primo piano
l e n o v i t à d e l l a c as a
IL RAGGIO VERDE EDIZIONIDirettore responsabile Antonietta Fulvio
progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione
Hanno
Dario
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Raffaele Polo Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi it www arteeluoghi it Iscritto
contenuto
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EDITORIALE
Pronti a partire con nuove narrazioni nel segno dell’Arte e della Bellezza. In copertina un’antica lastra di marmo del XII secolo, conservata nel Museo di San Martino, tra le opere della mostra “Bizantini” in corso al Museo Archeologico Nazionale di Napoli per riannodare i fili della storia dell’impero romano d’Oriente, la cui grandezza lo scrittore inglese Robert Byron l’attribuiva alla sua “triplice fusione”: un corpo romano, una mente greca, un’anima orientale, mistica Ecco un termine che ci piace nella sua accezione figurativa di unione, accordo, compattezza! e ciò che auspichiamo per questo nuovo anno che vede l’alba drammaticamente offuscata dal perdurare di una guerra che continua a seminare da quasi un anno morte e distruzione E come non ricordare il messaggio di Papa Giovanni Paolo II per la celebrazione della XII giornata mondiale della pace, voluta da Paolo VI nel 1967, pronunciato il 1° gennaio 1979: «Per giungere alla pace, educare alla Pace. Perché è la pace che fa progredire l’Umanità, la violenza, la guerra distrugge ogni segno, piccolo e grande che sia, di civiltà Allora ancora profetiche e quanto mai attuali risuonano le parole di Papa Paolo Giovanni II «Impariamo, anzitutto, a rileggere la storia dei popoli e dell'umanità secondo schemi più veri di quelli di una semplice concatenazione di guerre e di rivoluzioni Certo il rumore delle battaglie domina la storia; ma sono le pause della violenza che hanno permesso di attuare quelle durature opere culturali, che fanno onore all'umanità.»
Ciò che noi di Arte e Luoghi ci proponiamo di fare anche in questo nuovo anno è continuare a raccontare la bellezza dei luoghi, il patrimonio artistico e architettonico che li caratterizza come segni tangibili della Civiltà che non può prescindere dall’Arte, dalla Condivisione, dal rispetto dei diritti di tutti Ringrazio come sempre la mia squadra che mi supporta e vi invito a sfogliare le pagine di questo numero dedicato a tutti coloro che desiderano la Pace. Auguri a tutti! (an.fu.)
SOMMARIO
luoghi|eventi| itinerari: Girovagando | taranto con gli occhi dei bambini tra mito e realtà 52| itinerarte 63 luci e colori nel borgo di locorotondo 84 arte: bizantini 4 | chiavi in prestito. Martina bruni a casa vuota 22 | addevù la mostra alla Galleria bellomo di siracusa 26| Milano da romantica a scapigliata 38 | paolo emilio stasi pittore e archeologo 80 interventi letterari|luoghi del mistero: centopietre 14 salento segreto 78
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Musica |santa lucia il nuovo v ideo clip dei Foja con isa danieli e clementino 44 |
cinema| i luoghi del cinema prima v isione vicini di casa 68| ascoli piceno una città da film 70
i luoghi della parola: | diabolik ed eva 36 | curiosar(t)e: la luce nei dipinti di casey Weldon 46
teatro|danza|Moda brecht dance dal web al teatro 20 libri | luoghi del sapere 64-66 |
Numero 1 anno XVIII -gennaio 2023
Lastra con aquila che ghermisce una lepre XI-XII secolo, marmo Direzione Regionale Musei Campania Napoli, Museo di San Martino Proprietà editoriale Il Raggio Verde S r l Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo collaborato a questo numero: Bottaro, Stefano Cambò, Veronica Di Maglie, Mario Cazzato, Sara D i C a p r i o , D a r i o F e re r i , A o n o G i a M a Mbizantini. viaGGio nella creatività di un iMpero Millenario
Il Museo Archeologico di Napoli ospita fino al 13 febbraio 2023 oltre 400 opere provenienti dalle collezioni del MANN e da 57 dei principali musei e istituzioni che custodiscono in Italia e in Grecia materiali bizantini
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NAPOLI «Esiste una Campania archeologica dopo la caduta di Roma e raccontare in una grande mostra i mille anni di questo impero è per il MANN una nuova tappa del percorso partito dai Longobardi verso una più completa identità del nostro stesso museo. Napoli bizantina è un tema cruciale e per molti sarà una sorpresa alla scoperta di un intreccio di destini tra la città e l'impero, dopo la sottomissione a
Roma, durato per sei secoli, il tratto più lungo della sua storia E anche quando il dominio bizantino di Napoli evaporò, questo legame con l' Impero non fu mai rinnegato e si trasformò in volano per tenere vivi i contatti con il Mediterraneo, la tensione verso altri mondi. Il MANN è quindi il luogo ideale in Italia per raccontare questa storia”. Le parole di Paolo Giulierini, direttore del Mann, rendono perfettamente l’intento e la
complessità della mostra “Bizantini” che dal 21 dicembre fino al prossimo 13 febbraio 2023 racconterà Luoghi, simboli e comunità di un impero millenario. Curata da Federico Marazzi (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli) con la direzione scientifica di Paolo Giulierini, la mostra analizza le fasi storiche successive alla caduta dell’impero Romano d’Occidente, con un focus su Napoli e una particolare attenzione alla Grecia a all’Italia meridionale. Epigrafi ed iscrizioni greco cristiane, elementi architettonici con schemi compositivi e simboli della scultura bizantina, anfore che
testimoniano floridi e costanti contatti con l’Oriente raccontano, infatti, il legame tra Bisanzio e Napoli che fu città “bizantina” dal 536, anno in cui la città fu conquistata dalle armate di Belisario, fino al 1137 quando, dopo la morte dell’ultimo duca Sergio VII, la città si consegnò al re di Sicilia, il normanno Ruggero II. Oltre quattrocento le opere esposte provenienti dalle collezioni del MANN e da 33 musei italiani, 22 musei greci isole incluse, Musei Vaticani e Fabbrica di San Pietro. La collaborazione con il Ministero Ellenico della Cultura fa sì che molti materiali sono visibili per la prima volta, diversi
manufatti sono stati rinvenuti nel corso degli scavi per la realizzazione della metropolitana di Salonicco. Altri reperti, concessi in prestito dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per il Comune di Napoli, sono stati ritrovati negli scavi della linea 1 della metropolitana. La struttura del potere e dello Stato, l'insediamento urbano e rurale, gli scambi culturali, la religiosità, le arti e le espressioni della cultura scritta, letteraria e amministrativa sono i temi indagati attraverso le quindici sezioni della mostra Sotto la lente finiscono la creatività artistica, la cultura e l’immaginario dell’impero
romano d’Oriente i cui abitanti si identificavano come Romèi, e chiamando l’impero Romània si consideravano gli unici veri eredi della tradizione di Roma. La definizione di "Impero bizantino" fu introdotta infatti nel 1557 dallo storico tedesco Hieronymus Wolf che in quell'anno stampò il libro Corpus Historiae Byzantinae Di fatto l’impero Romano d’Oriente sopravvisse dieci secoli a quello d’Occidente che terminò con la deposizione di Romolo Augustolo nel 476 ad opera del barbaro Odoacre. La caduta di Roma ( e la progressiva decadenza del mondo romano) vide l’ascesa di Costantinopoli, l’antica
Byzantion rifondata nel 330 dall’Imperatore Costantino come “Nuova Roma”, che divenne il centro e il cuore politico, istituzionale e culturale del nuovo impero. Eraclio I, ne modificò la struttura, sostituendo il greco come lingua ufficiale al latino e assumendo il titolo imperiale di Basileus, in sostituzione del titolo di Augustus. Tra molte lotte, l’impero bizantino terminò nel 1453 con la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani guidati da Maometto II, ma è indubbio che nei suoi dieci secoli di storia avesse contribuito alla formazione dell’Europa medievale e all’Umanesimo,
lasciando un’eredità culturale profonda tanto nel successivo impero islamico quanto nei suoi ex territori, comprese alcune città e regioni d’Italia dove più profondo e duraturo fu il legame con l’Impero. Particolarmente interessanti sono alcuni video che propongono anche una ricostruzione di Bisanzio nel momento del suo massimo splendore e grazie alle gigantografie realizzate con una grafica di effetto sono rievocati siti ortodossi, interni di chiese e monasteri, e i magnifici mosaici delle chiese ravennati e alcune opere iconiche inamovibili. Il percorso si apre con l’espo-
sizione nell’atrio del grande capitello del VII secolo, in marmo preconnesio proveniente da Costantinopoli, conservato al Museo archeologico Paolo Orsi di Siracusa . Su di esso campeggiano la croce e il chrismón, ossia il monogramma composto dalle lettere greche X (chi) e P (rho) del nome di Cristo suggeriscono come l’arte e la bellezza siano il principale veicolo che celebra il Suo trionfo. Nel Salone della Meridiana si sviluppa il percorso che abbraccia la storia dei bizantini dal 330 al 1204, anno della quarta crociata, culminata nella conquista latina di Costantinopoli e momento cruciale nel processo di dissoluzione dell’Impero bizantino L’Impero d’Oriente, aveva raccolto l’eredità storica dell’Impero Romano. In esso - spiegano i curatori - si amalgamarono alcuni aspetti tipici delle monarchie assolute orientali quale la sacralità dell’imperatore, i solidi princìpi organizzativi della struttura statale romana e la visione trascendente del Cristianesimo. Sculture e monete, soprattutto
quelle provenienti dai Musei di Atene e Salonicco e nelle collezioni del MANN, presentano una galleria dei ritratti di imperatori: Teodosio, Giustiano, Basilio II, Giovanni II Comneno e altri ancora La forza della Chiesa è rappresentata da splendidi manufatti come croci greche d’oro e d’argento, bolle, collane, encolpi, croci pettorali e pendenti (tra cui alcuni oggetti del Museo Nazionale Romano di particolare interesse, mai esposti prima) e i sigilli di autorità della Chiesa d’Oriente - da Fozio patriarca di Costantinopoli a Niceta arcivescovo di Salonicco.
Tra i tanti manufatti esposti: splendido il grande disco onorario (dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze) concesso dall’imperatrice Galla Placidia al potente generale Flavius Ardabur Aspar per i suoi meriti militari, il famoso elmo ostrogoto del Museo Abruzzo bizantino, il piatto d’argento con emblema figurato da Isola Rizza del Museo di Castelvecchio di Verona Di gran pregio la gemma in onice con guerriero che caccia un cinghiale del IV seco-
lo e il cammeo in diaspro rosso con San Demetrio della collezione Farnese (X secolo), entrambi appartenenti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli Tra i preziosi gioielli, simbolo della raffinatezza e della maestria orafa bizantina, figurano diciassette gioielli aurei con gemme e pietre preziose formano, intrecciati, un magnifico accessorio d’abbigliamento del IV secolo concesso dall’Eforato delle Antichità di Salonicco, un preziosissimo alto bracciale in oro e smalto del IX - X secolo da Salonicco alcune gemme a soggetto cristiano prodotte a Venezia nel XIII secolo, inedite e custodite al MANN (raffiguranti soggetti canonici quali San Demetrio e i Sette dormienti di Efeso), e i famosi ‘Ori di Senise’ (seconda metà VII secolo), parte dei quali ricondotti dalla maggior parte della critica a maestranze costantinopolitane, testimoni del fecondo e continuo scambio con il bacino orientale del Mediterraneo. A testimoniare lo spazio del sacro, sono nel
Salone della Meridiana anche un pannello dipinto di due metri, con San Giorgio e San Nicola, e una bellissima icona di San Anastasia da Naxos; dalla Fabbrica di San Pietro, provenienti dall’oratorio dedicato al papa greco Giovanni VII, un mosaico con il suo ritratto (705 - 707) e uno con la Lavanda del Bambino.
Basi d’altare, calchi in gesso di transetti ravennati, straordinari capitelli, lastre di pulpito parti di sarcofagi e di i c o n o s t a s i , ampolle ed epigrafi giungono dalla Grecia, da R a v e n n a , Cagliari, Siracusa, Agrigento, Torcello, Gaeta, Cortona; dai Musei Vaticani anche una lastra in marmo bianco in cui compaiono croci in rilievo e graffite e incisioni in armeno e in latino.
