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Stato dell’arte sulla Chemioterapia nel Cancro del Colon Roberto Moretto, Alfonso De Stefano, Chiara Carlomagno

Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università “Federico II” di Napoli

Medical therapy of colorectal cancer has an important role in the adjuvant setting, in order to decrease the incidence of distant metastases after radical surgery of the primary tumor. New drugs with molecular target, such as monoclonal antibodies or multichinase inhibitors, have recently been introduced into the clinic practice also for metastatic colorectal cancer. When associated with standard chemotherapy, these drugs have shown to improve clinical outcomes substantially, with prolongation of survival up to over 24 months Parole chiave: terapia medica, farmaci oncologici, chemioterapia, farmaci a bersaglio molecolare, sopravvivenza Key words: medical therapy, chemotherapy, targeted therapy, colorectal cancer, survival

INTRODUZIONE La terapia medica ha un ruolo di grande rilevanza nel trattamento dei tumori del colon, sia nel setting adiuvante (dove viene utilizzata allo scopo di ridurre l’incidenza di metastasi a distanza dopo intervento radicale sul tumore primitivo) che nel setting metastatico, dove negli ultimi anni nuovi farmaci a bersaglio molecolare sono stati associati con successo alla chemioterapia.

Terapia adiuvante nello Stadio III Nei pazienti con tumore del colon radicalmente operati in stadio III (linfonodi loco-regionali metastatici) la chemioterapia adiuvante a base di fluoropirimidine (5-Fluorouracile o Capecitabina) riduce il rischio di morte del 30-35% rispetto alla sola chirurgia, con un guadagno assoluto del 10-13% di sopravvivenza a 5 anni (1). L’aggiunta dell’Oxaliplatino diminuisce ulteriormente il rischio di recidiva del 23% rispetto alla chemioterapia con sole fluoro-pirimidine con un vantaggio assoluto del 7% (2-4). Invece l’aggiunta di Irinotecan, bevacizumab o cetuximab non determinano alcun beneficio (5-9).

Terapia adiuvante nello Stadio II Nei pazienti con tumore del colon radicalmente operati in stadio II (neoplasia che infiltra la parete intestinale fino al grasso periviscerale senza coinvolgimento dei linfonodi loco-regionali) l’utilità della chemioterapia adiuvante è ancora controversa. Infatti, questi pazienti hanno una prognosi favorevole e il beneficio della chemioterapia adiuvante è limitato a un guadagno assoluto in sopravvivenza a 5 anni del 3-5% (10) rispetto alla sola chirurgia. Tuttavia, è possibile identificare un gruppo di pazienti in stadio II “ad alto rischio” (presenza di almeno una delle seguenti caratteristiche: invasione della sierosa o degli organi adiacenti; scarsa differenziazione; invasione vascolare, linfatica o peri-neurale; meno di 12 linfonodi loco-regionali asportati; presentazione clinica in occlusione o perforazione) ai quali è ragionevole proporre una terapia adiuvante almeno con solo fluoropirimidine (11). In questo sottogruppo di pazienti, l’aggiunta dell’oxaliplatino ha dato risultati contrastanti (12) e

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La terapia medica ha un ruolo di grande rilevanza nel trattamento dei tumori del colon-retto, sia nel setting adiuvante (dove viene utilizzata allo scopo di ridurre l’incidenza di metastasi a distanza dopo intervento radicale sul tumore primitivo) che nel setting metastatico, dove negli ultimi anni nuovi farmaci a bersaglio molecolare (bevacizumab, aflibercept, cetuximab, panitumumab e regorafenib) sono stati associati con successo alla chemioterapia permettendo di raggiungere sopravvivenze superiori ai 24 mesi.

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quindi sarebbe da considerare per i soggetti giovani con multipli fattori di rischio. La durata della chemioterapia adiuvante, da iniziare entro 6-8 settimane dall’intervento chirurgico, è attualmente di 6 mesi.

