L’arte deLLa cartapesta
A Lucca una mostra per raccontare l’amicizia tra pittura, politica e letteratura
Dal museo della cartapesta alla bottega del maestro Epicochi
anno 163 numero 12 dicembre 202 1
Anno XVI - n 12 dicembre 2021 -
Levi e ragghianti
La pupa di martinez
i Luoghi deL cinema
La storia della scultura “Lampada senza luce” dello scultore galatinese oggi restaurata
Sul set del film “Fratello Sole e sorella Luna” nella bellissima terra umbra
primo piano
le novità della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
Gustav Klimt, Giuditta, 1901, Olio su tela, 84x42 cm Belvedere, Vienna © Belvedere, Vienna Photo: Johannes Stoll
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Giovanna Ciracì, Sara Di Caprio, Dario Ferreri, Antonio Giannini, Sara Foti Sciavaliere, Raffaele Polo,
Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Che fine ha fatto il cenone di Natale con mega tavolate e sane risate? sembra ormai un tempo lontanissimo e inafferrabile...quasi che se non ci fossero vecchie foto a ricordarci “come eravamo” penseremmo che ce lo siamo sognato come Benino sogna il presepe...forse... e se lo scorso anno eravamo in lockdown quest’anno il Covid 19 tiene comunque in scacco l’umanità e le misure sempre più restrittive risultano necessarie e, purtroppo, una scelta obbligata. Perciò mascherine fp2, distanziamenti e vaccini sono la regola e non bisogna demordere, riusciremo a vincerlo questo virus è il pensiero positivo per questo Natale 2021. Ci congediamo con la copertina dedicata a Klimt, alla sua erotica Giuditta in mostra a Roma nelle sale di Palazzo Braschi, un evento da non perdere che si potrà visitare fino al 27 marzo 2022. E aderente al tema natalizio, ringrazio il giornalista Raffaele Polo per l’omaggio alle rime di don Franco Lupo e ai suoi interventi sempre interessanti come quello dedicato alla pupa dello scultore Gaetano Martinez e all’intellettuale Pietro Cavoti, entrambi galatinesi. Grazie a Sara Foti Sciavaliere che ci fa scoprire l’antica arte della cartapesta leccese e il santuario di Erchie dedicato a Santa Lucia. Stefano Cambo per i Luoghi del cinema ci porta nella splendida Assisi mentre Antonio Giannini con il suo reportage ci conduce sulla via progettata da Domenico Vandelli. Sara Di Caprio invece ci presenta la mostra che è il racconto dell’amicizia tra Carlo Levi e Carlo Ludovico Ragghianti in corso a Lucca per celebrare i primi quarant’anni della Fondazione Ragghianti. Un ringraziamento particolare a Luciano Greco che ci ha raccontato il progetto Aurum, realizzato con gli studenti dell’Istituto Medi di Galatone, e a Carlo Motta che abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del numero 57 del Catalogo di Arte Moderna Editoriale Giorgio Mondadori. Puntuali le rubriche dedicate ai libri grazie alla #devotalettrice Lucia Accoto, Raffaele Polo e Stefano Cambò, al Salento segreto di Mario Cazzato e a Dario Ferreri che ci ha fatto incontrare l’artista Daria Palotti. Non resta che augurarci Buon Natale e un nuovo Anno sereno con la promessa di ritrovarci ancora qui per parlare di arte, bellezza e territorio. Auguri! (an.fu.)
SOMMARIO Luoghi|eventi| itinerari: girovagando |pietro cavoti 14 |santuario di santa Lucia ad erchie 16 | L’antica arte della cartapesta 36 | via vandelli 68| itinerarte 79 | arte: Klimt 4|Levi e ragghianti 22 | il corpo e l’essenza femminile nelle opere di gaia di Leo 64| i luoghi della parola: | curiosar(t)e: daria palotti 58
interventi letterari|teatro |Luoghi del mistero: il mistero dellla pupa 30 | La poesia più bella 33 | salento segreto 94 cinema Lu mière calici di cinema 22 |Lu mière calici di cinema 56 | Fratello sole sorella luna 86
Libri | Luoghi del sapere 80-85 | #ladevotalettrice 106 | Le recensioni di raffaele polo 84 | #dal salentocafè 85 i luoghi nella rete|interviste| intervista a carlo motta 26| aurum la fabbrica del pensiero creativo 48 Numero 12- anno XVI - dicembre 2021
KLimt, La secessione e L’itaLia Antonietta Fulvio
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Fino al 27 marzo 2022 a Roma nelle sale di Palazzo Braschi la mostra dedicata all’artista austriaco
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Vienna, il dipinto è tra quelli che si potranno visionare nella grande mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia” allestita a Palazzo Braschi fino al prossimo 27 marzo 2022. Inaugurato lo scorso 27 ottobre, dopo due settimane già in trentamila avevano visitato l’evento espositivo dedicato all’artista austriaco che torna a Roma, dove 110 anni fa, dopo aver partecipato con una sala personale alla Biennale di Venezia del 1910, fu premiato all’Esposizione Internazionale dʼArte del 1911. Frutto della collaborazione fra il Belvedere di Vienna, la Klimt Foundation, la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e e
ROmA. «Il volto di Giuditta possiede una carica di seduzione. I suoi lineamenti sono trasfigurati al fine di raggiungere il massimo grado di intensità, che Klimt ottiene respingendo la donna in una dimensione irraggiungibile.» Con queste parole lo storico Federico Zeri descrisse l’opera che l’artista autriaco dedicò all’eroina biblica che decapitò il generale Oloferne. Un’opera iconica, in cui per la prima volta in un dipinto a olio la foglia d’oro si combina al colore, anticipatrice del periodo aureo certamente influenzato dalla visione dei mosaici “incredibilmente meravigliosi” di Ravenna. Conservato nel Belvedere di
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Gustav Klimt, Ritratto di signora in bianco, 1917-1918, Olio su tela, 70x70 cm, Belvedere, Vienna © Belvedere, Vienna
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Particolare dell’allestimento della mostra a Palazzo Braschi
Zuckerkandl (1917-18). Tra i prestiti, del tutto eccezionali, figurano La sposa (1917-18), che per la prima volta lascia la Klimt Foundation, e Ritratto di Signora (1916-17), trafugato dalla Galleria d'Arte moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperato nel 2019 e che vedrà la stessa galleria una tappa successiva del progetto, a partire dal 5 aprile 2022, con “Klimt intimo” sempre a cura del comitato scientifico, composto da Gabriella Belli, Elena Pontiggia, Lucia Pini, Valerio Terraroli. «Oltre a disegni, manifesti della Secessione, autografi e fotografie, la collezione della Fondazione - spiegano Peter Weinhäupl e Sandra Tretter direttore e vicedirettrice Klimt Foundation - offre una panoramica trasversale della pittura klimtiana, accostando dipinti celebri a sconosciute opere degli
co-prodotta da Arthemisia, la mostra, curata da Franz Smola, curatore del Belvedere, maria Vittoria marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali e Sandra Tretter, vicedirettore della Klimt Foundation di Vienna, ripercorre e racconta attraverso quattordici sezioni e oltre duecento opere il percorso artistico di Gustav Klimt (18621918) sottolineando il ruolo di cofondatore della Secessione viennese e l’inedito rapporto con l’Italia, meta di numerosi viaggi documentati dalle lettere dell’artista. A distanza di venti anni (l’ultima mostra a Roma dedicata a Klimt fu al Vittoriano nel 2001 e si intitolava “Klimt, Kokoschka e Schiele: dall’Art Nouveau all’Espressionismo”, ndr), sarà possibile ammirare oltre alla famosissima Giuditta I, Signora in bianco, Amiche I (Le Sorelle) (1907) e Amalie
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Cartolina di Gustav Klimt a Emilie Flöge Verona, 08.12.1903 13,7x9 cm Collezione privata Leopold Moriz Nähr, Foto di gruppo con gli artisti della cosiddetta “Mostra di, Beethoven” nella sala centrale del Palazzo della Secessione a Vienna; nella fila davanti, da sinistra a destra: Kolo Moser, Maximilian Lenz, Ernst Stöhr, Emil Orlik, Carl Moll; nella fila dietro da sinistra a destra: Anton Nowak, Gustav Klimt, Adolf Böhm, 1902 Gelatina d'argento, 13,9x19,8 cm Klimt Foundation, Vienna © Klimt Foundation, Vienna
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Storie l’uomo e il territorio
esordi. Agli schizzi e agli studi naturalistici di boschi, alle opere create nell’ambito della Künstler-Compagnie e ai vaporosi ritratti di signora di fine Ottocento si affiancano composizioni rivoluzionarie come Amiche I (Sorelle), del 1907, e La sposa, grande tela incompiuta eseguita nel 1917 negli ultimi mesi di attività dell’artista.» In mostra dunque oltre 200 opere tra dipinti, disegni, manifesti d’epoca e sculture, prestati eccezionalmente dal Belvedere museum di Vienna, dalla Klimt Foundation e da collezioni pubbliche e private come la Neue Galerie Graz. Cartoline autografe documentano poi i viaggi in Italia di Klimt, che visitò Trieste, Venezia, Firenze, Pisa, Ravenna – dove si appassionò ai mosaici bizantini – Roma e il lago di Garda, cui si ispirarono alcuni suoi paesaggi. Questi viaggi furono importanti per l’evolversi della sua ricerca creativa e ne accrebbero l’influsso sugli artisti italiani. Per questo al museo di Roma a Palazzo Braschi le opere di Klimt sono messe a confronto con quelle di artisti italiani come Galileo Chini, Giovanni Prini, Enrico Lionne, Camillo Innocenti, Arturo Noci, Ercole Drei, Vittorio Zecchin e Felice Casorati che – recependo la portata innovativa del linguaggio klimtiano molto più dei pittori viennesi del loro tempo – daranno vita con diverse sensibilità e declinazioni alle esposizioni di Ca’ Pesaro e della Secessione romana. Quattordici sezioni per il percorso espositivo che procede sul filo della cronologia e si struttura intorno ad una selezione di opere chiave. Si parte con Vienna all’inizio del 1900. Nel 1857 l’imperatore Francesco Giuseppe fa abbattere le antiche mura di Vienna per cingerla con una doppia strada alberata, la Ringstrasse, e sono l’architetto Otto Wagner e l’artista Gustav Klimt, coinvolti nella
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Gustav Klimt, Amalie Zuckerkandl, 1917-1918, Olio su tela, 128x128 cm Belvedere, Vienna © Belvedere, Vienna Photo: Johannes Stoll
costruzione e nella decorazione degli edifici, a rompere con la tradizione e a fondare nel 1897 il movimento che avrà per nome Secessione di Vienna nell’intento di adeguare l’arte agli stili di vita contemporanei; non a caso il motto sarà “A ogni tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”. ma chi era Gustav Klimt? Un passo indietro, agli esordi, con la seconda sezione che prende in esame le opere della Compagnia di artisti fondata nel 1879 dai fratelli Gustav ed Ernst Klimt, insieme al loro compagno di studi Franz matsch. Specializzati nell’esecuzione di dipinti murali firmano opere di prestigio come le decorazioni del soffitto negli scaloni del Burgtheater di Vienna e gli affreschi nella tromba delle scale del Kunsthistorisches museum di Vienna. Con la morte improvvisa di Ernst nel 1892 il gruppo si scioglie. La terza sezione è un focus sull’Associazione degli artisti austriaci - Secessione fondata il 3 aprile 1897 da Klimt con venti compagni e di cui Klimt sarà il suo primo presidente firmando il manifesto raffigurante Teseo nudo che combatte il minotauro censurato dalle autorità. Non si tratta però di un Gruppo omogeneo e le differenze stilistiche tra gli artisti più orientati verso l’arte realistica e gli altri verso l’Art Nouveau porteranno a divisioni maggiori e Klimt, moser, Hoffmann e moll decidono nel 1905 di lasciare il gruppo. Nella quarta sezione viene presentato Il Design nel contesto della Secessione Viennese che vedrà appunto uno stretto legame tra le belle arti, l’architettura e il design mentre la quinta sezione è incentrata su I primi viaggi di Klimt in Italia nel 1899 e nel 1903. Viaggi che vengono documentati grazie alle cartoline che Klimt invia quasi ogni giorno a Emilie Flöge a Vienna. Klimt scrive le prime cartoline da Villach, Pontebba, Venezia e Padova, Firenze, Pisa, La Spezia, Verona e da Riva del Garda. Giuditta. Un’opera con lo status di icona è il tema della sesta sezione che analizza il famoso ritratto di Giuditta che deca-
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Gustav Klimt, La Sposa, 1917-18, Olio su tela, 165x191 cm, Klimt Foundation, Vienna © Klimt Foundation, Vienna
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pita con le sue stesse mani il generale assiro Oloferne, ma la Giuditta di Klimt, sembra più una femme fatale, seducente e pericolosa, capace di sprigionare erotimo e morte. Sono gli anni in cui Freud apre le porte dell’inconscio e Klimt nei primi dieci anni del Novecento indagherà spesso nei suoi dipinti l’erotismo femminile. Ritratto di Signora è il nome dato alla settima sezione che presenta invece la grande abilità di Klimt ritrattista: sono soprattutto ritratti di donne un genere molto popolare in quegli anni e frequentato anche da numerosi membri della Secessione viennese, come Otto Friedrich, Friedrich König, max Kurzweil o Josef maria Auchentaller. L’ottava sezione della mostra presenta I quadri della Facoltà: è il 1894 quando Gustav Klimt e Franz matsch ricevono l’ordine dal ministero della Pubblica Istruzione di dipingere allegorie monumentali per il soffitto dell’Aula magna dell’Università di Vienna. Klimt assume l’esecuzione delle rappresentazioni Filosofia, medicina e Giurisprudenza, opere che sono considerate oggi le più importanti per aver trattato con esse l’erotismo e la sessualità come mai nessuno aveva osato fare.Sin dalla loro prima presentazione, le opere suscitano l’indignazione generale del pubblico e del contesto politico, tanto che il ministero decide di non farle appendere come