Quanto mai interessante la presenza di un nucleo di elementi architettonici appartenenti al cosiddetto relitto di Marzememi, una nave rinvenuta lungo la costa sud orientale della Sicilia, riferibile all’età di Giustiniano (527-565) e probabilmente proveniente da C o s t a n t i n o p o l i con un carico destinato alla
realizzazione di una chiesa nei territori bizantini d’Italia. Mentre, tra gli avori per gli arredi liturgici: le placchette dal Museo Medievale di Bolognauna con la “vestizione di Aronne e dei suoi figli”, l’altra con busti di santi - e la formella del XII secolo in arrivo dal Museo Nazionale di Ravenna, con la “dormizione della Vergine” nell’iconografia consolidatasi dopo il periodo iconoclasta. Di notevole interesse anche la sezione dedicata alla scrittura e alla produzione libraria e documentaria. Grazie a Bisanzio tantissime opere della letteratura greca antica e della tradizione scientifica e filosofica sono state conservate e tramandate. Eccezionali, tra le pregevoli opere esposte, i pre-
Bizantini,
stiti dalla Biblioteca Laurenziana di Firenze, da cui giungono un preziosissimo Teatravangelo greco della fine XI-inizi XII secolo, forse già nella biblioteca di Lorenzo il Magnifico - e una straordinaria miscellanea di testi medici e fisiatrici prodotta a Bisanzio nel X secolo Dalla Grecia un incredibile Lezionario miniato della metà del XI secolo e un Rotolo con la divina liturgia di S.Giovanni Crisostomo, (XII/ XIII sec) dal Museo Cristiano e Bizantino di Atene.
La mostra dedicata ai Bizantini mette in evidenza quanto l’Occidente aveva perduto con il crollo dell’Impero Romano: dalle tecniche artistiche e produttive ai modi di intendere l’estetica degli oggetti, gli scritti e i saperi, tutte cose che sarebbero state oggetto di una lentissima e faticosa riconquista nei secoli successivi al Mille. E non solo, il percorso espositivo mostra anche la complessa struttura di un Impero universale autocrate capace di tenere unita una
società assolutamente multietnica e composita, la cui grandezza secondo le parole dello scrittore Robert Byron fu la sua «triplice fusione»: un corpo romano, una mente greca, un’anima orientale, mistica.
i L u o g h i d e l m i s t e r o
centopietre. quel che resta
dell’antica vereto
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Sembra incredibile, ma poco o nulla sappiamo dei Messapi, dei nostri progenitori che si insediarono nel Salento tanto tempo fa e dei quali una misteriosa aura di magica tradizione nasconde ancora molte delle loro prerogative Per certi versi, i Messapi sono come i Dinosauri: a un certo punto, sono spariti, lasciando solo una grande curiosità su quella che fu la loro tangibile cultura. Se, del resto, ne parliamo ancora adesso, vuol dire che i segni sono ancora evidenti... La 'capitale' dei Messapi era Vereto E di questa città, posta su
un altipiano a dominare il territorio, fino alle splendide baie di San Gregorio, non è rimasto praticamente nulla: accuratamente distrutta dai 'saraceni' (tanto per cambiare) sono presenti solo tante leggende e molto materiale di risulta, proveniente dalle sue mura e utilizzato nei secoli successivi. Adesso che Vereto non c'è più, c'è però Patù, che già nella etimologia del suo nome nasconde il dolore per le traversie storiche occorse alla sua antica popolazione. E lo stemma di Patù raffigura un gatto che ha in bocca un topo In quella zona,
A Patù il monumento nazionale testimonianza della civiltà messapica
infatti, proprio a ridosso di Vereto, vi erano i capienti depositi alimentari dei Messapi, granaglie e riserve commestibili che erano intuibilmente ambite dalle moltitudini di roditori che potevano essere affrontati solo con l'ausilio degli amici gatti... Pensateci: un'intera cultura, ricchissima di storia e di splendide affermazioni, ridotta a sopravvivere grazie ai gatti, in lotta coi topi... Ma, esempio più unico che raro, c'è una valida testimonianza di quello che furono i Messapi, di quello che è rimasto di Vereto: è la Centopietre che resiste ancora, nonostante i danni notevoli causati dalle intemperie e da quella tradizionale incuria che noi salentini abbiamo, connaturata nel nostro DNA e che ci fa trascurare proprio le cose più importanti per noi e per la nostra storia
Storicamente accettata e classificata come 'monumento nazionale di seconda classe' nel 1873 ad opera dell'illustre galatinese Pietro Cavoti, la costruzione deve il suo nome
alle numerose pietre e lastroni che ne hanno fatto, sin dall'inizio, una sorta di mausoleo, un luogo di sepoltura, realizzato soprattutto con materiale di risulta proveniente dalla distrutta Vereto (e le leggende fioriscono: si narra che siano state proprio le donne a trasportare 'cento pietre' per la bisogna. Si vocifera di una fanciulla uccisa dai saraceni con cento colpi e, naturalmente, si indica la 'dedica' di questo edificio al Barone Geminiano, trucidato dai saraceni quando era in missione di pace, prima del conflitto ) Decisamente misteriosa la figura di questo condottiero che la storia colloca nel corso del IX secolo, quando Vereto subiva continui attacchi da parte dei Saraceni che volevano a tutti i costi attestarsi sul Capo S. Maria di Leuca e da qui continuare l’occupazione dell’intero Salento. In aiuto di Vereto giunse un grosso esercito inviato dal re di Francia Carlo il Calvo Alla vigilia di un terribile scontro tra Cristiani e Saraceni, che avevano preso
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o g h i d e l m i s t e r o
posizione nella piana di Campo Re ai piedi della collina di Vereto, dai Cristiani venne inviato il Cavaliere Geminiano come messaggero di pace presso il campo nemico; qui il nobile cristiano venne barbaramente trucidato, scatenando così la famosa battaglia del mitico 24 giugno 877, giorno appunto dedicato a S Giovanni Battista In questo scontro i Cristiani ebbero la meglio e riuscirono a strappare ai Saraceni il Corpo dell’infelice Geminiano. La Centopietre, così, sarebbe stata costruita in quell’occasione per dare degna sepoltura al martire cristiano. Si mescolano miti e tradizioni che investono parecchi secoli: la 'Centopietre' cambia infatti carattere e alcuni secoli dopo, tra il XIII e il XIV secolo, l’heroon è stato trasformato in thémenos cristiano, luogo di preghiera e di meditazione A questi stessi secoli risalgono gli affreschi in stile bizantino eseguiti sulla parete interna ovest e dei quali ormai restano solo pallide tracce. Alla Pro Loco di Patù i gentili ed eruditi soci riassumono così gli interventi che si sono succeduti su questo monumento: “Lungo la parete sud del m o n u m e n t o , i n i z i a l m e n t e sigillato,fu aperto a forza un ingresso. Per i contraccolpi della spina centrale tutta la
parete sud si inclinò verso l’esterno dove l’architrave non ha contrasto, per cui fu necessario puntellare gli architravi con dei pilastrini Anche la parete nord si inclinò verso l’esterno e venne aggiunto un altro pilastrino Inoltre venne rafforzata l’apertura con blocchi. A questo punto, dato il rischio di crollo e siccome la parete est risulta di spessore inferiore alle altre, viene costruito un secondo muro all’esterno del primo senza che il tetto possa coprire il muro e l’intercapedine riempita di pietre a secco Le pareti interne vennero ricoperte con un primo strato di intonaco tinteggiato di colore rosa Un secondo strato d’intonaco fu accuratamente lisciato e completamente dipinto Il soffitto, l’architrave e le due colonne non ebbero un primo strato di intonaco; le colonne furono rivestite da un rudimentale stucco in modo da sembrare approssimativamente scanalate La Centopietre è stata intonacata almeno tre volte. In epoca successiva fu aperta la porta lungo la parete est fronte alla chiesa di “San Giovanni”, modellata con regolari battenti predisposti per un infisso di legno. Lo zoccolo non fu manomesso tanto che oggi è evidentissima l’usura della pietra in conseguenza del transito.
Nel frattempo, la 'Centopietre' cominciò ad essere frequentata come cappella cristiana da monaci basiliani ed altri ordini cristiani Altri piccoli e grandi misteri si verificano attorno a questo monumento: il più famoso dilemma riguarda il numero delle pietre utilizzate per la costruzione. Pare, infatti, che ad ogni conteggio sortisca un risultato diverso, anche se la più comune somma calcolata sia di 99
pietre.
Ma il nome non cambia e il misterioso monumento non rivela neppure completamente i pregevoli dipinti che, al suo interno, vanno inesorabilmente scomparendo. E i fedeli continuano a venerare Geminiano come santo che ha sconfitto gli infedeli. Idea poi non così lontana dalla realtà...
“brecht dance”, dal Web al teatro in scena le storie deGli ultiMi
Antonietta FulvioNato durante lo stato di pandemia all'interno di "Atlantide", “Brecht Dance” si pone l’obiettivo di diventare uno spettacolo teatrale e chiede per questo il sostegno di chi ama e crede nel teatro. Un teatro che si occupa della gente e che nel solco della poetica di Brecht dà voce agli ultimi, agli emarginati. Durante il lungo periodo di isolamento dovuto al Covid 19, una comunità di artisti si sono incontrati su piattaforme web, diventate agorà virtuali dove interrogarsi sul senso del proprio lavoro Partita sul sito produzionidalbasso, la campagna ideata dagli attori Elena Gigliotti, Dario Aita e Daniela Vitale, è finalizzata alla realizzazione dello spettacolo “Brecht Dance” che nasce come una pillola di senso, un’azione artistica in un tempo e uno spazio vivo, del quotidiano; una docu-performance, una terapia urbana collettiva. Perché Brecht? Ce lo spiega l’attrice Elena Gigliotti, formatasi alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, interprete di Napoletango, con la regia di Giancarlo Sepe, Il mercante di Venezia di Shakespeare, Il bugiardo di Goldoni, La Lezione, di Ionesco, Don Giovanni di Moliere e nell’ Arlecchino servitore di due
padroni di Goldoni con la regia di Valerio Binasco, solo per citare alcune produzioni teatrali, dal 2009 è parte costituente di nO (Dance first. Think later.). Regista e coreografa, l’abbiamo apprezzata anche in tv nella serie televisiva Bang Bang Baby con la regia di Michele Alaique, e sul grande schermo nei film Il Giorno e la Notte di Daniele Vicari e il prossimo anno la vedremo vestire i panni di Carmen protagonista de L’invenzione della neve di Vittorio Moroni «Perché Brecht si interessa degli ultimi, ci racconta degli ultimi, di persone che oggi non hanno la possibilità di essere viste ed ascoltate. Intervisteremo anziani, persone senza fissa dimora, detenuti, gente considerata folle al fine di creare uno spazio di condivisione e identificazione con ciò che è apparentemente diverso da noi, incomprensibile.» Il teatro incontrerà storie di varia umanità con un unico filo rosso che, attraverso il linguaggio della parola poetica e della gestualità della danza, affronterà il tema della memoria autobiografica, il presente e la paura, il sogno… attraverso le interviste e le voci di altre persone che racconteranno la loro verità, la loro storia
Sulla piattaforma produzionedalbasso, parte il finanziamento alla realizzazione dello spettacolo della compagnia nO il cui debutto è previsto per febbraio
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«Facendo leggere le poesie di Brecht alle persone daremo al suo metodo un nuovo significato, le parole poetiche lette da una persona comune acquisiscono un valore importantissimo- spiega la stessa Elena Gigliotti che aggiunge - in scena ci sarà una sola performer Daniela Vitale che racconterà queste voci, e interpretandole testimonierà ciò che ha visto, e ascoltato e i suoi occhi saranno gli occhi del pubblico che entreranno nelle vite di queste persone.»
La parole “Dance” unita a Brecht acquista un preciso significato «perché il progetto
della compagnia nO - spiega l’attrice Daniela Vitale- nasce dalla necessità di lavorare con il corpo in scena e per noi la danza è anche qualcosa di onirico che ci riporta al sogno al di fuori della quotidianità».
Nato nel difficile periodo della pandemia, la Compagnia nO si è dato l’obiettivo di riportare il teatro in mezzo alla gente, infatti il progetto è nato per i cortili Brecht Dance, il cui debutto è previsto per febbraio, è nato per la gente e per questo motivo vuole essere un progetto finanziato a partire dal basso e sulla piattaforma
h t t p s : / / w w w. p r o d u z i o n i d a lb a s s o . c o m / p r o j e c t / b r e c h tdance/ si potrà decidere di sostenerlo liberamente Il finanziamento è finalizzato alla realizzazione di scene e costumi, del fondo per la circuitazione dello spettacolo e delle ricompense per i sostenitori e le sostenitrici, per il materiale fotografico necessario per un’installazione fotografica nello spazio teatrale da visitare prima dello spettacolo oltre che alla retribuzione in termini di cachet e oneri contributivi delle persone coinvolte nel progetto artistico a difesa del riconoscimento del loro lavoro
chiavi in prestito Martina bruni a casa vuota
ROMA. Le chiavi prese in prestito non hanno radici, appartengono alle case degli altri e sono viatici per luoghi magici nei quali vigono le regole dell’ospitalità senza appartenenza. Parte da questo assunto “Chiavi in prestito” la mostra di Martina Bruni artista e psicoterapeuta, calabrese di nascita e milanese di adozione, che dal 26 novembre all’8 gennaio abita con le sue opere gli spazi di Casa Vuota.
