'NBI è stata l'unica tecnica studiata fino ad ora per la sorveglianza nelle MICI, e non sembra migliorare la resa diagnostica rispetto alla luce bianca. Le altre due tecniche virtuali sono state valutate solamente nello screening dei pazienti non affetti da MICI, e pertanto ad oggi, basandoci su questi dati, possiamo avere solo delle ipotesi sul loro possibile futuro ruolo nella sorveglianza delle MICI.

a) Narrow-band Imaging (NBI) Questa tecnologia, incorporata in molti endoscopi più moderni, usa dei filtri speciali per emettere diverse lunghezze d’onda della luce bianca con diverse capacità di penetranza, e di conseguenza diversa capacità di interazione con le strutture della parete colica. In tal modo si riescono ad evidenziare in modo più specifico le strutture superficiali della mucosa e l’architettura vascolare del colon, differenziando tra vasculatura superficiale e profonda. La capacità di questa tecnologia di poter distinguere tra pattern normale e patologico della mucosa, unita alla sua diffusa disponibilità nei nuovi apparecchi, hanno portato a postulare un loro possibile ruolo nello screening per displasia/CCR nelle MICI. Sfortunatamente, tre recenti studi non supportano tale ipotesi. Uno di essi non solo non ha visto una differenza significativa tra un NBI di nuova generazione e la luce bianca ad alta definizione nel rilevamento della displasia/CCR in pazienti affetti da RCU, ma ha anche trovato l’NBI non soddisfacente nella differenziazione tra la mucosa neoplastica e quella non-neoplastica (16). Un risultato simile è stato trovato in uno studio prospettico multicentrico più recente che confrontava la luce bianca ad alta definizione con l’NBI e non trovava nessuna differenza significativa tra le due tecniche (11). La tecnologia NBI è stata inoltre confrontata con la cromoendoscopia in un recente studio prospettico (17). In esso l’NBI risultava significativamente più vantaggiosa rispetto alla cromoendoscopia in termini di riduzione del tempo dell’esame, e aveva un tasso significativamente minore di falsa positività delle biopsie mirate. Nessuna differenza statisticamente significativa tra le due braccia in termini di rilevamento di displasia è stata constatata, con tuttavia un tasso maggiore di lesioni displastiche o pazienti persi con l’NBI, ragion per cui gli autori non raccomandavano tale tecnica come standard per lo screening del CCR nelle MICI (17). Infine, recentemente sono stati pubblicati in forma di abstract i risultati preliminari di uno studio randomizzato nel quale l'NBI risulta essere equivalente alla CE in termini di rilevamento delle lesioni displastiche nella RCU (31).

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tale di 1277 pazienti, la differenza globale tra le due metodiche nel rilievo di lesioni displastiche o cancerose era di circa 7% (95%; intervallo di confidenza 3.2-11.3). In particolare, la cromoendoscopia perdeva meno lesioni displastiche (40% in meno rispetto alla luce bianca), aveva un migliore rilevamento di lesioni displastiche alle biopsie mirate (44% in più) e, soprattutto, mostrava un incremento nella rilevazione delle lesioni piatte del 27%. Questi vantaggi sono stati ottenuti al prezzo di un incremento della durata dell'esame di circa 11 minuti (13). Inoltre, l'associazione della CE con l'endomicroscopia confocale con laser (vedi sotto) incrementa notevolmente il numero di lesioni displastiche rilevate (29,30). A parte il limite temporale accennato prima, altre questioni devono essere risolte prima che la cromoendoscopia entri a far parte della pratica clinica routinaria nella sorveglianza delle MICI. Primo, la tecnica non è stata confrontata con la luce bianca ad alta definizione, che ormai è presente nella maggior parte degli strumenti moderni, ma solo con quella a definizione standard. Secondo, sono stati sollevati dubbi su un possibile danno al DNA indotto dal blu di metilene, ma questo non è stato confermato. Terzo, la cromoendoscopia è operatore-dipendente e attualmente alla maggior parte degli gastroenterologi ospedalieri manca l'adeguata formazione in questa tecnica. Quarto, non ci sono studi che confrontano i diversi coloranti in modo da poter definire quello più efficace nel rilevamento delle lesioni displastiche/cancerose. Quinto, la cromoendoscopia non riesce a distinguere bene tra le aree infiammate e quelle neoplastiche in aree di severa infiammazione. Sesto, i coloranti non sono sempre equamente spruzzati/distribuiti in tutta la superficie nella mucosa colica. Infine, non ci sono risultati a lungo termine dei pazienti sottoposti a sorveglianza con questa tecnica. Indipendentemente da questi limiti comunque la cromoendoscopia sembra essere un'ottima tecnica che viene sempre più consigliata nella sorveglianza del CCR nelle MICI (8,15).