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previsto inizialmente. Klimt rinuncia quindi all’incarico e restituisce l’onorario che gli era stato anticipatamente versato. Due dei dipinti delle facoltà finiranno nelle mani di un privato, uno entrerà in una collezione museale. Sfortunatamente, tutti e tre i dipinti furono distrutti negli ultimi giorni della Seconda Guerra mondiale. Oggi conosciamo l’aspetto dei quadri della Facoltà grazie a fotografie in bianco e nero. Solo la figura di Igea nella metà inferiore di medicina è stata fotografata a colori. Nell’ambito del progetto digitale su Gustav Klimt realizzato da Google Arts & Culture, un gruppo di ricerca ha utilizzato le più recenti tecnologie informatiche come l’apprendimento automatico e l'intelligenza artificiale per ricavare il colore originale delle immagini dalle riproduzioni in bianco e nero. Il risultato di questo progetto di ricerca sarà presentato per la prima volta al pubblico nel corso di questa mostra. Al fregio di Beethoven è dedicata la nona sezione che indaga la grande mostra tenutasi nel 1902 dalla la Secessione viennese. Klimt in quell’occasione realizza un’interpretazione visiva della Nona Sinfonia in un fregio murale lungo 34 metri e fortunatamente a fine mostra non viene distrutto. Rimosso dal muro, il fregio finisce nelle mani di committenti privati, venduto successivamente negli anni ‘70 alla Repubblica d’Au-
Nelle foto particolari dell’allestimento della mostra a Palazzo Braschi
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stria, dopo anni di restauri, trova la sua definitiva collocazione nei sotterranei del palazzo della Secessione viennese, dove è possibile ammirarlo ancora oggi. La decima sezione analizza la Pittura paesaggistica che per Klimt sarà un punto fermo nella sua pittura accanto ai ritratti e alle allegorie invece l’undicesima è incentrata sull’Esposizione internazionale delle Belle Arti di Roma nel 1911. La sala Klimt, fulcro del padiglione austriaco, presenta otto dipinti e quattro disegni, tra ritratti, paesaggi, soggetti allegorici. Fra questi, il celebre dipinto Il bacio, i ritratti della signora Wittgenstein e quello di Emilie Flöge, due elaborate opere simboliste quali La Morte e la Vita e La Giustizia, le Bisce d’acqua I (o Le sorelle). La Galleria nazionale d’arte moderna di Roma acquisterà il dipinto Le tre età della donna dove è tuttora conservato. Roma ma prima ancora la città lagunare è il tema del dodicesimo segmento che racconta la partecipazione di Klimt alla Biennale di Venezia. La prima volta è con due opere nel 1899 e nel 1910 con una sala indivi-
duale la numero 10 quando presenta il dipinto Le amiche affiancato allo scandaloso Bisce d’acqua II suscitando scalpore. Nino Barbantini, direttore della Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro spiegherà: «L’arte di Klimt è antipatica al nostro tempo perché l’oltrepassa e prepara il tempo di domani». La Secessione 1914 è la tredicesima sezione che ripercorre la mostra romana con la partecipazione dell’Associazione di artisti austriaci fondata da Klimt nel 1906 in seguito alla scissione dalla Secessione viennese. L’unica opera inviata da Klimt fu il Ritratto di Mäda Primavesi (1912-1913). Il percorso si chiude con le opere rimaste incompiute quando nel 1918 Gustav Klimt muore all’improvviso, per le conseguenze di un ictus, lasciando in lavorazione La Sposa, sul tema dell’amore e del desiderio sensuale, il Ritratto di Johanna Staude e Ritratto di dama in bianco. Museo di Roma a Palazzo Braschi Piazza San Pantaleo, 10 – Roma
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pietro cavoti artista e ricercatore Raffaele Polo
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Pittore e studioso d’arte nacque a Galatina il 28 dicembre 1819 e vi morì il 2 febbraio 1890. Gran parte dei suoi lavori è conservata nel museo civico a lui intitolato
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roprio nei primi anni sa di Santa Caterina, nella dell’Unità d’Italia, il sua città, e dalla Chiesetta di ministro della Pubblica Santo Stefano a Soleto. Istruzione vuole censire e Cavoti è il tipico esemplare di classificare i monumenti ita- erudito dell’Ottocento, non liani, per poter scegliere manca di un fisico che lo fa quelli degni di divenire sottovalutare dai suoi concit‘monumenti nazionali’. E, nel- tadini e che lo innalza agli la commissione istituita onori della rappresentazione appositamente, si trova, nelle statuine caricaturali meritatamente, il professore che, in quei tempi, fotografaPietro Cavoti da Galatina che vano con intento satirico i inizia la sua lunga ed esausti- personaggi più in vista del va ricerca proprio dalla Chie- Salento. A Galatina, del
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resto, di un ragazzo particolarmente incline allo studio, si diceva che ‘era un Cavoti’, confermando quello che ci viene tramandato negli scritti e nelle cronache di Cosimo De Giorgi. E Pietro Cavoti, artista e ricercatore attento, mise mano in tantissimi studi relativi alle bellezze ed alle vestigia del nostro territorio, registrando, catalogando e mettendo in evidenza palazzi signorili, chiese, monumenti, affreschi… Per avere un’idea della sua incredibile attività, bisogna visitare il museo a lui intestato, a Galatina. Là, vi sono innumerevoli schizzi, appunti, disegni, studi e ricerche che collocano il Cavoti ad un livello di grande capacità e conoscenza che travalica i confini del Salento, per mettersi alla pari dei più accreditati studiosi del ramo, a livello internazionale. miniaturista
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d’eccezione, Cavoti non ci ha lasciato dipinti o quadri di grandi dimensioni, quasi a voler sottolineare la propria opera di fine cesellatore culturale e di punto di riferimento critico nel campo dell’arte. In buona corrispondenza, per anni, con Gioachino Toma, Cavoti ha adesso ripreso possesso dell’antico Liceo Convitto Colonna, dove ha insegnato per anni francese, disegno e soprattutto la sua materia preferita, ovvero calligrafia e dove attualmente vi è lo splendido museo a lui dedicato. La critica specializzata, dopo aver trascurato la sua opera fattiva e di grande spessore, sta ora rivalutando il lavoro del dotto galatinese, anche per quel che riguarda le sue scelte artistiche, troppo frettolosamente giudicate di maniera e di minore interesse.
santuario di santa Lucia di erchie: La sorgente miracoLosa Sara Foti Sciavaliere
Storie l’uomo e il territorio
Ricordando la martire siracusana della luce
Santa Lucia, giovane siracusana vissuta tra III e IV secolo, fu educata dalla madre alla fede cristiana fino alla decisione di consacrarsi a Dio rifiutando di sposarsi; sarà perseguitata in quanto cristiana, quindi processata e condannata a morte: prima di morire, la tradizione tramanda che abbia subito il “supplizio degli occhi”, privata degli occhi per sottrarsi alle voglie del promesso sposo impostogli dal padre. Subì il martirio nella sua stessa città il 13 dicembre del 304 d.C. e venne sepolta in una catacomba che divenne centro di fede, ma con l’arrivo degli invasori musulmani il corpo della santa siciliana venne portato in un luogo segreto per sottrarlo a un’ eventuale profanazione. Tale luogo rimase oscuro, finché il generale bizantino Giorgio maniace libererà Siracusa
e, ritrovato il corpo della martire, deciderà di farne dono alla sua imperatrice Teodora, insieme a quello della catanese Sant’Agata. Sarà così che entrerà in scena il paesino del Salento brindisino, Erchie, che conserva ancora oggi un forte legame con Santa Lucia, espresso da un Santuario a lei dedicato e la fonte d’acqua meta di tanti pellegrini, e gemellata non a caso con la città di Siracusa. La leggenda narra che, intrapresa la via per recarsi a Costantinopoli, il generale maniace sostò proprio nella foresta oritana, nei pressi di una sorgente (oggi a circa 9 metri sotto il Santuario) in una grotta che si apriva su di un avvallamento nella zona di Hercle, l’attuale Erchie. I monaci basiliani che dimoravano nella vicina grotta
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Artecinema , 25 edizione, 2020 foto di Francesco Squeglia
dell’Annunziata, dopo aver venerato le sacre spoglie, ricevettero in dono come reliquia un osso della martire e, collocatolo nella grotta ai margini dell’avvallamento, questa sarà adibita a Cappella arricchita con affreschi raffiguranti la vita della santa: nel corso degli anni si diffuse la voce dell’esistenza di questo luogo sacro e si avviò un vero e proprio pellegrinaggio verso Erchie. Prima meta
anche del rito delle “perdonanze”, dei piccoli pellegrinaggi che si compiono in terra brindisina nelle settimane posteriori alla Pasqua fino all’Ascensione: il secondo giovedì dopo Pasquetta è, di fatto, usanza recarsi ad Erchie per chiedere una grazia. In seguito il culto presso la Cappella della santa siracusana cadde in disuso fino a
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reportage sara Foti Sciavaliere
quando, nel XVI secolo, in un periodo di grave siccità, un quadretto raffigurante la Santa fu trovato da un mandriano: l’uomo sulle tracce di una mucca che si era allontanata dal resto della mandria, troverà la bestia intenta ad abbeverarsi nel suddetto avvallamento da cui sgorgava una fonte zampillante, e lì rinvenne anche l’immagina sacra (come si può vedere sulle maioliche disposte sulla vasca di acqua sorgiva nell’ipogeo dell’attuale Santuario). Si racconta infatti che alcuni ricchi feudatari locali l’avessero donata alla cappella basiliana, per andare poi purtroppo perdu-
ta durante un’inondazione che aveva investito il luogo di culto; la corrente lo trasportò via facendone perdere le tracce, fino al fortuito ritrovamento, in virtù del quale gli ercolani innalzarono un altare sul quale fu deposto il quadro e, per immortalare il luogo dov’era avvenuto il prodigioso evento, edificarono il Tempio sottostante coprendo la fonte e la zona circostante. Nel 1638 sull’altare della Cappella venne collocata l’attuale statua lignea di Santa Lucia, che nel 1650 fu anche indorata. Nel 1690 la
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Cappella fu ornata ancora di una statua in pietra della Santa e nel 1740 fu collocata un’altra statua della Vergine e martire nel Tempio sottostante che, a causa delle sue fondamenta poco consistenti, nel 1819 crollò. Gli ercolani tuttavia non si fecero scoraggiare dall’evento avverso e ne riprendono la costruzione, e intanto ottengono del terreno dal Duca di Satriano, feudatario di Erchie, cominciando così a edificare la Chiesa superiore verso il lato Sud della Cappella; tale chiesa sarà ultimata e inaugurata il 25 aprile 1865. Questo luogo che ha dato tanto lustro al paese di Erchie, oltre ad essere stato prodigo di miracoli della vista ai fedeli che con fede si sono rivolti a Santa Lucia, l’8 aprile 1953 è stato classificato come Santuario diocesano da mons. Alberico Semeraro. Nella grotta-cappella da una decina è esposto un simulacro-reliquario che custodiscono le reliquie della martire. Si tratta di un’opera realizzata dallo scultore Pietro Balsamo di Francavilla Fontana che riproduce fedelmente in fattezze e dimensioni il corpo della Santa conser-
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vato a Venezia nel Santuario di S.Lucia, dove le spoglie mortali della martire sono sepolte dal 1204, quando furono trafugate a Costantinopoli dai veneziani come bottino di guerra alla fine della quarta crociata. Il simulacro di Balsamo è polimaterico: parti anatomiche in terracotta policroma, corpo in fil di ferro e paglia, abiti in tessuto (rasone, tafta e misto cotone). Sulla pettorina plissetta, realizzata con due metri di stoffa, sono appuntati 21 Swarovski, tanti quanti gli anni che aveva la giovane Lucia quando fu martirizzata. Il viso riproduce in dettaglio la maschera d’ar-
gento che copre il volto originale della martire; quest’ultimo fu voluto dal patriarca di Venezia Angelo Roncalli futuro papa Giovanni XXIII. Il corpo è steso su materasso e cuscini ricavati da antiche stoffe in broccato di seta. Inoltre sul petto è stata posta una reliquia autentica di un frammento di pelle donata, nel 2010, dal Patriarca di Venezia al Sindaco di Erchie Giuseppe margheriti. L’opera, nella teca, vuole ricordare la venuta del corpo di Santa Lucia nel paese salentino, così come recita un’antica preghiera:
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“A Erchie tu ha vinuta da li muennici priati nu picca t’ha valuta stari ma poi a Vinezia tannu avutu a purtari di tannu a moi nui scià vinimu quai priamu pi li uecchi e pi la nostra uai.” (“A Erchie tu sei venuta, dai monaci sei venerata. Sei stata poco tempo perché a Venezia ti hanno voluto portare. Da quel momento noi pellegrini veniamo al tuo santuario preghiamo per gli occhi e i nostri guai”)
Da quel giorno ormai lontani molti pellegrini sono soliti attingere l’acqua dalla sorgente che ancora qui sgorga. La tradizione vuole che ci si bagni la mano e ci si strofini con essa gli occhi, chiedendo la santa la guarigione. Lei, Santa Lucia, che la luce porta perfino nel suo nome, è la santa invocata per la vista e le malattie degli occhi, ma la sua ricorrenza un tempo coincideva con il solstizio d’inverno e quindi con il giorno più corto, auspicio della luce di primavera.