Curata da Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo, l’esposizione presenta disegni fatti con i pastelli su carte di piccole dimensioni, attraverso i quali l’artita racconta le stanze nelle quali si trova temporaneamente ad abitare e la relazione che si crea con i suoi ospiti La ricerca artistica di Martina Bruni è caratterizzata da tratti inquieti, colori accesi e visioni oniriche che trasformano gli spazi e le vite che a essi sono legate «Chiavi in prestito – racconta l’artista – sono quelle che tengo in tasca da anni, da quando me ne sono andata da casa Sono una raccolta di traslochi, mobili spostati, arredi
dismessi, coperte mostruose e ninnoli. Sono uscita ed entrata da case non mie, tenendomi pezzi di muri sotto le unghie, passando da stanze aperte e letti occupati. Ho soggiornato in case infestate, ho chiuso porte che non si apriranno più, caffè versati in tazze che non mi sono mai appartenute. Ho dormito nelle intercapedini e messo le tende nelle fughe. Non è mai passata la nostalgia di casa, scendendo e salendo dai treni ho praticato rituali di memorie tra comodini e giardini. Non me ne sono mai andata e non sono mai ritornata. Così in questo vagare ho collezionato famiglie transitorie, vissuto affidi condivisi, lottato per camere separate.». «Sono opere su carta di piccolo formato–spiegano i due curatori – tasselli del puzzle di una mostra nella quale addentrarsi di soppiatto, con cautela, illuminando con piccole torce porzioni di buio Una mostra da ascoltare negli scricchiolii, nel respiro segreto delle stanze, dove spesso la presenza umana è assente e, se c’è, è addormentata e sembra una cosa fra le cose»
A Casa Vuota, in via Maia al Quadraro, fino all’8 gennaio 2023 le opere dell’artista e psicoterapeuta calabrese
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La ricerca artistica di Martina Bruni è intimamente legata alle istanze e alle pratiche della tecnica psicologica e del suo lavoro di psicoterapeuta. Il colloquio clinico si rispecchia nel disegno, nella misura in cui l’io dell’artista lascia il posto agli altri Così avviene nelle stanze dipinte nelle quali Bruni conduce il visitatore della mostra, invitandolo a sbirciare con lei: racconti di un controtransfer, ovvero di quel sentimento che prova il terapeuta verso il suo paziente. L’artista decide di dipingere la sua assenza dalla scena, riservando il ruolo di protagonista della sua ricerca artistica alle stanze altrui, da riallestire come set, con i loro oggetti intimi e quotidiani, per poi disegnarle e reinventarle. La casa resta la stessa, ma il passaggio di Martina, con il suo sguardo fiabesco e onirico, la modifica.
Nata a Cosenza nel 1989 Martina Bruni vive a Milano. Disegna prediligendo i pastelli a olio e le opere di piccolo formato. Nel 2021 lo Spazio Martin di Milano ospita una sua personale intitolata Infestante. Tra i progetti recenti si segnalano nel 2022 la partecipazione alla residenza C.F. Contempororaryfire di Cerre-
to Guidi in Toscana, nel 2021 Walk in Studio a Milano e Rovina di Futuro Arcaico a Bari e a Valona in Albania, nel 2020 Ulisse presso La Galleria di Amantea e la performance pittorica Dafne allo spazio Metodo di Milano Espone nelle collettive Noccioline organizzate da Yellow, nel 2020 nello studio di Davide Serpetti a Tortoreto e nel 2019 nello studio di Luigi Presicce a Firenze È del 2019 infine la partecipazione al Simposio di pittura della Fondazione Lac O Le Mon di Lecce
chi Guarda possa trovare la vita. “don Fortunato di noto”
Dario BottaroAddèvu è il titolo della collettiva allestita a Siracusa negli spazi della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo fino al 26 febbraio 2023.
Le opere della Galleria dialogano con gli scatti di 15 fotografi
Esiste un filo invisibile che fa parte della vita di ciascuno di noi, un filo rosso che in modo imprescindibile ci lega gli uni agli altri, e questo filo ha un luogo di principio: il grembo materno Germoglio di quella vita che dopo aver preso forma umana viene alla luce in tutta la sua disarmante bellezza, che sconvolge ed entusiasma e ci fa sentire l’immensa potenza del suo mistero Un mistero che ha principio quando veniamo al mondo e che si evolve con il passare del tempo, si tramuta in sillabe, poi in parole, poi ancora nelle infinite attitudini di ciascun individuo.
Il primo luogo dopo il grembo materno in cui si manifesta l’avventura della vita è la “culla”, che è stata scelta
appositamente come simbolo dell’infanzia e inizio del percorso espositivo di questa mostra, pensata per riallacciare quel filo rosso e mettere in dialogo, anche attraverso le parole delle poesie scritte da don Fortunato di Noto, le opere della Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, con gli scatti di quindici fotografi. Uomini e donne provenienti da ambiti differenti che hanno riflettuto e dialogato con le testimonianze pittoriche e scultoree del passato, scomponendo, ricomponendo e rielaborando le immagini per trarne il loro personale messaggio che consegnano alla comunità, anch’essa luogo fondamentale in cui ogni bambino cresce e si forma diventando uomo. A soste-
nere questo scambio di pensieri e rappresentazioni figurative, le parole sensibili e poetiche del sacerdote che da anni, lotta per la difesa dell’infanzia
Quello dell’Associazione Meter di don Fortunato Di Noto – che da anni si occupa della tutela dei minori – è un progetto che fra le sale della Galleria Bellomo, prende vita per affermare l’importanza dei diritti dei bambini e schierarsi apertamente dalla loro parte, a tutela della vita e delle esigenze dei più piccoli e indifesi
E se una culla dall’aspetto consunto, ma affasciante nelle sue forme sinuose e nel suo implicito significato, è il punto di partenza di questo viaggio metaforico, si prosegue con le immagini su tavola delle Madonne in trono col Bambino. Al loro fianco le fotografie di Melo Minnella, “Maternità” (fig. 1) in dialogo con la “Madonna della Speranza” e Giacomo Vespo, “#likestories” (fig 2) vicino alla “Madonna in trono adorante il bambino e sei angeli oranti”. Due diverse interpretazioni del tema, Minnella – che nella sua lunga carriera
S t o r i e l ’u o m o e i l t e r r i t o r i o
artistica ha ben conosciuto e immortalato gli istanti della quotidianità nel mondo - ci presenta una donna orientale, accovacciata con il figlio sulle gambe e il suo velo a protezione del bambino, è l’essenza stessa dell’essere madre Manifestazione della cura e della protezione riservata alla creatura, enfatizzate dalla scelta del bianco/nero dello scatto In quest’immagine così veritiera sembra quasi di scorgere la simbologia della “culla” nella sua forma
piramidale, rimembranza di un tempo passato, di un’antropologia custodita nella memoria, ma sempre attuale al sorgere di una vita nuova che si affaccia al mondo. Giacomo Vespo rilegge invece l’opera antica contestualizzandola nel tessuto sociale della sua città, Noto. Ai piedi dell’imponente scalinata della Cattedrale tre ancelle fanno da corona alla gran dama col bimbo in braccio, tutte in abiti settecenteschi a sottolineare l’importanza storica della
città-madre del Barocco siciliano. La particolarità dello scatto risiede però nella presenza/assenza delle piccole dame, fisicamente occupanti la scena, ma totalmente estranee a madre e figlio perché assorbite dai loro social media Una riflessione che dunque pone l’accento sulla pluralità delle vite odierne, impegnate ad “essere ed esistere” nella realtà e nel virtuale che spesso si mescolano fino a confondersi.
Alla “Madonna del Soccorso”
fa da specchio la fotografia di Giuseppe Margani “Eppure sono convinto che c’è una mano invisibile” (fig. 3), titolo tratto da una poesia del bengalese Rabindranath Tagore, vissuto a cavallo fra il XIX e il XX secolo. L’autore, già nell’intitolare il momento immortalato, evoca una forza misteriosa, non solo generatrice di vita, ma anche del suo evolversi, trasformarsi, farsi materia e poi essenza invisibile, codificata nel linguaggio dei sentimenti umani che
dinanzi alla fragilità di un bambino si fanno culla, abbraccio e scudo protettivo. Margani – la cui cifra distintiva è l’indagine profonda della quotidianità attraverso l’umano vivere – con il suo bianco/nero crea un contrasto visivo dal forte impatto emotivo I soggetti qui raffigurati sono un uomo di colore che tiene teneramente in braccio un bimbo biondo e nella fusione delle due figure risiede il messaggio di unità e unicità delle vite umane, oltre
che l’implicito richiamo alle tematiche della nostra società sui temi dell’immigrazione, l’integrazione sociale e del diritto alla vita che non è e non deve essere privilegio delle nazioni più sviluppate, bensì fondamento di dignità e rispetto universale di ogni individuo All’infanzia si lega profondamente l’opera successiva che ritrae una scultura de “La Carità” raffigurata come una donna che tiene in braccio due bambini con le manine
appoggiate ai seni. A riflettere sul tema è Candida Luciano che si autoritrae nello scatto fotografico “Global charity” (fig 4) dai toni vivaci, ricco di simbolismi contemporanei. L’attenzione per il pianeta e per gli esseri viventi viene rappresentata dai sacchetti biodegradabili con pane e cibo per gli animali, mentre la scritta “no alla guerra” è impressa sul foglio di giornale che avvolge i fiori, richiamo alla delicatezza ed alla fragilità dei bambini e dei più deboli; sullo schermo dello smartphone rivolto verso lo spettatore appare infine un sito tramite cui effettuare donazioni per i popoli colpiti dalla guerra Questo tema si palesa nell’immagine in bianco/nero del fotografo reporter di guerra Ugo Lucio Borga intitolata “The violence’s shadow” (fig. 5) che dialoga con la “Strage degli innocenti” Borga fa tesoro della sua esperienza di vita vissuta nei territori colpiti dai conflitti e guerriglie, dove ogni diritto svanisce davanti alla ferocia della violenza L’essenza del suo messaggio è dunque il ricordare a tutti l’importanza del diritto alla vita, spronando l’opinione pubblica all’intollerabilità della guerra e di ogni forma di sopruso L’immagine scelta in questo caso è quella di uno specchio frantumato da un proiettile in cui è riflessa l’immagine di un bambino. Il foro dell’arma da fuoco e le innumerevoli crepe nella materia si trasformano in sintesi del dolore provocato dal caos della violenza. Una violenza sorda, che tiene il fiato sospeso e fa tacere, contrapposta alle urla di strazio delle donne che si vedono uccidere i figli sotto i loro stessi occhi, tra le loro stesse mani. La luce caravaggesca è invece la cifra stilistica di Toni Mazzarella che reinterpreta con un tableaux vivant dal titolo “Nascita e passione” (fig. 6) - a metà tra l’antico e il contemporaneo - il soggetto della “Adorazione dei Magi”. Se nell’opera del Bellomo la luce pervade interamente il campo
pittorico esaltando i personaggi, nella fotografia di Mazzarella le figure emergono dal fondo nero, in un dialogo silenzioso che contiene il “Mistero” divino insieme all’incredulità umana.
Una riflessione, quella di Mazzarella, che va oltre l’opera stessa, assurgendo a documento teologico della nascita e della morte di Cristo messo in risalto - bambino e risorto - dal drappo rosso che avvolge i soggetti insieme alla giovane donna nelle vesti della Vergine, colei che dall’Incarnazione alla Resurrezione non ha mai lasciato il Figlio Il giovane in tenuta sportiva si affaccia sulla scena osservando il calice offerto dal sacerdote e ci riporta alla sociale contemporaneità in cui dilagano scetticismo e superficialità dinanzi al tema del sacro.