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b) Fuji Intelligent Chromoendoscopy (FICE) FICE non ha dimostrato nessun beneficio aggiunto rispetto all'endoscopia a luce bianca, sia quella tradizionale che quella ad alta definizione, in termini di rilevamento delle lesioni adenomatose in pazienti non affetti da MICI e aventi un rischio medio di sviluppo di CCR (8). Un grosso studio prospettico multicentrico del 2009 ha randomizzato 871 pazienti a colonscopia con FICE oppure colonscopia standard con biopsie mirate dopo cromoendoscopia con indigo carminio. In questo trial FICE non si è dimostrato diverso dalla colonscopia standard in termini di rilevamento di adenomi/CCR, non avendo migliorato né il numero totale di adenomi trovati né il numero di pazienti a cui sono stati trovati gli adenomi, e non ha accorciato in modo significativo il tempo di esame. FICE tuttavia si è mostrato equivalente alla cromoendoscopia con indigo carminio nel classificare le lesioni come neoplastiche o meno, e pertanto potrebbe avere un ruolo futuro come predittore dell'istologia (18). In base a questi dati in pazienti non affetti da MICI, al momento FICE non può essere indicata nella pratica clinica per la sorveglianza nelle MICI, se non nel contesto di studi clinici.

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c) i-Scan I-Scan è stato similmente testato in pazienti non affetti da MICI con rischio medio di sviluppo del CCR. Secondo i primi studi, i-Scan sembra essere superiore all'endoscopia a luce bianca e simile alla cromoendoscopia, in termini di rilevamento di lesioni adenomatose/neoplastiche (8). Un recente studio ha dimostrato la superiorità della luce bianca ad alta risoluzione associata all'i-Scan rispetto all'endoscopia con luce tradizionale in termini numero di lesioni, polipoide e non, rilevate (19). Inoltre tale associazione incrementa l'efficacia di rilevamento delle lesioni della mucosa colica anche da parte degli endoscopisti non esperti (20). Questi dati vengono tuttavia contrastati da un recente studio prospettico che valuta la stessa tipologia di pazienti, confrontando due modalità diverse di i-Scan con l'endoscopia con luce bianca ad alta definizione. Nessuna differenza significativa tra le due modalità di i-Scan e la luce bianca ad alta definizione è stata osservata, né in termini di incremento del tasso di rilevamento degli adenomi, né come riduzione del tasso di perdita dei polipi. Una delle due modalità di i-Scan si è tuttavia dimostrata più efficace della luce bianca nel predire l'istologia neoplastica o non neoplastica (21). Quest'ultimo dato è a conferma di un altro recente studio, nel quale l'i-Scan e l'NBI si sono dimostrate ugualmente efficaci nel predire l'istologia adenomatosa dei polipi diminutivi, entrambi superiori alla luce bianca, con buona concordanza tra inter-eintra-osservatori (22). Simile buona concordanza interosservatori per la distinzione tra lesioni neoplastiche e

non, è stata osservata in due recenti studi con i-Scan (23,24). Studi futuri sarebbero indicati per determinare il possibile futuro ruolo di questa tecnica nella sorveglianza per displasie nelle MICI.