Terapia medica nello Stadio IV

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Nei pazienti in stadio IV (presenza di metastasi a distanza), l’obiettivo del trattamento è il prolungamento della sopravvivenza e il miglioramento della qualità di vita; limitatamente ai pazienti con metastasi resecabili o potenzialmente resecabili, obiettivo potenziale del trattamento integrato (terapia medica + chirurgia) è la guarigione. Il trattamento chemioterapico standard è costituito dalle combinazioni 5-fluorouracile + oxaliplatino (FOLFOX) (13) o 5-fluorouracile + irinotecan (FOLFIRI) (14). Non c’è differenza in termini di sopravvivenza tra la sequenza FOLFOX→FOLFIRI e la sequenza FOLFIRI→FOLFOX, pertanto, la scelta del regime da impiegare in prima linea può essere guidata dal diverso profilo di tossicità (maggiore neutropenia e diarrea per FOLFIRI e maggiore piastrinopenia e neuropatia per FOLFOX) e dall’eventuale trattamento adiuvante. Per i pazienti non candidati a ricevere la doppietta, la monoterapia con 5-fluorouracile può considerarsi una valida alternativa (15). La capecitabina può sostituire il 5-fluorouracile sia in monoterapia (16) che nella combinazione con l’oxaliplatino (XELOX) (17). Negli ultimi anni sono stati introdotti nuovi farmaci a bersaglio molecolare che hanno permesso di raggiungere sopravvivenze superiori ai 24 mesi: anti-VEGF (bevacizumab e aflibercept), anti-EGFR (cetuximab e panitumumab) e inibitore multichinasico (regorafenib). Bevacizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato contro il fattore di crescita VEGF-A che ne previene il legame a tutte le isoforme di recettori specifici (VEGFR), interferendo così nel processo di neo-angiogenesi e crescita tumorale. L’aggiunta del bevacizumab alla chemioterapia di prima linea (5-fluorouracile, 5-fluorouracile + Irinotecano, 5-fluorouracile/capecitabina + oxaliplatino) ha dimostrato maggiore efficacia in termini di sopravvi-

venza rispetto alla sola chemioterapia, sia in prima che in seconda linea (18-20). Aflibercept, proteina di fusione che blocca le isoforme di VEGFR-A, VEGFR-B e P1GF, in aggiunta alla chemioterapia con FOLFIRI in seconda linea di trattamento ha determinato un aumento in sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia, anche nel sottogruppo di pazienti precedentemente trattati con bevacizumab (21). Attualmente non esistono fattori predittivi di risposta alla terapia contenente un farmaco anti-angiogenico. Gli effetti collaterali principali di bevacizumab ed aflibercept sono: ipertensione arteriosa, proteinuria, emorragie, eventi trombo-embolici arteriosi, perforazioni gastrointestinali e fistole. Cetuximab e Panitumumab sono due anticorpi monoclonali, rispettivamente chimerico e completamente umanizzato, contro il recettore dell’EGF (EGFR). Questi farmaci sono efficaci soltanto nella popolazione con tumore RAS wild-type. RAS è una famiglia di geni che codificano per una proteina G che collega il recettore EGFR alla cascata di segnalazione intracellulare in modo ligando-dipendente. Quando RAS è mutato, la catena di segnalazione intracellulare è costitutivamente attivata, indipendentemente dalla presenza del ligando. Alla famiglia RAS appartengono tre geni: KRAS, NRAS e HRAS. RAS è mutato in circa il 50% dei pazienti. Mutazioni in HRAS sono rare; circa il 40% delle mutazioni avvengono nel codone 12 e 13 dell’esone 2 di KRAS e il restante 10% nell’esone 2 di NRAS (codoni 12 e 13) e negli esoni 3 (codone 61) e 4 (codoni 117 e 146) di KRAS e NRAS (Figura 1). Sia Cetuximab che Panitumumab si sono dimostrati efficaci rispetto alla migliore terapia di supporto in pazienti pretrattati con tutte le terapie standard selezionati per stato mutazionale dell’esone 2 di KRAS (22,23) e uno studio di fase III ha evidenziato la pari efficacia dei due anticorpi (24). In due studi randomizzati, l’aggiunta del Cetuximab si è dimostrata efficace nel prolungare significativamente la sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia con FOLFIRI e FOLFOX, rispettivamente, in prima linea, nei

Figura 1: tipi e frequenza delle mutazioni di KRAS ed NRAS (percentuali relative ai casi KRAS esone 2 WT; [41])