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Levi e ragghianti. un’amicizia Fra pittura, poLitica e Letteratura Sara Di Caprio
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Fino al 20 marzo 2022 in mostra nelle sale della Fondazione Ragghianti a Lucca
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Il racconto di un’amicizia feconda - fra pittura, politica e letteratura - tra due grandi intellettuali del Novecento. Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura è il titolo della mostra ideata e organizzata in occasione del quarantennale della Fondazione Centro Studi Ragghianti. Un progetto espositivo che intende, si diceva, indagare l’amicizia fra Carlo Ludo-
vico Ragghianti (Lucca, 1910 - Firenze, 1987) e il pittore, scrittore e uomo politico Carlo Levi (Torino, 1902 - Roma, 1975). Realizzata in collaborazione con la Fondazione Carlo Levi di Roma, per la cura di Paolo Bolpagni, Daniela Fonti e Antonella Lavorgna, l’esposizione sarà visitabile dal 17 dicembre 2021 fino al 20 marzo 2022. Il rapporto tra Ragghianti e
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Carlo Levi, Ritratto di Anna Magnani
Levi, fondamentale per entrambi, si intensifica a Firenze, durante l’occupazione nazista, attraverso la comune militanza politica nella Resistenza, soprattutto dopo che Levi, nel 1941, trova rifugio clandestino nella casa di Anna maria Ichino in piazza Pitti, dove scrive il suo più noto romanzo, Cristo si è fermato a Eboli, cui è dedicata una sezione della mostra. L’interesse di Ragghianti nei riguardi di Levi pittore è da far risalire al 1936, quando lo inserisce nel suo articolo dedicato alla pittura italiana contemporanea; nel 1939 ne recensisce sulla rivista «La critica d’arte» la mostra a New York. Certamente il momento più forte della loro frequentazione avviene durante i giorni della formazione del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, e quando Levi, subito dopo la liberazione di Firenze, diventa membro della commissione per la ricostruzione del centro storico della città. Questo intensificarsi del loro rapporto si riflette anche nella condivisione del discorso artistico, tanto che la mostra personale di Levi alla Galleria dello Zodiaco di Roma nel 1946 è presentata proprio da Ragghianti; ed è sempre Ragghianti a proporre la prima storicizzazione della figura di Carlo Levi nel 1948, attraverso la pubblicazione di un “catalogo” dell’opera leviana, nel quale sono datati e repertoriati i dipinti realizzati dal 1923 al 1947. La mostra e il relativo catalogo ricostruiscono, oltre agli eventi e alle circostanze della loro amicizia, i nodi identitari di questo rapporto, le questioni teoriche di carattere storico-artistico, e altri punti d’interesse comuni ai due per un’azione da esplicarsi nel quadro di una politica delle arti. E offrono una testimonianza, attraverso opere d’arte, lettere, documenti, fotografie e filmati, del significato dell’amicizia fra Ragghianti e Levi, anche alla luce della loro formazione culturale. Un aspetto interessante e nuovo presentato dalla mostra è quello del comune interesse dei due per il cinema: Levi lavora come sceneggiatore e scenografo per alcuni film, disegna il manifesto di Accattone di Pier Paolo Pasolini, e dagli anni Cinquanta in poi, a Roma, diventa un ritrattista ambìto da molti personaggi del mondo del cinema, da Silva-
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Carlo Levi, Ritratto Ritratto Montale 1941
Carlo Levi, Ritratto Bobo (Bazlen) 1941
Carlo Levi, Ritratto RMadre e sorella 1926
Carlo Levi, Ritratto Ritratto di Pasolini
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na mangano ad Anna magnani, da Franco Citti allo stesso Pasolini: tutti questi ritratti sono presenti in mostra, insieme con quelli di Ragghianti e di loro comuni amici, come Eugenio montale e Carlo Emilio Gadda. Nell’archivio della Fondazione Ragghianti, così come in quello della Fondazione Carlo Levi di Roma, si conservano documenti che riguardano in special modo la sfera storicoartistica e critica, che fu al centro di questa amicizia. A Lucca si trovano un consistente nucleo di lettere che partono dal 1943 e si protraggono fino al 1971, e testi dattiloscritti di Ragghianti su Levi; nell’archivio romano sono conservati autografi della monografia di Ragghianti, corredati da annotazioni per la stesura del volume destinate da Levi al suo curatore, nonché fotografie inedite. molti di questi materiali sono esposti nella prima e nell’ultima sala. Oltre ai documenti, la mostra presenta numerosi disegni e circa ottanta dipinti di Carlo Levi, che ricostruiscono non soltanto la strut-
tura della monografia del 1948 e delle mostre del 1967 e del 1977 curate da Ragghianti, ma anche la cerchia di intellettuali e amici cui i due appartenevano – Eugenio montale, Giovanni Colacicchi, Paola Olivetti, Aldo Garosci e altri –, con l’aggiunta dei ritratti di personaggi dei quali entrambi avevano stima, come Italo Calvino e Frank Lloyd Wright. Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura 17 dicembre 2021 - 20 marzo 2022 Fondazione Ragghianti, via San Micheletto 3, Lucca apertura dal martedì alla domenica, ore 10-13, 14:30-18:30 biglietto intero 5 euro, ridotto 3 euro
Carlo Levi, Leone Ginzburg, 1933
Carlo Levi, Autoritratto 1928
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Carlo Motta curatore del CAM Editoriale Giorgio Mondadori
iL cataLogo di arte moderna, editoriaLe giorgio mondadori
“
Intervista a Carlo Motta curatore del Cam il più longevo catalogo dedicato all’Arte in Italia
”
Disponibile in tutte le librerie, il Catalogo di Arte moderna n. 57, con la bellissima copertina dell’artista Ercole Pignatelli, prestigiosa pubblicazione del marchio Editoriale Giorgio mondadori. In occasione dell’uscita del catalogo, abbiamo incontrato Carlo motta curatore e responsabile Cairo Editore. Dal 1962 il Catalogo dell’arte moderna è la pubblicazione di settore più longeva in Italia. Qual è il segreto? Non c'è un "segreto" ma possiamo dire che la forza del Catalogo dell'Arte moderna sta proprio nella sua storia e nella continuità. A parte il periodo tra il 1964 e il 1970, in cui la pubblicazione era biennale, dal 1970 in poi il volume è stato un appuntamento fisso annuale per tutti gli appassionati d'arte e per artisti, galleristi, critici e addetti ai lavori. Un punto di riferimento che evidentemente ha saputo raccogliere l'eredità dei fondatori, Luigi Carluccio (il curatore) e Giulio Bolaffi (l'editore) aggiornando i contenuti e introducendo qualche novità editoriale che ha saputo tenere desta l'attenzione dei lettori sino ad oggi. Non dimentichiamo che, nel frattempo, la proprietà del Catalogo è passata di mano due volte in quello che ormai è il secolo scorso: alla fine degli anni Settanta da Bolaffi a Giorgio mondadori, nel 1999 da
Giorgio mondadori a Urbano Cairo. Con grande intelligenza si è però voluto mantenere lo storico marchio Editoriale Giorgio mondadori, sinonimo di qualità, sia per il Catalogo con tutte le pubblicazioni d'arte sia per le riviste storiche, Arte, Antiquariato, Bell'Italia, Bell'Europa, InViaggio, Gardenia e Airone. Nel numero 56, di grande attualità oltre che interesse è il focus sulla pandemia nell’arte. Già con il primo lockdown si è riscoperta l’importanza dei luoghi proprio nel momento in cui venivano chiusi a causa dell’emergenza sanitaria. Musei, teatri, cinema, gallerie, la cui frequenza era data per scontata, ci è stata negata. Il web ha rappresentato la nostra finestra sul mondo anche dell’arte. Come la pandemia ha cambiato e sta cambiando il rapporto del pubblico e la fruizione delle opere d’arte? Fermo restando un concetto lapalissiano, e cioè che la pandemia è purtroppo una piaga devastante con cui stiamo combattendo e che avremmo volentieri evitato, come è sempre accaduto nella storia dell'uomo dobbiamo accettare la realtà e individuare le possibili soluzioni (senza piangerci troppo addosso). Nel settore culturale il web, i
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I luoghi nella rete
social e i media hanno sicuramente svolto un ruolo importante, in particolare con la diffusione di presentazioni e conferenze online, cosa che già accadeva ma senza le proporzioni che ha assunto durante i vari coprifuoco. Inoltre si sono sviluppate tecnologie molto sofisticate per la visione virtuale di mostre personali e collettive. Va tutto bene ed è positivo che sia così. Personalmente però non credo che si possa sostituire il fascino di una visita ad un museo come gli Uffizi a Firenze, i musei Vaticani o il museo di Capodimonte a Napoli con una visione al monitor. Una cosa è trovarsi fisicamente davanti a un'opera di Caravaggio, di Raffaello o di Boccioni in contesti propedeutici alla loro visione, altra cosa è osservare le stesse opere attraverso un computer. Lo stesso vale, in generale, per le mostre di artisti contemporanei. La matericità di un dipinto di Alfonso Borghi, uno dei più importanti artisti informali italiani, non è apprezzabile a video. Una sezione certamente importante è la seconda parte del Catalogo dove vengono presentati 900 artisti che fotografa il panorama dell’arte contemporanea italiana, quale è il criterio della selezione? Fin dai primi numeri il Catalogo dell'Arte moderna è stato uno strumento importante per approfondire la conoscenza di artisti già noti, come Accardi, Casorati, de Chirico, manzù, Pomodoro, Soldati e tanti altri. Allo stesso tempo è peraltro diventato uno straordinario mezzo di promozione per artisti non necessariamente professionisti (quanti possono vivere solamente d'arte?) ma apprezzabili per tecniche, contenuti, linguaggio e in ogni caso pienamente legittimati a far parte del panorama artistico contemporaneo. Ovviamente tra gli artisti, anche inserzionisti, esistono differenze qualitative, la cui valutazione è affidata a un comitato critico coordinato da Giovanni Faccenda, storico dell'arte da un decennio consulente editoriale del Catalogo. Ai membri del comitato critico si è aggiunta, negli ultimi
anni, la figura del segnalatore, che può essere anche un curatore di eventi, un gallerista, un docente, un artista. La sua funzione è quella di indicare, sul territorio nazionale, le figure artistiche meritevoli di essere selezionate per l'annuario. Novità e anticipazioni sull’ultimo nato il numero 57? Innanzitutto la copertina, dedicata a un'opera di Ercole Pignatelli, nato a Lecce ma trapiantato a milano dal 1954. Ne scrivono all'interno Fortunato D’Amico, profondo conoscitore dell’artista, e Giovanni Faccenda, curatore del nostro Catalogo. Nella prima parte, come tradizione, alcuni approfondimenti: nell'anno dedicato alle celebrazioni di Dante un articolo di Claudia Trafficante sulla Divina Commedia nell’immaginario artistico dal 1400 ad oggi. E poi l’Italia vista dagli artisti nei decenni successivi al 1861 nel 160° dell'Unità, di Daniela Brignone; il rapporto tra moda e fotografia visto da Alessia Locatelli; Celant, Christo, Daverio, Gastel, mari nel ricordo di uno dei più grandi galleristi italiani, massimo minini; malisa Longo scrive di Arte ed erotismo; seguono Arte e Agenda ONU 2030, di Valentina maggiolo; Il coprifuoco dell’Arte, di Andrea De Liberis; Dal Futurismo al Covid, di Lia Bronzi. Come sempre, la prima sezione dell’annuario presenta venti Grandi maestri selezionati dal curatore, tra cui Boccioni, Burri, de Chirico, Fontana, modigliani, Rosai, Sironi e altri, con le aste più importanti dell’ultimo anno. La seconda sezione presenta oltre 900 artisti confermando quanto il Catalogo sia apprezzato e seguito grazie alla struttura efficace e consolidata: le schede degli artisti in ordine alfabetico, le quotazioni, le esposizioni, le aste, le note biografiche, le opere. Le pagine a colori e i dossier tematici – tra cui Fotografia e Arte Plastica – ne confermano il ruolo come indispensabile strumento di promozione e di consultazione.
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1.300 risultati d’asta Oltree 900 artisti Oltr Oltree 1.800 oper operee Oltr pubblicate Più di 900 gallerie 988 pagine Ar chivi, Esperti Archivi, e Fondazioni
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iL mistero deLLa pupa neL cuore di gaLatina Raffaele Polo
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In piazza Alighieri la bella scultura a firma del galatinese Gaetano Martinez
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Un personaggio interessantissimo, lo scultore Gaetano martinez di Galatina, (1892-1951) caparbio e tenace, sempre pronto a superare avversità e spiacevoli rifiuti, fino a raggiungere fama e riconoscimenti dovuti alla su inconfutabile bravura di scultore 'classico' che ha lasciato tangibili segni della sua produzione e che voglia-
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mo ricordare soprattutto per la sua operain bronzo 'Lampada senza luce', meglio conosciuta come 'La pupa', raffigurante una figura muliebre in plastica seduta, al centro di quelle che dovevano essere fontane perenni, a farla vivere in eterno tra giochi di luce e scrosci d'acqua. Purtroppo, la storia di questo prezioso monumento (voluto
I LUOGhI DEL MISTERO
La Pupa in una cartolina d’epoca
in pieno regime fascista e posto proprio in piazza, a Galatina, davanti al 'Collegio' dove studiarono lo stesso martinez e Pietro Cavoti) vede un incredibile, lungo abbandono dovuto alla incuria ed anche ad una sorta di forma di rifiuto per quella che poteva apparire l'ennesima forma di 'sessismo', da evitare accuratamente, soprattutto nei monumenti pubblici. La donna, la Pupa, è indubbiamente poco vestita ma, ci dicono gli osservatori più attenti, il suo piede calca la testa di un uomo che, celata nella pietra, potrebbe essere l'effige di Benito mussolini...Più che possibile, a pensarci bene, visto che martinez non era certo ben visto dal regime per le sue simpatie verso gli antagonisti dei Gerarchi del Ventennio. ma, per anni, la trascuratezza ha trovato anche in queste motivazioni bisbigliate senza parere, la sua ragione. Adesso la Pupa è stata pulita, restaurata ed è in bella vista in Piazza Alighieri, a Galatina, a ricordare la bravura e la maestria del suo artefice, quel martinez che ha, nei locali vicini del museo di Galatina, alcune stanze
dedicate alle sue statue, al suo armonioso comporre figure e soggetti che nulla hanno da invidiare agli archetipi della più pura classicità. Un grande galatinese, un sublime sculture, il creatore della Pupa merita di essere conosciuto ed apprezzato più di quello che è stato fatto sino ad ora, che pure va a vanto delle recenti amministrazioni della città di minerva. Pensare che, a Roma, nel 1911 fu bocciato all'esame di ammissione al Regio museo Artistico...
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La poesia più beLLa Le pittuLe di don Franco Lupo Raffaele Polo
Tra letterine e temi le rime leccesi della poesia di Natale per eccellenza...