Autofluorescenza (AFI)

L’autofluorescenza è un fenomeno per cui i tessuti esposti ad una luce a corta lunghezza d’onda emettono luce a lunghezza d’onda più lunga in base al contenuto endogeno di sostanze biologiche chiamate fluofori. Lo spettro d’emissione della mucosa colica normale, quella infiammata e quella displastica/neoplastica hanno un’autofluorescenza diversa in base alla concentrazione di fluofori nelle singole cellule che dipende dalla quantità di mitocondri, lisosomi e il loro contenuto. La tecnologia che sfrutta questo fenomeno per distinguere tra di esse è stata chiamata AFI (Autofluorescence Imaging). Questa tecnica prevede anche l'uso di foto-sensibilizzanti, quali l’acido 5-aminolevulinico, applicati sia per via locale che sistemica. Studi iniziali con AFI hanno dimostrato che esso ha un valore predittivo negativo per l’esclusione delle lesioni displastiche molto alto (tra 89-100%) e un alto valore predittivo positivo per neoplasia variabile tra i diversi studi (da 13% al 100%) (8). L’AFI incrementa il tasso di rilevamento delle lesioni displastiche rispetto alla luce bianca in pazienti affetti da RCU (25). Recentemente gli effetti a lungo termine dell’AFI sono stati studiati in 41 pazienti affetti da RCU. I pazienti con AFI negativo al basale (31 pazienti) sono stati seguiti con colonscopie regolari per 7.8 anni e solo in 2 (6%) è stato scoperto una neoplasia durante questo periodo d’osservazione. Nei dieci pazienti con AFI positivo, l’istologia (su pezzo chirurgico o bioptico) ha sempre confermato il sospetto di neoplasia (valore predittivo positivo del 100%). Pertanto i autori hanno concluso che l’AFI è una tecnica con alto valore predittivo positivo per neoplasia e basso tasso di perdita di displasia/neoplasia (alto valore predittivo negativo) (26). L’AFI è una tecnica molto promettente, ma avendo molte limitazioni tecniche, economiche e formative, attualmente è disponibile solo in alcuni centri terziari di riferimento e può essere utilizzata solo all’interno di studi clinici.

Istologia/citologia virtuale

Lo sviluppo di sofisticate tecniche di imaging endoscopico ad alta risoluzione permettono di ingrandire le immagini fino a 1000-1400 volte, ottenendo in tal modo un analisi microscopica della mucosa colica in vivo


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endomicroscopia confocale con laser (EMCL) Le immagini con l'EMCL vengono ottenute dopo l'illuminazione della mucosa colica con raggi laser a bassa potenza previa l'applicazione, topica oppure sistemica, di agenti fluorescenti. Ci sono due strumenti di EMCL: uno incorporato sulla punta dell'endoscopio ad alta definizione e uno presente in una sonda che può passare attraverso il canale operativo degli endoscopi standard (27). Tale tecnica ha dimostrato una buona accuratezza diagnostica in pazienti affetti da RCU in studi piloti iniziali (28). In un altro studio recente, l'EMCL in associazione alla CE, si è mostrata superiore alla luce bianca in termini di rilevamento di lesioni displastiche e veniva pertanto consigliata dagli autori per la sorveglianza nelle MICI, nonostante il tempo impiegato per l’EMCL fosse stato quasi doppio (30). Infine, un altro studio più recente ha confermato che l'uso dell'EMCL, soprattutto se combinata con la cromoendoscopia, incrementa notevolmente il numero di lesioni displastiche rilevate e riduce la necessità di eseguire biopsie random in pazienti affetti da RCU (29). L'endomicroscopia confocale con laser è una tecnica molto promettente per il futuro dei programmi di screening. Tuttavia, uno dei maggiori limiti di questa tecnica è il fatto che analizza solo una piccola parte della mucosa colica alla volta. Una panendoscopia con EMCL è quindi praticamente impossibile, e tale metodica deve sempre essere associata alle altre tecniche sopramenzionate e venire utilizzata in modo mirato su lesioni sospette. Alcuni degli altri principali fattori che attualmente limitano questa tecnica al solo uso in trial clinici in centri altamente specializzati sono il lungo tempo necessario per eseguire gli esami, il costo degli apparecchi, l'alta esperienza richiesta sia in endoscopia che in istologia e gli aspetti medico-legali legati alla diagnosi istologica fatta da un gastroenterologo non confermata da un anatomopatologo (8,27). Endocitoscopia L'endocitoscopia è una nuovissima tecnica endscopica che permette di visualizzare i strati più superficiali della mucosa previa colorazione della mucosa con coloranti assorbibili come il blu di metilene o il cristal violetto. L'endocitoscopo può essere integrato nello strumento

endoscopico oppure essere parte di una sonda che può passare attraverso il canale operativo. Questa tecnica non è attualmente disponibile commercialmente in Europa o negli Stati Uniti, ed è principalmente valutata dagli endoscopisti giapponesi per i polipi e il cancro colo-rettale. Al momento non ci sono studi sull'utilizzo dell'endocitoscopia nella sorveglianza delle MICI, ma avendo essa la capacità di distinguere le cellule della mucosa colica e il grado di infiammazione, potrebbe avere nel futuro un ruolo in questo contesto clinico (27).