Alle “Teste di puttini” che appartengono ai taccuini di Filippo Paladini, opera grafica a matita nera e sanguigna su carta di indubbia bellezza, fa da specchio la fotografia di Giuseppe Leone intitolata “Gemellini” (fig. 7). Il fotografo - maestro nel catturare attimi di vita quotidiana siciliana e non solo – immortala la spontaneità di due gemelli che si abbracciano e sorridono per strada, innanzi un muro scrostato. L’ambiente e l’immagine riverberano di emozioni fanciullesche facendosi narrazione del quotidiano, riportando la mente a tempi passati, in cui i bambini giocavano per strada e l’ambiente urbano era quasi l’estensione del focolare domestico. Poco più in là, nella sala dedicata al pittore aretuseo Mario Minniti, questo senso di felicità viene interrotto dalla presenza della fotografia di Letizia Battaglia, “La bambina non è mai andata a scuola” Le monocromie del bianco/nero si contrappongono alle tinte intense del “Martirio di Santa Lucia”, specialmente al vortice creato dal mantello rosso dell’aguzzino Due immagini che ritraggono due vite interrotte, la martire che offre se stessa per Dio da una parte, la bambina che è costretta ad abbandonare la scuola dall’altra. Due opere il cui fulcro è l’adolescenza. La foto concessa dalla “Fondazione Letizia Bat-
taglia” diventa così ricordo di una società patriarcale dove le donne sacrificano la loro vita per farsi carico delle responsabilità per la cura della famiglia e del focolare domestico, ma anche monito per quella contemporanea richiamando l’importanza di essere vigili affinché a nessun bambino venga negato il diritto allo studio ed alla crescita consapevole, pienamente inserito nella società. Il tema della famiglia, ma in tutt’altra accezione, è presentato da Maria Pia Ballarino, la cui sensibilità artistica ha prodotto “Ciatu miu/Lux” (fig. 8), fotografia in bianco e nero scaturita dalla riflessione sull’opera “Sacra Famiglia con San Giovannino”. Se nella tela seicentesca le figure –seppur vicine nello spazio –appaiono come immerse singolarmente in stati d’animo differenti, con un solitario san Giuseppe sullo sfondo, la Vergine immersa in un’estasi che ne rapisce lo sguardo al cielo verso la luce dorata, il piccolo Gesù a contemplare la Croce nel mistero trinitario e san Giovannino a riconoscere la regalità e divinità dell’Infante baciandone con delicatezza il piede, nello scatto della Ballarino è presentata la condizione opposta. La centralità del sentimento della gioia e della giocosità è amplificata dalla monocromia dei bianchi e dei neri che definiscono e dettagliano la fisiognomica di ogni singolo soggetto Un momento di vita
quotidiana vissuto, la gioia della famiglia riunita, la bellezza dei sorrisi e degli sguardi che convergono sulla bambina, parlano con chiarezza dell’emozione condivisa dai protagonisti nell’ammirare l’innata allegria della bimba Fotografia di dettaglio è invece quella di Luca Scamporlino, specializzato nel “fermare” la potente bellezza del Creato e del paesaggio extra urbano. Con “Aurora di Apollo” (fig. 9), presenta il particolare dello sguardo di un bambino dagli occhi di un azzurro intenso, illuminato dalla luce del sole, traendo questa conclusione fotografica da un oggetto portato alla luce dai depositi della Galleria Bellomo per questa occasione, il “Putto” in bronzo che gioca con una farfalla appoggiata al palmo della mano Un rimando al periodo neonatale ed al senso della scoperta e dello stupore che appartiene ai più piccoli e che questo sguardo innocente ben ci trasmette. Gioco e spensieratezza si palesano in “Anime complici” (fig 10), la fotografia in bianco/nero di Tiziana Blanco, affermata fotografa amante della bellezza che si rivela nel quotidiano, ci circonda e ci avvolge L’immagine, ispirata da un “Pendaglio” in ferro e bronzo, ci consegna una ragazza e un ragazzino che giocano con un gioiello, colti nei loro sorrisi spontanei, immersi in quello che è un luogo di cultura – come si evince dai tanti libri alle loro
spalle - per sottolineare il fondamentale diritto allo studio e l’importanza del sapere per formare gli uomini e le donne del domani per una società proiettata al bene comune attraverso la tutela dei singoli La quotidianità familiare è il centro della riflessione del fotografo freelance Damiano Macca, che dialoga con una “Scena di vita familiare”, gruppo scultoreo in terracotta acroma. La sua “Coera” (fig. 11) ferma l’immagine che è quasi completamente una silouette, dove la gestualità è il veicolo del messaggio. Due genitori che preparano il biberon per il figlio La madre che teneramente lo tiene in braccio e il padre che prima di dar da mangiare al figlio testa la temperatura del latte facendo cadere qualche goccia sul suo braccio, e quella goccia sospesa nella foto diventa il dettaglio nel quale è racchiuso il senso stesso della fotografia, mutandosi in memoria collettiva e senso della vita. L’assenza e lo sconforto si rendono invece presenti in “Vacuum” (fig. 12), fotografia di Arianna Consiglio che diventa conseguenza dell’opera con cui dialoga, una terracotta policroma raffigurante “Scena di sequestro”. Il gruppo raffigurante personaggi malavitosi, presenta quattro figure, tra cui una donna con un fucile e un sigaro alle labbra che fanno da cornice ad un uomo anziano e un bam-
bino posti al centro, il primo legato a un albero, l’infante seduto e con le manine legate. Una rappresentazione forte e al contempo veritiera che porta alla memoria il tempo del brigantaggio, ma anche gli episodi di mafia e violenza che hanno insanguinato la Sicilia, oggi ancora purtroppo attuali se pensiamo alle tante forme di “sequestro” che i mass media giornalmente sottopongono alla nostra attenzione. La violenza domestica sulle donne, quella perpetrata a danno dei bambini nelle strutture dell’infanzia e quelle a discapito degli anziani in alcune RSA, sono l’esempio lampante di come il tema sia di grande attualità. Arianna Consiglio immortala due sedie vuote catapultate a terra, in bianco/nero, che diventano elementi di una narrazione di silenziosa violenza, di mancanza dei diritti fondamentali. Sembrerebbe che un momento prima dello scatto fotografico, la scena fosse occupata da persone, mentre nell’istante successivo rimangono solo vuoto, silenzio e dolore Sullo sfondo della stanza, riflesse nel chiarore proveniente dalla finestra, si scorgono le ombre di due candelabri e d’una sagoma che sembra riflettere su quell’assenza L’essenza della presenza materna e protettiva si manifesta invece, nella fotografia in bianco/nero di Michele Pantano, “Luce di vita” (fig 13) che ritrae una madre con il bimbo in braccio.
Il richiamo è alla “Madonna del Cardillo” di Domenico Gagini, una delle sculture marmoree più importanti del Rinascimento aretuseo ed esposta presso la galleria Bellomo A farla da protagonista nell’immagine di Pantano, è la luce che illumina lo sfondo con il Porto Grande di Siracusa – entro il quale sembrano cullarsi madre e figlio – attraversati da un raggio che ne sfuma i contorni, quasi a fermare l’istante di questo dialogo silenzioso che parla di una nuova vita pronta a sbocciare A concludere il percorso espositivo in questo intenso reciproco scambio tra l’arte del passato e l’esperienza fotografica, è lo scatto di Marco Caruso intitolato “Nascerà” (fig. 14). L’opera di riferimento è l’immagine della Natività
contenuta nel “Libro d’ore miniato” attorniata dall’elaborata cornice a motivi fitomorfi in cui sono inserite anche immagini del bestiario medievale, in una simbologia che richiama la lotta tra il bene e il male. La fotografia di Caruso è un atto di denuncia contro l’aborto e contro il business per alcune case farmaceutiche che negli ultimi anni hanno incrementato i loro introiti grazie alla “pillola del giorno dopo” Nella foto viene immortala una giovane seduta a cavalcioni di un muretto con lo sfondo del mare al tramonto Un gioco di sfumature dai toni caldi del cielo che contrasta con l’azzurro del mare dove l’orizzonte si confonde perdendosi, così come confuso è il gesto – volutamente mosso – della giovane immersa nei
suoi pensieri, nella sua solitudine con accanto gli elementi della contemporaneità e il farmaco L’atmosfera paesaggistica della bellezza del Creato, si fa spazio e territorio di scontro tra la vita e la morte, così come l’immagine – nella sua totalità – si contrappone al significato dell’opera di riferimento, da un lato la Vita, dall’altro la possibilità di decidere di un embrione, principio di una nuova vita, ma di esistenza negata.
l u o g h i d e l l a p a r o l a
diabolik ed eva, eroi del criMine. torna al cineMa con Ginko
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Sfogliando vecchi fumetti tra eroi ed eroine
All'inizio, non ci piacque. Noi cercavamo eroine disponibili e maggiorate, ci solleticava l'idea di andare il più vicino possibile a quella 'natura' che ci era preclusa da veti, censura e morale Volevamo le storie con donne che soddisfacessero i desi-
deri più che frustrati degli adolescenti degli anni Sessanta E ci offrivano, invece, un prodotto asettico e surreale, con un eroe invidiabile per il fisico e lo sguardo, padrone di un'auto favolosa e pressoché invincibile. E la sua donna era fedelissima e non disposta a que-
gli slanci passionali che si intuivano ma venivano castigati da un'assenza di disegno lodevolissima ma per noi troppo omissiva... E poi: saremmo mai usciti con una come Eva Kant, così algida e irraggiungibile? Neanche a pensarci, ma scherziamo?
Insomma, Diabolik ci incuteva un enorme rispetto, vedevamo in lui e nel suo mondo la rarefatta irrealtà di un sogno del quale non ci sentivamo partecipi. Che dire, poi, di Clerville? Non assomigliava in nulla alle città che eravamo abituati a incontrare nei film e nei romanzi, città con nebbie e rifiuti, centri storici martoriati, a Clerville il centro storico dove era?
Niente: molto più prosaicamente, come preferivamo Il grande Bleck e Capitan Miki a Tex, così ci andavano a genio tutti gli altri fumetti e fotoromanzi che fossero più vicini ad una immaginazione usa-egetta fatta di bellone procaci e con trame evanescenti
Col passare del tempo, abbiamo cominciato a capire che esisteva una vera e propria 'fenomenologia' di Diabolik, non come quella esplicitata da Umberto Eco per Mike Bongiorno ma, al contrario, racchiusa in un prezioso dono che le sorelle Giussani ci lasciavano in edicola, con cadenza sistematica. Ci è entrata nella consuetudine introspettiva quella serie di figure dalle linee precise e dalla esplicativa funzione scenica del bianco e nero, trattato con una tale maestria da diventare, ben presto, una icona inimitabile Ci ha affascinato la pesante leggerezza con cui i protagonisti (Eva è, col tempo, cresciuta al ruolo di co-protagonista, confermando la voluta monogamia dell'eroe maschile, che ha occhi solo per lei...) si liberano di tutti gli ostacoli per condurre in porto il piano criminoso del momento Oddio, criminoso non più di tanto: giustificato in ogni modo con alibi che ci fanno
sentire meno colpevoli perché siamo chiaramente dalla parte di chi infrange la Legge. Quella legge che, per noi cresciuti con l'imperturbabile volto di Perry Mason e la pipa di Maigret, avevamo imparato a dover rispettare ad ogni costo Con Diabolik, invece, siamo dalla sua parte, e vediamo con piacere la sconfitta di Ginko, forse l'unico ispettore, nella storia del crimine a fumetti, a far bella figura pur essendo l'eterno sconfitto.
Insomma, Diabolik ci è entrato dentro e rimane, solidamente, a riempire l'archivio dei nostri preferiti, assieme a Topolino, alle Figurine Panini e all'immortale Settimana Enigmistica
E se il primo film tratto dalle sue avventure ci è sembrato un insulto alla sua figura, andremo a vedere anche questo che viene presentato proprio sotto Natale, una incongruenza, a pensarci bene, mettere Diabolik nel Presepe assieme ai tanti Babbi Natali, ci sembra veramente assurdo.
Milano da roMantica a scapiGliata
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In mostra fino al 12 marzo 2023 al Castello Visconteo Sforzesco di Novara settanta capolavori della pittura lombarda
NOVARA. Milano. Da Romantica a Scapigliata è il titolo della mostra allestita nel Castello Visconteo Sforzesco di Novara. Fino al 12 marzo 2023, si potranno ammirare settanta capolavori eseguiti dai maggiori protagonisti della cultura figurativa ottocentesca attivi a Milano, che ripercorrono l’evoluzione della pittura lombarda dal Romanticismo alla Scapigliatura. Un percorso articolato in otto sezioni curato da Elisabetta Chiodini coadiuvata da un Comitato scientifico di cui fanno parte
Niccolò D’Agati, Fernando Mazzocca, Sergio Rebora. Aprono il percorso due straordinari capolavori ispirati a opere narrative di grande successo popolare: I Lambertazzi e i Geremei di Defendente Sacchi (1796-1840) e Paul et Virginie di Jaques-Henri Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814). Firmata da Francesco Hayez (1791-1882) è infatti l’Imelda de Lambertazzi eseguita nel 1853 per il collezionista monzese Giovanni Masciaga mentre il gruppo in marmo Paolo e Virgi-
nia eseguito su commissione del conte Giulio Litta, capolavoro della scultura romantica, fu realizzato da Alessandro Puttinati (18011872).