Esone 1

KRAS Esone 1

NRAS

Esone 2

12 ★ ★ 13

40% Esone 2

12 ★ ★ 13

3%

Esone 3

59★★61

Esone 4

117★

★ 146

4%

6%

Esone 3

Esone 4

59★★61

4%

117★

0%

★ 146


In questo panorama terapeutico, la scelta della migliore strategia di trattamento può essere guidata da una categorizzazione della malattia metastatica in tre gruppi: Facilmente resecabili (10-15%): l’asportazione completa delle metastasi è tecnicamente possibile; Potenzialmente resecabile (20-30%): l’intervento chirurgico è possibile solo dopo una consistente riduzione del volume tumorale; Mai resecabile (oltre il 50%): l’asportazione delle metastasi non è mai possibile. Nel primo gruppo non esiste uno standard di trattamento; nei pazienti con lungo intervallo tra l’asportazione del tumore primitivo e la comparsa di metastasi epatiche, soprattutto se singola, un approccio chirurgico immediato seguito da eventuale chemioterapia adiuvante post-metastasectomia può essere suggerito; nei pazienti con breve intervallo tra la chirurgia del primitivo e la comparsa di metastasi epatiche e/o più di una metastasi, una strategia “a sandwich” (3 mesi di chemioterapia → intervento chirurgico → 3 mesi di chemioterapia) può essere preferibile. Uno studio di fase III ha dimostrato che la chemioterapia peri-operatoria con FOLFOX è superiore in termini di sopravvivenza libera da malattia rispetto al solo intervento chirurgico (33). Nel secondo gruppo l’obiettivo è ottenere la maggiore riduzione possibile delle metastasi in modo da poter eseguire un intervento chirurgico radicale. Per quanto riguarda la chemioterapia, le doppiette FOLFOX/FOLFIRI sono equivalenti, mentre la tripletta FOLFOXIRI (5-FU/leucovorina + oxaliplatino + irinotecan) ha de-

terminato un maggior tasso di risposte e un maggior tasso di resezioni epatiche radicali rispetto al FOLFIRI. Per quanto riguarda il farmaco a bersaglio molecolare da associare alla chemioterapia, sembrerebbe che nei pazienti senza mutazioni nei geni RAS l’aggiunta dell’anti-EGFR conferisca una migliore e più rapida risposta obiettiva rispetto all’anti-VEGF. Un’altra alternativa è la tripletta FOLFOXIRI + bevacizumab che ha dimostrato un maggior tasso di risposte obiettive e di resecabilità rispetto al FOLFOX + bevacizumab in pazienti con metastasi epatiche non operabili alla diagnosi (34). Nel terzo gruppo l’obiettivo del trattamento non è la guarigione, ma il prolungamento della sopravvivenza unitamente al mantenimento di una buona qualità di vita. Diventa perciò fondamentale la valutazione di una strategia terapeutica di lungo periodo che consenta l’utilizzo di tutti i farmaci attivi in maniera ottimale tenendo conto del profilo di tossicità dei singoli regimi e delle eventuali preferenze del paziente. La maggioranza dei pazienti è candidata a ricevere una doppietta + un farmaco biologico (14,18,19,25,26,31). Per quanto riguarda il farmaco biologico, sembrerebbe che, nella popolazione RAS WT, gli anti-EGFR siano i migliori partner della chemioterapia, in quanto associati a miglior sopravvivenza. Infatti, due studi di confronto in prima linea tra chemioterapia + bevacizumab o anti-EGFR (FIRE-3 e PEAK) hanno dimostrato, nel sottogruppo RAS wild-type, che l’aggiunta alla chemioterapia dell’anticorpo monoclonale anti-EGFR produce un maggiore beneficio in termini di sopravvivenza globale rispetto all’aggiunta del Bevacizumab (35,36). In particolare, lo studio randomizzato di fase III FIRE-3 ha riportato un vantaggio di sopravvivenza globale statisticamente significativo (7.5 mesi) con un trattamento con FOLFIRI + cetuximab verso FOLFIRI + bevacizumab; lo studio randomizzato di fase II PEAK ha mostrato un vantaggio in sopravvivenza (41.3 mesi verso 28.9 mesi) nel braccio trattato con FOLFOX + panitumumab rispetto a FOLFOX + bevacizumab. I dati preliminari dello studio di fase III CALGB/SWOG 80405, che ha confrontato FOLFOX o FOLFIRI in combinazione con cetuximab o bevacizumab in prima linea per malattia metastatica, invece, non hanno rilevato alcuna differenza in termini di sopravvivenza. Tale analisi non è tuttavia definitiva, in quanto effettuata solo su poco più della metà dei pazienti arruolati (59% dei pazienti analizzati per RAS) (37). Nella popolazione con RAS mutato la doppietta o la tripletta in associazione al Bevacizumab restano lo standard (18,19). Le terapie successive alla prima linea dipendono ovviamente, oltre che dalle condizioni cliniche del paziente, dai tipi di trattamenti precedenti eseguiti, tenendo presente che è dimostrata una sopravvivenza più lunga per i pazienti che ricevono tutti i farmaci. Per riassumere in modo schematico, le possibili stra-