La sorveglianza secondo le linee guide internazionali Le due tecniche considerate attualmente accettabili dalle maggiori società gastroenterologiche internazionali per la sorveglianza delle displasie nelle MICI sono l'endoscopia a luce bianca (standard o ad alta definizione) con biopsie random e la cromoendoscopia con biopsie mirate. Le altre tecniche sopramenzionate sono da considerarsi come sperimentali. L'American College of Gastroenterology nelle loro linee guida del 2010 raccomandano l'endoscopia a luce bianca con biopsie random dopo 8-10 anni dalla diagnosi di malattia, come unico modo di sorveglianza, mentre l'American Gastroenterologic Association nelle loro linee guida del 2010 considerano la CE come una valida alternativa all'endoscopia a luce bianca con biopsie random, ma solo se fatta da endoscopisti con esperienza, a partire da 8 anni dalla diagnosi di malattia con intervalli di 1-3 anni. Le linee guida della British Society of Gastroenterology invece raccomandano la CE con biopsie mirate come la principale metodica di screening a partire da 10 anni dalla diagnosi di malattia e poi ad intervalli di 1-5 anni, mentre l'endoscopia a luce bianca con le biopsie random è considerata solo se la CE non è disponibile (8). Nelle più recenti linee guida ECCO, la CE con biopsie mirate da parte di endoscopisti adeguatamente formati in questa tecnica è il modo principale di sorveglianza nella RCU. I tempi indicati sono a partire da 6-8 anni dalla diagnosi e da allora ad intervalli di 1-4 anni a seconda del rischio personale del paziente, possibilmente durante la remissione clinica. L'endoscopia a luce bianca con biopsie protocollate viene riconosciuta come una valida alternativa in caso di mancata possibilità di eseguire la CE con biopsie mirate (32). Nelle linee guida ECCO sulla malattia di Crohn del 2010 le stesse strategie utilizzate per la RCU venivano indicate avendo un rischio analogo di sviluppare il CCR. Questo viene ribadito anche nelle più recenti linee guida ECCO-ESGAR sull'imaging nelle MICI (33).

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durante l'endoscopia, acquistando delle vere e proprie immagini istologiche/citologiche virtuali, un “istologia/ citologia in tempo reale”. Due delle cosiddette tecniche di biopsia ottica (o biopsia virtuale) sono l'endomicroscopia confocale con laser e l'endocitoscopia (27).

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Conclusioni

L'endoscopia con luce bianca e biopsie random, incorporata in molte linee guida internazionali per lo più per ragioni storiche, probabilmente dovrebbe essere abbandonata. L'avvento della luce bianca ad alta definizione con biopsie mirate è un importante innovamento nella sorveglianza per displasia/CCR nelle MICI. La cromoendoscopia ha costantemente dimostrato ottimi risultati in termini di rilevamento di alterazioni della mucosa colica, ed è stata incorporata come indagine di prima linea in alcune importanti linee guida internazionali. Tale tecnica merita di essere diffusa di più e dovrebbe entrare a far parte del curriculum formativo delle nuove generazioni di endoscopisti. Delle altre metodiche menzionate, l'i-Scan, l'AFI e l'EMCL promettono di acquistare un ruolo importante nel futuro della sorveglianza per CCR nelle MICI. I risultati di futuri trial clinici, alcuni attualmente in corso, serviranno a definire il loro ruolo in questo contesto clinico.

Corrispondenza

Silvio Danese Centro IBD Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Istituto Clinico Humanitas Via Manzoni, 56 - 20089 Rozzano (MI) Tel. + 39 02 82244771 Fax + 39 02 82242591 e-mail: sdanese@hotmail.com

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Revisione della Letteratura > rassegna biennale

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