La prima sezione della mostra è dedicata alla “pittura urbana”, termine coniato nel 1829 da Defendente Sacchi per qualificare il nuovo genere di veduta prospettica elaborato e portato al successo tra il secondo e terzo decennio dell’Ottocento dal pittore alessandrino Giovanni Migliara (1785-1837) di cui è possibile ammirare la Veduta di Piazza del Duomo in Milano, 1828, dalla Collezione di Fondazione Cariplo e la Veduta dell’interno del I.R. Palazzo del Governo, del 1834. Seguono opere di Giuseppe Elena (18011867) come Veduta di piazza della Vetra in Milano, 1833, dalla Collezione di Fondazio-
ne Cariplo e di Luigi Premazzi (1814-1891), nonché di Luigi Bisi (1814-1886), di Giuseppe Canella (1788-1847) e di Angelo Inganni (1807-1880) che offrono allo sguardo del visitatore alcune spettacolari inquadrature tra le vie, le piazze, lungo i Navigli, proprio negli anni che videro l’inizio della loro trasformazione nei luoghi oggi noti come Piazza del Duomo, Corsia dei Servi, Piazza San Babila, Piazza della Scala e del Verziere. Una vera e propria galleria di ritratti è il focus della seconda sezione dedicata ai protagonisti” della storia milanese di quegli anni Tra le opere in mostra spiccano il Ritratto di Alessandro Manzoni di Molteni, recentemente ritrovato, e il Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili con il figlio Giuseppe, straordinaria maternità laica, uno dei vertici della
ritrattistica di Hayez. Seguono lavori di Carlo Arienti (1801-1873) rappresentato dal Ritratto del conte Carlo Alfonso Schiaffinati in abito da cacciatore (1834) e di Giovanni Carnovali, più noto come il Piccio (1804-1874), le opere dei fratelli Domenico (1815-1878) e Gerolamo Induno (1825-1890) narratori della storia degli umili. La terza sezione è interamente dedicata alle Cinque giornate di Milano e agli episodi cruciali che nel marzo del 1848 portarono alla temporanea liberazione di Milano dalla dominazione austriaca Qui la fa da padrone Carlo Bossoli (1815-1884), vedutista di straordinaria sensibilità che raggiunse fama internazionale proprio attraverso dipinti rievocativi delle guerre d’indipendenza, come
ad esempio la tela Carlo Alberto al balcone di Palazzo Greppi proveniente dal Museo del Risorgimento di Milano da cui arriva anche uno dei capolavori di Baldassare Verazzi (1819-1886) Episodio delle cinque giornate, Combattimento presso Palazzo Litta. I fratelli milanesi Domenico e Gerolamo Induno, tra i maggiori protagonisti della scena figurativa di quei decenni sono i protagonisti della quarta sezione, La Storia narrata dalla parte del popolo, con le loro opere raffiguranti gli umili interni domestici della gente comune della Milano del tempo Tra questi il celeberrimo Pane e lacrime di Domenico Induno.
Verso il rinnovamento del linguaggio: dal disegno al colore è il tema della quinta sezio-
ne dedicata appunto agli autori autori fondamentali nel rinnovamento del linguaggio pittorico: Eleuterio Pagliano (1826-1903) con Il libro di preghiere, 1857-1858 e Giuseppe Bertini (1825-1898), con Ofelia, 1860-1870, entrambi dai Musei Civici di Varese; il già citato Piccio, presente con il Ritratto di Gina Caccia, del 1862, Federico Faruffini (18331869), con lo splendido olio Toletta antica, (1865) e il talentuoso e ribelle alievo di Hayez: il milanese Filippo Carcano (18401914)
Il sistema di Filippo Carcano La pittura scombiccherata e impiastricciata è il titolo della sesta sezione dove è possibile ammirare le opere dell’artista che in aperta rottura con la tradizione accademica del disegno,
costruiva le immagini attraverso l’uso del solo colore In rassegna anche le opere degli artisti che sposavano tale linguaggio come Giuseppe Barbaglia (1841-1910), Vespasiano Bignami (1841-1929) e Mosè Bianchi (1840-1904)
Il percorso espositivo prosegue con alcune significative opere dipinte nel corso dei secondi anni sessanta da Tranquillo Cremona (1837-1878) e Daniele Ranzoni (18431889), prima dell’elaborazione di quel linguaggio scapigliato che caratterizzerà le opere della loro maturità artistica, sezione che anticipa l’ultima, dedicata appunto ad alcuni dei maggiori capolavori scapigliati eseguiti dalla metà degli anni settanta ai primi anni ottanta. Tra questi segnaliamo Melo-
x 36,5 cm 1886 circa Collezione privata dia e In ascolto, straordinarie tele eseguite en pendant da Cremona tra il 1874 e il 1878 su commissione d e l l ’ i n d u s t r i a l e Andrea Ponti, Visita al collegio, ancora di Cremona, riferibile al biennio 18771878, nonché alcuni dei più intensi ritratti eseguiti da Ranzoni, quali il Ritratto della signora Luigia Pisani Dossi, esposto a Brera nel 1880 lo splendido Giovinetta inglese e Ritratto di Antonietta Tzikos di Saint Leger, databili entrambi intorno al 1866.
Milano. Da romantica a scapigliata Castello di Novara Piazza Martiri della Libertà 3 orario: 10.00 – 19.00 lunedì chiuso Aperture straordinarie: domenica 1, venerdì 6 e domenica 22 gennaio. Biglietto: Intero: € 14,00 Ridotto: € 10,00 Tel. 02 6597728
santa lucia, il videoclip del brano dei Foja con isa danieli e cleMentino
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“Miracoli e Rivoluzioni” è l’album dei Foja band napoletana per nascita lingua e passione, ma aperta al mondo per vocazione che nel nuovo anno andrà in tour. A Milano il 2 febbraio, a Torino il 3 febbraio, a Roma il 9 febbraio Ma in attesa di conoscere le altre date, è possibile ascoltare e vedere il videoclip ufficiale del brano “Santa Lucia” contenuto nel cd e on line dal 22 novembre Il video caricato su youtube è impreziosito dalla presenza del rapper Clementino e dalla straordinaria partecipazione di Isa Danieli Si tratta di una ballata struggente, dai suoni moderni e dalla struttura classica che, attraverso uno storytelling romantico, racconta la vita di una donna, Lucia che ha il volto espressivo di Isa Danieli, “che piglia ‘a vita ‘e pietto senza paura”, resistendo, combattendo, amando e perdonando. Un’atmosfera festosa, una processione festante e variegata, che rimanda ai mille aspetti dell’animo umano, accompagna in trono la “Signora” affiancata dalla figura di un moderno Pulcinella (interpretato da Clementino) nel suo ultimo viaggio dal suo piccolo "vascio" alla luce eterna. Dario Sansone, leader dei Foja così commenta la videoclip: «Santa Lucia è una delle canzoni più cinematografiche del nostro ultimo album "Miracoli e Rivoluzioni”. Oggi ha avuto la fortuna di sposarsi con un racconto per immagini e di potenziare questo aspetto. Siamo molto orgogliosi dell'opera di Michel Liguori e dei giovani talenti di Anartica, grati a Clementino per averci donato le
sue preziose "rime" evocative e la sua energia attoriale, e onorati di aver potuto godere della preziosa interpretazione di Isa Danieli, autentico pezzo di storia del teatro e del cinema italiano »
In questo ultimo lavoro sono molte le collaborazioni Enzo Gragnaniello, voce e anima inconfondibile, presente in una profondissima “’Nmiezo a Niente”; Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, voce e autorevolezza nell’ironica e riflessiva “A cosa stai pensando?”; Clementino, che mette il suo flow al servizio di una ballata struggente come “Santa Lucia”; il pianoforte di Lorenzo Hengeller nell’intensa “Stella”; la poesia di Alessio Sollo ne "L'Urdema Canzone"; Alejandro Romero, guest internazionale nella rilettura in napoletano di un classico come “A mano ‘e D10S”, dedicato anima cuore e bandoneón a Diego Armando Maradona, alla sua rivoluzione sportiva e umana E infine Alessandro Rak e le sue illustrazioni, la genialità poetica di storie come “Yaya e Lennie – The Walking Liberty”, il lungometraggio di animazione della Mad Entertainment da cui è tratta “Duje comme nuje”, canzone dell’amore assoluto inserita nella colonna sonora dell’ultima fatica del regista napoletano, legato al leader dei Foja Dario Sansone da amicizia e collaborazione decennale I Foja nascono nel 2006 Hanno all’attivo quattro album in studio, 'Na Storia Nova, Dimane Torna 'O Sole, 'O Treno Che Va e Miracoli e Rivoluzioni Con il secondo e il ter-
Il brano contenuto nell’album “Miracoli e Rivoluzioni” della band napoletana presto in tour nazionale
zo ottengono un posizionamento nella cinquina finale delle Targhe Tenco nella categoria miglior album in dialetto Girando l'Italia per anni, hanno calcato palchi prestigiosi, registrando sempre il sold-out, tra cui quelli del Teatro di San Carlo con uno show diretto da Franco Dragone (Cirque du Soleil), dell’Arena Flegrea con uno speciale spettacolo che ha unito musica e illustrazioni dal vivo, del Cortile della Reggia di Capodimonte, del Palazzo Reale e di Castel Sant'Elmo a Napoli davanti ad un pubblico di oltre seimila persone La loro musica è stata utilizzata con successo in diversi film come L'arte della felicità (EFA European Film Award) e Gatta Cenerentola, ottenendo la candidatura per la miglior canzone originale sia al David di Donatello con i brani "’A malia” e “A chi appartieni", che ai Nastri d’Argento con “’A
malia”. Dal 2018 hanno inizio collaborazioni discografiche con artisti internazionali (Pauline Croze, La Pegatina, Shaun Ferguson, Weslie, Black Noyze, Alejandro Romero). Nel novembre del 2018 registrano il tutto esaurito nelle date del loro Tour Europeo nei migliori club delle principali capitali e, nel 2019, volano oltreoceano per il loro Tour Canadese e Statunitense tra club e grandi teatri. Nel 2020 chiudono il loro primo decennio di attività discografica con lo speciale cofanetto “Dieci” che raccoglie l’intera produzione, compresi diversi brani fuori album e un inedito.
Nel 2021 escono in contemporanea due nuovi singoli, “Addà se va” e “Tu”, primi segnali del nuovo progetto discografico. L’8 aprile 2022 è uscito il nuovo album dal titolo “Miracoli e Rivoluzioni”
la luce nei dipinti di casey Weldon
Dario Ferreri«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso» Albert Einstein
“Solo
luce
uno
Casey Weldon, classe 1979, è un artista americano nato nel sud della C a l i f o r n i a , d o v e h a t r a s c o r s o l a maggior parte della sua vita giovanile, sino alla laurea all'Art Center College of Design di Pasadena nel 2004. Dopo aver gestito uno studio fuori Las Vegas, Weldon si è trasferito a New York, poi in California ed ora
a Seattle, dove lavora come artista full time.
La sua arte raffinata, intrisa di una sontuosa qualità illustrativa, è stata da alcuni definita come surrealista post-pop ed accostata, per talune caratteristiche, a quella di André Breton e René Magritte Le sue opere, difatti, si ispirano all'icono-
”
Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
la
che
accende a sé stesso, risplende in seguito anche per gli altri” Arthur Schopenhauer
grafia della cultura popolare di oggi e di ieri e mirano a risvegliare sentimenti di nostalgia e malinconia, spesso con un tocco di humor.
L’artista, che in più occasioni si è dichiarato naturalmente incline al “lato oscuro”, per compensarlo utilizza una tavolozza ipercromatica, brillante e vibrante, e sovrappone, con cura, strati di colore “al neon” per far
vivere nei suoi dipinti fonti di luce piccole e s u p e r l u m i n o s e e c r e a r e u n b a g l i o r e soprannaturale e drammatico, quasi come se il dipinto fosse illuminato dall'interno: il risultato è una narrazione cinematografica che coinvolge nella storia e che fa esplodere i bagliori del neon all’interno di ambientazioni più cupe I protagonisti delle opere di Casey Weldon
sono gatti e gattini dagli occhi multipli, ragazze fashion che brillano di potere e luci al neon, ritratti di Bill Murray, riflessioni a tema cinematografico alla Wes Anderson, ecc: a prescindere dal tema, il suo uso del colore e della luce diventa magnetico per qualsiasi spettatore, attira e fa interrogare sul cosa e sul perché delle sue specifiche storie visive, in grado di comunicare l'esperienza simbiotica di amare e temere qualco-
sa allo stesso tempo; gatti con quattro occhi che sembrano spaventosi ma anche così i n c r e d i b i l m e n t e c a r i n i ; g i o v a n i d o n n e attraenti ma in contesti dark ed illuminate da strane luci: queste immagini possono rappresentare così tanto e così poco a seconda di chi le guardi.
Dinanzi alle sue opere, l’osservatore è come se stesse vivendo lucide, strane réveries surreali a colori, con luminosità e narra-
zioni fantastiche, nelle quali anche la flora e la fauna interagiscono con una vitalità surreale ma intenzionale: Casey Weldon è un creatore di sogni e immaginazione Weldon ha esposto ed espone il suo lavoro
in gallerie negli Stati Uniti, in Europa ed Australia e i suoi dipinti ora si trovano in collezioni di tutto il mondo Weldon ha anche dipinto e animato a mano il video musicale dei Black Camaro per la
loro canzone Zebraska. Hanno scritto di l u i r i v i s t e q u a l i B e a u t i f u l B i z a r r e Magazine, Hi-Fructose, Juxtapoz, ecc P e r s e g u i r l o s u i s o c i a l h t t p s : / / w w w i n s t agram com/caseywel don/ (oltre 200.000 f o l l o w e r s ) ; h t t p s : / / w w w f a c ebook.com/caseywel d o n a r t , h t t p : / / c a s e y w e ldon com/
taranto con Gli occhi dei baMbini tra Mito e realtà
Antonio Giannini“ ”
“Oggi mi sento greco”. Così diceva mio padre quando sceglieva il passaggio da Taranto, in alternativa alla strada interna che ci conduceva all’allora borgo silenzioso di Porto Cesareo sullo Ionio, per trascorrere le vacanze estive.