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pazienti senza alcuna mutazione nei geni RAS (25,26). Risultati contrastanti, invece, sono emersi da altri due studi randomizzati europei, in cui l’aggiunta del Cetuximab alla chemioterapia di prima linea con FLOX (27) o FOLFOX/ XELOX (28) non ha mostrato alcun vantaggio in termini di sopravvivenza in pazienti KRAS esone 2 wild-type. Panitumumab si è dimostrato efficace in prima linea in associazione al FOLFOX (29) e in seconda linea in associazione al FOLFIRI (30) in pazienti KRAS esone 2 wild-type. Il beneficio dell’aggiunta del Panitumumab appare ancora maggiore nel sottogruppo di pazienti con assenza di mutazione in tutti i geni RAS (31). Principale effetto collaterale degli anti-EGFR è la tossicità cutanea. Regorafenib è un farmaco per uso orale che blocca efficacemente diverse protein-chinasi coinvolte nell’angiogenesi tumorale (VEGFR1, -2, -3, TIE2), nell’oncogenesi (KIT, RET, RAF-1, BRAF, BRAFV600E) e nel microambiente tumorale (PDGFR, FGFR). Nei pazienti pretrattati con tutte le terapie standard questo farmaco si è dimostrato più efficace rispetto alla migliore terapia di supporto, ma a costo di effetti collaterali non trascurabili (sindrome mano-piede, astenia, diarrea, ipertensione e rush cutaneo) (32).

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Stato dell’arte sulla Chemioterapia nel Cancro del Colon Figura 2: algoritmo terapeutico nel tumore del colon avanzato Strategia terapeutica per il tumore del colon-retto metastatico RAS Mutato

No

Wild-type

Necessaria riduzione della massa tumorale

Doppietta/Fluoropirimidina + Bevacizumab

Doppietta/Tripletta + Bevacizumab

FOLFOX + Panitumumab FOLFIRI + Cetuximab

Doppietta + Bevacizumab/Aflibercept*

Doppietta + Bevacizumab/Aflibercept*

Regorafenib

Regorafenib * indicato solo in combinazione con FOLFIRI

tegie terapeutiche nei pazienti con tumore del colon metastatico sono sintetizzate nella Figura 2.

Terapia medica nel paziente anziano

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Nel paziente anziano la possibilità di praticare un trattamento chemioterapico e i suoi benefici dipendono dalle comorbidità e dalle condizioni cliniche generali. Per quanto riguarda i pazienti con età superiore ai 70 anni, l’aggiunta dell’oxaliplatino alla chemioterapia adiuvante non determina un beneficio ulteriore rispetto alla sola terapia con fluoropirimidine (38). Per quanto riguarda il trattamento della malattia metastatica, i pazienti in buone condizioni generali dovrebbero essere trattati secondo i comuni protocolli terapeutici, mentre per i pazienti in condizioni scadute si potrebbe valutare un trattamento con schemi terapeutici meno tossici e che non inficino la qualità di vita. In questo contesto uno studio di fase III condotto su pazienti con età maggiore di 70 anni ha evidenziato un vantaggio in termini di sopravvivenza della combinazione capecitabina + bevacizumab rispetto alla monoterapia con capecitabina senza impattare negativamente sulla qualità di vita (39).

Corrispondenza

Chiara Carlomagno Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgica Università “Federico II” Via Sergio Pansini, 5 - 80131 Napoli Tel. + 39 081 7464271 Fax + 39 081 2203147 e-mail: ccarloma@unina.it

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