Io lo volevo scrivere sempre, il tema che la maestra ci riservava per Natale: ogni volta,però, invece di quello che mi aspettavo, l'argomento è stato solo sfiorato e poi niente, si è finiti all'elenco dei doni ricevuti e al 'come hai trascorso le vacanze di Natale'. Una volta, pensate, un'insegnante più evoluta si è spinta ad assegnarci il tema-quesito: 'Preferisci l'Albero o il Presepe?'. Ed è stato allora che ho cercato di avvicinarmi al mio obiettivo. Ho scritto, infatti, tenendomi attentamente alla larga di eventuali interrogativi sospetti, che mi piaceva l'albero, con le sue luci. ma che il Presepe mi sembrava l'unica soluzione per poter recitare le preghiere e le poesie a mezzanotte, quando si deponeva il Bambinello nella grotta... Ho scritto attentamente 'le preghiere e le poesie', proprio per insinuare, per far capire, aspettandomi che il prossimo componimento fosse intitolato: 'La poesia di Natale che preferisco'. Ecco, quello mi aspettavo, da sempre. Sono passati lunghi anni, l'attesa si faceva più viva mano a mano che si avvicinava il 25 dicembre e ci venivano assegnati i 'compiti per le vacanze'. Alle asticciole con il pennino si sono sostituite le penne stilografiche e poi le penne Biro. Poi, tutto col computer, una meraviglia, abbiamo dimenticato cosa fosse l'in-
chiostro e il calamaio, possibile che avessimo usato quei rudimentali attrezzi per imparare a scrivere? ma i temi proposti, stavolta a figli e nipoti, nella sostanza, sono stati sempre gli stessi. Solo una volta, una maestra ha accennato a Gianni Rodari e ha proposto il seguente testo: “Cosa ci sta a fare un indiano nel Presepe?” Ci avvicinavamo, non eravamo mai stati così prossimi a parlare delle poesie di Natale e, soprattutto, della Poesia per eccellenza che io volevo illustrare e che, da sempre, ha portato in sé il senso del Natale e alcuni aspetti che meritavano di essere sviluppati e risolti perché io, da solo, volevo esternare tutto il mio sentimento, tenuto dentro per tanti anni... Allora, ve lo dico, alla fine, che la mia poesia preferita, tra tutte quelle di Natale (e sono tante, veramente: potremmo fare una Hit Parade nella quale, al terzo posto, c'è la poesia di Gozzano col Campanile che scocca lentamente le ore e al secondo posto Le Ciaramelle, con quei versi meravigliosi '...suono del nostro dolce e passato pianger di nulla.' ma al primo posto, in vetta da sempre ci sono 'Le pittule' di don Franco Lupo che mi hanno accompagnato, con la loro fragrante semplicità, per tutta la vita. Anche se
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Don Franco Lupo (fonte: Portalecce)
non sono riuscito a scriverlo mai in un tema, è questo il testo natalizio per eccellenza, da recitare davanti al Bambino, appena posto nel presepe, circondati da tutti i luoghi comuni del Natale di noi salentini: i dolci, i regali, i pigni, i pupi, l'albero con le luci, l'odore di cannella, magari qualche botto per strade, un diffuso odore di bucce di mandarini. E le pittule, naturalmente. Con un paio di connotazioni e riflessioni che volevo rivolgere ai più grandi, a quelli che sanno tutto. Primo argomento: ma il termine 'frusculieddhu' io l'ho letto solo in questa composizione, non l'ho mai sentito pronunciare in un discorso in dialetto 'dal vivo'. Possibile che un appellativo così evidentemente gentile e commuovente, sia sparito del tutto dal nostro bel dialetto? E poi, alla fine, c'è l'offerta della 'pittulicchia' al bambino: un bellissimo quadretto che sintetizza l'ingenua, accorata volontà del piccolo protagonista di comunicare amicizia e
condivisione al Bambino appena nato. ma, caspita, mi dicevo, un piccolo essere umano appena nato, potrà mai accettare una pittula che, sia pur piccola, è pur sempre composta da frittura in olio bollente? Non gli farà male? E il Bambino non si metterà a strillare come ha fatto il figlio piccolissimo di un amica di mia madre quando gli accostai, in generosa offerta, una caramella succhiata che mi piaceva moltissimo? No, no che il senso sta tutto nel verso che accompagna l'offerta: autru nu tegnu. E subito immaginiamo la stanza spoglia e povera dove però ci sono le pittule, a creare l'atmosfera di Natale. E cosa c'è di meglio per un bambino povero che quell'offerta illuminante? Ah, che bel quadro, che meraviglia che ha saputo rievocare don Franco... E non c'è equivoco o un facile commento scherzoso, come in quella bellissima poesia del Carducci, Pianto antico, che tutti aspettavamo dove il poeta scrive: 'sei nella terra fredda, sei nella terra negra' e ci
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La poeia
chiedevamo se non fossero 12 i figlioletti seppelliti, a sei a sei, dal bravo Giosuè che avrebbe potuto scrivere 'stai' invece di 'sei' e si sarebbe risparmiato le risatine e gli ammiccamenti di migliaia di studenti, nei secoli... ma poi, mi dico, queste osservazioni non hanno più ragion d'essere, perché queste poesie non vengono più imposte agli scolari, le nuove generazioni vengono su senza conoscere nulla della Cavallina Storna o del Giuramento di Pontida, senza sapere come è il 'mereggiare pallido e assorto' e quale sia la predilezione della donzelletta che vien dalla campagna e cosa ne faccia dei fiori che raccoglie... Però, le pittule di don Franco, sono sempre nel mio cuore e ho cercato 'frusculieddhu' nel vocabolario leccese italiano del Garrisi. Dice: fanciullo vispo,care e simpatico. Frugoletto. Nel dizionario del Rohlfs, non c'è e nel raro vocabolario della Attisani Vernaleone neanche. ma il termine è graziosissimo e lo serbo dentro di me, con amore...
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La cartapesta leccese, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
L’antica tradizione deLLa cartapesta Leccese Sara Foti Sciavaliere
“ Storie l’uomo e il territorio
Una lavorazione minore divenuta artigianato d’eccellenza
C
”
’erano una volta (a partire dal XVIII secolo)… e ci sono ancora, sparse tra i vicoli, le vie e le corti del cuore barocco di Lecce, le botteghe della cartapesta. Una tradizione dalle radici partenopee che si afferma a Lecce nella produzione di statuaria sacra. Nelle botteghe dei mastri cartapistari di Napoli venivano prodotte opere per lo più d’ispirazione religiosa e da lì queste giunsero in Terra d’Otranto su richiesta di eminenti ecclesiastici e dell’aristocrazia locale, convinti del prestigio che derivava dalla presenza di manufatti di una tale qualità e raffinata fattura esposti all’interno dei loro edifici. La fioritura delle produzioni di cartapesta nel Salento si verifica principalmente alla fine dell’interdetto (1711-1719), che aveva costretto all’i-
nattività gli operatori dell’edilizia sacra in città, alcuni di essi - tra i quali lo scultore di pietra leccese Cesare Penna - si erano dedicati a lavori di stucco. Quest’ultimo tipo di lavorazione mostra delle evidenti affinità di tecnica con la lavorazione della cartapesta, come dimostra la decorazione interna della chiesa di Santa maria della Nova, a Lecce, dove otto figure angeliche, in cartapesta monocroma collocate sull’architrave, non si distinguono dagli stucchi delle cornici, dei capitelli e degli altri elementi decorativi. Documenti, fonti storiche e le opere del tempo riconoscono a mauro manieri, scultore e architetto leccese, il merito di aver conferito alla locale produzione di cartapesta la dignità di arte autentica e originale. Alla lezione di
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Storie l’uomo e il territorio
La cartapesta leccese, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
manieri si rifà Pietro Surgenti, detto anche mesciu Pietru te li Cristi, il primo cartapestaio leccese ufficialmente riconosciuto grazie alle fonti documentarie che accreditano la sua produzione. Tra la prima e la seconda metà del XIX secolo si assiste all’introduzione di alcuni barbieri nel mondo dei cartapestai: di fatto, i primi trasformarono, nelle ore di inattività, le loro botteghe in veri e propri laboratori di terracotta prima e di cartapesta poi. La loro produzione e la qualità dei loro manufatti era da considerarsi marginali rispetto a quelli dei cartapestai, in quanto si dedicavano alla modellature solo i momenti di ozio e dunque non c’era un costante impegno che permet-
teva di migliorare e affinare la loro tecnica: le botteghe dei barbieri diventano soprattutto dei laboratori di pupi da presepe, esposti durante la fiera detta dei “Panieri di S.Lucia”. Se la statuaria sacra e devozionale ha animato le numerose botteghe nate nel centro storico del capoluogo salentino, non si può non ricordare un’altra testimonianza di questo artigianato: un unicum in tutta la Puglia è il controsoffitto della Chiesa di Santa Chiara, composto per i suoi 300 mq di elementi modulari in cartapesta, lavorati e dipinti a imitazione dei cassettoni lignei visibili in molte altre chiese barocche della città e dei dintorni.
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Per realizzare una statua in cartapesta leccese si parte dall’anima della statua che è uno scheletro in fil di ferro di grosso diametro, rivestito di paglia legata con lo spago o il filo di canapa a creare un modello anatomico sul quale si andranno ad associare
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A testimonianza di quest’artigianato di eccellenza è possibile visitare il museo permanente della cartapesta, allestito in alcuni ambienti a piena del Castello Carlo V, in particolare la galleria sotto il portico settentrionale che affaccia sulla piazza d’armi. Le opere esposte fanno parte del patrimonio artistico in cartapesta della chiese leccese di Santa maria della Vergine, detta della Nova, e altre provengono dalla chiesa di San Giovanni di Dio e dall’attiguo Istituto margherita di Savoia, già convento dei Frati Fatebenefratelli. Si possono ammirare opere d alcuni maestri storici della città, da malecore a Indino, da manzo a Guacci e Capoccia, per fare alcuni esempi. Due vetrine del museo poi mostrano gli strumenti e le fasi di lavorazioni.
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mani, testa e piedi di solito in terracotta, e poi aggiungendo il rivestimento di cartapesta. I fogli di cartapesti, provenienti dalle cartiere di Amalfi, vengono frammentati in piccoli pezzi che saranno incollati utilizzando quella che in dialetto viene chiamata “ponnula”, ossia la colla di farina, alla quale viene aggiunto il solfato di rame per il suo valore antisettico, preservando la scultura dall’eventuale aggressione di insetti attratti dalla farina della colla. Si passa dunque alla vestizione: pezzi di cartapesta più grandi vengo bagnati con la colla di farina e modellandoli sul manichino, si dà forma agli abiti della statua. Dopo l’essiccamento - che avviene a circa 30° in ambienti chiusi in inverno e all’aperto in estate -, sarà dunque la volta della focheggiatura: si usano dei ferri arroventati nella carbone e si passano con brevi pressioni sulla statua, eliminando eventuale imperfezioni dei panneggi dell’abito e in generale liscia a fuoco la superficie, uniformando i vari strati sovrapposti e lavorati in fase di vestizione. Seguirà la gessatura - con vari strati di gesso Bologna e colla di coniglio, fino a uno spessore di 1cm -, levigata poi con carta vetro a grana sottile, e quindi la coloritura che prevede una prima stesura di colori a tempera e una seconda ad olio. Un processo di lavorazione che si ripete da secoli nelle botteghe dei cartapestai di Lecce, immutato, fedeli alla tradizione. ma qual è il cammino che sta percorrendo questa tradizione e verso dove può muoversi? Ho voluto chiedere la sua opinione a uno dei nostri maestri cartapestai, marco Epicochi. Leccese, classe 1974, ha iniziato con il nonno, maestro puparo (produceva i pupi di terracotta per tutto l’anno e poi li esponeva per la Fiera di S.Lucia). Il nonno ha poi voluto che il nipote marco imparasse altre tecniche presso altri maestri (la cartapesta con malecore e Indino) e la scultura della pietra leccese (da marcello Gennari e Luigi Russo). Si è quindi diplomato in scultura all’Istituto d’Arte “Pelle-
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- Dunque, Maestro, a suo avviso, la produzione in cartapesta oggi mantiene il passo con la modernità conservando le proprie peculiarità o per sopravvivere andrà incontro a un processo di adattamento dei materiali e delle tecniche?
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m.E.: C’è in effetti un uso di materiali diversi da quelli della tradizione ma che si associano a quelli del passato, è un modo per sperimentare, ma la cartapesta non si può sostituire per la sua resa in lavorazione. Nella mia personale esperienza professionale, i materiali si conservano, tuttavia non nego che ci sia uno sguardo nel passato ma guardando al futuro, così nelle mie opere i vecchi canoni della cartapesta si incontrano con l’arte contemporanea, soprattutto nel drappeggio degli abiti e nella modellazione dei volti. -Si tratta di un mestiere di bottega, ma la verità è che ad oggi non si prospetta una continuità con nuove generazioni di giovani artigiani che possano subentrare ai cartapestai in attività. Quale potrebbe essere la strada da intraprendere per permettere alla tradizione di essere trasmessa e tramandata e non rischiare di estinguersi? m.E.: Sarebbe importante partire dalle
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grino” di Lecce. Frequenta poi per qualche anno l’Accademia di Napoli, dove studia la lavorazione della terracotta, per tornare nella sua città e collaborare con i maestri malecore e mari Di Donfrancesco. Aprirà la sua bottega, in Piazza Duomo, il cuore religioso della città, nel 1999, e lo troviamo ancora lì, vantando committenze principalmente ecclesiastiche, ma pure private a fini devozionali; commitenze italiane ed estere: per fare alcuni esempi, a Betlemme, per il Santuario di S.Caterina d’Alessandria, una statua della santa; un San Nicola per la Cattedrale di Tirana; un bassorilievo di San Carlo con l’apparizione della madonna per la Cattedrale di Berlino.
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scuole, magari quelle professionali (quella che un tempo era detta la “Suola dell’Edilizia”), per formare così nuove generazioni che possano così scegliere di intraprendere questo mestiere, che deve essere anche un passione. Èvero che c’è per esempio presso l’ex Società Operaia, la Scuola maccagnani, dove si svolgono corsi sulle tecniche dell’artigianato, ma si tratta di corsi amatoriali, dove manca il fine professionalizzante. Non c’è dubbio che la modalità migliore per trasmettere quest’arte sarebbe la gavetta, l’apprenditato in bottega: però se una volta c’erano le grandi botteghe che formavano e davano poi lavoro, la verità è che oggi non si riesce più a tenere un apprendista in bottega, e spesso sono le leggi che non lo consentono più. Se magari le istituzioni locali, pro-
grammando interventi e piani appositi ( ma di fatto, non solo sulla carta) venissero incontro alle incombenze economiche, forse questo sarebbe già un possibile inizio. Per chiudere, Maestro, mi conceda la curiosità e una domanda un po' pettegola. Tutti i mestieri hanno i loro segreti, quei piccoli "trucchi" spesso maturati nell'esperienza e trasmessi dal maestro all'apprendista, come una preziosa eredità da consegnare e custodire gelosamente, è così anche per i cartapestai?Al di là della pratica ufficialmente condivisa, possiamo dire che, perizia ed esperienza a parte, possono esserci quei piccoli segreti a garanzia di un'opera finita di sicura qualità? m.E.: Decisamente sì. ma se ti aspetti
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che adesso ti riveli quei segreti, non potresti uscire poi dalla bottega (afferma serio, sospendendo per un attimo il suo lavoro e guardandomi con fare di finta minaccia - n.d.a.) Comunque, per quel che mi riguarda, quei piccoli trucchi che ho fatto miei li ho più che altro acquisiti con la mia personale esperienza, studiando e analizzando le opere dei maestri del passato cercando di carpirne, appunto, i segreti, quindi non tanto per una trasmissione diretta delle conoscenze. Ad esempio, nella fase di modellazione dell’anima della statua, ho imparato a usare dei materiali che, per la loro composizione, hanno in sé delle proprietà antisettiche, preservando quindi la statua dagli insetti, in aggiunta agli altri espedienti già noti nella tradizione. Va anche specificato la condivisione
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dei saperi purtroppo non avviene tra i maestri, tra i quali vide una sorta di rivalità che si può considerare anch’essa parte della tradizione stessa. Lascio il maestro Epicochi a rimestare la “ponnulla” nella pentola, il miscuglio di acqua e farina (con un pizzico di sale) si sta addensando, per poi essere usato per inumidire i pezzi di cartapesta e modellare una nuova opera che prenderà forma, in quella bottega che guarda piazza Duomo, dove a breve sarà allestito il grande presepe con le strutture in conci di calcare e le statue in cartapeste, a salutare fedeli e visitatori che nel periodo di Natale raggiungeranno la cattedrale.