Ed uno di noi altri ragazzini accucciati sul sedile posteriore della bianca e lucente Lancia , che profumava ancora di nuovo, chiese il significato di quelle parole. Mio padre non aspettava altro ed in un impeto di classicheggiante nostalgia ci parlava della Magna Grecia, della colonizzazione di molti posti del meridione e della unica colonia Spartana, quella di Taras appunto, il piccolo isolotto posto tra due mari.
Quelle storie raccontate con tanta partecipazione ci coinvolgeva al punto, che l’attraversamento di della città si prospettava come un momento solenne ed indimenticabile.
L’Aspettativa cresceva alquanto già dal curvone in alto prima di scendere dalla Murgia, dove si apriva alla nostra vista, meravigliosa, la pianura divisa a scacchiera dagli appezzamenti coltivati, prima che lo sguardo annegasse nel blu screziato dai riflessi argentei e abbaglianti del mare.
Appena scesi a valle, poi, una esplosione di bouganvillae ed oleandri multicolore ci sembravano come fuochi d’artificio alla festa di San Rocco.
Fiori e file enormi di fichi d’india straripavano dai guard rail, dai muri di tufo e sulle pareti di capannoni e fabbriche scalcinate le quali, nell’avanzare, diventavano sempre più numerose, e alla emozione di quello spettacolo cromatico subentrava lentamente ma inesorabile la delusione.
La sensazione sempre più netta era di avvicinarci al confine di una terra sconosciuta
dove vigeva un altro ordine, dove la natura ingaggiava una lotta sempre più aspra con mostri alieni fin quando, passato Massafra, masserie abbandonate e l’Hotel Tritone, la lotta diventava impari e quella vegetazione spettacolare doveva soccombere definitivamente nell’attraversamento di quella terra desolata dell’allora Italsider, Eni e Cementir, passando sotto nastri trasportatori lungo un intrigo di metallo e ciminiere a strisce rosse e bianche dalle quali, senza posa, fuoruscivano braccia fluttuanti e grigie di fumo che sembravano imprecare vendetta al cielo, proprio come nell’eterna lotta tra il bene ed il male delle storie lette a scuola Questo viaggio, il primo di una lunga serie, mi ricordo, ci richiamò alla memoria il racconto del Re Leone quando Simba si inoltra nel territorio
desolato e spoglio dove Skar gli tende un agguato, e quella associazione non è più andata via dalle nostre menti di ragazzini.
La terra desolata terminava dopo Porta Napoli quando si arrivava al primo ponte che immetteva alla città vecchia, ed il senso di oppressione era finalmente liberato anche grazie alla frotta sciamante di ragazzini, forse della nostra età, in costume da bagno, che dal parapetto, a turno, si tuffavano in mare suscitando in noi allegria ed ammirazione mista ad un filo di invidia.
Prima di prendere il secondo ponte e costeggiare tutta la città nuova verso il Salento, le due colonne se ne stavano li “uniche superstiti di un grande tempio dorico di Poseidone”, diceva mio padre quasi declamando, “a simboleggiare la grandezza delle origini della Città”; e questa unica testi-
monianza, unita al racconto affascinante dei miti greci, aveva impresso definitivamente le nostre menti come un marchio indelebile.
Il viaggio doveva proseguire e non c’era mai tempo di fermarsi ed inoltrarsi nel centro antico dove chissà quali storie e quanti personaggi attuali si nascondevano. A vederlo da fuori il centro antico, l’isola, sembrava una casba inaccessibile dove entrarci, ci sembrava, sarebbe stato come violare i confini di un territorio abitato da uomini, donne, bambini di un’altra stirpe.
Ma era quello un motivo per cui la città vecchia, appartata e guardinga allo stesso tempo, ci attraeva ed accendeva la nostra fantasia.
Ad una ventina di chilometri più avanti, lungo la strada che costeggiava lo Ionio, c’era una baia con tutt’intorno una cresta di pini ed
era bello vedere il bianco della sabbia, il blu del mare e il verde della pineta. Era Lido Silvana, e ci piaceva allora pensare che il precedente attraversamento di quella zona d’ombra lungo tutto il tratto di statale che fiancheggiava l’Italsider, era il prezzo imposto da Poseidone dio del mare, delle onde, dei terremoti, del vento e delle tempeste oceaniche, per farci accedere in questo paradiso terrestre.
E poi ancora, come in un crescendo che pareva non finisse mai c’era Campo Marino, San Pietro in Bevagna, Torre Lapillo ed in fine la nostra Porto Cesareo di cui allora ignoravamo sarebbe diventata un pezzo importante della nostra vita, quando Edipo avrebbe ceduto finalmente il passo ai sentimenti adolescenziali. Ma quella è un’altra storia.
Grazia varisco
Lecce, Fondazione Biscozzi | Rimbaud piazzetta Baglivi
9 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023
Apertura: tutti i pomeriggi, escluso il lunedì dalle ore 16 00 alle 19 00, la domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16 00 alle 19 00 Biglietto d’ingresso: 5 euro (comprensivo anche di visita dell’esposizione permanente della Fondazione)
Biglietto ridotto: 3 euro (comprensivo anche di visita dell’esposizione permanente della Fondazione) - per gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 anni, scolaresche (della primaria e delle secondarie), studenti di università, accademie d’arte e conservatori provvisti di tesserino, insegnanti tel. 0832 1994743
www.fondazionebiscozzirimbaud.it
Marta
Museo archeologico nazionale Taranto, Corso Umberto n. 41 Tel. +39 099 4532112
www.museotaranto.beniculturali.it
collection
150 fotografie della collezione bachelot a cura di Sam Stourdzé 7 ottobre 2022 -15 gennaio 2023 Roma, Accademia di Francia Villa Medici Viale della Trinità dei Monti, 1
van GoGh
Palazzo Bonaparte, Roma dall’8 ottobre 2022 al 26 marzo 2023 Orario apertura: dal lunedì al venerdì 9 – 19 Sabato e domenica 9 – 21
Aperture straordinarie: Giovedì 8
Dicembre 9 – 21; Sabato 24 Dicembre 9 – 16; Domenica 25 Dicembre 16 – 21 Lunedì 26 Dicembre 9 – 21; Sabato 31 Dicembre 9– 16; Domenica 1 Gennaio 16 – 21; Venerdì 6 Gennaio 9 – 21
La biglietteria chiude un’ora prima Biglietti; Intero € 18,00; Rid. € 16,00 T. +39 06 8715 111
pittori di poMpei
23 settembre 2022 - 19 marzo 2023 Museo Civico Archeologico, Bologna Museo Civico Archeologico Bologna, Via dell’Archiginnasio 2, Biglietti: intero € 14 | ridotto € 12 | scuole € 5 Info e prevendite: +39 02 91446110 mondomostre vivaticket it ipittoridipompei.it
richard avedon: relationships 100 scatti per celebrare il grande fotografo Richard Avedon Milano, Palazzo Reale fino al 29 gennaio 2023 Lunedì chiuso. Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10 0019.30. Giovedì 10.00 - 22.30 Intero € 15,00 www.palazzorealemilano.it
lisetta carMi. suonare Forte Gallerie d'Italia - Torino fino al 22 gennaio 2023 Martedì, Giovedi, Venerdì, Sabato, Domenica dalle 9 30 alle 19 30 Mercoledi dalle 9.30 alle 22.30 Lunedì chiuso Ultimo ingresso: un’ora e mezza prima della chiusura. Ingresso: 10 € www gallerieditalia com/
arteMisia Gentileschi a napoli Gallerie d'Italia - Napoli Napoli, Via Toledo, 177 Dal 3 dicembre 2022 al 20 marzo 2023 Da martedì a venerdì dalle 10:00 alle 19:00 Sabato e domenica dalle 10:00 alle 20:00. Ultimo ingresso: un ' ora prima della chiusura Lunedì chiuso. Intero: 7,00 Info: 800 167 619
robert doisneau
CAMERA Torino, CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia Torino, Via delle Rosine 18, fino al 14 febbraio 2023
La mostra sarà aperta tutti i giorni dalle 11.00 alle 19.00 e il giovedì dalle 11 00 alle 21 00 www.camera.to
pier paolo pasolini. sotto Gli occhi del Mondo
Villa Manin di Passariano e il Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa della Delizia fino al 8 gennaio 2023 da martedì a domenica 10.00 – 19.00 lunedì chiuso Aperture straordinarie: martedì 1° novembre, giovedì 8 dicembre, sabato 24 dicembre fino alle 14.00, sabato 31 dicembre fino alle 14.00, venerdì 6 gennaio 2023
Ingresso Villa Manin: Intero € 8,00 Ingresso Centro Studi Pier Paolo Pasolini: gratuito https://www.villamanin.it/
i Macchiaioli
Museo Revoltella, Trieste fino al 10 aprile 2023 Orario apertura Dal lunedì alla domenica e festivi 9-19 Martedì chiuso (la biglietteria chiude un’ora prima) Biglietti Intero € 16,00; Rid. € 14,00 Informazioni e prenotazioni +39 040 982781
jago, banksy, tvboy e altre storie controcorrente Palazzo Albergati, Bologna fino al 7 maggio 2023 Orario apertura, Tutti i giorni 10 – 20 Biglietti Intero € 15,00, Rid. € 13,00 Informazioni e prenotazioni T. +39 051 030141
escher
Museo degli Innocenti, Firenze fino al 26 marzo 2023
Orario apertura: tutti i giorni 9 – 19 Biglietti mostra + Museo degli Innocenti: Intero € 16,00, Ridotto € 14,00
raoul duFy. il pittore della Gioia Palazzo Cipolla, Roma fino al 26 febbraio 2023 BIglietto: € 10,00 Telefono: 06 983 7051
Al cinema solo il 17, 18 e 19 gennaio 2022 il film diretto dal regista David Bickerstaff distribuito da Adler Entertainment
L U O G H I D E L S A P E R E
ANTONIO BUENO
Catalogo generale delle opere vol 3
Editoriale
Giorgio Mondadori 2017 p. 176 €100,00 ISBN 978860528261
ANTONIO BUENO, IL CATALOGO DELLE OPERE EDITORIALE GIORGIO MONDADORI
Tra le pubblicazioni della Editoriale Giorgio Mondadori segnaliamo il terzo volume del Catalogo Generale delle Opere di Antonio Bueno, tra i protagonisti dell’arte italiana del Novecento. Con una veste grafica di pregio, il catalogo è frutto di due anni di ricerche, verifiche e approfondimenti ed è curato dallo storico dell’arte Giovanni Faccenda insieme alla figlia dell’artista Maria Isabella Bueno.
Si tratta di un volume davvero prezioso, proseguimento del lavoro iniziato con la prima (1994) e la seconda edizione (2006), che vede pubblicate 280 opere, alcune inedite e altre poco note, realizzate da Antonio Bueno tra il 1939 e il 1984, anno della sua scomparsa Come spiega nell’introduzione la stessa Maria Isabella Bueno, l’approfondimento riguarda i primi venti anni di attività del Maestro: si scopre così una vasta produzione realizzata sul finire degli anni ’50 che testimonia il passaggio dal periodo delle ‘Pipe di gesso’ a quello del ritorno della figura femminile, tema che non verrà più abbandonato da Bueno, ma che subirà negli anni a venire una evoluzione stilistica molto evidente Il catalogo è uno strumento indispensabile per chi si accosta o vuole approfondire la figura di Bueno “sperimentatore ineguagliabile” come lo definisce il curatore sottolineando come l’artista passa dall’essere parte «prima dei Pittori Moderni della Realtà, poi dei Poeti Visivi finanche talune, suggestive escursioni, durante i primi anni Sessanta nei variegati contesti della Pop Art inglese e americana.» Un artista geniale che seppe spaziare nei territori più disparati di un’arte mai rinnegatrice del disegno e della pittura, anticipatore e innovatore come documentato dal corpus delle opere anticipato dalla nota biografica dell’artista.