Alcuni momenti delle riprese, foto di Luciano Greco
aurum, La Fabbrica deL pensiero creativo Antonietta Fulvio
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Si sono concluse il 7 luglio le riprese del mediometraggio inserito nel piano Estate 2021. Intervista al regista Luciano Greco
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Un manipolo di giovani studenti, un pizzico di mistero, una inedita caccia al tesoro i cui indizi sono disseminati nel territorio di Galatone. Sono questi i presupposti del mediometraggio - progetto inserito nel Piano Estate 2021 dell’ IISS ‘E. medi’ di Galatone “La fabbrica del pensiero creativo- percorsi di ricerca digitale nelle arti” che ha visto alcuni allievi dell’ Istituto incontrarsi in piena estate per le riprese di “Aurum”. Firma la regia e la sceneggiatura Luciano Greco fotografo, regista e video maker, già autore di numerosi audiovisivi di rilievo tra i quali “La macchinina rossa e blu” cortometraggio ideato per la compagnia dell’Arma dei Carabinieri. La presentazione ufficiale è prevista a fine gennaio, ma abbiamo avuto il piacere di vedere in anteprima il lungometraggio e di parlarne con il regista che ringraziamo per l’esclusiva.
nelle arti”. I ragazzi delISS Medi di Galatone quest’estate sono stati coinvolti in una singolare avventura cinematografica che ti vede coinvolto come regista e sceneggiatore. Come è nata l’idea di Aurum legata a doppio filo con la vita di Antonio de Ferraris detto il Galateo? Quando il Prof. Gianluigi Antonaci dell’I.I.S.S. medi di Galatone mi ha coinvolto in questo progetto estivo, da subito ho pensato che l’approccio con dei ragazzi, che erano rimasti chiusi per più di un anno a causa della pandemia, sarebbe stato necessariamente diverso. Infatti l’idea di spiegare come si realizzasse un film, dal soggetto alla scrittura, dalla fotografia alle riprese, fino alla parte finale di montaggio ed editing, avrebbe scoraggiato la maggior parte di loro e dopo poco non avrebbero più partecipato. Da qui l’idea, di fargli vivere una storia cinematografica, immergendoli direttamente nelGrazie al progetto “La fabbrica del pen- la realizzazione, scambiandosi i ruoli, di volsierocreativo- percorsi di ricerca digitale ta in volta, tra cine-operatori e tecnici del suo-
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Alcuni momenti delle riprese, foto di Luciano Greco
no, tra segretaria di edizione e fotografi, oltre ovviamente ad essere ripresi nelle varie scene come attori. “Aurum” nasce quale sintesi di studio e di ricerca della storia galatea, prendendo spunto dal cinquecentenario del Santuario del SS Crocefisso, che coincide come periodo storico con quello di Antonio De Ferrariis e di Leonardo Da Vinci. L’analisi di vari testi, scritti da numerosi studiosi contemporanei del “De situ Japigie”, proprio del De Ferrariis, mi ha permesso di imbastire una storia che raccontasse molti tesori celati nelle bellezze della nostra cittadina. Tra finzione e realtà, è venuta fuori questa sceneggiatura che è stata accolta con entusiasmo dai ragazzi che l’hanno quindi interpretata e realizzata.
Leuzzi di Galatone, ho bene in mente il ricordo degli occhi intimoriti di una quindicina di ragazzi di varie età e classi, che a malapena si conoscevano, con il volto coperto dalle mascherine. Un anno di DAD aveva evidentemente lasciato il segno. Era fine Giugno, finalmente le restrizioni governative si allentavano e permettevano di potersi incontrare; ed è così che abbiamo iniziato piano piano a riprendere la fiducia, il contatto. Una specie di “provino” per vedere chi tra di loro potesse interpretare i vari personaggi, ha finalmente sciolto il ghiaccio. C’era l’appassionato di musica, di teatro, di lettura e scrittura, ma anche chi non aveva idea del perché si trovasse lì! Il solo gusto di vivere un po' di normalità evidentemente aveva colto nel segno. Davanti alla lettura della sceneggiatura, poi Come è stato il primo giorno delle riprese sono nati i primi sorrisi. Il testo piaceva, ora quando i ragazzi si sono incontrati dopo però bisognava trasformarlo nella magia deltanto tempo di clausura e di Dad? la finzione, per farlo sembrare realtà. Il primo giorno che ci siamo ritrovati faccia a faccia, a cerchio, nella corte del Palazzo I protagonisti sono stati coinvolti total-
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mente nel progetto non solo in qualità di attori. Qual è il valore aggiunto che la ricerca digitale delle arti può apportare ai giovani studenti?
fotografia, oppure complessa come quella di un prodotto audio-visivo. L’arte in tutte le sue forme espressive, ha bisogno solo di buone idee e la tecnologia digitale oggi può essere un ottimo strumento di ricerca ed approfondimento. Il fatto che fossero presenti dei ragazzi con disabilità, aiutati proprio dalla tecnologia, ha reso tangibile l’esempio di come si possano abbattere molte barriere, includendo e raggiungendo, finalmente tutti.
La tecnologia è uno strumento straordinario. Oggi l’informazione è a portata di chiunque: la bellezza di un dipinto, di un’opera teatrale, il testo di un libro, è tutto digitale, tutto disponibile, tutto a portato di tocco di polpastrello! Il percorso che i ragazzi hanno fatto è servito proprio a renderli critici e consapevoli di Fulcro di Aurum è il territorio di Galatone come si veicoli un messaggio tramite l’imma- che i ragazzi hanno riscoperto... quali gine. Che sia essa sintesi, in una singola sono i luoghi “interessati”.
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Alcuni momenti delle riprese, foto di Luciano Greco
Senza svelare troppi particolari che “spoilerebbero” la visione del mediometraggio, posso dire che ci sono molti luoghi di culto della cittadina, ma soprattutto alcuni di cui si è persa memoria. Quello che più mi ha entusiasmato è stato, senza dubbio, l’Abbazia di San Nicola di Pergoleto. Non tanto per il valore storico o architettonico ma per quello che ho scoperto all’interno! Sancti Nicolai Parvulorum, “San Nicola dei Pargoletti”, il Santo protettore di Bari per intenderci, ecco, ritrovarlo in un affresco popolare che raffigura il Santo che salva tre pargoletti dalla morte per mano di un macellaio, all’interno di questa Abbazia e capire finalmente l’origine dell’adorazione dei bambini nei suoi confron-
ti, con la successiva mitizzazione in Babbo Natale… beh è stato veramente fantastico! Nel film ci sono anche comparse d’eccezione.... Non finirò mai di ringraziare tutti coloro che hanno partecipato. La maggior parte di loro sono stimati professionisti, persone che hanno “dato” tanto alla comunità e che continuano a farlo in tanti ambiti (culturale, educativo, religioso), non ultimo il Sindaco pro-tempore di Galatone. Un cadeau particolare è stato riservato al Prof. Vittorio Zacchino, uno dei più autorevoli cultori del “Galateo”, che ci ha omaggiati con un suo scritto il cui estratto è stato riportato alla fine del film.
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Quando sarà proiettato per la prima volta? Hai pensato di farlo concorrere a qualche festival? Se non ci saranno problemi, è molto probabile che verrà posto in visione all’interno del teatro di Galatone a fine gennaio per poi fare un viaggio itinerante nei diversi poli scolastici. Sicuramente il film concorrerà in qualche festival, sperando di portare un po' di colore dell’Oro di Galatone in giro per l’Italia.
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Lu mière caLici di cinema aL via La nuova stagione Giovanna Ciracì
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Al via nel giorno di San Martino la rassegna ideata da Antonio Manzo che porta il cinema e nei borghi più belli del Salento
”
R
iparte la rassegna cinematografica Lù Miére Calicidicinema con il cartellone 2021-2022 "Tutti i colori del cinema". Quest’anno la manifestazione, ideata e diretta da ben nove anni da Antonio Manzo, guida turistica e promotore culturale, con lo scopo di unire il cinema d’autore ai vini prodotti dalle migliori aziende vitivinicole locali, toccherà diversi luoghi caratteristici del Salento, facendo tappa nelle location di coloro che da anni sostengono il progetto. Ed è proprio dalla cantina Vinicola Palamà di Cutrofiano (Le), uno dei main sponsor della rassegna, che si parte l’ 11 novembre 2021, in una delle ricorrenze più vicine al mondo enologico, quella di San Martino, giorno in cui, secondo la tradizione, “ogni mosto diventa vino”. Sarà il film “La grande abbuffata” , girato da Marco Ferreri nel 1973 a essere
proiettato negli spazi accoglienti dell’azienda salentina. Si prosegue il 10 dicembre 2021 con "Una squillo per l'ispettore Klute (Klute)” di Alan J. Pakula, prodotto nel 1971 e di cui si ricorderanno i 50 anni dell'uscita. Ad accogliere il secondo appuntamento sarà il nuovo contenitore culturale "Spazio Emme" in via Arte della Cartapesta,8, a Lecce, luogo innovativo che propone eventi, come seminari e corsi di ogni genere, in maniera inedita. Dopo la pausa natalizia, sarà invece lo storico Centro Studi "Chora-Ma" di Sternatia (Le), che in passato ha addirittura premiato Antonio Manzo dal compianto Donato Indino per il saper veicolare cultura in itinere tramite vino e cinema, a ospitare il terzo incontro in programma l’11 febbraio 2022 con "Profumo di donna", che Dino Risi girò nel 1974. Sarà l’occasione per ricordare i
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cento anni dalla nascita di Vittorio Gassman, protagonista del film. Una sorta di preludio all’imminente serata di San Valentino, dedicata ai sentimenti amorosi. Lù Mière Calicidicinema omaggerà anche il mondo femminile nel giorno dell’8 marzo 2022 con "L'uomo che amava le donne", uno dei capolavori di François Truffaut, del 1977 e celebrando quindi la festa delle donne nell’enosteria "Vite Colta" di Felline (Le). La parte primaverile della stagione si apre il 21 aprile 2022 con il ritorno nella sede di "Spazio Emme" di Lecce, in cui verrà proiettato "Il cappotto", in occasione dei 110 anni dalla nascita di Renato Rascel, il maggiore
interprete di questa pellicola girata da Alberto Lattuada nel 1952. Gran finale il 20 maggio 2022 con "Splendori e miserie di Madame Royale", con cui si renderà invece tributo ai 100 anni dalla nascita di Ugo Tognazzi, con questo lavoro firmato da Vittorio Caprioli, del 1970, e che sarà proiettato nel suggestivo Palazzo Brunetti, nel cuore del centro storico leccese. Ogni serata avrà inizio alle 20.30, e, come di consueto, sarà accompagnata dalla degustazione di vini tipici salentini. Info: 320 2185491 (whatsapp) o inviare messaggio alla Pagina fb Lù MIÈRE calicidicinema.
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daria paLotti un’artista artigiana Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
”
«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
" “L'arte è l'espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice” (Albert Einstein)
Come è noto, una cosa è l'arte ed un'altra il mercato dell'arte. Questo mese Curios(Arte) tralascia artisti commerciali, magari già inseriti in contesti highbrow internazionali, per raccontare il mondo, le suggestioni e le creazioni di una poliedrica ed indipendente Artista Artigiana (nella migliore accezione di entrambi i termini) che vive e lavora in Toscana: Daria Palotti. Un percorso artistico intrapreso sin da
piccola per passione, vocazione e predisposizione, e proseguito negli anni con appassionata consapevolezza. Il suo sito (http://www.dariapalotti.it/) ed i suoi canali social compendiano in maniera efficace il percorso artistico e lo status professionale: "Daria Palotti nasce il 3 marzo del 1977 a Pontedera. Diplomata all'Accademia delle Belle Arti di Firenze in Scenografia nel 2002 intreccia l'attività artistica con quella
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Daria Pallottti, Lacrime di libellula
pedagogica, conducendo laboratori di pittura, modellazione di creta, cartapesta oltre che teatro e arti circensi, parallelamente alla produzione di opere pittoriche, manifesti, scenografie e sculture in ceramica e marmo. Segue per diversi anni un percorso formativo da illustratrice che la porta alla pubblicazione di 10 libri illustrati per bambini". Attualmente, oltre che nell’arte, è anche impegnata sui fronti dell’istruzione e dell’attivismo sociale. Negli ultimi anni fa della produzione artistica la sua attività principale esponendo con regolarità in mostre personali e collettive. Ho conosciuto per la prima volta questa artista grazie a Graphiste, un progetto espositivo itinerante a cura di Rossana Calbi, dedicato all'arte al femminile; uno dei lavori di Daria Palotti veicolati da Graphiste, "Lacrime di libellula", è ancora, nonostante gli anni trascorsi, un' opera che continua ad emozionarmi: definite labbra color ciliegia, occhi cupi e profondi di malinconia ma al contempo di speranza, eteree lacrime di libellula che incorniciano ed invadono i contorni e l'incarnato del viso della figura, appena tratteggiati dalle sfumature dell'acquerello, quasi come se la protagonista dell'immagine (o del
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CURIOSAR(T)E
Daria Pallotti, Talia o Aprile (foto di Marco Bruni)
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Daria Pallotti, Biancaneve nel bosco
sogno?) fosse stata immortalata pochi istanti prima di una meravigliosa dissolvenza fisica, mentale ed emozionale. Ci sono opere d’arte che toccano corde intime e Daria Palotti è in grado di crearle: la sua produzione artistica spazia dall’acquerello alla pittura su carta, tela o murale, dalla scultura in ceramica alla creazione di oggetti con materiali di recupero, ecc; dalle sue opere emerge una peculiare sensibilità femminile, che racconta i pensieri, le evoluzioni e le sfaccettature di vita, esperienza e pensiero dell’artista, che, grazie alla sua originale cifra artistica, li fa assurgere ad archetipi universali del percorso di crescita ed interazione di ciascun essere umano. Il fondamento dell'approccio al linguaggio della PNL è il principio secondo cui “la mappa non è il territorio”, ovvero ciò che noi crediamo sia la realtà, è invece la rappresentazione personale
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Daria Pallotti, Lady cat e Maschera coniglio
che abbiamo della stessa, alla luce del nostro personale sistema rappresentazionale, percettivo e culturale: similmente, le opere di Daria Palotti sono la rappresentazione del mondo reale ed immaginato dell’artista, una realtà soggettiva che, contaminata da un macrocosmo gnoseologico, esperienziale ed emozionale che affon-
da le sue radici nel pop surrealismo/lowbrow e nei temi e dinamiche cari a questi “filoni artistici”, esita in opere a tratti fiabesche ed a tratti disturbanti, se non entrambe le cose insieme e che rappresentano sempre multiformi alter ego emozionali dell’artista. Occhi chiusi che si abbandonano al sogno, al raccoglimen-
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to, alla introspezione oppure occhi spalancati per accogliere il mondo ed interagire con l’interlocutore: le protagoniste ed i protagonisti delle creazioni dell’artista sono sognanti, ma spesso anche strani ed affascinanti, pronti ad incuriosire e stimolare reazioni mentali ed emozionali in chi li osserva e la loro semplicità, di colore e lineamenti, ne arricchisce la valenza comunicativa. A Vicopisano, il paese dove l'artista vive, in via Lante, a due passi dalla splendida Torre dell'Orologio e dalla biblioteca comunale, nel giardino comunale dedicato alla scrittrice, saggista e filosofa britannica mary Shelley, da qualche anno viene ospitato il suggestivo busto in terracotta dedicato alla scrittrice e realizzato proprio da Daria Palotti: il retro del busto ospita la raffigurazione di un libro sui cui è incisa questa frase, tratta dal libro Franken-
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stein: "la vista delle cose belle e maestose della natura ha davvero sempre l'effetto di calmare la mia mente e causarmi il dimenticare delle preoccupazioni che passano nella vita". In una sua recente intervista, Daria Palotti ha detto che la sua aspirazione è … “fare solo arte, vivere di arte, produrre arte. E aver sempre voglia e stimoli, di fare arte, e di migliorare sempre” …. l’augurio è che continui a farlo e ad emozionarci con le sue opere. Per seguirla sui social i riferimenti s o n o : https://www.facebook.com/dariapal o t t i p a g e ; https://www.instagram.com/daria_pa lotti/?hl=it; http://www.dariapalotti.it/
iL corpo e L’essenza FemminiLe neLLe opere di gaia di Leo Antonietta Fulvio
A Lecce nelle sale dell’Osteria 203 fino al 15 gennaio 2022 per declinare arte e gusto
LECCE. È possibile coniugare arte e sapori? è quanto accade nell’Osteria 203 dello chef michele micati, a Lecce in viale Lo Re, che periodicamente ospita giovani artisti che vestono di segni e colori le pareti del locale. In un continuum, senza soluzione di continuità, arte e gusto, perché se è vero che è un’esigenza primaria per il corpo alimentarsi lo è altrettanto per l’anima cibarsi di arte e di bellezza. E questi ultimi anni di pandemia hanno dimostrato, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto sia vitale l’apporto delle arti nelle nostre vite. E sicuramente vitali e intrise di energie sono le opere della giovane artista Gaia Di Leo, studentessa al terzo
anno dell’Accademia di Belle Arti di Roma, giovane promessa della pittura e del design le cui opere sono in esposizione fino al prossimo 15 gennaio 2022. Una serie di lavori che spaziano dalle tecniche artistiche più diverse, dalla digital art, alla pittura, alla fotografia stampata su forex su cui l’artista interviene successivamente con acrilici e foglia oro. Tra le opere che è possibile ammirare, troviamo il trittico, ideato per il concorso “Dante Accademy” organizzato dalla galleria margutta, inedite riletture del poema dantesco realizzate dagli studenti dell’Accademia romana. Non è presente l’opera con la quale Gaia Di Leo ha vinto la sezione dedica-
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Gaia Di Leo, Origin in Ne, 2021
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ta al Purgatorio, ma sono presenti tre tele dove la figura umana, racchiusa su se stessa metafora di dannazione (Inferno), è colta poi in una fase di slancio verso la luce (Purgatorio) fino alla “dematerializzazione” in “Haeven can not” in cui lo spazio pittorico occupato da due grandi ali sulle quali si chiude un’aureola, sintetizza il concetto, rimarcato dalla stessa frase, suggerendo che se l’inferno (spesso) lo viviamo già qui sulla terra possiamo rimandare appunto l’appuntamento con il Paradiso... Le altre opere in mostra indagano il tema del corpo e dell’identità della donna. E mentre orientali atmosfere rievoca l’opera “me and myself” in cui predominante è il tema dell’essenza femminile, nella serie “Capelli di Venere” l’artista ancora una volta con i suoi acrilici indaga il corpo femminile e il tema dell’erotismo cogliendo la donna in pose sensuali ma mai volgari. A parte la sperimentazione di tecniche e nuovi materiali, come la stampa su plexigas e le installazioni luminose, sono davvero intriganti, e denotano una forte personalità, i lavori in
cui Gaia Di Leo ritrae se stessa compiendo una trasposizione da soggetto a oggetto d’arte. In “fade” (stampa su tela) interviene con acrilici e foglia d’oro che, quasi come una pioggia, copre particolari del corpo di una contemporanea “Danae” mentre in “Origin” e “Origin in Ne” (con un particolare effetto luminoso che trasforma l’opera in oggetto di design) è la donna a ricevere la “mela” del peccato ribaltando il concetto atavico che associa la tentazione al genere femminile. In “Holy me”, immagine che è anche stata utilizzata per il progetto “Le vittime del silenzio” (campagna di sensibilizzazione contro la violenza di genere), la posa dell’artista è raggomitolata mentre la testa è circondata da una sorta di aureola fatta di ideogrammi, segni che alludono al simbolico e alla creatività che avvolge la figura femminile: una donna che si abbraccia, dunque, perché è una donna che si ama, conditio sine qua non per l’autodeterminazione. In fondo amore genera amore e solo amando se stessi si può arrivare ad amare anche gli altri.
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Particolari dell’allestimento nell’Osteria 203 di Lecce, l’artista Gaia Di Leo; nel riquadro “Capelli di Venere I
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reportage fotografico di Antonio Giannini
via vandeLLi antica strada nuovo cammino
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Il percorso escursionistico nel cuore degli Appennini
Girovagando
”
“Era dal tempo dei romani che un opera del genere non veniva progettata e realizzata”. Questa la frase contenuta nella bella guida curata da Giulio Ferrari (ed. Terre di mezzo) che dà meglio l’idea ai più dell’importanza e della grandiosità di questa opera. La strada che da modena o Sassuolo potava a massa fu fortemente voluta dal Duca Francesco III D’Este e progettata dallo scienziato cartografo Domenico Vandelli (inventore fra l’altro delle isoipse o curve di livello, che
ancora oggi rimane il metodo più efficace per leggere le mappe) e racchiude in se arditezza e ingegno, dovendo arrampicarsi sul fianco degli Appennini, valicare passi ed essere dotata delle infrastrutture al servizio dei viaggiatori. L’idea della strada, concepita per collegare la capitale modena al mar Tirreno, reca in se tutta la carica e la tensione di un mondo ormai incamminato da tempo, a partire dall’illuminismo, verso la modernità. La Via attuale, come percor-
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so escursionistico, segue il tracciato della strada antica e a volte ne percorre ampi tratti attraversando borghi straordinari valli e montagne ed io, che da tempo covavo il
desiderio di percorrerla, sono partito nel mese di settembre in solitaria ma con la certezza di trovare altri compagni per strada.
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Girovagando
reportage fotografico di Antonio Giannini
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Girovagando
reportage fotografico di Antonio Giannini
E il debutto non poteva essere più spettacolare se, superato un arco stretto dal grande piazzale interno del palazzo ducale di Sassuolo ed oltrepassato una peschiera così sfarzosa da sembrare un teatro acquatico, alla vista non si aprisse lo spazio grandioso dell’enorme parco ducale. Attraversarlo è stata una ricompensa ed una promessa allo stesso tempo. La strada, all’inizio pianeggiante e monotona, ha cominciato lentamente ed in maniera quasi impercettibile a prendere quota su per la collina, tra covoni e casolari, campi coltivati, boschi ed alcuni borghi. Già dal primo tratto del un cammino, lungo la strada di crinale progettata da Domenico Vandelli, pensando a tutto quello che si frapponeva tra me e la meta, ho realizzato con maggiore consapevo-
lezza la portata straordinaria di quella opera e dell’impresa che andavo compiendo. Devo confessare che non ho rimpianto di essere in solitaria quando, già dai primi chilometri di strada, seppure questa via non sia ancora molto frequentata, ho conosciuto due viandanti del modenese con cui mi sono accompagnato attraversando tutto il Frignano ed alcuni luoghi simbolo come il castello di montecuccolo ed il ponte del Diavolo, il paese di monzone, immerso tra i boschi sulla collina modenese. L’allegria e lo stretto accento emiliano delle mie compagne di viaggio, le loro spiegazioni e i consigli in merito ad alcune specialità gastronomiche della zona, mi hanno calato completamente nello spirito dei luoghi che andavamo attraversando.
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Il nostro viaggio insieme si è concluso Alla Santona, piccola frazione di Lama mocogno, a circa mille metri di altitudine , ma il mio doveva continuare e il pensiero andava ai due passi di montagna ancora da superare, alle valli, ai paesi, ai villaggi da attraversare. Ero unico avventore quel giorno dell’albergo che mi ha ospitato e devo confessare che sulle prime ho sentito un senso di vuoto lasciato dall’allegrezza delle mie compagne di viaggio, ma questa sensazione è subito svanita grazie all’accoglienza veramente familiare, che non ti fa sentire un cliente, e dalla squisita cucina emiliana della casa. Al punto che ho deciso di rimanervi un altro giorno. E decisione non fu più saggia perché quella piacevole sosta mi ha anche permesso di stringere amicizia con altri due avventori dell’albergo giunti la sera successiva, che come me, in solitaria, percorrevano la Via Vandelli.
co? Abbiamo insieme continuato il nostro viaggio in quota sulla via boscosa camminando proprio sulla lastricata Via Vandelli per parecchi chilometri senza mai scorgere paesi, se non resti di antiche osterie prima di raggiungere, dopo uno strappo impegnativo, a circa 1600 metri di quota, il passo del Lagadello e subito dopo San Pellegrino in Alpe da dove, sul crinale tosco – emiliano, alla vista si è aperto lo spettacolo delle Alpi Apuane. Sarebbe bello poter descrivere nei particolari San Pellegrino in Alpe e le sensazioni provate nel vecchio ma sobrio e pulito alberghetto che ci ha ospitati, la sensazione di libertà ritrovata per la mancanza di collegamenti web e telefonici ( almeno per quanto mi riguarda), ma questa è un’altra storia ed il racconto deve andare avanti; e avanti, il giorno dopo, c’è la lunga discesa nella valle della Garfagnana verso il fiume Serchio in toscana il cui percorso Un veneto un toscano ed un ci fa attraversare i paesi più pugliese, così diversi e così suggestivi come Pieve Fosciauguali allo stesso tempo, uniti na, Castelnuovo, paese fortifidal medesimo desiderio del cato e capitale estense di quel cammino, dal desiderio di sen- territorio, Pontecosi sul lago e tirsi vivi nella natura, dal piace- prima di giungere a Villetta, re di percorrere la strada e di dove abbiamo pernottato, lo sentire tutto quello che è intor- spettacolare attraversamento no parte di se stessi, man del ponte ferroviario. mano che quel sentimento di La pioggia che ci ha sorpresi solidarietà e di appartenenza sul finire del giorno, non ci ha che accumuna tutti i viandanti abbandonati fino al pomerigprende piede. Non è fantasti- gio del giorno successivo,
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reportage fotografico di Antonio Giannini
impedendoci sul più bello di poter vedere sbucare il mare dietro la montagna dopo l’ultima lunghissima salita che, tra le alpi Apuane, ci ha portato al passo della Tambura, alla terrazza della finestra Vandelli e quindi al rifugio. ma come in un gioco di finzioni teatrali fatto a posta per stupirti al massimo grado, nel tardo pomeriggio, cessato di piovere, abbiamo potuto assistere dal rifugio Nello Conte allo spettacolo esclusivo, solo per noi tre, del cielo che si apriva lentamente , del gra-
duale emergere delle vette dal fondo lattiginoso delle nuvole , del successivo delinearsi e prendere corpo della montagna ai bordi della scena in un gioco prospettico lungo tutta la vallata fino al mare azzurro e scintillante. ma lo spettacolo non era finito e di li a poco, dopo cena, difronte alla volta stellata di un cielo non contaminato da luci artificiali che ti sembrava poter toccare con la mano, non ho potuto fare a meno di sentire tutta la gratitudine verso qualcuno, si chiami come si
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vuole non ha importanza, per avermi fatto dono di questo giorno; e mi sono sentito un privilegiato. Il giorno successivo ci attendeva l’ultima discesa verso il mare lungo tratti spettacolari della Via Vandelli, che per chilometri corre aggrappata sui fianchi delle Alpi Apuane, con i suoi terrazzamenti in pietra su cui scorrono i tornanti ancora oggi perfettamente lastricati. Piccole greggi di capre dal manto screziato l’attraversavano soffermandosi un po' a fissarci incuriosite e perplesse.
Il peso della lunghissima discesa si faceva sentire sulle ginocchia e le piccole soste ci hanno consentito di guardarci intorno e fissare nella mente la grandiosità e portata tecnica dell’opera perfettamente incastonata sui fianchi della montagna. All’arrivo a piazza degli Aranci a massa, in una Città silenziosa per l’ora meridiana e gli alterni scrosci di pioggia, sotto un portico del centro abbiamo insieme consumato l’ultima colazione che aveva il sapore amaro della solennità degli addii ma anche quello
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reportage fotografico di Antonio Giannini
irrinunciabilità. Della sua centralità nella storia degli uomini e dei mille porti dove si approda e dove si salpa “per diventar del mondo esperti”.