Nato il 21 luglio 1918, figlio dello scrittore e giornalista Javier Bueno, allora corrispondente a Berlino del quotidiano 'ABC' di Madrid, e di Hannah Rosjanska, Antonio Bueno trascorsa l’infanzia in Spagna, si trasferisce con la famiglia a Ginevra e qui, in seguito, si iscrive all’Accademia di Belle Arti. Nel 1938 esordisce a Parigi esponendo al Salon des Jeunes e nel 1940 arriva in Italia, dove si stabilirà per sempre. Nel 1941- 1942 le pri-
me mostre a Milano e a Firenze insieme a 1947 la formazione del gruppo dei ‘Pittori Moderni della Realtà’ e la prima mostra alla Galleria ‘Illustrazione Italiana’ a Milano, con un vero e proprio manifesto programmatico, firmato dai due fratelli, da Pietro Annigoni e da Gregorio Sciltian. Gli anni Sessanta lo vedono protagonista e animatore di numerose iniziative artistiche tra cui la nel 1964 alla prima mostra di arte visiva allestita dal Gruppo 63 a Reggio Emilia, e il ritorno (dopo la mostra del 1956) alla Biennale di Venezia nel 1968, nel Padiglione spagnolo presentato in catalogo da Edoardo Sanguineti Ottiene la cittadinanza italiana nel 1970 e si trasferisce con la moglie e le figlie a Fiesole e nel 1973, a distanza di quindici anni, torna ad esporre a New York presentato da Carlo Ludovico Ragghianti ottenendo un notevole successo di critica e di pubblico Nel 1977 fonda e dirige la rivista Visual con l’aiuto di Eugenio Miccini e molti ex appartenenti al Gruppo 70 L’anno seguente si dedica al tema dei d’apres che non abbandonerà più fino all’ultima apparizione nel 1984 alla Biennale di Venezia. A Firenze nel 1981 tiene una grande antologica a Palazzo Strozzi, inaugurando la nuova sede d’esposizioni di arte contemporanea con la presenza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini Negli ultimi anni della sua vita, si dedica alla scrittura delle sue memorie rimaste incompiute a causa della prematura scomparsa a Fiesole nel 1984 Completano il catalogo la bibliografia delle opere, l’elenco delle mostre e la bibliografia. (an.fu.)
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G H I D E L S A P E R E
DONATO DI POCE
Rinascimento
La danza delle idee I Quaderni del Bardo 2022 pp.142 €26,00 ISBN 979-8366186636
rinasciMento, la danza delle idee di donato di poce
Si intitola Rinascimento: La danza delle idee il libro di Donato Di Poce edito da I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno
Il libro, indaga L’Arte, tra Poesia e Filosofia nella Civiltà del Rinascimento Italiano. Un periodo storico che maturò un nuovo modo di concepire il mondo e se stessi, sviluppando le idee dell'umanesimo, nato in ambito letterario nel quattordicesimo secolo per il rinato interesse degli studi classici, per opera maggiormente di Francesco Petrarca, e portandolo a influenzare per la prima volta anche le arti figurative. Ma questo periodo storico ha ancora molto da dire e Donato Di Poce riesce con questo lavoro a dare una prospettiva altra a fonti, testi e contesti.
Si tratta di un libro storico, didattico, didascalico, critico, Enciclopedico e CreAttivo con un’entusiasmante, capitolo finale sul Rinascimento nell’Arte Contemporanea. “Il Rinascimento è stato caratterizzatospiega lo stesso autore da una vera e propria Danza delle Idee, arricchita e impreziosita dalla sperimentazione e dalla multidisciplinarietà degli artisti e poeti (Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Piero della Francesca, Macchiavelli, Poliziano, Alberti, Ficino, Vasari etc…che erano poliedrici, creativi, innovatori) e uomini di cultura e dal fatto che le Accademie e nelle botteghe degli artisti si confrontavano e contaminavano idee, tecniche, filosofie, religioni. Si approfondirono in questo periodo gli studi delle altre religioni, della Filologia, dell’Astrologia, Archeologia, Matematica
Non è un caso che a distanza di oltre 500 anni Il Rinascimento Italiano, è riconosciuto a livello mondiale come culla di cultura europea e mondiale, e brand di rinnovamento di arte e civiltà e che il turismo culturale, veda in Roma, Firenze e Venezia tra le principali attrattive mondiali e che nell’ultimo EXPO di Dubai, la riproduzione in scala tridimensionale del David di Michelangelo sia stata l’attrattiva principale ” Il termine Rinascimento si affermò in realtà nel ‘800 con Michelet e poi con Burckhardt e nel ‘900 con Berenson e Longhi Ma se a tutti vengono immediatamente in mente Leonardo, Michelangelo o Raffaello, e i più informati conoscono Brunelleschi o Piero della Francesca come padri della prospettiva, non tutti sanno che il vero valore del Rinascimento non è stata la compresenza di diversi Geni in vari campi dell’Arte e della cultura, ma la rinascita culturale e una danza delle idee tra natura, l’arte e l’uomo che coinvolse non solo i Principi e le corti (Firenze, Venezia, Urbino, Mantova, Napoli, Milano), ma studiosi umanisti (Alberti, Castiglione, Della Casa, Valla, Guicciardini, Macchiavelli, Vasari) Poeti (Poliziano, Ariosto, Aretino, Folengo, Ruzzante), scienziati (Copernico, Galileo), filosofi (Cusano, Pico della Mirandola, Talete, Ficino, Bruno, Campanella), e artisti (Brunelle-
schi, Piero della Francesca, Masaccio, Donatello, Leonardo, Michelangelo, etc…) dopo un secolo di oscurantismo “teocentrico” del Medioevo con la dittatura della religione e della fede sulla filosofia, poesia e arte, culminata nel 1600 con il rogo per “eresia” di Giordano Bruno.
Il libro analizza oltre alle Arti (Architettura, Pittura e Scultura) e agli autori (dai Geni del Rinascimento ad alcuni autori meno conosciuti), anche temi e idee innovative che hanno caratterizzato il Rinascimento quali: Sviluppo del Mecenatismo; Invenzione e diffusione della stampa da parte di Gutenberg; La creazione della Biblioteca Vaticana; Riscoperta e traduzione dei classici Latini (Cicerone e Seneca) e Greci (Platone e Aristotele); Affermarsi del mito dell’Artista; Opere firmate e Autoritratti ; Nuova rappresentazione del Paesaggio naturale e urbano; La scoperta del Nudo; Invenzione della prospettiva; La Divina Proporzione e L’Uomo Vitruviano di Leonardo: Sviluppo dell’Incisione; Nuove Scoperte Scientifiche e Astronomiche; Realismo e Idealismo nella Letteratura e Poesia del Rinascimento; Arte: Longhi e la scoperta e la grandezza del cosiddetto “Rinascimento Minore”; La Filosofia del Rinascimento. Era inevitabile che il Rinascimento non producesse studi, influenze, richiami, citazioni anche in autori sensibili dell’Arte Contemporanea da De Chirico a Duchamp, da Ceroli a Pistoletto, da Jorit a TVBoy a Mauro Rea e il mondo della pubblicità e della moda Sono le opere di Botticelli, Michelangelo e Leonardo ad essere strumentalizzate e usate con particolare frequenza non solo per la loro originalità figurativa ma anche per la loro bellezza e sensualità, che le rendono particolarmente appetibili ai media contemporanei Infine impreziosiscono il libro un Glossario minimo Rinascimentale e una preziosa Bibliografia minima sul Rinascimento”
i n e m a d ’ A u t o r e
priMa visione (recensioni e riFlessioni)
Massimiliano ManieriVicini
di casa, il nuovo film diretto e sceneggiato dal regista genovese Paolo Costella
“ ”
Sarà
che siamo a fine anno, e sotto le feste ci necessita quel senso di leggerezza che ci strappi dai troppi pensieri cumulati nei mesi, sarà che ogni tanto anch’io faccio scelte giudicate inusuali dai miei stessi neuroni (i pochi rimasti funzionanti perlomeno), dunque in questo mese dicembrino che di natalizio ormai ha solo le lucette, farò una scelta a dir poco “bizarre”. Prenderò in esame una pellicola italiana, di taglio leggero, ma che tocca un argomento non proprio facile, e cioè gli equilibri della coppia in ambito sessuale.
Vicini di casa
Non che fior di registi non ci abbiano provato, ad ogni latitudine, sotto ogni cielo ne avremmo di esempi anche storicizzati sul tema, partendo dai sacri altari bergmaniani, alle ebraiche sponde alleniane, per poi sfociare nel colorito mondo di Almodovar (il primo, soprattutto), per citarne solo alcuni Ma in molti, molti di costoro, l’argomento, andando a rimembranza, non è che mi sia sempre parso sia stato affrontato in modo adeguato, tra bisogni autoriali di ridondare nella trama, oppure lasciar tutto sospeso in un dubbio che lo spettatore si porti poi appresso uscendo dalla sala.
Paolo Costella, sceneggiatore e regista di origine genovese, con alle spalle una manciata di film di cassetta, riesce in una impresa quasi epica: parlare di sesso in modo
godibile, mostrandoci il lato umano delle nostre quotidiane incertezze Quindi prende quattro attori: Claudio Bisio (Giulio), Valentina Lodovini (Laura), Vittoria Puccini (Federica), Vinicio Marchioni (Salvatore) e li sbatte in una commedia da camera, opera assai ardua per chi si intende di cinema, poiché a far recitare quattro figure praticamente in un unico ambiente, pochi vi son riusciti davvero. Campione di questi sforzi narrativi sarebbe stato il caro Polanski, che con Carnage edificò le fondamenta dei film di cotal guisa.
La capacità del regista in questo caso è multistratificata, visto che sceglie di tenere la patata bollente sulle frequenze della commedia dei (mezzi) equivoci, in un gioco delle parti dove le diverse personalità degli attori, si fondono, per nutrire un meltin-pot di sfaccettature, che poi giunge allo spettatore come una ricetta ben orchestrata e ben condotta in porto.
Il film ad onor del vero, altro non è che una trasposizione italianizzata della pellicola spagnola Sentimental, che vide alla regia Cesc Gay.
Cosa accade quando una coppia di partner abbastanza conservatori (e sessualmente annoiati) fa amicizia con una coppia la cui vita sessuale è ben più frizzante? E se li ritrovano come vicini? Riesce la curiosità a pervadere le mura dei
canoni personali? In questo caso a me è parso che il regista sia ben riuscito a tenere la trama su linee emotive che strappano sorrisi agli spettatori, e lasciano il gusto sino al finale, del non sapere come finirà la storia Anzi, proprio nella seconda parte del film, il Costella offre dei colpi di coda niente male, non buttando in caciara la ricetta, ma offrendo i risvolti dolce/amari della vicenda, con le coppie che cominciano a metter sul tavolo anni ed anni di rinunce, noie personali, ed incompatibilità pregresse, sollecitati al cordolo emotivo dai vicini ben più frizzanti. Ed anche nei momenti spassosi, dove l’imbarazzo dei conservatori va a lamentarsi del baccano orgiastico che giunge dalle mura della coppia più libertina, si libera una ilarità mai grossolana, che anzi lascia ampio spazio al sentirsi proiettate personalmente le medesime domande.
Cosa avremmo fatto noi nella medesima situazione?
Come ci saremmo infine comportati?
Quale tra le due coppie reggerà le intemperie del tempo?
Un film da vedere, in un panorama italiano che raramente emerge in originalità narrativa, questa pellicola svolge sino in fondo il suo compito, con un plauso ai quattro attori in stato di grazia.
i n e m a d ’ A u t o r e
ascoli piceno una città da FilM
Stefano Cambò“
Per i Luoghi del cinema un viaggio tra i set di tante pellicole di successo
Se vi capita di essere in giro per le Marche, non potete farvi scappare Ascoli Piceno. Una vera e propria bomboniera incastonata tra i monti dell’appennino centrale, che vi saprà sorprendere per il suo centro storico, la piazza, il caffè e la buona cucina
Se poi ci aggiungiamo un bel film da vedere comodamente sul divano dopo il tour, magari ambientato in questa bellissima città, allora il gioco è fatto Ma prima di addentrarci tra i suoi vicoli, c’è bisogno di qualche buon consiglio O di una guida, per rimanere in tema.
Infatti, tanti sono stati i registi che hanno scelto Ascoli Piceno come sfondo per le proprie scene più belle, trovando fortuna al botteghino e facendo conoscere ai curiosi angoli e scorci della città che non tutti sanno
In primis la stupenda Piazza del Popolo ribattezza ormai dai siti e dalle agenzie di viaggio come il Salotto d’Italia. Proprio qui potrete gustare un ottimo caffè seduti a uno dei tavolini dello storico Caffè Meletti, simbolo di un’epoca lontana che ammalia i visitatori con il suo stile d’arredamento unico e iconico Così unico e iconico che stregò anche Dustin I
l u o g h i d e l c i n e m a
I l u o g h i d e l c i n e m a
H o f f m a n durante le riprese di Alfredo Alfredo, film del 1972 scritto e diretto da Pietro Germi con Stefania Sandrelli e Carla Gravina “Ascoli è bellissima” si lasciò scappare il famoso attore a m e r i c a n o d u r a n t e un’intervista E la stessa cosa deve aver immaginato quando è ritornato nel c a p o l u o g o piceno per prendere parte a uno spot della Regione Marche. Per quanto riguarda il film, all’inizio doveva intitolarsi Finché divorzio non vi separi ed ebbe un n o t e v o l e riscontro per i temi trattati, in quanto in quegli anni nella società
italiana infuocava la d i s c u s s i o n e sul referendum che di s a r e b b e tenuto da lì a poco (a tal proposito dello stesso autore c’è Divorzio all’Italiana che abbiamo avuto modo di r a c c o n t a r e qualche tempo fa con un articolo dedicato alla Val di Noto). Ma prima ancora di Pietro Germi e di Dustin Hoffman, la città ospitò un altro film. Era il 1960 e nel capoluogo Piceno venne girato I Delfini di F r a n c e s c o Maselli con Claudia Card i n a l e , Gerard Blein e il mitico T o m a s Milian. Una delle scene cult, v e n n e a m b i e n t a t a
proprio all’interno del Caffè Meletti
Dobbiamo fare un salto temporale di alcuni decenni, per veder ritornare Ascoli Piceno sui grandi schermi.