(Ringrazio i miei compagni di viaggio in particolare Monica, Angela, Davide, Roberto, le persone squisite che mi hanno accolto nelle loro strutture ricettive e presso i rifugi e non ultimo Giulio Ferrari che ha reso possibile e promosso questo cammino, unico nel suo genere, attraverso la sua ottima guida).
Girovagando
dolce di sentirci appagati ed arricchiti dell’avventura appena terminata e dalla nostra nascente amicizia. La Vandelli mi ha fatto vedere il mare sotto un’altra angolazione come mai l’avevo visto. Per me che vivo in una regione, La Puglia, circondata da 900 chilometri di costa, dove tutta la sua storia è un susseguirsi di conquiste subite da una moltitudine di popoli approdati su di essa e da dove si è sempre salpato per andare altrove, il mare è come un prolungamento della terraferma. Raggiungerlo dopo un cammino di 150 chilometri iniziato dalla pianura emiliana e durata sette giorni è stato come ritrovare una vecchia conoscenza di cui cominciavo a sentire la mancanza e, a vederlo li davanti, splendente come sempre, è sembrato che sornione mi dicesse della sua magia e
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raFFaeLLo e La domus aurea L’invenzione deLLe grottesche 23 giu 2021 – 07 gen 2022 Domus Aurea via Serapide nel parco del Colle Oppio Roma raffaellodomusaurea.it verona, gam Galleria d’Arte Moderna Achille Forti – Palazzo della Ragione Cortile Mercato Vecchio 6 – Verona Tel. 045 8001903 www.gam.comune.verona.it Facebook @GAMverona Instagram @museiciviciverona YouTube http://bit.ly/YouTubeIMUV Orarida martedì a domenica, dalle 10 alle 18. ultimo ingresso alle 17.15 chiuso il lunedì, biglietto: Intero: 4,00 € Ridotto: 2,5 € ottavio missoni (11 febbraio 192111 febbraio 2021) Museo MA*GA Gallarate, Via E. de Magri 1 Tel. +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 11.00 alle ore 16.00 Per visitare le mostre è preferibile prenotare al numero tel. 0331.706011. itaLiae. dagLi aLinari ai maestri deLLa FotograFia contemporanea fino al 10 ottobre 2021
inFerno fino al 13 marzo 2022 Scuderie del Quirinale Roms
iL mito di venezia. da hayez aLLa biennaLe Novara, Castello Visconteo Sforzesco 30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022 a cura di Elisabetta Chiodini
Fuori dai cori tre "quadri di tarsia" di Fra damiano zambeLLi da bergamo (1480 circa - 1549) A cura di Mark Gregory D'Apuzzo, Lorenzo Mascheretti, Massimo Medica Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini Strada Maggiore 44, Bologna 2 ottobre - 5 dicembre 2021 Inaugurazione venerdì 1 ottobre 2021 h 17.30 (prenotazione obbligatoria)
santiago caLatrava - neLLa Luce di napoLi - Chiesa di San Gennaro fino al 24 ottobre 2021 Reggia (secondo piano), tutti i giorni (chiuso il mercoledì) dalle ore 10 alle ore 17.30 Cellaio nel Real Bosco (venerdì, sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 16.00 ultimo accesso alle ore 15.30) / gratuito Chiesa di San Gennaro, Real Bosco (venerdì, sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 16.00 ultimo accesso alle ore 15.30) / gratuito Chiesa di San Gennaro via Miano 2, Napoli
a.r. pencK Museo d’arte Mendrisio Mendrisio, Piazzetta dei Serviti 1 24 ottobre 2021-13 febbraio 2022 www.mendrisio.ch/museo museo@mendrisio.ch tel. +41. 058.688.33.50 Orari: ma-ve: 10.00 – 12.00 / 14.00 – 17.00; sa-do e festivi: 10.00 – 18.00 lunedì chiuso, tranne festivi. Chiuso 24/25 dicembre 2021 e 1 gennaio 2022
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paesaggi possibiLi. da de nittis a morlotti, da carrà a Fontana Lecco, palazzo delle paure villa manzoni lunedì chiuso; martedì 10-13; mercoledì e giovedì 14-18; venerdì,sabato e domenica, 10-18 Villa Manzoni lunedì chiuso; martedì, 14-18; mercoledì e giovedì, 10-13; venerdì, sabato e domenica, 10-18 Biglietti: Intero: €10,00; Ridotto: €8,00; www.vivaticket.com Tel. 0341 286729
ieri, oggi, domani. itaLia autoritratto aLLo specchio Firenze, Forte di Belvedere Info e prenotazioni Tel. 055 2768224
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neLLe sommosse e neLLe guerre. gLi archivi miLanesi durante L’età napoLeonica 10.10.2021 31.01.2022 Milano, Archivio di Stato Orari: giovedì e venerdì, dalle 11 alle 12 e dalle 13 alle 14 Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria: https://bit.ly/PrenotazioneMostraAsmi. www.archiviodistatomilano.beniculturali.it Ferdinando scianna. non chiamatemi maestro Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11) 27 ottobre 2021 – 23 gennaio 2022 +39 02 36744528 www.stillfotografia.it/ #incursioni. un dialogo fra le opere della galleria nazionale dell’umbria e della Fondazione cassa di risparmio di perugia fino al 14 novembre 2021 Perugia, Palazzo Baldeschi al Corso (corso Pietro Vannucci, 66)
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
omaggio a virgiLio guidi con uno sguardo alla collezione Sonino 17 settembre 2021 - 7 gennaio 2022, Venezia Fondazione Bevilacqua La Masa San Marco, Palazzo Tito, Ca d’Oro
LUOGhI DEL SAPERE
SANTA LUCIA. LE SCULTURE DELLA DEVOZIONE DALLA GALLERIA REGIONALE DI PALAZZO BELLOMO
Dario Bottaro Santa Lucia Il Raggio Verde edizioni p.48 2021 ISBN 9791280556172 12€
Dopo aver trattato una bellissima pubblicazione relativa ai dipinti più importanti dedicati a Santa Lucia e presenti nella provincia di Siracusa, Dario Bottaro affronta e completa lo studio sul territorio che ha in oggetto le sculture di S. Lucia. Inserita nella collana “Restauri e Riscoperte” diretta dalla storica dell’arte Sara Di Caprio, il volume, realizzato in quadricromia (pag. 64) per i tipi de Il Raggio Verde edizioni con il bel progetto grafico di Santa Argentino, è uno straordinario itineraio di bellezza e fede. Punto di partenza - spiega il curatore Dario Bottaro - sono i depositi della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, al cui interno si custodisce un bassorilievo datato 1483. Le opere sono presentate attraverso schede di catalogo della tipologia OA, facenti riferimento alle opere custodite nella città di Siracusa, partendo dal Simulacro argenteo conservato in Cattedrale e procedenti con le altre sculture lignee e marmoree presenti nelle altre chiese di Ortigia, per finire con la scultura di Gregorio Tedeschi venerata nel tempietto del Sepolcro. «Il percorso storico artistico procede con le schede di catalogo per quei centri della provincia dove esistono queste testimonianze d'arte e devozione alla Santa.» Le schede sono anticipate da alcuni testi fra cui la prefazione di don Gianluca Belfiore, direttore dell'ufficio Beni Culturali Ecclesiastici, i testi introduttivi di Rita Insolia direttrice della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo Pucci Piccone presidente Deputazione Cappella Santa Lucia e da un saggio critico dell'autore. Completano il libro alcuni documenti trascritti e pubblicati interamente per la prima volta, trovati durante le ricerche presso l'archivio di Stato di Siracusa. In copertina la bellissima foto di Andrea monego. All’interno le referenze fotografiche sono di Simone Accaputo, michele Battaglia, Fabio Fortuna, Toni mazzarella, Andrea monego, Sebastiano Petruzzello,Sebastiano Puccio e lo stesso Dario Bottaro, siracusano doc, classe 1982, dopo gli studi all'istituto statale d'arte di Siracusa intraprende il corso accademico in pittura presso l'accademia di Belle Arti Fidia di Noto. Completato il triennio continua con il biennio specialistico che conclude con una tesi di catalogazione dove presenta uno studio sugli ex voto del Simulacro di S. Lucia a Siracusa. Nel 2015 Dario Bottaro si laurea con il massimo dei voti presso l'Istituto di scienze religiose S. maria di monte Berico nel corso di studio sui "Santuari e la valorizzazione del territorio attraverso gli importanti luoghi di culto", discutendo una tesi sul Santuario della madonna delle lacrime di Siracusa. Da diversi anni si occupa dello studio del culto di Santa Lucia ed è autore di numerose pubblicazioni che ne indagano gli aspetti nell'arte e nella devozione. (an.fu.)
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QUANDO IL TEMPO SI VESTE D’ARTE
Orologi d’Aut/ore Editoriale Giorgio Mondadori p.80 2021 ISBN 9788837419257 30€
Orologi d’Aut/ore 1/1 è il titolo della bellissima pubblicazione, editoriale Giorgio mondadori (80 pagine in quadricromia, €30), che vede da una parte Anselmo Grimoldi, maestro orafo e fondatore della Grimoldo milano con le sue creazioni e l’artista leccese Ercole Pignatelli, protagonista anche della copertina del CAm n. 57, che firma l’interpretazione iconica del decoro dei 51 orologi della collezione San Babila di Casa Grimoldi. Fondata da Anselmo e Rosanna Grimoldi, il brand italiano è una realtà solida e continuativa, che nel tempo è stata capace di trasmettere e traferire passione e talento ai quattro figli che oggi collaborano nella gestione del marchio di famiglia, un simbolo nella produzione artigianale italiana di orologi e gioielli. Un marchio, specializzato nella creazione di oggetti preziosi dove il segno estetico e la tecnologia si coniugano perfettamente. «Ercole Pignatelli è un’artista abituato a trattare nei suoi lavori pittorici la situazione temporale, quasi sempre sospesa in una dimensione temporale, in bilico tra passato, presente e futuro.» spiega nel prologo al libro, Fortunato D’Amico che nel 2020 ha firmato la biografia “Ercole Pignatelli. metamorphosis”. Il tempo, la sua percezione nella quotidianità come nel sogno, nei ricordi e dunque nella memoria, è sempre una dimensione fantastica e non poteva esserci connubio migliore che affidare al segno di Pignatelli, alle sue forme antropomorfe e alle sue germinazioni la decorazione dei quadranti di questi orologi d’autore. Abituato a grandi spazi pittorici, (come non ricordare la realizzazione nella Sala Impluvium al Palazzo dell’Arte di milano, ben 130 mq in 24 giorni...) per l’artista leccese generare visioni in un piccolissimo spazio è stata una sfida che il maestro ha colto con la maestria e la fantasia che lo contraddistinguono. Avvalendosi del mito e della scansione temporale ad esso correlata dagli antichi, Ercole Pignatelli ha associato ad ogni orologio il nome di 51 stelle della sfera celeste. Così i quadranti dei 51 orologi della Grimoldi si sono animati di segni fantastici come quelli di Athena, Sirio, Vega Cappella e Anatares... In alcuni casi, partendo dai dipinti il maestro è giunto alla stilizzazione del soggetto arrivando ad incastonarlo nell’esiguo spazio del quadrante come acade in Alphard dove campeggia una sensuale figura femminile mentre in Hamal la figurazione prende spunto dalla “Natura morta con fondo giallo”, un dipinto del 1993. In Deneb Kaitos la figurazione riprende le sensuali forme della sirena di Notturno stellato del 2008 mentre le stelle di “Sogno stellato”, quasi per incanto, vengono trasposte nel quadrante di Zubenelgenubu un fantastico gioiello d’autore con il quale ci piace immaginare di contare l’ora zero di un fantastico e soprattutto sereno 2022. (an.fu.)
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Per l’invio di libri da recensire scrivere a redazione@arteeluoghi.it
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OROLOGI D’AUT/ORE. GRIMOLDI E PIGNATELLI INSIEME
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#LadevotaLettrice | Le recensioni di Lucia accoto La brigata deLLe cinque soreLLe di paoLa peretti
PAOLA PERETTI La brigata delle cinque sorelle Rizzoli 2021 pp.240 €17,00 ISBN 9788817156455
#recensione #luciaaccoto #recensore #giornalista #libri #ladevotalettric e
Sorellanza. Un legame non solo di sangue, ma anche d’affetto. Forse, più solido dei rapporti di parentela perché scegli chi ti somiglia o chi è lontano da te per carattere quasi a voler fare un salto di personalità per essere ciò che non sei. Ti rompi come porcellana in mani distratte dinanzi alle fragilità. La tua si muove senza comando e si presenta soprattutto quando cerchi di tenerla nascosta, a bada. Fai i conti con ciò che non va, che vorresti non avere e possedere per natura. Alla fine, ti accetti. E cambi, se necessario. Non puoi, però, rinnegare quello che ti appartiene per nascita: la famiglia. Puoi fare passi falsi, ripetere errori, isolarti e ritornare, la famiglia rimane. Ti conosce, capirà. E se all’inizio farà fatica ad accettare alcune decisioni poi ti sostiene. La sorellanza familiare esiste. Spesso è sottovalutata, perfino ignorata. È il guscio dentro cui cerchi e trovi spazio. Certo, devi anche essere fortunato perché spesso la famiglia si sgretola con niente e nulla può ricompattarla tanto che gli sforzi non hanno peso e non sono visti di buon grado. Eppure, la sorellanza, quella vera di sangue, quando è forte, dominante, è un faro che punti quando ti perdi, quando hai bisogno. Finisci così nell’essere tutti i respiri, i silenzi, le storie delle donne della tua famiglia. Senti addosso il loro passato, hanno esperienza di vita ed i consigli come le mezze fresi sono preziosi quanto un abbraccio. Allora, saprai anche camminare da sola, lontano. Hai avuto per te tutte le parole più belle, toste, profonde per andare avanti, amare, capire e lì non c’è dimenticanza. In La brigata delle cinque sorelle di Paola Peretti finisci nel quadro di una famiglia tutta al femminile, dove gli uomini che hanno sbagliato le loro scelte sono stati messi da parte. Donne di carattere che hanno preso di petto la vita, lasciando da parte i sogni e rimboccatesi le maniche per campare hanno saputo fare la cosa giusta. Cinque sorelle, una nonna e l’unica nipote sono la fierezza di un legame che non svapora con gli anni. Anche se l’alzheimer le ha colpite tutte tranne la più giovane della generazione, Cecilia, sanno guidare le decisioni e il passato per loro è chiaro, limpido. Hanno un segreto ed una vita da recuperare. Un nome che si trasforma, ma che è rimasto fedele nei loro cuori. Non si può essere sordi al richiamo della sorellanza. Bellissima la storia. La narrazione è completa, limpida. Ha tutto ciò che serve per fare di un libro un romanzo valido, autentico. Non sei mai in stallo, ma è un continuo crescere di sorprese, di colpi di scena, di personaggi incredibili. La scrittura è piena, corposa. Il lettore lascia l’anima su ogni singola pagina perché del romanzo apprezza tutto.
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EMMA DONOGhUE Il prodigio Neri Pozza 2017 301 €17,00 ISBN 9788854513969
La responsabilità, di qualunque natura essa sia, è un impegno morale che abbiamo nei confronti dell’etica. Non sempre però quest’ultima abita nella coscienza della gente. Si fa orecchie da mercante, non la si tiene presente, soffocando anche il suo flebile gemito. La responsabilità ha a che fare anche con il buon senso, con la ragione. Non sarà mai come i fiori secchi, abbandonati. Vive in ognuno di noi sulla base del rigore che si ha verso tutto ciò che la vita ci offre o che si guadagna con sacrificio. Più la responsabilità è grande più ci viene richiesta forza che spesso non immaginiamo neanche di avere. Alcuni fuggono dalle responsabilità e perdono occasioni importanti per migliorarsi o per dimostrare a se stessi di avere un vocabolario delle emozioni. Nel romanzo Il prodigio di Emma Donoghue assaggiamo l’irresponsabilità di molti personaggi e la responsabilità delle due protagoniste principali, Anna e Lib. Una bambina di undici anni, la prima, considerata un prodigio e infermiera, la seconda. Anna vive nell’Irlanda fredda e fangosa della seconda metà dell’Ottocento, di lei dicono che non mangi nulla da mesi. Si nutre d’aria, questo pensano tutti. Una santa, un’imbrogliona, una vittima o cos’altro è Anna? La sua è una truffa, una beffa o una responsabilità per qualcosa di segreto che la tormenta? Di certo, l’infermiera ha una responsabilità ancora più grande rispetto a quella a cui il comitato del villaggio l’ha assunta per osservare la bambina. Intrigante la narrazione. I colpi di scena, pochi, sono talmente sorprendenti da lasciare il lettore interdetto di fronte alla fantasia della scrittrice. Intima e dissacrante la prosa. Un romanzo Il prodigio che conquista.
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ilraggioverdesrl.it
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#LadevotaLettrice | Le recensioni di Lucia accoto iL prodigio di emma donoghue
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Le recensioni di raFFaeLe poLo anime erranti
LUIGI TORSELLO Anime erranti Il Raggio Verde edizioni ISBN 9791280556165 2021 pp. 192 €15,00
Con Luigi Torsello ci siamo incontrati in una serata estiva a Specchia, proprio nella piazza principale. Con lui c'era l'anziano cane che, pazientemente, sembrava incarnasse e sopportasse anche lui il pesante fardello esistenziale del suo amico- padrone. Torsello ha lo sguardo triste, eppure quegli occhi si illuminano se sente parlare di don Tonino Bello, della spiritualità e della Chiesa di Cristo. Di Cristo, si badi bene; e non delle gerarchie ecclesiastiche che troppo spesso hanno gravi mancanze sulla coscienza... Abbiamo condiviso, con un sorriso spontaneo, questi semplici asserti, respirando la magica atmosfera di una serata salentina in uno dei borghi più belli d'Italia. Poi... Luigi Torsello mi ha chiesto la prefazione a questo suo interessante scritto, che viene pubblicato assieme ad una antologia di poesie dello stesso Torsello e alla riproduzione di alcune sue opere 'giovanili' (ma interessanti e di ottimo livello). Dalla corposa biografia, infine, abbiamo conosciuto meglio il Nostro che, immaginiamo, abbia voluto racchiudere in questa 'summa' il suo pensiero sugli interrogativi che, da sempre, accompagnano la vita di ogni uomo. Partendo dalla 'spiritualità' e affrontando, via via, tutte le problematiche che sono le stesse accuratamente frequentate da tutti i filosofi che hanno partecipato, ognuno con la sua opinione, alla risoluzione finale, che viene condivisa dallo stesso Torsello quando afferma: «Non so, realmente, se dopo la morte c’è vita, né mi arrovello tanto a pensarci, quello che so è che dopo la morte continua, comunque, la trasformazione di ciascuno di noi. La cosa che faccio è cercare di vivere ogni circostanza della mia vita al meglio, consapevole che la mia vita è preziosa, indeterminata e impermanente.» Dunque, questo che avete tra le mani è un vero e proprio 'trattatello' para-filosofico, che affronta tutti gli argomenti, senza timori reverenziali e senza porsi limiti, senza farsi impressionare dalla complessità degli interrogativi e tornando spesso con i piedi per terra, liberandosi di quel tipico intercalare che hanno tutti i filosofi, ovvero la predisposizione agli asserti certi, senza esitazioni, senza cedimenti, con un pizzico di orgogliosa sicumera, a voler dire: Così è, così la vedo io e questa è la Verità...
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GIANLUIGI COSI Nessuno bacia Biancaneve Il Raggio Verde 2021 pp.64 € 12
Un titolo che cattura l'occhio insieme a una copertina che ammalia e seduce, opera dell'artista Enzo De Giorgi. Pochi mesi fa è uscito per la casa editrice Il Raggio Verde il nuovo progetto di Gianluigi Cosi, cantautore brindisino che ha deciso di mettere su carta una serie di poesie e canzoni (alcune inedite come il brano Fondotinta) create durante il lockdown. Il libro è un vero invito alla lettura e man mano che le pagine avanzano, si percepisce come quella per la scrittura e per i componimenti in versi sia diventata con il trascorrere dei giorni, oltre che una passione, una vera e propria necessità per ridare un senso alla vita, dopo il periodo negativo di chiusura forzata. Colpisce in particolar modo la visione di Gianluigi Cosi, convinto nonostante tutto e nonostante le avversità che le cose si possano di nuovo aggiustare e che uno sguardo positivo e pieno di speranza sia ancora possibile. E questa convinzione non può che essere connessa ai piccoli gesti della quotidianità, come l'abbraccio, il bacio o il semplice stare insieme che riacquisteranno un nuovo valore e un nuovo significato, quando tutto sarà finito e il "male" sarà messo alle spalle. Perché, per salvare il mondo, si ha bisogno di bellezza e speranza. Quella speranza che, come diceva il protagonista del film Le ali della libertà nel finale della storia, è la migliore delle cose. E soprattutto… Rende liberi.
On line il nuovo sito dello studio di consulenza| immobiliaregirasoli.it
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daLsaLentocaFé | Le recensioni di steFano cambò nessuno bacia biancaneve Le poesie e Le canzoni di gianLuigi cosi
Veduta di Assisi
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FrateLLo soLe, soreLLa Luna Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema itinerari meravigliosi da Nord a Sud
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ante sono le pellicole e le fiction televisive che hanno scelto di raccontare la vita e le opere di uno degli uomini più importanti della nostra cultura, capace di sconvolgere con la sola forza del pensiero e di alcuni semplici gesti il sistema costituito nel lontano medioevo. È impossibile definire l’operato di San Francesco
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d’Assisi in poche righe, perché sarebbe riduttivo e oltraggioso sia nei confronti dell’uomo che della figura religiosa e storica venerata dalla Chiesa Cattolica e proclamata, assieme a Santa Caterina da Siena, patrono d’Italia nel 1939 da papa Pio XII. Quello che possiamo fare invece, è di raccontare la sua biografia attraverso il cinema, con
I luoghi del cinema
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Castelluzccio di NOrcai, la fioritura (fonte, https://www.castellucciodinorcia.it/)
uno dei film più conosciuti e apprezzati di Franco Zeffirelli, vincitore nell’occasione del David di Donatello per la miglior regia. Stiamo parlando naturalmente di Fratello Sole, Sorella Luna uscito nel 1972 e liberamente ispirato alla vita e le opere di San Francesco, dalla sua vocazione fino all’istituzione della regola francescana. La trama della pellicola ci porta fin da subito con le immagini al lontano medioevo italiano, quando il figlio viziato di un ricco mercante di Assisi, dopo la guerra contro Perugia e una malattia deabilitante, decide di lasciare tutto per dedicarsi ai poveri e predicare il Vangelo. Ben presto molti giovani del territorio seguiranno il suo esempio e il loro stile di vita semplice diverrà molto popolare ad Assisi, tanto che tutti cominceranno ad ascoltare la messa da lui celebrata nella piccola chiesa restaurata. Durante il proseguimento della storia, Francesco deciderà di recarsi a Roma per conoscere Papa Innocenzo III e chiedergli consiglio, ma nel bel mezzo dell’udienza, frastornato dalla ricchez-
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I luoghi del cinema
za e il lusso sfrenato che lo circonda, inizierà a criticare gli alti dignitari presenti per lo stile di vita poco consono alla carica che ricoprono. Accusato di bestemmia e idolatria, verrà arrestato dalle guardie sotto lo sconcerto di tutti i presenti, se non fosse che il Papa, intuita la carica morale del giovane e dei suoi seguaci, non deciderà invece di benedirli e creare per loro l’Ordine Francescano. Più che un film, quello di Zeffirelli è un vero e proprio omaggio alla vita e alle opere di un uomo che ha contribuito, attraverso l’umiltà e la compassione, a ridare nuova ninfa alla fede cattolica, imperniata da secoli bui di sfarzi e lussi. ma oltre a un affresco gentile e premuroso, quello del regista è anche un omaggio sentito ai luoghi francescani, ricercati con cura per rendere più realistiche le scene ambientate nel tardo medioevo. Per alcuni esterni è stato scelto infatti, il Parco Nazionale dei monti Sibillini sui Piani di Castelluccio di Norcia. Si tratta di un altopiano carsico alluvionale dell’Appennino centrale (in questo caso stiamo considerando il versante Umbromarchigiano) ai piedi del monte Vettore il cui fondo in principio era un lago poi prosciugatosi con lo scorrere dei secoli. È il secondo in estensione dopo quello di Campo Imperatore in Abruzzo ed è conosciuto ai più per la coltivazione delle lenticchie di Castelluccio.
I luoghi del cinema
Abbazia di Sant’Antimo (fonte: FB pagina ufficiale)
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Da visitare se possibile in tarda primavera quando sbocciano una marea di fiori selvatici che colorano il manto erboso in un modo così suggestivo da essere definito la Fiorita dagli abitanti stessi del posto. Per quanto riguarda le scene di vita monastica la produzione del film ha scelto invece l’Abbazia di Sant’Antimo a Castelnuovo dell’Abate, frazione di montalcino in provincia di Siena. Si tratta di un complesso olivetano ricostruito sugli antichi resti del primo medioevo di cui rimangono la Cappella Carolingia (attualmente la sagrestia), la Sala Capitolare e il Chiostro. L’edificio più importante è sicuramente la Chiesa abbaziale di Sant’Antimo, edificata in perfetto stile romanico il cui esterno è visibile da tutta la conca in cui si trova grazie alla sua notevole altezza e soprattutto al campanile che supera abbondantemente i 25 metri. Per quanto riguarda la famosa scena del denudamento di San Francesco davanti agli occhi basiti degli abitanti di Assisi, il regista ha optato invece per la Fortezza di montalcino, caratteristico borgo toscano conosciuto in tutto il mondo per la produzione del vino Brunello. Da visitare assolutamente, oltre alla Fortezza sopraccitata, anche il Palazzo dei Priori che si affaccia sulla piazza principale. Adornato con gli stemmi araldici dei numerosi podestà che hanno governato la città nelle varie epoche, questo edificio è composto da una altissima torre medievale adiacente al complesso centrale e dalla Loggia, una struttura rinascimentale con sei archi a tutto sesto che si estende nelle vicinanze. Altro luogo simbolo e chiave per molte scene esterne e interne è stata la città di Gubbio in Umbria, con il suo bellissimo Palazzo dei Consoli, ancora oggi conside-
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I luoghi del cinema
Gubbio, Palazzo dei Consoli (fonte: FB pagina ufficiale)
rato una delle più imponenti costruzioni pubbliche italiane nonché all’occorrenza set cinematografico della fiction televisiva più conosciuta degli ultimi vent’anni (per chi non lo avesse capito mi sto riferendo a Don matteo naturalmente, il personaggio interpretato da Terence Hill che spesso arrivava nei primi episodi della serie in sella alla sua amata bicicletta nel piazzale antistante il palazzo per sedersi ai tavoli di un bar e parlare con l’amico e maresciallo dei carabinieri Nino Frassica). Ultimo luogo da visitare è sicuramente il Duomo di monreale in provincia di Palermo, dove sono state girate le scene in cui Francesco incontra il Papa Innocenzo III. Dall’Umbria e la Toscana ci spostiamo quindi in Sicilia per ammirare un bene architettonico così bello e suggestivo da entrare a pieno merito nel 2015 nella cerchia dei Patrimoni dell’Unesco nell’ambito dell’itinerario arabonormanno. Di questa bellissima cattedrale colpisce sicuramente la facciata esterna, che segue il modello delle grandi basiliche benedettine di provenienza cluniacense. Stretta fra due torri campanarie (delle quali quella di sinistra è rimasta incompiuta), il prospetto si mostra ai fedeli con un portico settecentesco in perfetto stile barocco, che si apre davanti alla piazza con tre archi a tutto sesto poggianti su colonne tuscaniche. All’interno invece sono assolutamente da vedere e ammirare i bellissimi mosaici di scuola bizantina a fondo oro, eseguiti tra la fine del XII e la metà del XIII secolo dai maestri locali e veneziani. E con questa meraviglia ancora negli occhi, lasciamo il Duomo di monreale e tutti i luoghi che ci hanno accompagnato in questo viaggio spirituale nella vita e nelle opere di San Francesco, grazie al film Fratello Sole, Sorella Luna di Franco Zeffirelli.
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foto di Mario Cazzato
La storia degLi agostiniani Fuori Mario Cazzato
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Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia
Salento Segreto
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vvero Agostiniani scalzi. L'origine di questo complesso, l'unico nato durante il lungo episcopato del Pappacoda, è controversa. Per documenti chiariamo la faccenda. Su richiesta dei padri il 1643 l'Università di Lecce concede un suo sito fuori porta S. martino, di fronte ai paolotti. La
donazione viene ratificata sindaco Francesco mettola, l'anno dopo. La chiesa è intitolata alla Vergine d'ogni Bene, già in costruzione. Il convento dedicato a S. Lorenzo sarà costruito dopo. Era in costruzione nel 1649 quando riceve una cospiqua donazione che permetterà di terminare l'opera.
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