Nel 1987 è la volta del regista Giuseppe Piccioni che, nella sua città natale, volle ambientare Il grande Blek con Sergio Rubini e Francesca Neri
Si tratta di un film di formazione che farà rivivere il periodo compreso tra il 1960 e il 1968, attraverso gli occhi, le emozioni, le avventure e i sogni dei due protagonisti. Nel 1996, con la pellicola Cuori al verde, il regista attraverso una scena operistica farà conoscere al grande pubblico l’interno dello storico teatro ascolano Ventidio Basso. Dobbiamo aspettare però il nuovo millennio, per rivedere tra le vie della città Giuseppe Piccioni. Infatti, nel 2021 il regista ritorna con il film L’ombra del giorno interpretato da un bravissimo Riccardo Scamarcio.
La pellicola, ambientata negli anni Trenta, ha dato lustro ad Ascoli trasformando Piazza del Popolo e tutte le strade adiacenti in un set con le botteghe, i vestiti e le macchine perfettamente in linea con la configurazione dell’epoca Perché il bello di questa città è proprio questo.
Quando si arriva a piedi in centro, sembra che il tempo si sia come fermato All’improvviso si apre davanti agli occhi Piazza Del Popolo, il famoso Salotto d’Italia.
Tutto il centro storico, costruito quasi interamente in travertino, sembra volerti trasportare prima nel Medioevo e poi in pieno Rinascimento.
A costernare il fulcro della città poi, ci sono il Palazzo dei Capitani del Popolo, il Caffè Meletti e la Chiesa di San Francesco.
Altro luogo di aggregazione sociale è sicuramente Piazza Arringo, la più antica e grande di Ascoli Piceno dove si pos-
u o g h i d e l c i n e m a
sano visitare il Battistero di San Giovanni, la cattedrale di Sant’Emidio, il Palazzo Vescovile e il Palazzo dell’Arengo sede della Pinacoteca civica. Prima di concludere il tour, non si può lasciare questa bellissima città senza aver fatto due cose semplici che hanno a che fare con il mondo della gastronomia Innanzitutto, bisogna assaggiare le famosissime olive ascolane (le uniche e originali che si vendono nei chioschi) magari mentre si passeggia e si gode il panorama tutt’intorno e poi si deve assolutamente degustare il caffè con l’anisetta seduti a uno dei tavolini interni dello storico Caffè Meletti.
Con il suo stile Liberty unico, questo luogo iconico ha stregato in un lontano passato uomini di cultura come Sartre, Hemingway e Trilussa.
Proprio qui, come ho accennato all’inizio, sono state girate alcune delle scene più emozionanti dei film ambientati in città.
Perché la bellezza di Ascoli Piceno è tutta racchiusa in un centro storico che aspetta solo di essere prima visitato e poi vissuto, anche grazie al cinema che lo ha fatto finalmente scoprire al grande pubblico.
S a l e n t o S e g r e t o
Cazzato“
una Mostra da non perdere Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia
”
Dalle mostre da non perdere in quel di Lecce c’è quella che è stata inaugurata lo scorso 22 dicembre su Paolo Emilio Stasi, artista e archeologo.
Circa 20 anni fa, nel ripubblicare un famoso testo su Castro del compianto don Vittorio Boccadamo, mi accorsi che sullo Stasi c'era poco e niente. Decisi allora di riportare brevemente l'attenzione su questa notevolissima figura ripubblicando la biografia tratta dal Foscarini allora ancora inedita. Fu corredata da circa 20 immagini di due opere gentilmente offerte dagli eredi e che ora vedo esposte dal vivo apprezzandone ancora di più l' alta qualità. Un eccellente recupero.
paolo
pittore
Nel centenario della scomparsa di Paolo Emilio Stasi, il Museo Castromediano dedica un importante progetto curatoriale a una delle personalità più stimolanti e meno note della cultura di Terra d’Otranto di fine Otto e inizi Novecento: Paolo Emilio Stasi (Spongano 16 gennaio 1840 - 4 marzo 1922)
Pittore, archeologo, pensatore illuminato, Stasi è al centro di un progetto che include opere d’arte, reperti archeologici, fotografie, documenti e altri materiali provenienti da collezioni private e dalle raccolte del Museo Castromediano. Le opere, provenienti dalle collezioni degli eredi, sono state oggetto di un importante lavoro di restauro a cura del Museo Castromediano di Lecce, realizzato dai restauratori Mary Coppola e Giuseppe Tritto Da settembre 2022 ad oggi infatti le operazioni di restauro conservativo – consolidamento della pellicola pittorica, applicazione di fasce perimetrali, pulitura, stuccature e integrazione pittorica – hanno interessato 35 opere tra dipinti su tela, cartone pressato,
compensato e disegni su carta. Il Museo Castromediano pertanto per questa mostra ha messo in campo tutte le sue professionalità, dal settore storico-artistico, a quello archeologico, all’ambito del restauro “Questa mostra è un progetto che unisce le vocazioni del Museo Castromediano, dall’archeologia alla storia dell’arte, dalle attenzioni verso gli archivi, all’impegno sul restauro: perciò l’omaggio a Stasi è un vero e proprio paradigma, che fa del nostro impegno di studio e ricerca un ulteriore punto di partenza per nuove visioni aperta alla comunità”, commenta Luigi De Luca, direttore del Polo biblio-museale di Lecce e coordinatore della mostra curata da Brizia Minerva, Annalucia Tempesta, Michele Afferri e Salvatore Bianco, autori anche dei contributi testuali che a breve saranno pubblicati sul catalogo concepito per l’occasione.
Il progetto, concepito con la fondamentale disponibilità degli eredi (in particolare il pronipote, arch. P.E. Stasi) e in collaborazione
”
“La mostra allestita al Museo Castromediano di Lecce potrà essere visitata fino al 31 gennaio 2023
stasi
e archeoloGo in terra d’otranto
con la Soprintendenza ABAP per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, il Teatro Pubblico Pugliese e la Provincia di Lecce, è stato realizzato grazie alla collaborazione della società Esterno Notte, associazione che opera seguendo una linea etica di valorizzare i beni architettonici, il paesaggio naturale e il patrimonio culturale, nel rispetto e nella tutela della natura e del territorio, attraverso la proposta di allestimenti artistici. Esponente della pittura napoletana del tardo Ottocento, Stasi si forma a Napoli, dove era studente di farmacia negli anni 1865-66, con i maggiori maestri di quel periodo, tra cui il salentino Gioacchino Toma. Rientrato in Terra d’Otranto insegna disegno presso il Real Ginnasio “Capece” di Maglie e diviene figura di riferimento per Giuseppe Casciaro e altri. La produzione pittorica di Stasi - ritrattistica, soggetti sacri, paesaggi e nature morte - è
poco conosciuta da studiosi e grande pubblico Stasi, infatti, non ha effettuato in vita operazioni commerciali ed espositive della propria produzione, a parte alcuni ritratti commissionati da famiglie amiche o le pale d’altare nelle chiese matrici di Nociglia e Castrignano del Capo. Appassionato naturalista, aperto alle nuove correnti di pensiero di matrice positivista ed evoluzionista, sulla scia delle teorie di Charles Darwin Paolo Emilio Stasi dal 1870 si appassiona alle ricerche paleontologiche condotte in Terra d’Otranto da Ulderico Botti, toscano di nascita e consigliere prefettizio a Lecce, formatosi presso la Cattedra di Antropologia di Firenze Seguendo le orme del Botti, Stasi scopre delle “brecce ossifere” sulle scogliere di Castro (pietrame sgretolato dal freddo dell’ultimo glaciale, poi trasportato dalle acque insieme a resti di faune fossili
presenti sul terreno e quindi cementato nelle terre rosse locali) Non solo
A lui di deve la scoperta del deposito preistorico di Grotta Romanelli, in cui esegue dei saggi poi editi nel 1904 insieme con Ettore Regàlia del Gabinetto di Paleontologia di Firenze. La scoperta del primo sito del Paleolitico superiore in Italia viene smentita nel 1905 dalla Scienza accademica rappresentata da Luigi Pigorini della Cattedra di Paletnologia di Roma. L. Pigorini per 40 anni ha affermato l’inesistenza del Paleolitico superiore in Italia solo per motivi ideologici L’Italia sarebbe stata colonizzata da ondate etniche indoeuropee nell’età del Bronzo, che avrebbero dato origine alle genti italiche grazie alle quali sarebbe sorta la grandezza di Roma.
Ciò nonostante la scoperta di Stasi-Regàlia sarà riconosciuta da molti studiosi, in partico-
lare a seguito degli scavi ripresi in Romanelli dal Barone Gian Alberto Blanc nel 1914 su incarico ministeriale. Questi riconosce la tesi d Stasi-Regàlia mettendo fine alla disputa tra la Cattedra di Paletnologia di Roma e quella di Antropologia di Firenze, cui afferivano P E Stasi ed E. Regàlia. A causa di quella disputa scientifica P. E. Stasi, dal 1904 al 1914, attraversa un periodo di emarginazione grazie alla borghesia e agli esponenti della cultura di Terra d’Otranto. Determinata appare, nonostante le garbate lettere intercorse tra loro, la sottile chiusura di Cosimo De Giorgi, che continua a nutrire dubbi sull’operato scientifico di Stasi e ad intrattenere rapporti con Luigi Pigorini, che invita più volte in Terra D’Otranto al fine di valorizzare quelli che considerava i monumenti simbolo della preistoria locale (menhir, dolmen)
luci e colori nel borGo di locorotondo
Veronica Di MaglieLocorotondo, un piccolo borgo collocato nella provincia di Bari, proprio nel cuore della Valle d’Itria, durante il periodo delle festività natalizie veste con autenticità le luci del Natale. Il nome del l u o g o q u a l i f i c a n e l l ’ e t i m o l o g i a l a t i n a d e l m e d e s i m o ( L o c u s Rotundus, ossia Luogo Rotondo), la qualità peculiare del lineamento morfologico del centro storico. La struttura del territorio
vanta una fisionomia esclusiva, poiché le tipiche case bianche, disposte concentricamente, possiedono dei tetti spioventi, prop r i a m e n t e c h i a m a t i i n d i a l e t t o “Cummèrse” (da “converse”, cioè “verso il basso”). In passato, gli artigiani preferirono costruire i t e t t i d e l l e a b i t a z i o n i c o n l e “Chianche” dei Trulli; tale scelta nel corso del tempo si rivelò positiva e addirittura ebbe un duplice
“ ”
i r o v a g a n d o
vantaggio, in quanto non solo contraddistinse il territorio per l’armonia estetica, ma favorì anche il recupero dell’acq u a p i o v a n a n e i canali dei pozzi. L e “ C u m m è r s e ” sono il simbolo della memoria del passato che unisce la b e l l e z z a a l l ’ u t i l i t à L’ a t m o s f e r a d e l Natale si accende c o n l e l u c i e g l i addobbi di questo meraviglioso borgo, c h e a g g h i n d a d i colori accessi e vivid i i l b i a n c o d e l l e dimore A rendere s p e c i a l e i l c l i m a natalizio di Locorotondo è l’impegno costante e persever a n t e d e i c i t t a d i n i che, primi fra tutti, hanno dato vita alla volontà di promuov e r e c i ò c h e i n seguito è diventato un concreto progetto d’arte, cultura e turismo.
L’occhio di un turista che scruta per la prima volta un’attrattiva, una novità, una bellezza estranea alla sua pupilla, ma che nonostante c i ò , r a p i s c e l o s g u a r d o , è s e n z a dubbio magico. Allo
r o v a g a n d o
stesso modo l’occhio di chi ammira il piccolo borgo, che ha sempre chiamato “casa” prima di definirlo servendosi della propria denominazione, ricco di turisti e di vita, è altrettanto toccante.
Le luminarie di Natale inducono tutti ad alzare gli occhi in direzione del cielo; quando si percorrono le strette vie del centro storico di Locorotondo, si avverte un forte senso di contatto tra le persone, poiché si cammina in un piccolo perimetro
Una vicinanza non solo fisica ma soprattut-
to emotiva, poiché il Natale avvicina, unisce e ricongiunge gli affetti.
Il simbolo natalizio onnipresente nelle dimore e nelle piazze delle città italiane è indubbiamente l’albero di Natale. Ad illuminare il borgo di Locorotondo non è solo l’abete, che per antonomasia abita la sua piazza nel mese di dicembre, ma anche l’albero che ha come radici la memorabile tradizione, madre del suo patrimonio artistico, e come rami la nuova lente dell’originalità, promotrice del successo del turismo.